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sabato 11 luglio 2015

IL RITO AMBROSIANO



Il rito è un modo in cui il cristianesimo si incarna in una cultura: ci possono essere accentuazioni diverse su come rapportarsi a Cristo o vivere la realtà della Chiesa. Quelli attualmente in uso nella Chiesa cattolica sono il rito latino e i riti orientali: bizantino, alessandrino o copto, siriano, armeno, maronita e caldeo. Il rito latino comprende il rito romano, quelli di alcune Chiese locali, come il rito ambrosiano per la Chiesa milanese o quello ispano-mozarabico per alcune regioni spagnole, e il rito di alcuni ordini religiosi, come quello certosino. Da ricordare che nel corso della storia alcuni riti sono stati progressivamente assorbiti dal rito romano oppure soppressi, come il rito gallicano usato in Francia e quello patriarchino dei patriarcati di Aquileia, Grado e Venezia.

Il rito ambrosiano è un rito liturgico della Chiesa cattolica milanese, che si distingue da quello utilizzato nel resto dell'Occidente, detto invece rito romano.

Il rito ambrosiano deriva dalla tradizione che si è stratificata nella liturgia milanese. La sua sopravvivenza vide molti critici, quando vennero soppressi altri riti locali. Quando papa Gregorio I, alla fine del VI secolo, modificò, riordinò ed estese a tutta la chiesa occidentale la liturgia romana, il rito ambrosiano, data la grande importanza e il peso della chiesa milanese, riuscì a sopravvivere alla soppressione dei riti occidentali minori, insieme al rito mozarabico. La sua legittimazione definitiva si ebbe comunque con il Concilio di Trento (occorre tener conto che allora regnava un papa milanese (Pio IV) e che l'anima del Concilio fu il vescovo di Milano san Carlo Borromeo).

È attualmente seguito solo nella diocesi di Milano (con l'eccezione dei decanati di Monza, Treviglio e Trezzo sull'Adda, delle parrocchie di Civate e Varenna e delle chiese non parrocchiali dei religiosi, oltre che dell'Aloisianum a Gallarate) e in alcune parrocchie del comasco e del bergamasco. Fuori dalla Lombardia è seguito nelle parrocchie di Cannobio e di Cannero Riviera (nel vicariato del Verbano in Diocesi di Novara) e nel Canton Ticino. In quest'ultima regione interessa le parrocchie della Valle Capriasca, di Brissago e Ascona e delle tre valli superiori del Cantone: Blenio, Riviera e Leventina, dette appunto le Tre valli ambrosiane. Nella diocesi di Lodi è in uso solo nelle parrocchie di Colturano, Balbiano e Riozzo.

La celebrazione della Messa presenta gli stessi elementi della Messa del rito romano, ma alcuni di essi sono disposti diversamente. Lo scambio della pace, ad esempio, non è immediatamente prima della comunione dei fedeli, ma viene anticipato al termine della Liturgia della Parola, prima della preparazione dei doni. Altre minori differenze sono la mancanza dell'Agnus Dei e la triplice invocazione Kyrie eleison nei riti conclusivi.

A partire dalla prima domenica di Avvento del 2008, verrà introdotto il nuovo Lezionario Ambrosiano che segnerà una diversificazione, fondata su un'antica e consolidata tradizione, del Rito della Chiesa Ambrosiana rispetto al resto della tradizione Latina. Tra le novità di maggiore interesse, oltre al succitato Lezionario, l'attuale Messa festiva del Sabato sera, nota come "Messa Pre-Festiva", subirà un cambiamento nelle modalità di celebrazione. È prevista infatti che essa sia preceduta da una particolare celebrazione vigilare, in forma solenne o comune, che consiste essenzialmente nella lettura di un brano di Vangelo che parla della Resurrezione di Gesù. Inoltre, è stato rivisto anche il Calendario Liturgico Ambrosiano, differente da quello Romano per diversi aspetti.

L'Avvento ambrosiano dura sei settimane, contro le quattro del rito romano, mentre la Quaresima inizia la domenica successiva al "mercoledì delle ceneri" con l'imposizione delle ceneri al termine della Messa festiva.

Una delle differenze che appare più evidente ai fedeli è l'uso del turibolo, che è scoperto e viene usato facendolo girare per aria, in un modo del tutto sconosciuto al Rito Romano che invece lo usa esclusivamente in senso antero-posteriore, ed è coperto da un coperchio traforato. Il modo di incensare ambrosiano è infatti "per ductum et tractum", cioè facendo prima roteare il turibolo (ductus) e poi spingendolo in avanti (tractus) verso la persona o la realtà sacra da venerare, in modo tale che chi incensa "disegni" per così dire la forma di una croce. Nel ductus il turibolo viene fatto ruotare da sinistra a destra (in senso orario); nel tractus il turibolo viene alzato verticalmente e abbassato.

Una differenza con il rito romano riguarda la forma dell'ostensorio che ha conservato la più antica conformazione a tempietto, mentre nel rito romano ha assunto una forma di raggiera.

L'ostensorio e la pisside sono ricoperti da conopei di colore rosso e non bianco.

L'aspersorio è fatto come un piccolo pennello e l'acqua è trattenuta dalle setole.

La croce astile viene sempre rivolta al celebrante, quindi nelle processioni il Crocifisso è volto indietro, mentre nel rito romano è volto in avanti. Sulla stessa croce o sulla croce dell'altare è possibile collocare le candele.

Alcuni sacerdoti (prevosti e vicari episcopali) hanno il diritto di portare durante le processioni la ferula, cioè un bastone sormontato da un globo e una piccola croce.

In generale la foggia dei paramenti liturgici è uguale a quella romana, esistono però alcune particolarità, sebbene non sempre presenti o rispettate:
i diaconi indossano la stola sopra la dalmatica;
l'amitto è indossato sopra e non sotto al camice;
il camice può essere ornato con i cosiddetti "aurifregi", cioè due strisce di tessuto, dello stesso colore dei paramenti, applicate alle estremità delle maniche e due quadrati applicati, uno davanti e uno dietro, nella parte inferiore del camice stesso;
è possibile che ci sia il Cappino, striscia di tessuto nei vari colori liturgici, applicata intorno al collo della dalmatica e della pianeta o casula. Anticamente il Cappino era unito all'amitto, secondo l'uso tuttora vigente in alcune chiese orientali;
chi ha diritto alla croce pettorale (vescovi, canonici, ecc..) la porta sopra la casula o pianeta.
Vi sono anche differenze che riguardano il colore dei paramenti:
nel rito ambrosiano il colore per le celebrazioni del SS.mo Sacramento è il rosso, a differenza del rito romano dove il colore liturgico previsto è il bianco. Per questo motivo si utilizza il rosso alla messa "in cena Domini", al "Corpus Domini" e nella Festa del Sacro Cuore di Gesù;
nel tempo dopo Pentecoste e dopo il martirio di San Giovanni Battista si utilizza il rosso, mentre nel corrispondente tempo ordinario romano si usa il verde;
al posto del viola si utilizza o si dovrebbe utilizzare una particolare tonalità detta morello;
nelle ferie quaresimali, ad eccezione del sabato (non considerato feria), si può usare il nero;
non si utilizza il colore rosaceo ne l'azzurro.
Vi sono differenze anche negli abito del clero:
la veste talare, abbottonata fino in fondo nel caso del rito romano, è chiusa con soli 5 bottoni nella parte superiore e poi fermata in vita da una fascia nera nel caso dei sacerdoti di rito ambrosiano;
la berretta è leggermente più alta di quella del clero romano ed il fiocco è presente solo sulle berrette dei prevosti (vescovi e monsignori usano la berretta romana corrispondete al proprio grado).

Un elemento fondamentale del rito e della liturgia ambrosiana è costituito dal canto "ambrosiano". Fu Sant'Ambrogio stesso che, per la prima volta in assoluto nella liturgia della Chiesa, introdusse nel 386 l'uso di canti non derivanti dai salmi (gli unici fino ad allora cantati durante le messe). Questa sua innovazione si diffuse presto anche nelle Chiese di altro rito.

Ambrogio è stato definito il più musicale dei Padri, in quanto ha personalmente composto testi e musiche dei suoi inni, innovando anche lo stile, grazie all'introduzione della metrica classica al posto di quella libera che era simile alla salmodia ebraica. Scelse per i suoi inni il dimetro giambico e introdusse la antifonia, elemento fondamentale per consentire a tutta la massa di fedeli una maggiore partecipazione al rito, grazie ad un canto collettivo eseguito da un'ala maschile e da un'altra ala composta da donne e bambini. Per agevolare il popolo alla declamazione, Sant'Ambrogio realizzò versetti facili da recitare ed eliminò sia il ruolo del solista sia la presenza dei vocalizzi, rendendo tutto l'insieme più armonico.

Come il canto gregoriano, anche il canto ambrosiano fu naturalmente modificato nel corso dei secoli dalla sua elaborazione da parte di Ambrogio, ma non di meno oggi lo si definisce il più antico corpus musicale occidentale. Per preservare questo patrimonio insostituibile è stato istituito il PIAMS (Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra) consociato con il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.

I testi liturgici musicali e canori ambrosiani sono contenuti nei volumi "Antiphonale Missarum iuxta ritum Sanctae Ecclesiae Mediolanensis" (1935) e "Liber Vesperalis" (1939) editi dal musicologo benedettino spagnolo Gregorio Maria Suñol.

Quando la messa è preceduta da una processione, giunti al limite del presbiterio la processione si arresta, la croce affiancata dai cantari ambrosiani si rivolge al celebrante e il clero si dispone su due file una di fronte all'altra, in fondo il celebrante con i ministri resta rivolto alla croce e all'altare. A questo punto il solista e l'assemblea si alternano cantando 12 volte (6 ciascuno) "kyrie eleison" a cui segue di norma una sallenda. Durante il "Gloria al padre" della sallenda ci si inchina prima alla croce e poi al celebrante, quindi la processione entra in presbiterio. Il canto dei 12 kyrie sostituisce l'atto penitenziale. È prescritto dopo la processione con le palme nella domenica delle palme e dopo la processione con le candele nella festa della presentazione del Signore al tempio.

Caratteristica delle celebrazioni vespertine è il rito della luce o lucernario. La processione con il celebrante entra in chiesa al buio e con i cantari spenti al fianco dell'unica lanterna accesa, che apre la processione. Giunti ai piedi del presbiterio, dopo il saluto all'assemblea, al celebrante vengono presentati i cantari e la lanterna; il celebrante provvede ad accenderli, quindi vengono accesi i ceri dell'altare, sempre dalla stessa fiamma, e secondo l'opportunità infuso l'incenso e incensata la mensa. Il rito si conclude con l'inno, intonato dal celebrante.

Il cardinal Schuster ha limitato questa liturgia alle solenni celebrazioni della vigilia. Vi è un apposito canto per questa liturgia.

Nel rito romano una variante di questa liturgia si svolge solo una volta all'anno, in occasione della benedizione del cero pasquale.

Tuttora in uso è il rito del "faro", la cui origine è antichissima (se ne trova traccia nel VII secolo), e celebrato ora in occasione delle feste patronali, ma solo se si tratta di un santo martire. La sua origine e significato sono incerti: un significato puramente allegorico sarebbe l'allusione al sacrificio della vita da parte del martire.

Il rito si svolge in questo modo: all'inizio della messa solenne si svolge una processione che si ferma al limite del presbiterio dove è sospeso in alto un pallone, di stoppa o bambagia o di altro materiale combustibile, solitamente ornato con una croce, una corona e delle palme (simbolo del martirio). Dopo il canto dei 12 kyrie e della sallenda propria con il Gloria, mentre si ripete la sallenda, il celebrante, senza nulla dire, con un'apposita verga sormontata, solitamente, da 3 candelette incendia il pallone e sale in presbiterio. Un tempo probabilmente veniva incendiato dalla candela che era posta sulla croce astile dallo stesso ostiario che portava la croce.

Il rito del faro è celebrato nel Duomo di Milano in occasione di Santa Tecla, patrona della parrocchia del Duomo e in molte delle parrocchie dedicate a santi martiri nel giorno della loro festa.

Un'altra cerimonia particolare e di origine antichissima quanto incerta, è la processione dell'Idea. Si svolge il 2 febbraio festa della presentazione del Signore al tempio e consiste nel portare in processione prima della messa un'icona mariana sormontata da una candela.

Non si sa da che cosa derivi questa denominazione: secondo alcuni da una celebrazione della dea pagana Cibele (il cui attributo era Magna Mater Idea), secondo altri dal nome generico di "immagine". L'immagine in questione è quella di una Madonna con bambino, una volta trasportata da due presbiteri su una lettiga con manici in forma di scala, portandola con stanghe e stando uno davanti e l'altro dietro, come si vede da un bassorilievo medievale conservato al Museo del Castello. un tempo si svolgeva tra le chiese di (Santa Maria Beltrade e Santa Maria Maggiore). Oggi si svolge solo nel Duomo di Milano e nella Basilica di S. Ambrogio: la lettiga non viene più portata da presbiteri, ma da diaconi.

Nel catino absidale del Duomo di Milano è conservato un morso di cavallo che la tradizione dice essere uno dei chiodi della Passione. In occasione della festa dell'Esaltazione della Santa Croce, l'arcivescovo sale su un carro seicentesco che viene issato fino al reliquiario (a oltre 40 m di altezza rispetto al pavimento), lo porta a terra e lo espone alla venerazione dei fedeli. Alla fine, con lo stesso carro lo riporta al suo posto. Il carro è ornato con angeli e nuvole dipinte, e per questo viene chiamato nivola (cioè nuvola), da cui deriva il nome di rito della Nivola.

La cerimonia relativa prende il nome da questo carro, che per secoli è stato issato da 24 uomini (12 a destra e 12 a sinistra), e solo negli ultimi anni è stato motorizzato. La nivola fa parte delle "macchine", o apparati presenti in modo più o meno residuale in celebrazioni in vari riti (come le macchine processionali per le statue di santi o il grande turibolo di Santiago di Compostela).

Un tipico suono delle campane (peraltro non esclusivo del rito ambrosiano, ma diffuso anche in molte parti del Nord Italia a causa del forte influsso esercitato dalla tradizione dell'arcidiocesi di Milano) dipende dal tipo di struttura su cui sono montate le campane e dalla cosiddetta "inceppatura". Questo genere di inceppatura è tipico della Lombardia, della Liguria, della maggior parte del Piemonte, di parte del Veneto e di parte dell'Emilia-Romagna.

Una volta messe in movimento, le campane possono suonare "a distesa" (senza sequenza) per semplice oscillazione di pochi gradi rispetto al loro asse, oppure "a concerto" (seguendo una serie precisa di "sganci").

Su appositi supporti dell'"incastellatura", su cui è collocata ogni singola campana, si trova una balestra che ha la funzione di far arrestare la campana stessa una volta che questa ha compiuto la sua rotazione; detta balestra serve anche a favorire (col suo molleggio) lo sgancio successivo. L'arresto e sosta "in piedi" della campana sono possibili grazie a una piccola staffa posta sulla ruota, la quale staffa va appunto a scontrarsi con la balestra. Per eseguire il concerto solenne occorre portare le campane in posizione ribaltata di 180° rispetto alla posizione di fermo. Una volta raggiunta tale posizione di stallo, detta "a bicchiere" o "in piedi" (bocca in alto e contrappeso in basso), le campane, sganciate una alla volta o a coppie (eseguendo in questo secondo caso un accordo), si ribaltano (a questo punto di circa 360°) emettendo un rintocco ogni volta in cui il battacchio cade su uno dei due bordi della campana, mentre la campana gira: ad ogni giro vi sono quindi due rintocchi, uno allo sgancio e uno al ritorno verso la posizione di stallo.

Calcolando il tempo che ogni campana impiega per compiere detta rotazione, è possibile comporre determinate successioni di suoni, con la possibilità di ottenere particolari concerti.

Il rito ambrosiano ha un suo calendario e un suo complesso di norme che regolano le precedenze liturgiche. L'anno liturgico inizia con l'Avvento, prosegue con il "tempo di Natale" e quello "dopo l'Epifania", seguono la Quaresima, il "tempo Pasquale", il "Tempo dopo Pentecoste", quello dopo il Martirio di san Giovanni e quello dopo la dedicazione del Duomo.

Nel rito ambrosiano è previsto il colore morello, tranne che nell'ultima domenica (detta "dell'Incarnazione") nella quale si usa il bianco.

Una delle peculiarità di questo rito, con profili non soltanto strettamente religiosi, è l'inizio della Quaresima, che non parte dal Mercoledì delle Ceneri, ma dalla domenica immediatamente successiva. Ciò dà luogo (ad esempio in Canton Ticino, a Tesserete e Biasca) alla distinzione tra carnevale "nuovo" (quello romano) che termina con il martedì grasso e carnevale "vecchio" (quello ambrosiano) che si conclude, invece, il sabato seguente.

La differenza tra il carnevale ambrosiano e quello del resto del mondo è dovuto proprio al diverso modo di calcolare le date di inizio e fine della Quaresima:

il rito ambrosiano intende la Quaresima come un periodo di penitenza, ma non di stretto digiuno, in preparazione al Triduo Pasquale. Pertanto contando a ritroso dal giovedì Santo 40 giorni, si arriva alla prima domenica di Quaresima: dunque i quaranta giorni di penitenza iniziano alla sesta domenica prima di Pasqua. Questo era il computo originale della Quaresima in tutti i riti.
Il rito romano invece, all'idea di quaranta giorni di penitenza, sostituì nel Medioevo quella dei quaranta giorni effettivi di digiuno in preparazione alla domenica di Pasqua. Partendo quindi dal sabato Santo e contando quaranta giorni a ritroso, saltando però le domeniche, in cui non si digiunava, si giunge esattamente al mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima, che divenne il "Mercoledì delle ceneri".
Vi sono differenze anche nella concezione dei venerdì di Quaresima: per il rito ambrosiano, infatti, il venerdì è feria aneucaristica, durante la quale non possono essere celebrate messe, per vivere in modo radicale la privazione da Cristo, come avviene nel sabato Autentico, per accoglierLo pienamente con la Pasqua. Nelle altre feriae di Quaresima, quindi tutti i giorni tranne la domenica e il sabato (considerato semi-festivo in rispetto della prescrizione mosaica e come preparazione alla domenica), l'aspetto penitenziale è espresso dalla colorazione (facoltativa) nera dei paramenti anziché viola-morello. Nelle domeniche invece, come da tradizione ambrosiana, è sottolineato il percorso battesimale, che portava un tempo e può tuttora portare i catecumeni a prepararsi al battesimo nel giorno di Pasqua, e che guida i fedeli battezzati a riscoprire il significato di questo sacramento.

La Settimana Santa è chiamata Hebdomada Authentica (Settimana Autentica), in quanto vi si celebrano gli eventi centrali della storia. I riti del triduo Pasquale sono completamente diversi da quelli del rito romano.

Caratteristica tipica del rito ambrosiano è l'assoluta centralità della domenica, con il suo inizio dal tramonto del sole del giorno precedente. La messa vespertina del sabato, impropriamente talvolta detta prefestiva, ha il suo valore proprio e originario di messa vigiliare, ben evidenziato da un particolare rito, introdotto con l'edizione del lezionario entrato in vigore in occasione dell'Avvento 2008: all'inizio della messa, al posto dei riti penitenziali, è prevista la lettura di un brano di Vangelo che parla della Resurrezione di Gesù, tranne che in Quaresima dove vengono letti brani evangelici che preannunciano il mistero pasquale. È anche possibile celebrare con maggior solennità l'inizio della domenica unendo i vespri alla messa vigiliare e alla lettura del vangelo vigiliare.

L'anno liturgico scandisce anche la sequenza delle letture bibliche nelle celebrazioni eucaristiche.

Anche il rito ambrosiano, come quello romano è strutturato, per le messe festive, su un ciclo triennale (anni A, B e C).

Per le celebrazioni feriali il ciclo è invece biennale (I per gli anni dispari, II per i pari).

Il Messale attualmente in vigore è l'edizione del 1990. Come il messale romano, contiene tutte le parti fisse e variabili della messa eccettuate le letture.

Dopo un periodo transitorio, durato dalla riforma liturgica postconciliare, caratterizzato dall'utilizzo del lezionario romano ed integrato da un volume ambrosiano utilizzato in alcuni periodi dell'anno liturgico, dal 16 novembre 2008 (I domenica di Avvento) è entrato in vigore il nuovo lezionario. Nel nuovo lezionario sono state mantenute le letture proprie dei tempi forti (Avvento, Natale, Quaresima, Settimana Santa, Pasqua) e state recuperate altre letture tradizionalmente proclamate nel resto dell'anno. Accanto a questo recupero, secondo le indicazioni conciliari, sono state affiancate altre letture creando così, come nel rito romano, un ciclo triennale nelle domeniche e biennale nelle ferie.
È organizzato in 3 libri:
Libro I - Mistero dell'Incarnazione; comprende le letture dell'Avvento, del periodo natalizio e del tempo dopo l'Epifania.
Libro II - Mistero della Pasqua; contiene le letture della Quaresima, della Settimana Santa e del tempo pasquale fino a Pentecoste.
Libro III - Mistero della Pentecoste; usato dal lunedì dopo la Pentecoste fino al sabato precedente alla 1ª domenica di Avvento, è diviso a sua volta in 3 sezioni:
da dopo Pentecoste al martirio di San Giovanni il Precursore (29 agosto);
da dopo il Martirio fino alla solennità della Dedicazione del Duomo di Milano (III domenica di ottobre);
da dopo la Dedicazione fino alla 1ª domenica di Avvento
Ciascun "Libro" è suddiviso in un volume festivo articolato in un ciclo triennale (A-B-C) e uno feriale che segue un ciclo biennale (I-II).

Dal 14 novembre 2010 (I domenica di Avvento) entra in vigore anche il volume per le celebrazioni dei Santi. Inoltre da tale data hanno adottato il nuovo lezionario anche le parrocchie di rito ambrosiano appartenenti alla diocesi di Bergamo.

Tale ultima versione del lezionario ha incontrato alcune perplessità, in particolare di tipo teologico-liturgico, da parte di alcuni prelati, il più autorevole dei quali è stato il Cardinal Giacomo Biffi, già Arcivescovo di Bologna, profondo conoscitore della liturgia ambrosiana in quanto proveniente dal clero di Milano. Le perplessità del Cardinal Biffi sono state prontamente confutate dalla Congregazione del rito ambrosiano, per voce autorevole del professor Cesare Alzati.
La liturgia delle ore è pubblicata secondo il rito ambrosiano in 5 volumi distribuiti lungo l'anno liturgico; esistono anche edizioni ridotte in un solo volume. La struttura di lodi e vespri è piuttosto diversa da quella del rito romano.

Nel rito ambrosiano sono stati pubblicati i seguenti rituali:
Comunione e culto eucaristico fuori dalla messa
Sacramenti per gli infermi
Rito del Matrimonio
Rito delle Esequie
Per le altre celebrazioni si usano i rituali romani fino alla pubblicazione dei rituali ambrosiani.



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martedì 24 febbraio 2015

SANT' AMBROGIO - SANTO PATRONO DI MILANO -

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Aurelio Ambrogio (Aurelius Ambrosius), meglio conosciuto come sant'Ambrogio (Treviri, incerto 339-340 – Milano, 397) è stato un vescovo, scrittore e santo romano, una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa d'Occidente, insieme a san Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa.

Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, per il luogo di nascita, o più comunemente come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino è patrono e della quale fu vescovo dal 374 fino alla morte, nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.

Aurelio Ambrogio nacque nel 339-340, da un'importante famiglia senatoria romana (la famiglia degli Aurelii, da parte materna, la famiglia dei Simmaci, da parte paterna), a Treviri (Gallia), dove il padre esercitava la carica di prefetto del pretorio delle Gallie.

La famiglia di Ambrogio era cristiana da alcune generazioni (egli stesso cita con orgoglio la sua parente Santa Sotere, martire cristiana che «ai consolati e alle prefetture dei parenti preferì la fede») ed egli era terzogenito dopo due fratelli, Marcellina (consacratasi a Dio nelle mani di papa Liberio nel 353) e Satiro, anch'essi venerati poi come santi.

Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua morte prematura frequentò le migliori scuole di Roma, dove compì i tradizionali studi del trivio e del quadrivio (imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica), partecipando poi alla vita pubblica della città.

Dopo cinque anni di avvocatura a Sirmio, nel 370 fu incaricato quale governatore della provincia romana Aemilia et Liguria, con sede a Milano, dove divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni.

Nel 374, alla morte del vescovo ariano Aussenzio di Milano, il delicato equilibrio tra le due fazioni sembrò precipitare. Il biografo Paolino racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa. I milanesi volevano un cattolico come nuovo vescovo. Ambrogio però rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva affrontato studi di teologia.

Paolino racconta che, al fine di dissuadere il popolo di Milano dal farlo nominare vescovo, Ambrogio provò anche a macchiare la buona fama che lo circondava, ordinando la tortura di alcuni imputati e invitando in casa sua alcune prostitute; ma, dal momento che il popolo non recedeva nella sua scelta, egli tentò addirittura la fuga. Quando venne ritrovato, il popolo decise di risolvere la questione appellandosi all'autorità dell'imperatore Flavio Valentiniano, cui Ambrogio era alle dipendenze. Fu allora che accettò l'incarico, considerando che fosse questa la volontà di Dio nei suoi confronti, e decise di farsi battezzare: nel giro di sette giorni ricevette il battesimo e, il 7 dicembre 374, venne ordinato vescovo. Riferendosi alla sua elezione, egli scriverà poco prima della morte:

« Quale resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l'ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami. »
Nonostante, come scrisse più tardi, si sentisse «rapito a forza dai tribunali e dalle insegne dell'amministrazione al sacerdozio», dopo la nomina a vescovo, Ambrogio prese molto sul serio il suo incarico e si dedicò ad approfonditi studi biblici e teologici.

Quando divenne vescovo, adottò uno stile di vita ascetico, elargì i suoi beni ai poveri, donando i suoi possedimenti terrieri (eccetto il necessario per la sorella Marcellina).

Uomo di grande carità, tenne la sua porta sempre aperta, prodigandosi senza tregua per il bene dei cittadini affidati alle sue cure. Ad esempio, Sant'Ambrogio non esitò a spezzare i Vasi Sacri e ad usare il ricavo dalla vendita per il riscatto di prigionieri. Di fronte alle critiche mosse dagli ariani per il suo gesto, egli rispose che «è molto meglio per il Signore salvare delle anime che dell'oro. Egli infatti mandò gli apostoli senza oro e senza oro fondò le Chiese. I sacramenti non richiedono oro, né acquisisce valore per via dell'oro ciò che non si compra con l'oro» (De officiis, II, 28, 136-138)

La sua sapienza nella predicazione e il suo prestigio furono determinanti per la conversione nel 386 al cristianesimo di Sant'Agostino, di fede manichea, che era venuto a Milano per insegnare retorica.

Ambrogio fece costruire varie basiliche, di cui quattro ai lati della città, quasi a formare un quadrato protettivo, probabilmente pensando alla forma di una croce. Esse corrispondono alle attuali basiliche di San Nazaro (sul decumano, presso la Porta Romana, allora era la Basilica Apostolorum), di San Simpliciano (sulla parte opposta), di Sant'Ambrogio (collocata a sud-ovest, era chiamata originariamente Basilica Martyrum in quanto ospitava i corpi dei santi martiri Gervasio e Protasio rinvenuti da Ambrogio stesso; accoglie oggi le spoglie del santo) e di San Dionigi.

Il ritrovamento dei corpi dei Santi martiri Gervasio e Protasio è narrato dallo stesso Ambrogio, che attribuisce il merito del ritrovo ad un presagio, per il quale egli fece scavare la terra davanti ai cancelli della basilica (oggi distrutta) dei santi Felice e Nabore. Al ritrovamento dei corpi seguì la loro traslazione (secondo un rito importato dalla chiesa orientale) nella Basilica Martyrum; durante la traslazione, si racconta (è lo stesso Ambrogio a riportarlo) che un cieco di nome Severo riacquistò la vista. Il ritrovamento del corpo dei martiri da parte del vescovo di Milano diede grande contributo alla causa dei cattolici nei confronti degli ariani, che costituivano a Milano un gruppo nutrito e attivo e negavano la validità dell'operato di Ambrogio, di fede cattolica.

Ambrogio fu autore di diversi inni per la preghiera, compiendo fondamentali riforme nel culto e nel canto sacro, che per primo introdusse nella liturgia cristiana, e ancor oggi a Milano vi è una scuola che tramanda nei millenni questo antico canto.

Nel confronto con la società e gli ideali del mondo latino, Ambrogio accolse i valori civili della romanità con l'intento di dare ad essi nuovo significato all'interno della religione cristiana. Nel suo Esamerone esalta l'istituzione repubblicana (di cui l'antica repubblica romana era secondo lui un ammirevole esempio) prendendo spunto dalla spontanea organizzazione delle gru, che si dividono il lavoro avvicendandosi nei turni di guardia:

« Che c'è di più bello del fatto che la fatica e l'onore comuni a tutti e il potere non sia preteso da pochi, ma passi dall'uno all'altro senza eccezioni come per una libera decisione? Questo è l'esercizio di un ufficio proprio di un'antica repubblica, quale conviene in uno stato libero. »
(Esamerone, VIII, 15, 51)
Nella visione di Ambrogio inoltre potere e dell'autorità, intesi come servizio («Libertà è anche il servire», Lettera 7), dovevano essere sottomessi alle leggi di Dio. Prendendo ispirazione dal racconto della corona imperiale e del morso di cavallo realizzati, secondo la tradizione, da Costantino con i chiodi della croce di Gesù, nel discorso funebre di Teodosio egli elogiò la sottomissione dell'imperatore a Cristo, dimostrata in primis dall'episodio di Tessalonica:

« Per quale motivo "una cosa santa sul morso" se non perché frenasse l'arroganza degli imperatori, reprimesse la dissolutezza dei tiranni che, come cavalli, nitrivano smaniosi di piaceri, perché potevano impunemente commettere adulteri? Quali turpitudini conosciamo dei Neroni e dei Caligola e di tutti gli altri che non ebbero "una cosa santa sul morso"! »
(In morte di Teodosio, 50)
Di fronte al dispotismo e alla dissolutezza che avevano caratterizzato il comportamento di non pochi imperatori romani, Ambrogio vide nel cristianesimo una possibilità per "redimere" il potere imperiale e renderlo giusto e clemente. Nella sua idea, infatti, il cristianesimo avrebbe dovuto sostituire il paganesimo nella società romana senza per questo negare e distruggere le istituzione imperiali («Voi chiedete pace per le vostre divinità agli imperatori, noi per gli stessi imperatori chiediamo pace a Cristo», Lettera 73 a Valentiniano II), ma anzi dando ai valori romani la nuova linfa offerta dalla morale cristiana.

Ambrogio richiamò infine la società romana nella quale era sempre più accentuato il divario tra ricchi e poveri; alla sperequazione economica, Ambrogio contrapponeva infatti la morale del Vangelo e della tradizione biblica. Così egli scrive nel Naboth:

« La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché, o ricchi, vi arrogate un diritto esclusivo sul suolo?  Tu  non dai del tuo al povero, ma gli rendi il suo; infatti la proprietà comune, che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi. »
(Naboth, 1,2; 12, 53)

L'operato di Sant'Ambrogio a Milano ha lasciato segni profondi nella diocesi della città.

Già nel settembre del 600 papa Gregorio Magno parlò del neoeletto vescovo di Milano, Deodato, non tanto come successore, bensì come "vicario" di sant'Ambrogio (equiparandolo quasi ad un secondo "vescovo di Roma"). Nell'anno 881 invece papa Giovanni VIII definì per la prima volta la diocesi "ambrosiana", termine che è rimasto ancora oggi per identificare non solo la Chiesa di Milano, ma talvolta anche la stessa città.

L'eredità di Ambrogio è delineata principalmente a partire dalla sua attività pastorale: la predicazione della Parola di Dio coniugata alla dottrina della Chiesa cattolica, l'attenzione ai problemi della giustizia sociale, l'accoglienza verso le persone provenienti da popoli lontani, la denuncia degli errori nella vita civile e politica.

L'operato di Ambrogio lasciò un segno profondo in particolare sulla liturgia. Egli introdusse nella chiesa occidentale molti elementi tratti dalle liturgie orientali,in particolare canti e inni. Si attribuisce ad Ambrogio l'inno Te Deum laudamus, ma la questione è controversa e negata anche da Luigi Biraghi. Le riforme liturgiche furono mantenute nella diocesi di Milano anche dai successori e costituirono il nucleo del Rito ambrosiano, sopravvissuto all'uniformazione dei riti e alla costituzione dell'unico rito romano voluta da papa Gregorio I e dal Concilio di Trento.

In dialetto milanese Ambrogio viene chiamato sant Ambroeus (grafia classica) o sant Ambrös (entrambi pronunciati "sant'ambrœs").

Alla sua figura è ispirato anche il premio Ambrogino d'oro, che è il nome non ufficiale con cui sono comunemente chiamate le onorificenze conferite dal comune di Milano.

Con il termine di ambrosiano non si definisce solo il rito della Chiesa Cattolica che fa riferimento al santo, ma anche un preciso modo di cantare durante la liturgia. Esso viene indicato con il nome di canto ambrosiano. Esso è caratterizzato dal canto di inni, cioè di nuove composizioni poetiche in versi, che vengono cantate da tutti i partecipanti al rito.

A differenza di quanto avveniva per i salmi, solitamente cantati da un solista o da un gruppo di coristi, essi vengono invece cantati da tutti i partecipanti, in cori alternati, normalmente tra donne e uomini, ma in altri casi tra giovani e anziani o anche tra fanciulli e adulti. Alcuni di questi inni sono stati sicuramente composti da Ambrogio. La certezza viene dal fatto che a menzionarli è Sant'Agostino, che fu discepolo di Sant'Ambrogio.

Essi sono:

Aeterne rerum conditor (cf. Retractionum I,21);
Iam surgit hora tertia (cf. De natura et gratia 63,74);
Deus creator omnium (ricordato nelle Confessioni e citato complessivamente ben cinque volte dal vescovo di Ippona);
Intende qui regis Israel (cf. Sermo 372 4,3).
Attraverso la liturgia della Chiesa cattolica in generale e di quella ambrosiana in particolare, sono giunti fino a noi una moltitudine di inni in stile ambrosiano. I ricercatori hanno cercato di trovare dei criteri per indicare quelli che, con più certezza, sono stati composti da Ambrogio. Nel 1862 Luigi Biraghi ne indicava tre: la conformità degli inni con l'indole letteraria di Ambrogio, con il suo vocabolario e con il suo stile. Con questi criteri egli arrivò a selezionare diciotto inni:

Splendor paternae gloriae (nell'aurora)
Iam surgit hora tertia (per l'ora di terza domenicale)
Nunc sancte nobis Spiritus (per l'ora di terza feriale)
Rector potens verax Deus (per l'ora di sesta)
Rerum, Deus, tenax vigor (per l'ora di nona)
Deus creator omnium (per l'ora dell'accensione)
Iesu, corona virginum (inno della verginità)
Intende qui regis Israel (per il Natale del Signore)
Inluminans Altissimus (per le Epifanie del Signore)
Agnes beatae virginis (per sant'Agnese)
Hic est dies versus Dei (per la Pasqua)
Victor, Nabor, Felix, pii (per i santi Vittore, Nabore e Felice)
Grates tibi, Iesu, novas (per i santi Protasio e Gervasio)
Apostolorum passio (per i santi Pietro e Paolo)
Apostolorum supparem (per san Lorenzo)
Amore Christi nobilis (per san Giovanni Evangelista)
Aeterna Christi munera (per i santi martiri)
Aeterne rerum conditor (al canto del gallo)
Gli autori dell'edizione delle opere poetiche di Ambrogio in un volume stampato nel 1994, che ha portato a compimento l'Opera Omnia, in latino e in italiano, del vescovo di Milano, hanno ridotto questo numero certo a tredici canti, escludendo quelli per le ore minori, per i martiri e della verginità. L'esclusione va ascritta alla metrica di questi testi. Ambrogio aveva una predilezione per il numero otto. I suoi inni sono tutti di otto strofe con versi ottosillabici. Egli vedeva in questo numero la risurrezione di Cristo, la novità cristiana e la vita eterna (octava dies, l'ottavo giorno della settimana, cioè il nuovo giorno, in cui inizia l'era del Cristo). Per questi studiosi appare improbabile che egli sia venuto meno a questa preferenza e quindi quelli di due o di quattro strofe non vengono attribuiti al vescovo milanese.

Per questi storici inoltre non vi è motivo di dubitare che l'autore della melodia sia lo stesso Ambrogio dato che per loro natura questi inni nascono consostanziati alla musica. Il Migliavacca nota come Ambrogio possedesse una conoscenza musicale approfondita. Le sue opere rivelano, oltre a una perfetta conoscenza scolastica, anche una particolare propensione musicale. Egli parla dell'arte musicale con cognizione tecnica e non solo con estetica raffinatezza come il suo discepolo Agostino.

Su Sant'Ambrogio vi sono numerose leggende miracolistiche:

Mentre Ambrogio infante dormiva nella sua culla posta temporaneamente nell'atrio del Pretorio, uno sciame di api si posò improvvisamente sulla sua bocca, dalla quale e nella quale esse entravano ed uscivano liberamente. Dopo di che lo sciame si levò in volo salendo in alto e perdendosi alla vista degli astanti. Il padre, impressionato da tutto ciò, avrebbe esclamato: «Se questo mio figlio vivrà, diverrà sicuramente un grand'uomo!».
Ambrogio camminando per Milano, avrebbe trovato un fabbro che non riusciva a piegare il morso di un cavallo: in quel morso Ambrogio riconobbe uno dei chiodi con cui venne crocifisso Cristo. Dopo vari passaggi, un "chiodo della crocifissione" è tuttora appeso nel Duomo di Milano, a grande altezza, sopra l'altare maggiore.
Nella piazza davanti alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano è presente una colonna, comunemente detta "la colonna del diavolo". Si tratta di una colonna di epoca romana, qui trasportata da altro luogo, che presenta due fori, oggetto di una leggenda secondo la quale la colonna fu testimone di una lotta tra Sant'Ambrogio ed il demonio. Il maligno cercando di trafiggere il santo con le corna finì invece per conficcarle nella colonna. Dopo aver tentato a lungo di divincolarsi, il demonio riuscì a liberarsi e, spaventato, fuggì. La tradizione popolare vuole che i fori odorino di zolfo e che appoggiando l'orecchio alla pietra si possano sentire i suoni dell'inferno. In realtà questa colonna veniva usata per l'incoronazione degli imperatori germanici.
A Parabiago, Ambrogio sarebbe apparso il 21 febbraio 1339, durante la celebre battaglia: a dorso di un cavallo e sguainando una spada, mise paura alla Compagnia di San Giorgio capitanata da Lodrisio Visconti, permettendo alle truppe milanesi del fratello Luchino e del nipote Azzone di vincere. A ricordo di tale leggenda fu edificata a Parabiago la Chiesa di Sant'Ambrogio della Vittoria e a Milano su un portone bronzeo del Duomo, gli è stata dedicata una formella.

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