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lunedì 16 novembre 2015

PERCHE' L'ISIS ATTACCA LA FRANCIA?

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L'Isis ha ufficialmente rivendicato gli attentati di venerdì 13 novembre a Parigi con un comunicato pubblicato su Telegram e diffuso anche da SITE.

L'Isis nella rivendicazione dice esplicitamente che la Francia è stata attaccata perché è uno dei paesi che conduce gli attacchi aerei contro le forze del Califfato in Siria e Iraq.

Il comunicato comincia con la sura Al-Hasr, che richiama la sorpresa.

La sorpresa dei miscredenti usciti dalla loro dimora perché pensavano di essere protetti dalla loro fortezza, che li avrebbe difesi contro Allah. "Ma Allah li raggiunse da dove non se lo aspettavano e gettò il terrore nei loro cuori."

La sorpresa, ovvero l'attacco a luoghi non "sensibili" e quindi non protetti. Luoghi che sono anche luoghi di svago, dove si esprime e diventa manifesta la cultura libera e "empia" degli "idolatri", che devono essere puniti.

Evidente in questo quadro il ruolo particolare del Bataclan, luogo dove si celebra la musica rock, lo stile di vita occidentale, dove era in corso, al momento dell'attacco, "una festa della perversione".

Nel comunicato una parte importante è l'esaltazione degli assassini di Parigi, i martiri, gli shahid.

"Otto fratelli", avvolti nelle cinture esplosive e armati di fucili automatici, che hanno puntato su bersagli "accuratamente scelti" nel cuore della capitale francese, fra i quali lo stadio dove era in corso la partita fra "i crociati tedeschi e francesi", dove era presente lo "stupido di Francia, Francois Hollande".

Parigi è stata "scossa sotto i piedi" degli otto fratelli, e "il risultato degli attacchi è stata la morte di non meno di 100 crociati", poi hanno "fatto esplodere le loro cinture nei luoghi di raduno dei miscredenti, dopo aver terminato le munizioni".

Infine c'è la parte più minacciosa del comunicato dell'Isis: gli attacchi che verranno condotti nel futuro, in Francia e negli altri paesi che si oppongono al Califfato: "È il primo attacco della tempesta e un avvertimento a coloro che vogliono imparare".

Nelle parole di chi ha redatto il comunicato dell'Isis, vanno sottolineati i riferimenti alla Francia che guida il carro della campagna dei crociati e che ha "osato insultare il Profeta": indicazione quest'ultima che lega direttamente questa strage a quella a Charlie Hebdo.

La Francia viene anche accusata di "combattere l'Islam in Francia", passaggio che, come sottolinea Renzo Guolo su Repubblica, mescola insieme l'ostilità alla laicità della Repubblica, ma anche le azioni del governo di Parigi di puntare sull'associazionismo musulmano fedele al paese, da contrapporre alla organizzazioni radicali nate in terra di Francia e duramente represse.

Da non trascurare, poi, nel comunicato, la sprezzante considerazione per i musulmani "ipocriti" che non combattono per il Califfato.




La Francia è in prima linea negli affari del Medio Oriente. E’ in prima linea quasi da sola nel Mali, dove combatte gli estremisti islamici. Ed è almeno in seconda linea nella guerra a bassa intensità contro l’Isis, colpendo con i suoi aerei in Iraq e Siria. Piccolo dettaglio, sul suo territorio c’è la più grande comunità islamica d’Europa». Jean Guisnel, esperto di questioni militari e servizi segreti, professore alla Scuola speciale militare di Saint Cyr, autore di una dozzina di libri sul tema, è una delle persone più adatte per tentare di rispondere alla domanda più elementare e al tempo stesso più difficile.

«Sul piano formale è stato fatto tutto quel che andava fatto. Dopo Charlie Hebdo i servizi segreti e gli apparati di sicurezza sono stati rinforzati con uomini, denaro, maggiore libertà di indagine, leggi molto più permissive e votate da tutti sulle intercettazioni telefoniche ed elettroniche».
Allora che cosa è mancato?
«Il metodo. Quel che i servizi segreti non utilizzano a dovere è il modo, il contesto. Hanno tutti i mezzi per proteggere il Paese da una minaccia esterna. Ma qui non parliamo di stranieri, parliamo di persone che vivono in Francia, che lavorano accanto a noi, che fanno parte di una comunità di 6 milioni di persone. Ed è subito apparso chiaro che la ricchezza di mezzi nulla poteva contro la ricerca di un ago nel pagliaio».
Ancora con la teoria del lupo solitario?
«No, anche questo diaframma purtroppo è caduto. Non sappiamo ancora bene cosa è successo, ma appare chiaro che si tratta di attacchi coordinati e diversificati al tempo stesso. L’assalto a bar e ristoranti, i kamikaze allo Stade de France, la presa d’ostaggi in una sala da concerto. Una operazione ben preparata e coordinata, eccome».
Erano mesi che a Parigi si parlava della possibilità di nuovi attacchi... «Certo. Ma con il fatalismo che si riserva appunto all’ineluttabilità del lupo solitario. Bisogna essere pronti, si diceva, sappiamo che può succedere ancora. Tutto veniva messo in relazione all’organizzazione di attentati da parte di singole individualità. Era un modo per prepararsi al peggio. Prevenire, prevenire davvero, è un’altra cosa».
Ma il controspionaggio a cose serve?
«A infiltrare un ambiente del quale si possiedono le coordinate minime. Ma è di tutta evidenza che 6 milioni di persone sono l’equivalente di una intera nazione. La retorica del lupo solitario, alla quale sono stati ridotti i fratelli Kouachi e Ahmedi Koulibaly, serve ad esorcizzare la paura dell’inelluttabile».
Anche a creare un alibi?
«Sì, in un certo senso è così. A preparare la gente e soprattutto a trovare delle giustificazioni a qualcosa che si sa che prima o poi accadrà nuovamente, dato il contesto politico e soprattutto sociale della Francia».
Resta l’ennesima catastrofe dei servizi di sicurezza francesi?
«Abbiamo detto delle possibili giustificazioni, adesso bisognerebbe parlare di defaillances che ogni volta appaiono differenti. E imperdonabili. Come anche le operazioni propaganda».
A cosa si riferisce?
«Per tragica ironia, pochi giorni fa è stato annunciato con grande spreco di fanfare l’arresto di un presunto aspirante attentatore che voleva colpire i cantieri navali di Tolone. Un anno di indagini per arrivare a quello che era stato descritto come l’ennesimo lupo solitario, per rassicurare, per far vedere che nessuno stava con le mani in mano».

Non era un successo?
«Macchè. Pura propaganda, che oggi appare persino imbarazzante, davanti all’enormità dei fatti di Parigi, davanti a una operazione quasi militare che ha preso di mira tutta la città. La plastica dimostrazione del fatto che nessuno sapeva dove guardare davvero. O peggio, chi ci dovrebbe proteggere lo sapeva, come lo sappiamo tutti. Ma non aveva idea di come fare per impedire che il nostro Paese fosse nuovamente colpito».
I sei milioni di musulmani in Francia non sono una possibile giustificazione?
«Parliamoci chiaro: il fatto che in Francia ci siano altri sessanta milioni di abitanti non impedisce alla Polizia di arrestare i rapinatori, i ladri, i truffatori, di sgominare le organizzazioni criminali. La verità è che non siamo assolutamente preparati a questa minaccia, a questo scontro durissimo e irregolare».

Da quando è nato, l'Isis ha dimostrato, come evidente dai video delle decapitazioni in cui i prigionieri vestono con la tuta arancione di Guantanamo, di saper usare i mezzi di comunicazione di massa, grazie anche alle competenze fornite dagli jihadisti cresciuti in Occidente. Quale miglior occasione del clip in cui tra i boia appaiono due giovani francesi di fede musulmana per rimarcare il messaggio?

Lo stesso invito rivolto ai musulmani di Francia di "unirsi alla lotta dei fratelli in Siria e in Iraq" e, se non possibile, "di avvelenare l'acqua o investire i passanti" ha una sua grammatica. Investire con l'auto i passanti è diventato, di recente, il modo più semplice (e imprevedibile) scelto dai militanti palestinesi per rilanciare l'Intifada.

Il messaggio è subliminale ma tocca al cuore tutti i musulmani: per rilanciare la lotta palestinese occorre attaccare la Francia. A sua volta progettare di avvelenare l'acqua è il modo più semplice per diffondere il terrore tra la popolazione. Il modo più efficace, come l'avvelenamento dei pozzi in epoca romana, per far vivere nel terrore il tuo nemico.







giovedì 9 aprile 2015

IL GARDA E LO SPORT : LO SCI NAUTICO

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In tutto il lago di Garda , ad eccezione della parte trentina dove vige il divieto di navigazione ai motoscafi, è possibile praticare sport acquatici come lo sci nautico e il wakeboard.

Lo sci nautico è uno sport acquatico nel quale lo sciatore è trainato da un motoscafo tramite una corda di nylon. Il Lago di Garda con i suoi meravigliosi paesaggi, rende questa pratica sportiva estremamente piacevole, e quasi ogni località si presta come un ottimo campo pratica dove poter noleggiare motoscafi ed attrezzature, per poter sfrecciare tra le acque lacustri in tutta sicurezza.

Lo sci nautico è consentito dalle ore 08,00 alle ore 20,00 ed soggetto ad una disciplina particolare ( art. 19 L.R. n° 52/89) con corridoi di lancio, attrezzature dell’unità trainante, requisiti del relativo personale. Lo sci nautico deve essere effettuato a 300 metri dalla costa. E’ vietato infine seguire, nella scia o a distanza inferiore a 50 metri, le unità trainanti sciatori nautici. Gli sciatori devono indossare il giubbotto di salvataggio.

Lo sci nautico è uno sport che nasce negli anni venti del 1900. Sin dalle sue origini, l'uomo ha sempre cercato in qualche modo di dominare le acque e con barche e navi raggiunse un primo obiettivo. Nel corso della storia vi furono numerosi esperimenti volti a portare l'uomo a compiere movimento in acqua con il minor coinvolgimento di fattori esterni. Curiosi da citare sono le esperienze fatte da Perez, un inventore spagnolo che mise una forca di ferro di larghezza variabile all'estremità di due corpi di legno volti a risalire in superficie: rimanendo di fatto in piedi su questa biforcazione metallica ed eseguendo il movimento della camminata classica, egli si muoveva ed attraversava fiumi o piccoli bacini d'acqua. Si ha inoltre testimonianza di alcuni danesi che intorno al 1870 si muovevano in posizione eretta, remando con una pagaia allungata, sopra alcune canoe dalla tipica forma ad "H". Nel 1928 in Austria viene inventato il "Water-Walking", una paio di sci con la fisionomia di due piccoli Kayak dove il "camminatore" infilava i piedi e con due bastoni simili in forma a quelli da sci nordico si dava la spinta. Nei primi anni del Novecento alcuni ragazzini della West Coast americana si facevano trainare dai primi pescherecci con delle corde di qualche metro, in piedi alle scatole di legno del pesce. Ben presto diventò una moda, destinata a scomparire con la morte dei capitani di quelle navi pochi anni dopo.

La vera rivoluzione venne da Ralph Samuelson, riconosciuto universalmente come l'inventore di questo sport. Figlio di un meccanico di barche, era noto come persona disprezzante dei pericoli e pronto ad ogni nuova sfida, pur pazza questa fosse. Nel '22 formulò quest'ipotesi: "Se scio sulla neve, dovrei poter sciare sull'acqua". Fu così che provò a farsi trainare da una barca con un paio di assi di legno dritte, con risultati scandalosi; problemi gli crearono anche gli sci da neve, troppo sottili e stretti per l'acqua. Così andò dal falegname locale e si fece intagliare un paio di assi di legno con la punta ricurva verso l'alto, gli antenati degli sci attuali. Fu così che dal 1922 al 1928 diede spettacolo con i suoi esperimenti, mirando a raggiungere velocità sempre più alte (nel 1925 si fece trainare da un idrovolante alla velocità di 130 km/h) e rischi sempre maggiori, come il salto da una piccola rampa cosparsa di lardo per renderla scivolosa. Samuelson non chiese mai di esser pagato per queste dimostrazioni. Nel 1937 ebbe una frattura alla schiena e di conseguenza interruppe tutte le sue attività avendo però già posto le basi di quello che poi diventerà lo sci nautico. Negli anni trenta si passò ad un'evoluzione nelle forme, si adottò un triangolo con impugnatura rivestita in gomma (bilancino), si passò a provare la posizione su un singolo sci con i piedi posti uno dietro l'altro in posizione verticale. Le evoluzioni s'interruppero nel periodo inerente alla Seconda guerra mondiale.

Gli sci sono costituiti con materiali come Honeycomb, fibra di Carbonio, Graphite, Carbon-Kevlar e presentano un core (anima interna) in poliuretano espanso oppure in legno. Lo sci da slalom presenta una parte metallica (quasi sempre in alluminio) di una profondità che varia dai 5 cm agli 8 cm chiamata "deriva", regolabile dallo sciatore stesso longitudinalmente, a livello di profondità e di angolazione. Gli sci da salto presentano una piccola deriva fissa ciascuno, della profondità massima che si aggira intorno ai 3 cm. Lo sci da figure invece non presenta deriva, in quanto in questa disciplina vengono eseguiti un grande numero di rotazioni in asse e su sé stessi. Infatti la funzione primaria della deriva è quella di dare direzione allo sci ed evitare che la parte posteriore di esso, definita coda, sia libera da vincoli direzionali. Gli sci presentano attacchi morbidi in gomma, diversi rispetto a quelli del tradizionale sci da neve; tuttavia dagli anni novanta sono entrati in circolazione degli attacchi rigidi, dallo scafo simile a quello di un rollerblade, volti ad una ricerca di maggiore risposta dello sci a determinati gesti tecnici. Ciononostante esistono svariati modelli di attacchi, più o meno rigidi, poiché non tutti gli sciatori hanno sensazioni uguali con attacchi uguali.



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mercoledì 4 marzo 2015

MILANO & CRIMINI : STRAGE DI PIAZZA FONTANA

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La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano. Viene da molti ritenuta, convenzionalmente, l'inizio del periodo passato alla storia in Italia come strategia della tensione.

Le indagini si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra; tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni verranno condannati per altre stragi, e altri si gioveranno della prescrizione, evitando la pena). Nel 2005 la Corte di Cassazione ha affermato che la strage di piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», che però non furono più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d'assise d'appello di Bari».

L'esplosione avvenne il 12 dicembre 1969 alle ore 16:37: una bomba scoppiò nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo diciassette persone (quattordici sul colpo) e ferendone altre ottantotto.

Una seconda bomba viene rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Vengono eseguiti i rilievi previsti e successivamente viene fatta brillare distruggendo in tal modo (come dichiarato dal giudice Gerardo d'Ambrosio e confermato dalla Cassazione) elementi probatori di possibile importanza per risalire all'origine dell'esplosivo e a chi abbia preparato gli ordigni. Una terza bomba esplode a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collega l'entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo tredici persone. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all'Altare della Patria e l'altra all'ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia, ferendo quattro persone.

Si contano dunque, in quel tragico 12 dicembre, cinque attentati terroristici, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpiscono contemporaneamente le due maggiori città d'Italia: Roma e Milano.

La vicenda è tuttora oggetto di controverse interpretazioni; secondo una, le responsabilità di questi attacchi possono essere ricondotte a gruppi eversivi di estrema destra, che miravano a un inasprimento di politiche repressive e autoritarie tramite l'instaurazione di un clima di tensione nel paese.

Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti; furono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 marzo di Roma (tra i quali figura Pietro Valpreda) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano (tra i quali figura Giuseppe Pinelli). Secondo quanto dichiarato da Antonino Allegra, ai tempi responsabile dell'ufficio politico della questura, alla Commissione Stragi, gli arresti erano stati particolarmente numerosi ed avevano interessato anche esponenti della destra estrema, con lo scopo di evitare che nei giorni seguenti questi individui, ritenuti a rischio, potessero dare vita a manifestazioni o altre azioni pericolose per l'ordine pubblico.

Il 12 dicembre l'anarchico Giuseppe Pinelli (già fermato ed interrogato con altri anarchici nella primavera 1969 per alcuni attentati, successivamente rivelatisi di matrice neofascista), viene fermato e interrogato a lungo in questura. Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. L'inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto procuratore Gerardo D'Ambrosio, individuò la causa della morte in un "malore attivo", in seguito al quale l'uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza: l'autopsia non fu mai pubblicata e fu accertato durante l'inchiesta che il commissario Calabresi non era nella stanza al momento della caduta (fatto contestato dagli ambienti anarchici in base alla testimonianza di uno dei fermati, Pasquale Valitutti).

Il 16 dicembre viene arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda, indicato dal tassista Cornelio Rolandi come l'uomo che nel pomeriggio del 12 dicembre era sceso dal suo taxi in piazza Fontana, recando con sé una grossa valigia. Rolandi ottenne anche la taglia di cinquanta milioni di lire disposta per chi avesse fornito informazioni utili. Valpreda fu interrogato dal sostituto procuratore Vittorio Occorsio che gli contestò l'omicidio di quattordici persone e il ferimento di altre ottanta.

Il giorno dopo il Corriere della sera titolò che il "mostro" era stato catturato, e il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat indirizzò un assai discusso messaggio di congratulazioni al questore di Milano Marcello Guida avvalorando implicitamente la pista da lui seguita.

Le dichiarazioni del tassista determinano, però, uno scenario della vicenda assai poco plausibile. Il tassista dichiara che Valpreda avrebbe preso il taxi in piazza Cesare Beccaria, la quale dista 130 metri a piedi da piazza Fontana. Viene addotta per questa ragione la motivazione che Valpreda fosse claudicante. Il taxi, però non si fermerà a piazza Fontana, ma proseguirà sino alla fine di via Santa Tecla. In questo modo Valpreda dovrà percorrere 110 metri a piedi, al posto dei 130 metri originari. Il taxi gli avrà fatto risparmiare 20 metri, ponendolo però di fronte al rischio di farsi riconoscere. Inoltre Valpreda avrebbe chiesto al tassista di attenderlo e in questo modo, avrebbe dovuto ripercorrere all'inverso i 110 metri (anche se questa volta non avrebbe portato più con sé la pesante valigia).

Indagini successive vedranno prendere corpo l'ipotesi di un sosia, che prenderà il taxi al posto di Valpreda. Viene quindi avanzata dalla pubblicistica un'ipotesi, secondo la quale il sosia sarebbe stato tale Antonino Sottosanti, un ex legionario siciliano, infiltrato nel circolo anarchico di Pinelli nel quale era conosciuto - per via dei suoi trascorsi - come "Nino il fascista", ipotesi mai riscontrata.

In 43 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage: ben sette processi si sono celebrati sino ad oggi, ma non si è ancora giunti all'identificazione certa dei colpevoli e delle responsabilità; soltanto alcuni esponenti dei servizi segreti italiani (il generale Gianadelio Maletti e il capitano Antonio Labruna) verranno condannati definitivamente per depistaggi.

Negli anni novanta l'inchiesta del giudice Guido Salvini affacciò anche un'ipotesi di connessione col fallito Golpe Borghese e raccolse le dichiarazioni di Maurizio Siciliano e Carlo Digilio, ex neofascisti di Ordine Nuovo, i quali confessarono il proprio ruolo nella preparazione dell'attentato, ribadendo le responsabilità dei neofascisti Freda e Ventura; in particolare Digilio sostenne di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi gli raccontava di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Zorzi, trasferitosi in Giappone nel 1974, divenne un imprenditore di successo. Ottenne la cittadinanza giapponese che gli garantì poi l'immunità all'estradizione.

Nel 2000 Digilio ottenne la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo alle indagini. Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha assolto definitivamente gli ultimi indagati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti della cellula veneziana-mestrina di Ordine Nuovo condannati in primo grado all'ergastolo) scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove - emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 - gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto in quanto la condanna arriva tardiva, oltre al terzo grado di giudizio. Dopo decine di anni, la morte di Pinelli è ancora oggetto di discussione, sebbene la Magistratura si sia pronunciata in modo univoco, nel senso della morte accidentale dell'anarchico. Al termine il processo nel maggio 2005 ai parenti delle vittime sono state addebitate le spese processuali.

Negli anni numerose manifestazioni si sono svolte e si svolgeranno in ricordo della strage di piazza Fontana e di Giuseppe Pinelli. Diverse di tali iniziative sono degenerate in scontri tra polizia e manifestanti. Ancora oggi è attiva la contestazione, motivo ricorrente negli ambienti di sinistra milanesi e non solo, ma anche la riflessione, della quale si è fatto interprete anche il Capo dello Stato incontrando i familiari delle vittime il 7 dicembre 2009: in questa circostanza Giorgio Napolitano ha elogiato "la passione civile, l'impegno che mostrate per alimentare la memoria collettiva e la riflessione, due cose alle quali l'Italia e la coscienza nazionale non possono abdicare quello che avete vissuto voi mi auguro diventi parte della coscienza nazionale comprendo il peso che la verità negata rappresenta per ciascuno di voi, un peso che lo Stato italiano porta su di sé.La riflessione è necessaria perché ciò che è avvenuto nella nostra società non è del tutto chiaro e limpido e non è del tutto stato maturato. Continuate a operare per recuperare ogni elemento di verità".

Le manifestazioni che si svolgono ogni 12 dicembre per ricordare la strage e il 15 dicembre per commemorare Pinelli, sono diventate un appuntamento ricorrente per la città di Milano.


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