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martedì 17 marzo 2015

IL CASTELLO DI CUSAGO

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Il Castello visconteo di Cusago era una residenza di caccia dei duchi di Milano situata nel comune di Cusago, alle porte della capitale lombarda. La struttura venne costruita nel XIV secolo da Bernabò Visconti, subendo però modifiche consistenti nel Rinascimento e cadendo poi in stato di abbandono negli ultimi anni.

Il castello fu costruito su volere di Bernabò Visconti tra gli 1360 e il 1369, erigendolo sopra quanto rimaneva di una fortificazione longobarda.

La struttura venne eretta per fungere da residenza di caccia durante le battute nella riserva viscontea che si estendeva nella camapagna a sud di Milano fra la città e Vigevano. Fu in tempi successivi Filippo Maria Visconti ad ingentilire l'iniziale fortilizio medievale con la costruzione delle sale di rappresentanza interne e l'escavazione del Naviglietto, una diramazione del Naviglio Grande fatta scavare partendo da Gaggiano per raggiungere più agevolmente la struttura. È inoltre lo stesso Filippo Maria a realizzare la famosa "steccata" ovvero una prima recinzione in loco dell'area di caccia ducale ed a costruire la "strada particolare del principe", un tratto viario utilizzabile come via veloce esclusivamente dal duca e dalla sua corte per giungere al castello.

Nel corso della peste del 1398 il castello divenne un rifugio dal morbo e trasformato per l'emergenza in lazzaretto (poi trasferito alla vicina cascina Palazzetta). La sua funzione di villa di campagna signorile, per caccia, feste e luogo d'incontro con amanti venne ripristinata da Ludovico il Moro, e fu proprio sotto il suo regno che il poeta di corte Gian Alberto Bossi ne cantò le bellezze nel poemetto L'ameno bosco di Cusago, villa eretta da Ludovico il Moro. La proprietà poi passò a Lucia Marliani, un'amante del nipote defunto di Ludovico, Galeazzo Maria Sforza, ed alla di lei morte il castello tornò a i duchi di Milano che però se ne disinteressarono, complici le complicate vicende storiche che travagliarono il ducato in quegli anni, compresa la rovinosa dominazione francese.

Nel 1525, per saldare i propri debiti e recuperare del denaro, il duca Francesco II Sforza decise di vendere il castello di Cusago al conte Massimiliano Stampa (creato poi anche marchese di Soncino), il quale nel 1535 colse l'occasione delle nozze ducali per ospitare nella propria residenza di Cusago la principessa Cristina di Danimarca, giunta viaggiando dalla terra nativa, verso il ducato di Milano ove maritarsi col duca Francesco II. La famiglia Stampa non apportò sostanziali modifiche alla struttura del castello (se si esclude il rialzamento della torre d'ingresso con l'ingentilimento del campanile attualmente visibile), ma anzi esso rimase perlopiù residenza di campagna sino alla morte di Anna Moroni, moglie di Massimiliano, per poi acquisire sempre più la qualifica di palazzo di controllo delle proprietà di famiglia in loco. Con la bachicoltura, nel Settecento, parte delle sale inferiori del castello vennero riservate a questa attività e come centro di raccolta per i beni derivati dall'agricoltura e dalla lavorazione dei terreni circostanti.

Nel 1973, il castello, ormai da tempo in decadenza e trasformato in una grande cascina agricola abitata da circa trenta famiglie, assieme ai terreni circostanti venne acquistato attraverso la marchesa Anna Maria Casati Stampa di Soncino da Silvio Berlusconi che, tramite Edilnord, costrui' su alcuni appezzamenti il quartiere "Milano Visconti". Il castello fu quindi venduto ad una società formata da un gruppo di imprenditori "Il Castello di Cusago s.r.l" nel 2003 con l'ipotesi di farne una scuola floro vivaistica legata al Parco agricolo Sud Milano, progetto poi sfumato. Si tentò successivamente nel 2008 la vendita ad un'altra società immobiliare, la "Kreiamo s.r.l", ma anche questa trattativa, non andò in porto per vicende giudiziarie in cui la Kreiamo fu coinvolta. A tutt'oggi il castello, che permane in uno stato di grave abbandono, rimane proprietà privata della società "Il Castello di Cusago s.r.l.".

Il castello ha il portone d'ingresso volto ad est, un tempo arricchito da bassorilievi, poi asportati da Massimiliano Stampa per il suo palazzo di Milano. In corrispondenza dell'ingresso vi è una torre merlata, sopra cui vi è una torricella, sempre dell'epoca di Massimiliano.

Il fronte misura 62 metri (contro i 96 dei fianchi) e si sviluppa su due piani come tutto il resto della costruzione; è aperto da finestre a sesto acuto al superiore e da altre ad arco ribassato all'inferiore, distribuite asimmetricamente. A meridione ed a settentrione le finestre sono sette per lato, ma nel secondo sono più strette fra loro, in modo da riservare un terzo del fianco al loggiato; molte di queste finestre sono murate o parzialmente chiuse per ricavarne altre di minori dimensioni, ma sono perlopiù integre. La costruzione, già di per sé priva di strutture difensive (anche la torre sembra piuttosto un elemento di decoro o un motivo di maggior prestigio), è ancora più assimilabile ad una villa campagnola per la presenza di una graziosa loggia, smurata nell'Ottocento e poi di nuovo murata: essa si apre sull'estremità destra del fronte principale e svolta sul lato settentrionale, per complessivi tredici intercolumni, segnati da esili colonne anellate a metà, dai capitelli ornati di scudetti sui quattro lati, ma con le insegne ducali solo sulle facce esterne. Le finestre di questo loggiato, ricavato dall'angolo più in ombra per ripararsi dalla calura estiva, non sono oggi più visibili, ma erano originariamente decorate con motivi floreali, alternati ai graffiti romboidali delle pareti; sotto il loggiato la decorazione continuava con una grande fascia a vivaci colori, con listelli bianchi e neri e archetti allungati ascrivibile per realizzazione al periodo del Moro.

Anche l'interno è ormai disadorno: i lati frontali del cortile misurano 38/40 metri, mentre gli altri due lati 53 metri; il lato est, corrispondente all'ingresso, è porticato, largo oltre 5 metri con otto campate, di cui la quinta corrispondente al portone. I capitelli sono a fronte equina e furono privati delle insegne araldiche; sono superstiti invece gli eleganti capitelli pensili, da cui partono le volte, con medaglioni raffiguranti alcuni imperatori romani. Le finestre che danno sul cortile sono uguali per forma e dimensione a quelle esterne, tutte con tracce della tipica colorazione bicromatica (rosso e bianco). Ogni lato ne ha un numero diverso, che è crescente in senso orario: sul lato sud cinque, ad ovest sei, a nord sette ed otto a est. Tutte le fronti verso il cortile sono ricoperte quasi integralmente dalla decorazione a graffito romboidale, superstite anche su vaste superfici delle fronti esterne. Nessuna traccia, allo stato attuale, dell'oratorio ubicato al piano superiore della costruzione, mentre l'oratorio di Sant'Antonio, ubicato presso la chiesa parrocchiale, fu abbattuto nel '700.

Sono diffuse delle voci sull'esistenza, nel Castello, dell'ingresso ad un antico tunnel sotterraneo. Il tunnel collegherebbe il Castello (in direzione Milano) alla chiesa di Santa Maria Rossa, da qui proseguirebbe verso Baggio e quindi Milano (si conoscevano alcuni ingressi presenti a Baggio) e dall'altro, in direzione Pavia, intersecherebbe un'altra rete di tunnel che corre fino alla Certosa di Pavia, quindi con una lunghezza di parecchi chilometri. Si ritiene che la fitta rete sotterranea sia molto estesa e che la via maestra correrebbe parallelamente al naviglio Pavese. Un ingresso del tunnel, murato intorno alla metà degli anni 60, si trova proprio sotto al Castello (sul lato destro guardando frontalmente l'edificio). Il tunnel avrebbe una larghezza di circa 4/5 metri, un'altezza intorno ai 2.5 metri e risulterebbe costruito con una volta a mattoni. Una struttura tale da consentire il passaggio delle carrozze a cavallo, quindi con una probabile funzione di via di fuga dei signori di Milano.



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lunedì 23 febbraio 2015

VISITA A PALAZZO MARINO

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Palazzo Marino, opera dell'architetto perugino Galeazzo Alessi, è un palazzo nobiliare di Milano, sede dell'amministrazione comunale dal 19 settembre 1861. Già di proprietà di Tommaso Marino, ma ben presto pignorato per via dei suoi debiti e finito nelle mani del banchiere Emilio Omodei, venne acquistato dallo stato nel 1781, divenendo all'indomani dell'Unità d'Italia la sede centrale del Comune. Situato sul fronte orientale di piazza della Scala appare oggi nelle forme del restauro portato a termine da Luca Beltrami nel 1892.

Il palazzo venne commissionato dal banchiere e commerciante genovese Tommaso Marino come residenza nobiliare della ricca famiglia Marino. Esso venne costruito fra il 1557 ed il 1563 su progetto dell'architetto perugino Galeazzo Alessi, appositamente convocato a Milano proprio per l'occasione. Il palazzo si orientava originariamente verso piazza San Fedele.

Molti scultori della Fabbrica del Duomo parteciparono attivamente alla realizzazione degli intagli del palazzo. I milanesi tuttavia vedevano di cattivo occhio questo grandioso progetto, tanto che quando nel 1560 il conte Tommaso Marino aveva ottenuto il permesso di aprire una nuova strada che, partendo dall'ingresso principale del palazzo, si sarebbe congiunta fino a Piazza Mercanti, il malcontento popolare riuscì addirittura a bloccarne la realizzazione.

La costruzione del palazzo continuò con uno stile comparabile a quello delle più ricche corti dell'intera cristianità: nel cortile del palazzo furono raffigurate le Fatiche di Ercole e le Metamorfosi di Ovidio. Il Salone d'onore (oggi conosciuto come Salone dell'Alessi) aveva dipinto sul soffitto le Nozze di Amore e Psiche nel convito degli Dei e aveva realizzato gli stucchi sempre con storie di Amore e Psiche. Agli angoli del soffitto Aurelio Busso aveva dipinto le Quattro Stagioni. Sotto il cornicione le Muse, Bacco, Apollo e Mercurio affrescati da Ottavio Semino, alternate con bassorilievi con le storie di Perseo. Sugli ingressi erano stati collocati i busti di Marte e Minerva.

Una leggenda priva di fondamento vuole che il palazzo fosse voluto dal conte Tommaso Marino per ospitarvi la moglie, la bella Bettina Doria, anch'essa genovese e strettamente imparentata con Andrea Doria, grande ammiraglio e figura di spicco della Repubblica di Genova.

Alla morte di Tommaso Marino, la grande prosperità della famiglia subì un profondo tracollo, che sarebbe culminato nel 1577 col pignoramento da parte dell'amministrazione pubblica dello stesso palazzo, a saldo dei numerosi debiti contratti.

Durante questo lungo periodo il palazzo cominciò a deperire e nel 1626 vide la rimozione delle balaustre sovrastanti il cornicione perché pericolanti. Nel 1632 lo Stato, che stava affrontando la "famosa" peste, riuscì a vendere il palazzo agli eredi del banchiere Emilio Omodei, grande finanziatore del governo spagnolo. Gli Omodei non abitarono mai il palazzo che continuò ad essere chiamato dei Marino. Al piano terreno continuarono a svolgersi attività di carattere fiscale (gabelle e dazi), mentre il piano nobile veniva di volta in volta affittato a personaggi illustri.

Nel 1772, con la riforma fiscale di Maria Teresa d'Asburgo, arrivarono a svolgere i compiti fiscali i Fermieri e nel 1781, con l'abolizione della Ferma generale voluta da Pietro Verri, sarebbe stato lo stesso Verri ad adoperarsi perché il palazzo tornasse nelle mani dallo Stato come sede dei nuovi uffici finanziari e fiscali.

Il passaggio di proprietà avvenne il 14 luglio 1781 per la somma di 250.000 lire. L'acquisto permise una serie di restauri e il completamento della facciata verso via Case Rotte, condotta seguendo lo stile originale dell'Alessi sotto la rigida supervisione del Piermarini, che stava operando in quella zona diversi interventi. Nel palazzo trovarono dunque posto la Regia Camera dei Conti, la Regia Intendenza Generale, la Tesoreria, il Dazio Grande con i suoi uffici e la Cassa imperiale del Banco di Vienna.

Durante il Regno d'Italia cambiarono i nomi dei responsabili, ma gli uffici permasero con le stesse funzioni. Trovarono inoltre sede nel palazzo il Ministero delle Finanze, il Pubblico Tesoro e la Dogana. Con la Restaurazione al primo piano si sarebbero trasferiti i locali della corte, mentre al pian terreno la dogana, gli uffici della liquidazione, della tesoreria e della cassa centrale.

Nel 1848, dopo le Cinque giornate di Milano, il palazzo interruppe per alcuni mesi il proprio ufficio burocratico e divenne sede del Governo provvisorio della Lombardia. Liberata la Lombardia dagli Austriaci nel 1859, il palazzo passò dalla proprietà dello stato a quella del comune tramite una permuta tra Stato e Comune tra il palazzo del Broletto Nuovissimo e Palazzo Marino.

Il 19 settembre 1861 Palazzo Marino divenne ufficialmente sede del Comune, mentre le funzioni fiscali fino ad allora presenti nel palazzo si trasferirono nel Broletto.

L'acquisto del palazzo da parte del comune coincise con la demolizione dell'isolato posto tra il palazzo e la Scala e l'apertura della nuova piazza della Scala. Su questa piazza, impreziosita dal monumento a Leonardo da Vinci, si affacciava ora una sequenza di vecchi stabili, giudicati indegni di rappresentare la nuova Amministrazione Comunale e il nuovo volto italiano della Milano all'indomani dell'Unità d'Italia.

Anche gli interni del palazzo risultavano essere parecchio malandati, a cominciare dal grande Salone d'Onore. Nel 1872 Angelo Colla venne incaricato del restauro del salone, mentre contemporaneamente venne bandito un concorso per la nuova facciata su piazza della Scala. La crisi economica di quegli anni tuttavia provocò un rinvio dell'opera fino al 1888 quando venne approvato il progetto di Luca Beltrami, portato a compimento nel 1892.

A questo primo profondo restauro ne seguirà un secondo alla fine della Seconda guerra mondiale per ripristinare le parti abbattute dalle bombe del 1943. Particolarmente danneggiato risultò lo stesso Salone dell'Alessi. Gli stucchi originali della volta vennero sostituiti dalla rappresentazione dell'Aurora, del Giorno, del Crepuscolo, della Notte sopra le finestre. Ai lati delle finestre: Aria, Terra, Acqua e Fuoco scolpiti da Oliva, Supino, Brioschi, Ciminaghi, Gasparetti, Tavenari, Pepe, Ruy, Pellini, Wildt e Saponaro mentre le quattro stagioni ai quattro angoli del Salone d'Onore sono state ridipinte da P. Cortelezzi e G. Valerio.

Quest'ultimo restauro si concluse il 12 aprile 1954 sotto la direzione dell'ingegnere Buonomo.


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