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sabato 6 giugno 2015

IL MUSEO CIVICO DI LODI

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Il museo civico di Lodi fu costituito nel 1868 con lo scopo di raccogliere e conservare i reperti archeologici rinvenuti nel territorio di Lodi vecchio e i dipinti di scuola lodigiana provenienti dalle chiese o dalle raccolte cittadine; fortemente voluto dalla locale Deputazione Storico Artistica, si proponeva come luogo per la conservazione e la valorizzazione delle "reliquie" provenienti dal territorio, indipendentemente dal loro pregio e valore intrinseco. Inaugurato nel settembre del 1869 con la denominazione di Museo storico-artistico ebbe sede, in origine, in alcune sale di Palazzo Provasi in via Legnano, in seguito, nei locali di Palazzo Tassis, poi in quelli di Palazzo Cadamosto e infine, dal 1876 nella sede attuale, Palazzo San Filippo, opera degli architetti Michele e Piergiacomo Sartorio, che ospita oltre alle collezioni museografiche anche la Biblioteca laudense.

Il Museo Civico a pianterreno, dopo l'ingresso con cancello in ferro battuto di Roncoroni (1958) e camino rinascimentale, e il cortile, giardino ornato da anfore romane, ospita la bellissima Sezione Ceramica, divisa in due comparti: nel primo (donazioni Dossena e minori) ceramiche padane e lodigiane dal XV al XIX secolo, tra cui preziosi manufatti delle fabbriche Rossetti, Coppellotti, Ferretti e Dossena; nel secondo (donazione Robiati) squisita collezione di maioliche lodigiane e italiane del '700.
Sempre a pianterreno, nel corridoio, le due sale della Sezione Archeologica che comprendono reperti di età celtica, etrusca e romana, tombe ed epigrafi funerarie e dedicatorie (a Mefite, Ercole, Tiberio e Agrippina) una colonna miliare del IV sec., epigrafi cristiane del VI sec., quasi tutte provenienti da Laus e dal territorio. Segue la Sezione Risorgimentale con armi, divise, stampe, documenti del Risorgimento: notevole il grande quadro di Pietro Bignami che raffigura la battaglia napoleonica al ponte di Lodi.
In fondo al corridoio, cortiletto con lapidi, sculture, iscrizioni funerarie dell'antico cimitero ebraico, frammenti del monumento a Napoleone, già in piazza Maggiore, abbattuto nel 1814. A sinistra la sala S. Paolo, ex chiesetta settecentesca trasformata in auditorium: alle pareti minori due tele d'argomento storico del primo '800. Si ritorna nel corridoio e si sale per lo scalone ornato da ferri battuti del '700 e dal busto di Ludovico Vistarini, nobile lodigiano, opera di Leone Leoni (sec.XVI). Di fronte, la Pinacoteca, che raccoglie affreschi, quadri, opere d'arte provenienti da chiese e case lodigiane. Nell'ordine, sono particolarmente degni di menzione: le formelle in legno dipinto dei fratelli Lupi con scene della vita della Madonna (sec.XV - dall'Incoronata - sala I); i corali miniati del vescovo Pallavicino (sec.XV sala II); gli affreschi delle storie del Battista di G. e M. Chiesa (sec.XV - dall'Incoronata - sala III); dipinti di Alberto e Callisto Piazza e di Cesare da Sesto (sale IV-V e VI); dipinti barocchi del Procaccini ed altri (sale VII e VIII); quadri settecenteschi e dell'Hayez. Le ultime due sale sono dedicate ad un'antologica di pittori e scultori lodigiani dell'800 e del primo '900. Uscendo dalla Pinacoteca, a sinistra il "Salone dei Notai", già sede dell'archivio notarile, ora restaurato e sede di mostre (nella volta, affresco del Carloni). A destra, l'ingresso alla Biblioteca Laudense, ricca di 120 mila volumi e di una preziosa raccolta di manoscritti, pergamene, codici (dal sec.XII in poi), incunaboli, cinquecentine, disegni e stampe. Va ammirata la solenne sala di lettura detta "Libreria dei Filippini" del XVIII sec. con scaffali e tavoli in noce intagliati dal Cavanna.

La Sezione archeologica conserva materiali provenienti da collezioni ottocentesche, esemplari provenienti dal territorio lodigiano, ritrovarti nell'Ottocento e nel corso di più recenti campagne di scavi. Vi sono esposti epigrafi della collezione Pontano e provenienti dall'antico  tempio di Ercole edificato sulle rive dell'Adda, reperti dell'età del bronzo, corredi di sepolture celtiche, armille a ovoli, vasellame di bronzo di epoca romana, il corredo della tomba del periodo golasecchiano di Mazzucca di Montanaro Lombardo. E ancora: epigrafi cristiane, sepolture celtiche e longobarde, reperti della Magna Grecia ed etruschi e infine bronzetti romani.

La Sezione ceramica conserva i manufatti dell'antica tradizione di Lodi che grazie all'abbondanza di argilla nel suo territorio è da sempre presente sul territorio. Dagli scavi archeologici dell'antica Laus Pompeia (l'attuale Lodi Vecchio), a fianco del materiale fittile proveniente dall'Etruria e dalla Magna Grecia si delinea anche una produzione locale, soprattutto di statuette votive e lucerne: reperti attualmente esposti nella sezione archeologica. Il tardo medioevo vede l'affermarsi dell'ornato in terracotta applicato all'architettura. Tra i decori più interessanti quelli dell'ospedale di Santo Spirito (oggi Ospedale vecchio), con le fasce in cotto del chiostro piccolo, della chiesa dell'Incoronata e di palazzo Mozzanica. Nel XV secolo la produzione ceramica d'uso quotidiano è ancora composta da terrecotte ingobbiate e sgraffite, decorate con la semplice gamma dei colori metallici.
I soggetti, in genere popolareschi, sono delineati rapidamente con freschezza e originalità. Nel secolo XVI, ed in quello successivo, doveva già esistere un'attività manifatturiera di buon livello qualitativo destinata principalmente all'esportazione, come si può dedurre dal rinvenimento di numerose lamentazioni circa gli alti dazi sulle maioliche estratte (secondo la terminologia del tempo) dalla città. Ma è appunto nel Settecento che si imposero, con la superbia delle loro realizzazioni, alcune fabbriche: su tutte quelle dei Coppellotti, dei Rossetti e dei Ferretti, dislocate prevalentemente a ridosso delle mura lungo l'Adda per avvantaggiarsi del trasporto sull'acqua e della vicinanza dei boschi da cui attingere la legna per i forni.
L'eccellenza delle ceramiche lodigiane fu favorita dalla raffinata perfezione della cottura a gran fuoco (cioè a elevate temperature), nonché dalla varietà del modellato e dalla bellezza e originalità delle decorazioni (policrome o monocrome) con scene mitologiche, disegni stilizzati e, in particolare, composizioni floreali. L'attività di alto profilo artistico continuò nell'Ottocento soprattutto grazie alla fabbrica Dossena. L'esposizione mussale si sviluppa in tre sale, secondo un criterio cronologico.

La Pinacoteca documenta in maniera significativa l'attività pittorica a Lodi dal XV al XVIII secolo. Del secolo XV è il ciclo di affreschi, strappati e riportati su tela, realizzati da Matteo e Giovanni della Chiesa per la chiesa dell'Incoronata. I Della Chiesa, pittori pavesi di influenza bergognonesca, furono attivi tra la fine del Quattrocento e il primo ventennio del Cinquecento. Il ciclo  illustra episodi della vita del Battista.  Un'altra coppia di artisti locali, Ambrogio e Pietro Donati, sono presenti con un altare, in legno intagliato, dipinto, graffito e dorato, che rappresenta storie della Vergine e Cristo, in nove formelle e sei pannelli.
Anche quest'opera proviene dal tempio dell'Incoronata, la più importante officina d'arte della città nel Rinascimento. I Donati teneva no una bottega artigiana attiva tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo.E proprio il XVI secolo rappresentò il secolo d'oro dell'arte pittorica lodigiana, che raggiunse i suoi esiti più alti con la famiglia Toccagni della piazza, poi passati alla storia come i Piazza.
Nel museo sono conservati: di Martino Piazza una Madonna con bambino e un San Bassiano; nell'ambito di Martino e ion collaborazione con Alberto, quattro scene con storie dei santi Asntonioo abate e Paolo eremita; di Callisto il ritratto di Ludovico Vistarini, un'Annunciazione, il Trittico di San Giuseppe, una Madonna con bambino, un Cristo morto sorretto da angeli; di Scipione, figlio di Martino, un'Adorazione dei Magi:sono poi esposte opere di Bartolomeo Bodoni, detto Bartolomeo da Pavia, Sollecito Arisi e una tela dell'ambito del Procaccini. Del XVIII secolo è una notevole veduta della Piazza Maggiore della città. Importanti poi sono tre opere ottocentesche: un volto di Cristo di Giovanni Carnovali detto il Piccio e un autoritratto e il ritratto di Teresa Zumalli Marsili col figlio.




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IL TEMPIO CIVICO DELL'INCORONATA A LODI

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Il tempio dell'Incoronata, di proprietà del Comune di Lodi è una piccola e splendida costruzione ottagonale, ideata nel 1488 da Giovanni Battagio, allievo del Bramante, e ultimata dall'Amadeo e dal Dolcebuono. L'interno, a pianta centrale, è un irripetibile, delizioso capolavoro del Rinascimento. L'insieme è una sinfonia blu e oro, rallegrata dai colori delle lesene affrescate a putti e dai dipinti sistemati nei nicchioni dell'ordine inferiore.

Verso la fine del XV secolo nella contrada de' Lomellini (oggi via Incoronata) era situata una casa di tolleranza, sulla cui facciata era affrescata un'immagine della Madonna.

Risse, duelli e litigi fra ubriachi e prostitute erano quotidiani. Durante una di queste risse, secondo la tradizione nel mese di settembre del 1487, l'effigie della Madonna lacrimò e invitò i presenti a costruire su quel luogo un tempio a lei dedicato.

I governanti della città che avevano già intenzione di chiudere la casa malfamata, colsero l'occasione e abbatterono l'edificio. Incaricarono della progettazione del tempio l'architetto lodigiano Giovanni Battaggio, allievo del Bramante.

La prima pietra dell'edificio, su cui era impresso lo stemma di Lodi,fu posta il 29 maggio 1488. Battagio guidò la fabbrica per un anno, cedendo poi il compito all'architetto luganese Gian Giacomo Dolcebuono, sotto la cui direzione i lavori proseguirono sino al 1493. L'effigie di Maria incoronata fu trasferita all'interno della chiesa, sull'altare maggiore.

Per espressa volontà del vescovo Pallavicino, l'edificio rimase sempre di proprietà del comune, che ne aveva sostenuto la costruzione: per tale ragione, all'interno del tempio si trovano alcune rappresentazioni artistiche dello scudo araldico municipale. L'amministrazione finanziaria della chiesa fu demandata dapprima ad un collegio di funzionari nobili, a cui subentrarono poi il Monte di Pietà (che aveva sede nel palazzo adiacente al tempio]) ed infine il medesimo comune di Lodi.

Nel corso dei secoli, numerosi cittadini lodigiani contribuirono al sostentamento della chiesa; i loro ritratti sono oggi raccolti nella cosiddetta Galleria dei benefattori, ospitata in un locale accessibile dalla sagrestia.

Nel 1988, in occasione del 500º anniversario dell'edificazione del tempio, fu inaugurato il Museo del tesoro dell'Incoronata, una collezione di oggetti legati alla storia del luogo di culto.

Come prescritto dal diritto canonico per le chiese che non appartengono all'amministrazione ecclesiastica, l'attività liturgica del Tempio dell'Incoronata è affidata ad un rettore nominato dal vescovo di Lodi.

Il progetto dell'edificio fu realizzato da Giovanni Battagio; i lavori di costruzione furono diretti in gran parte da Gian Giacomo Dolcebuono, che verosimilmente si attenne alle indicazioni del suo predecessore.

Il tempio, collocato in una caratteristica via molto stretta nei pressi di piazza della Vittoria, è a pianta ottagonale, coperto da una cupola ad otto spicchi sormontata da una lanterna; esternamente, attorno al tamburo, sempre ottagonale, corre una balaustra a colonnine e pinnacoli; tra il 1511 e il 1513 è documentato l'intervento al tiburio dell'architetto Giovanni Antonio Amadeo. Il campanile, disegnato da Lorenzo Maggi, venne realizzato nel 1503, mentre la facciata fu completata solo nel 1879 da Afrodisio Truzzi.

L'interno è impreziosito da sontuose decorazioni in oro e presenta, nell'ordine superiore, un matroneo ad archetti sorretto da colonnine blu e oro.

Con il trascorrere degli anni, l'edificio divenne una vera e propria galleria d'arte: ospita infatti numerosi affreschi, tavole e tele realizzati tra la fine del Quattrocento e gli inizi dell'Ottocento dai maggiori artisti che operarono a Lodi. Il Bergognone è l'autore di quattro tavole, tra le quali sono particolarmente importanti L'Annunciazione (che offre uno spaccato di paesaggio tipicamente lodigiano) e La presentazione al Tempio (che riproduce l'interno dell'Incoronata). Martino e Albertino Piazza hanno invece realizzato il Polittico Berinzaghi e L'Incoronazione della Vergine, dipinto su seta posto dietro l'altare maggiore. Callisto Piazza e Stefano Maria Legnani, infine, lasciarono qui alcuni dei loro maggiori capolavori.

Gli otto spicchi della parte interna della cupola, affrescati nel 1840 da Enrico Scuri, raffigurano i Trionfi dei santi lodigiani.

Il nicchione dell'ingresso principale è impreziosito dalle Storie di Abramo (1562) di Fulvio Piazza; sopra il portone si trova l'Epifania, opera attribuita a Callisto Piazza.

All'interno del nicchione alla destra dell'ingresso, sopra una cantoria riccamente decorata con dipinti e intagli dorati, vi è l'organo a canne, rifacimento di Giovanni Battista Chiesa effettuato nel 1775 di un precedente organo di Domenico De Luca risalente al 1507. Lo strumento, a trasmissione meccanica originaria, è racchiuso all'interno di una ricca cassa con portelle dipinte raffiguranti San Bassiano (portella di destra) e la Madonna col Bambino (portella di sinistra). L'organo ha un'unica tastiera di 50 note con prima ottava scavezza ed una pedaliera a leggio anch'essa con prima ottava scavezza.

La cappella di san Paolo possiede alle pareti numerose opere realizzate dal Bergognone. Tra esse spiccano l'Annunciazione e la Visitazione

Al giorno d'oggi, il tempio è un'importante attrazione turistica insieme all'adiacente Museo del tesoro dell'Incoronata.

Il Museo, realizzato nel 1988, è allestito negli spazi sotterranei sottostanti la monumentale sacrestia del Tempio dell'Incoronata. Consta di tre locali di diverse dimensioni caratterizzati dal reciproco intersecarsi di volte a botte e a vela, archi, nicchie, strombature di finestre.

Durante i lavori di sistemazione degli ambienti sono stati messi in evidenza alcuni dei particolari architettonici esistenti per ricordare e sottolineare il carattere un tempo "domestico" dei locali utilizzati: un pozzo ancora funzionante, scivoli per lo scarico della legna dal piano stradale, nicchie e cunicoli di collegamento con la zona abitata sovrastante.

Le opere presentate hanno un carattere di rarità e di unicità che consiste nel determinare dal punto di vista formale un insieme di pezzi che, oltre a possedere i requisiti di un museo d'arte sacra, testimonia la raccolta di oggetti legati alle funzioni religiose di un importante santuario.

Alcune delle argenterie riportano marchi di bottega, tracce fondamentali per risalire al laboratorio dell'orefice e al luogo di produzione, come il caso di una pisside da viatico, del XVIII secolo, con il motivo della campana, marchio già noto nel Seicento; un calice settecentesco con la punzonatura della Croce di Malta; un ostensorio della fine del secolo XIX, eseguito dal celebre argentiere Luigi Caber, operante all'insegna del Cervo d'Oro; un turibolo seicentesco, con il simbolo del Leone Marciano, eseguito dal milanese Bernardo Longon.

Abbastanza vasto è il repertorio di oggetti liturgici d'uso complementare: reliquiari, candelieri, vasi portapalme, secchielli, ampolline, busti portareliquie. Fra i corredi liturgici spiccano i molteplici paramenti con pianete, piviali, stole, manipoli, veli omerali e da calice, borse, tunicelle e camici bordati da ricchi merletti databili ai secoli XVII e XVIII.

Un accenno particolare va riservato alla preziosa Pace tardocinquecentesca, frutto di una bottega di smaltatori milanesi, conservata in un contenitore di cuoio, che reca inciso sul retro l'immagine di Cristo alla colonna e sul verso il pastorale con mitria vescovile, un animale rampante e l'iscrizione Ama Dio.

Degna di nota è una sveglia d'appoggio, raffinato oggetto di tecnica orologiaia e di arte applicata, databile alla metà del Settecento, che fu eseguita da Antonio Kurtzweil, attivo a Vienna fra il 1746 e il 1763.




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venerdì 29 maggio 2015

IL MUSEO CIVICO DI TREVIGLIO




Attraverso il pregevole chiostro a loggiato trecentesco a due ordini si accede, al primo piano, al Museo Civico Ernesto e Teresa della Torre, adibito nello spazio della vecchia chiesa del monastero e realizzato grazie alla recente costruzione (1997-2000) di un ampio soppalco che, costituito da una struttura cassettonata in cemento armato gravante sulle murature perimetrali della navata unica della chiesa, ne occupa l'intero sviluppo sia in larghezza sia in lunghezza, prospettando con un'ampia vetrata sulla crocera. Il soffitto è a volta e la copertura a tetto semplice a capanna.

Il museo civico di Treviglio è situato all'interno dell'omonima biblioteca e conserva numero scritti dello scorso millennio documentando la storia del comune dalle sue origini fino ai giorni nostri. Tale Archivio Storico è consultabile previa richiesta e prenotazione.

Il museo è nato ufficialmente nel 1963 quando il comune di Treviglio ha dato attuazione alla volontà testamentaria del prof. Pier Luigi Della Torre, medico, neurochirurgo di fama europea, tra i pionieri della trapanazione cranica e personalità di rilievo nella storia di Treviglio nel XX secolo, fu ufficiale medico dell'8º Reggimento bersaglieri nella prima guerra mondiale, decorato Medaglia al Valor Militare sul fronte del Piave nel 1918 nella Battaglia del solstizio. Fu poi primo sindaco di Treviglio alla Liberazione e fino al 1946.

Con lascito testamentario del 30 aprile 1960 il Prof. Pier Luigi Della Torre aveva lasciato le sue raccolte al Comune di Treviglio perché fosse istituito un museo intitolato ai propri genitori, il papà prof. Ernesto, già direttore didattico delle Regie Scuole Pubbliche, e la mamma Teresa Pedrazzini in Della Torre, già insegnante nelle stesse. Nella collezione vi sono, tra le altre, opere di Rembrandt, Guercino, Correggio, Giambono. Il museo è stato inoltre arricchito con altri lasciti.
La costituzione di questo museo civico è legata ad alcune donazioni significative: in primis il lascito del fondo del pittore neoclassico Giovan Battista Dell'Era, (1765-1799), un artista di origine trevigliese, formatosi tra Bergamo, Milano e i Grigioni, che, trasferitosi a Roma, ebbe modo di inserirsi in un ambiente artistico internazionale, ricevendo commissioni dall'imperatrice di Russia, Caterina II, ed entrando in contatto con i migliori esponenti del neoclassicismo europeo.

Nel 1961 l'ex sinadaco neurochirurgo Pier Luigi Della Torre donò al Comune di Treviglio la propria collezione, con l'espressa volontà testamentaria di disporla in una costituenda Pinacoteca cittadina, da intitolarsi alla memoria dei genitori, Ernesto e Teresa Della Torre.

Da segnalare il gruppo dipinti del XV e XVI secolo, "Madonna col bambino" su tavola con fondo oro, "madonna in trono con Santi Rocco e Sebastiano" e la "Deposizione" attribuita al fiammingo maestro di dipinti stranieri tra Settecento (Bol, Greuze, Rembrandt, Reynolds); - una selezione di dipinti Ottocenteschi (Cremona, Faruffini, Mancini, Previati); - un gruppo di opere scultoree, di minature e di stampe di varie epoche.

Un'altra rilevante raccolta di ritratti ottocenteschi si riferisce alla collezione della famiglia del poeta Tommaso Grossi, una delle più ricche personalità culturali del Romanticismo italiano. Di questa fanno parte: i ritratti di Carlo Gerosa Da Canzo e Ludovico Pogliaghi. Altre sezioni del museo sono costituite da un interessante "corpus" dei reperti storico-archeologici locali dalle donazioni Cassani, Longaretti, e da opere provenienti dall'ex monastero di San Pietro, tra cui la Pala dell'Immacolata di Giovanni Stefano Montalto.

Nel dicembre del 2007 il museo si è arricchito di una sezione scientifica aprendo nel padiglione centrale dell'area mercato coperto, in piazza Cameroni, Explorazione. Come dice il motto: Un laboratorio interattivo permanente per capire la scienza giocando, si tratta di un'area destinata ai ragazzi dove possono materialmente compiere esperimenti di elettromagnetismo, ottica, acustica e altro per comprendere le leggi fisiche che governano l'universo.

Nel 2012 è stato aggiunto al museo Explorazione il pendolo di Foucault.

Il museo civico apre nel 2009 una sezione archeologica per esporre i numerosi reperti ritrovati sul territorio. L'esposizione, che raccoglie sia oggetti locali che statali di spettanza al museo, è suddivisa nelle tre sale: Protostoria, Storia Romana e Storia Medioevale.

I reperti sono corredati da una notevole mole di materiale didattico tra il quale spicca il plastico di Treviglio così come si presentava in epoca medioevale intorno all'anno 1000 cinta dal triplice fossato. L'opera è stata realizzata con la collaborazione del circolo modellistico il Caravaggio.

Tra i pezzi di maggiore interesse abbiamo una sepoltura celtica risalente al I secolo d.C. rinvenuta nel 1980, il tesoretto rinvenuto in via Verga di oltre cento monete di epoca Diocleziana e l'originale della Gatta, eterno pomo di discordia con la vicina città di Caravaggio.

Il museo presenta inoltre un laboratorio didattico.

Nel complesso del mercato un edificio è occupato stabilmente da un laboratorio scientifico composto da un laboratorio interattivo permanente che propone attività per i ragazzi per imparare la scienza divertendosi.

Il museo, diviso nelle 4 sezioni: storica, fisica, logico-matematica e multimediale, è studiato appositamente per proporre percorsi scientifici ai ragazzi anche se può essere molto interessante anche per gli adulti.
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Fondata nel 1861 la biblioteca è legata per più versi alla figura dell'abate e patriota del risorgimento Carlo Cameroni, che donò alla città natale il suo patrimonio librario di circa 4000 volumi.

Tra le successive acquisizioni più importanti ci furono quelle dei monasteri soppressi (dalle Eremitane di Sant'Agostino, del convento della santissima Annunciata, dei minori riformati, del convento dei padri Cappuccini), ed i manoscritti dell'abate Gian Battisti Crippa.  

Altri illustri personaggi di Treviglio come Andrea Verga, Giacomo Sangalli, Giuseppe Grossi e Agostino Cameroni donarono libri e documenti alla bibiloteca comunale.

Il patrimonio librario consta oggi di circa 75000 libri di cui 8000 circa del fondo ragazzi e 10000 del nucleo antico. Conserva inoltre l'archivio storico comunale ed altri archivi minori.



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venerdì 22 maggio 2015

IL PALAZZO MARLIANI CICOGNA A BUSTO ARSIZIO

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Palazzo Marliani-Cicogna è un edificio di Busto Arsizio, in passato dimora dei conti Marliani, che attualmente ospita la biblioteca comunale e le civiche raccolte d'arte.

Il palazzo fu dimora dei conti Marliani, proprietari del feudo di Busto Arsizio tra XVI secolo e il XVIII secolo. Il conte Luigi Marliani decise di stabilirsi a Busto Arsizio e acquistò nel 1624 un'abitazione rurale, probabilmente a impianto rettangolare o a cortili centrali. Affacciata su una grande piazza con annessi orti e giardini, tra il 1624 e il 1653, la dimora fu trasformata in palazzo. Tra gli anni '30 e '40 del Settecento fu oggetto di un completamento: le due ali vennero collegate da un muro curvilineo che si affaccia sulla piazza e vennero modificate le cornici delle finestre e i ferri battuti. Vennero a crearsi due corti interne, una delle quali collegata alla piazza pubblica e unita, tramite un porticato, al giardino e all'orto posti a nord del palazzo, a ridosso del terrapieno di difesa del borgo.

Le notizie certe relative a palazzo Marliani-Cicogna si trovano a partire dal 1822, quando il comune acquistò l'edificio. All'epoca l'attuale piazza Vittorio Emanuele II era di forma rettangolare e presentava, sul lato nord, il palazzo e case rurali e fienili sugli altri tre lati. Era collegata al borgo attraverso due strade che conducevano, la prima, alla piazza San Giovanni e al quartiere Basega (basilica), e la seconda alla porta dei Re Magi e ai quartieri di Pessina (piscina) e Sciornago.

Nel 1861 venne aperta la via Pozzi, diretta verso l'odierna piazza Garibaldi, e vennero insediati gli uffici comunali di Busto Arsizio all'interno del palazzo, dopo una serie di interventi di adeguamento e ampliamento. A ovest fu costruita una cortina di uffici rispecchiando lo stile che caratterizza il palazzo seicentesco e vennero realizzati la scala e il disimpegno dei locali dell'ala est. Risale invece al 1855 l'inaugurazione delle carceri ottocentesche progettate dall'architetto Giuseppe Brivio sul lato nord di palazzo Marliani-Cicogna.

Nel 1899, in seguito alla costruzione delle scuole Carducci (oggi liceo classico Daniele Crespi), una nuova strada parallela a via Pozzi venne fatta sfociare sulla piazza del Conte, che intanto aveva assunto il nome di piazza Vittorio Emanuele II.

Nel 1910, nel corso di agitazioni popolari, il leone in pietra, simbolo della famiglia Marliani, posto sopra il cancello che si apre nel muro ondulato verso la piazza venne abbattuto. Nel 1936 venne realizzata via Borroni, che dalla piazza va verso nord: per fare ciò, nel rispetto del piano regolatore della città del 1933 di Cesare Albertini, venne demolita la parte orientale del palazzo.

Nel 1971-1972 il comune di Busto Arsizio fece realizzare un rilievo grafico e fotografico del complesso edilizio che versava in condizioni di importante degrado, in particolare nella copertura e nei solai lignei. Nel 1972 l'architetto Giuseppe Magini riportò alla luce tre dei quattro soffitti in legno decorato appartenenti ai locali del primo piano prospettanti sulla piazza. Altri tre soffitti decorati furono scoperti nel 1976 per volere della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia.

Nel 1976-1977 la copertura in legno venne sostituita da una struttura in cemento armato in modo da renderla più sicura contro gli incendi; i soffitti decorati vennero comunque mantenuti.

Dopo essere stata dimora nobiliare, sede di uffici comunali e, dal 1918 al 1969, sede della Procura del Re, dal 1969 ospita la biblioteca alla quale, dal 1990, si affiancano le civiche raccolte d'arte.

Le Civiche Raccolte d'Arte, ospitate all'interno di Palazzo Marliani-Cicogna, costituiscono insieme al Museo del Tessile e della Tradizione Industriale i musei civici della città di Busto Arsizio.

Era il 1960 quando il "Museo civico storico artistico" di Busto Arsizio venne  istituito con apposita deliberazione del Comune di Busto Arsizio. Già dall'anno  precedente era attivo un comitato con il compito di dare forma all'idea di un  Museo della Città, che custodisse in sé tutte le testimonianze storiche, ma  soprattutto artistiche, entrate a far parte del patrimonio municipale. Per diversi  anni, però, l'idea del Museo rimase sulla carta in mancanza di una sede  adeguata per esporre i reperti e le opere d'arte. Nel decennio seguente gli  amministratori lavorarono per dare alla collezione una sede definitiva: venne  individuato Palazzo Marliani Cicogna, di proprietà Comunale dal 1820.

Già a partire da questo momento, il patrimonio civico venne suddiviso in due ambiti: da una parte il patrimonio della collezione museale, dall'altra il ricco insieme di opere destinato a rimanere negli uffici e nelle sale di rappresentanza del Municipio. Dopo i primi anni di vita del Museo, al nucleo iniziale si aggiunsero altre opere, frutto di donazioni ed acquisti dell'Amministrazione, tra cui la donazione Gaetano Crespi Legorino (1991) e la donazione Don Marco Rossi (1994). Inoltre, dal 1996, l'istituzione dei Premi di pittura della Città di Busto Arsizio permise valide occasioni di confronto sulle tendenze più attuali e la formazione della sezione di arte contemporanea, attraverso l'istituto dei premi acquisto. Nel 2002 nuovi interventi di restauro resero possibile il raddoppio degli spazi espositivi, l'apertura di depositi attrezzati per le opere, spazi di servizio per archivi e biblioteca nonché un'area per le mostre temporanee. Numerose e di vario genere quelle ospitate negli anni dal museo. Dalle rassegne dedicate agli artisti locali della prima metà del Novecento, a quelle di valore storico, che hanno mostrato immagini, ricerche e documenti inerenti il territorio, sino a quelle di valore didattico e ai laboratori a tema, proposti alle scuole e alle famiglie, per far vivere la collezione attraverso un approccio ludico e al contempo istruttivo. Negli ultimi anni, con impegno importante, il museo ha proposto alcune rassegne di spessore, tra cui si ricordano quelle dedicate ad Arturo Tosi e Daniele Crespi nel 2006, "La città si fa bella" (2008) sulle trasformazioni urbanistiche a Busto tra le due guerre, la bella mostra "Moderni ma non troppo", dedicata alle collezioni bustesi degli anni Trenta (2009) e "Confraternite. Fede e opere in Lombardia dal Medioevo al Settecento" nel 2011.

Il museo è stato aperto al pubblico nel 1990 per dare sistemazione alle più significative opere d'arte di proprietà comunale, databili dal XVI secolo fino ai giorni nostri. Le opere della collezione sono esposte secondo epoca e stile, nelle seguenti sezioni:

Arte devozionale: testimonianze di devozione popolare provenienti da antiche edicole, oratori o cascine bustesi, ispirate ai modelli della cosiddetta arte colta, in particolare ai dipinti del Santuario di Santa Maria di Piazza. Si tratta in gran parte di opere di autori anonimi, ma si trovano anche opere di illustri pittori, come l'Assunzione della Vergine di Gaudenzio Ferrari.
Arte lombarda del XVI-XVIII secolo: composta dai quattordici dipinti della donazione di don Marco Rossi, in maggioranza opere di arte sacra del Seicento - Settecento; tra queste, sono sicuramente degne di nota il Ritratto di Francesco Bonaventura Cavalieri del pittore bolognese Giacomo Cavedoni e le Due figure di Santi vescovi di Pietro Maggi. In questa sezione si trovano anche dipinti di Giuseppe Nuvolone e del Morazzone.
Due artisti bustesi: Biagio Bellotti e Giuseppe Bossi: Biagio Bellotti fu canonico della Basilica di San Giovanni Battista, si distinse nelle arti figurative lasciando nelle chiese della città stupendi esempi di pittura e di scultura. Giuseppe Bossi, esponente del neoclassicismo milanese, fu valente disegnatore e pittore e ricoprì la carica di segretario dell'Accademia di Brera. Questa sezione ospita alcuni dei loro dipinti, tra i quali si possono ricordare Madonna con il Bambino dormiente di Bellotti e Ritratto di Alessandro Volta sessantenne di Bossi.
Ottocento romantico e verista: di ambito romantico è esposto il Ritratto del Conte Ambrogio Nava (in deposito dall'Accademia di Brera) di Francesco Hayez, mentre il verismo italiano è ben rappresentato dalla Popolana di Giacomo Favretto. Importanti sono anche le opere di Emilio Magistretti ed Enrico Crespi, raffiguranti i soggetti tipici del tardo romanticismo e del naturalismo lombardo.
Donazione Crespi Legorino: pervenuta nel 1991, raccoglie principalmente ritratti di famiglia eseguiti dai fratelli Enrico e Ferruccio Crespi.
Arturo Tosi: diversi dipinti testimoniano il suo tipico espressionismo naturalistico in cui forma e colore non ricostruiscono la realtà, ma una visione interiore in cui il paesaggio è filtrato dalla mente dell'artista.
Artisti locali: numerosi sono gli autori che hanno svolto la loro attività nel territorio; ad un primo gruppo databile agli anni '20-'30 del Novecento, si affianca il lavoro di artisti la cui ricerca è ancora in corso.
Arte contemporanea: un discreto insieme di opere proviene dalle quattro edizioni del Premio di Pittura della Città di Busto Arsizio, a cui si affianca la recente donazione dell'artista Federica Giglio.
Numerose mostre temporanee affiancano, nel corso dell'anno, la collezione permanente.

Dal dicembre 2007 il museo è una delle 167 strutture (97 musei e 70 raccolte museali) insignite da Regione Lombardia con il marchio di qualità, che attesta l'alto livello dei servizi resi al pubblico.

Il Museo offre, su prenotazione, visite guidate e laboratori didattici per gruppi e scolaresche. In loco è possibile, inoltre, consultare la Biblioteca d'Arte, che raccoglie numerosi volumi specialistici sulla storia dell'arte e sull'evoluzione dell'arte locale.




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