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martedì 30 giugno 2015

IL MUSEO ETNOGRAFICO A VALTORTA



“L’Ecomuseo di Valtorta recupera e preserva il patrimonio materiale e immateriale come strumento per progettare l’avvenire a partire dalle aspettative della sua gente”.

Un paese museo dove si respira ancora l’aria della tradizione: il museo etnografico insieme a mulini, maglio e segheria idraulica vi accompagnano nella scoperta della cultura e dei saperi di Valtorta.
Il museo etnografico ha sede in un antico edificio denominato “Casa della Pretura” in quanto un tempo ospitava il vicario che, oltre a governare la comunità aveva importanti compiti in materia civile e penale. Al suo interno si trovano gli strumenti e le attrezzature che un tempo facevano parte della quotidianità delle genti dell’Alta Valle Brembana, testimoni della povertà e della semplicità degli abitanti di Valtorta ma anche di ritmi e stili di vita totalmente differenti.
Mulini, maglio e segheria si ritrovano sparsi qua e là tra gli angoli del paese. Si tratta di strutture funzionanti grazie alla forza dell’acqua che, attivando gli antichi meccanismi, ancora oggi permette di vedere all’opera le storiche strutture.

L’ingresso del borgo di Valtorta è caratterizzato dalla torre dell’orologio, il cui funzionamento può essere seguito attraverso le pareti in vetro della struttura che contiene l’antico meccanismo con corredo di piccole campane. Appena sopra l’abitato sulla destra idrografica, un piccolo torrente alimenta le ruote idrauliche di un mulino, ricostruito utilizzando le attrezzature donate dai proprietari del cessato mulino Canfer di Ubiale. Appena sopra il mulino si trova la segheria idraulica, recentemente recuperata e resa funzionante utilizzando i resti di una segheria proveniente dall’Alta Valle Brembana. L’edificio della segheria è a due livelli. Al piano terra ci sono la ruota idraulica di grandi dimensioni e gli organi di trasmissione in ferro. Questa ultima caratteristica consente di collocare la data di costruzione della segheria originaria nel periodo a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Gli organi di trasmissione sono di tipo a doppio stadio, ovvero con il primo stadio costituito da una ruota moltiplicatrice e un pignone, il secondo da un sistema a cinghia. Al primo piano c’è il banco di sega in legno sul quale venivano posti i tronchi da tagliare. Un sistema di regolazione posto sul banco stesso consentiva di regolare lo spessore dei pezzi da tagliare (assi, travi, ecc.). Il telaio mobile sul quale è montata la sega è posto a metà tra il primo e secondo piano.

L'esposizione museale, che ricostruisce idealmente gli ambienti più comuni del passato, documenta come l'uomo brembano abbia saputo, nel corso dei secoli, modificare, abbellendoli e rendendoli più funzionali, gli stessi attrezzi del lavoro quotidiano utilizzati da secoli, dando così prova di intelligenza creativa e di capacità di far fronte, con strumenti sempre più efficaci, alle nuove esigenze imposte dal mutare dei tempi e dalle contingenze.

La sistemazione del materiale nelle sale del museo obbedisce al principio di fornire al visitatore l'opportunità di comprendere la funzione e l'uso dei vari oggetti e di immaginare allo stesso tempo particolari momenti della vita umana legati a tale uso. Di conseguenza vi sono meticolosamente ricostruiti vari ambienti tipici, luoghi di lavoro, di svago ed interni delle abitazioni.

Si possono così ammirare, assieme agli arredi propri della vita domestica, ambienti e strumenti tipici dell'artigianato: l'officina del fabbro, il desco del ciabattino e del fabbricante di zoccoli, il banco del falegname, la casera con i grandi caldari e le ramine, il filatoio della lana, il telaio, il tornio per il legno, il carretto dell'arrotino, ed una miriade di altri arnesi propri di attività un tempo importanti e di cui oggi resta solo il ricordo.L'interno delle abitazioni è riproposto dettagliatamente con la ricostruzione completa dei vari ambienti: una camera da letto con il pagliericcio, l'armadio, la culla, gli abiti da lavoro e quelli della festa; la cucina con le cassepanche, le credenze, la madia ed il focolare collocato al centro del locale; i giochi dei bambini e gli strumenti che accompagnavano la loro crescita, tanto semplici e poveri e pure così vicini nella funzionalità a quelli moderni.
Numerosi sono gli attrezzi della lavorazione dei campi e dell'allevamento del bestiame, occupazioni che nei secoli sono state di gran lunga preponderanti nella zona e che ancora oggi mantengono una loro vitalità: arnesi della fienagione, dell'aratura, del boscaiolo, dell'apicoltore e del cacciatore.
Anche i vari aspetti della vita religiosa trovano nel museo spazi adeguati: ex voto, affreschi, paramenti sacri, oggetti propri delle liturgie tradizionali, testimonianze di una fede semplice, ma dalle radici profonde che si esprimeva in svariate forme di devozione.
Non mancano infine documenti delle rare pause concesse allo svago e ai divertimenti: la ricostruzione di strumenti musicali, maschere, burattini, rudimentali giochi di società.
è tra queste testimonianze d'altri tempi che si può recuperare una dimensione più umana del vivere quotidiano e si può recuperare una coscienza più completa del passato.

Il Museo Etnografico Alta Valle Brembana di Valtorta è nato e si è sviluppato con questo preciso intento: riscoprire e conservare il passato, valorizzare e trasmettere alle nuove generazioni le testimonianze di una civiltà e di una cultura.
Una civiltà fatta di segni materiali (i luoghi, le case, i mobili, gli arredi, gli affreschi, gli strumenti di lavoro) ma anche e soprattutto di valori: quelli della fatica quotidiana, di una laboriosità pregna di ingegno e pazienza, di una fede genuina, di una semplicità e di una sobrietà di vita oggi del tutto inimmaginabili. Un Museo insomma attraverso cui esprimere l'essenza profonda della storia umana e sociale dell'Alta Valle Brembana.
Ed è sicuramente in risposta a questa ispirazione che l'idea del Museo, coltivata a metà degli anni settanta dal sindaco di Valtorta Pietro Busi e dall'allora parroco don Angelo Longaretti, ha trovato una piena e convinta adesione da parte degli abitanti del paese e dell'intera Alta Valle che non hanno esitato a rovistare centinaia di soffitte e scantinati per fornire una prima dotazione di centinaia e centinaia di oggetti e testimonianze delle più svariate epoche. Né poteva essere individuata sede migliore di quella Casa della Pretura che il Comune provvide ad acquistare e restaurare, rendendo i vari ambienti idonei alla funzione museale.
Da allora l'Eco-Museo etnografico è diventato una creatura viva, non solo come ricostruzione completa e accurata; della casa, degli ambienti, degli oggetti del passato, ma anche come perno di un vero e proprio sistema museale che si allarga a tutti i luoghi storici del territorio: la Chiesa della Torre con preziosi affreschi che decorano le pareti, i dipinti murali che adornano le 43 tribuline poste ai crocicchi di antiche mulattiere, gli affreschi esterni, il mulino, il maglio mulino, le miniere, le fucine e la segheria, un tempo cardini dell'economia locale e la torre dell'orologio.

L' itinerario museale prosegue con la visita agli edifici dei mulini, del maglio, della segheria, ai resti di una fucina, inseriti nel contesto della documentazione etnografica della vallata.La presenza di fucine, mulini e segherie azionate da ruote ad acqua che sfruttavano la ripida corrente dei torrenti fu una costante della vita economica di Valtorta e costituì per secoli la principale fonte di sussistenza di tutta la comunità.

Al mulino, ricostruito ai bordi della Val Marcia, il torrente che lambisce il paese, si è da qualche anno aggiunto il complesso del maglio per la lavorazione del ferro ed il mulino con le macine per il grano ed i pestoni per l'orzo, situati in riva al torrente Stabina, alla confluenza tra la valle di Caravino, proveniente dal Camisolo e la Val Grobbia, che scende dal Pizzo dei Tre Signori, lungo l'antica mulattiera verso le contrade Costa e Scasletto. In quel punto la strada scavalca il torrente su un bel ponticello romanico in pietra, detto del Bolgià, ben conservato e armonicamente inserito nell'ambiente. Dalle numerose fucine presenti sul territorio uscirono una gran quantità di chiodi, prodotti dai famosi "Ciodaroi".
Nei presso del torrente Caravino in località Frer, è possibile visitare i resti delle miniere dalle quali veniva estratto il ferro per il funzionamento delle fucine. (nella foto a fianco, la polveriera )Ed infine, la "calchera ", fornace nella quale veniva prodotta la calce facendo cuocere materiale lapideo, che si trova nei pressi della nuova centrale elettrica prima della frazione Fornonuovo.

La presenza di fucine, mulini e segherie che sfruttavano la ripida corrente dei torrenti fu una costante della vita economica di Valtorta e costituì per secoli la principale fonte di sussistenza di tutta la comunità. Col tempo queste strutture andarono lentamente perdendo la loro funzione, fino ad essere del tutto abbandonate; il recupero di alcune di esse consente ora di aprire una finestra su un aspetto importante della storia della valle. Il ponticelIo e i due edifici del mulino e del maglio costituiscono un complesso di grande interesse storico ed antropologico e sono ormai diventati parte integrante dell’itinerario museale. Consolidate staticamente le strutture murarie, sono stati sistemati e riattivati il bacino di raccolta e la condotta dell’acqua del torrente fino alle due ruote a pale che mettono in moto gli ingranaggi interni a cui sono collegati gli impianti del mulino e del maglio. Animate da questo motore ad acqua, possono così funzionare, da una parte le macine del mulino e i pestoni per l’orzo e dall’altra il martello del maglio, la forgia, le mole e tutti gli altri meccanismi che consentivano ai ciodaröi di Valtorta di lavorare il metallo con l’abilità ovunque riconosciuta. Nei locali sono disposti tutti gli attrezzi propri dell’attività di macinazione (pale, setacci, stadere) e di metallurgia (mazze battenti con stampi per bullonie puntoni, incudini, pinze, martelli), organizzati come se dovessero riprendere a funzionare dopo decenni di quiete. Una scoperta recente è poi quella dei resti di tre fucine che sorgevano ai bordi del torrente-cascata le cui acque azionano il maglio-mulino. Queste tre fucine, situate su tre minuscoli pianori paralleli in un contesto selvaggio di rara suggestione, furono distrutte e sommerse da un’alluvione nel 1890.
Dagli scavi di quella più a valle sono emersi cinque banchi di lavoro in pietra (si tramanda che ciascuno fosse assegnato di diritto ad una famiglia) ed una manciata di chiodi, a testimonianza di quella che era la classica “chiodarola”. La struttura è stata ora recuperata e consolidata e completa quindi la visita al mulino-maglio. E passiamo ad altri recuperi recenti. In primo luogo l’antica miniera che siapre in località Frér, lungo la strada per la Falghera, a monte dei paese, una delle tante che nei secoli hanno costituito la base della vita economica locale. Attualmente è possibile visitare un tratto della galleria e la piccola costruzione che era adibita a polveriera e deposito degli attrezzi da lavoro.



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domenica 28 giugno 2015

CUNARDO



Cunardo è un comune della provincia di Varese noto fin dall'epoca antica, per la lavorazione della ceramica.

Cunardo, deriva dal celtico “Kun Ard”, che significa Posto in alto, e quindi punto d’incontro delle tre valli varesine Valcuvia, Valganna, Val Marchirolo.
In epoca tardo medievale Cunardo era compreso nel feudo di Valtravaglia, concesso al conte Franchino Rusca dal duca di Milano Filippo Maria Visconti, nel 1438.
Nel 1583 il territorio passò alla famiglia Marliani.

Nel XVIII secolo, essendo comune di scarso interesse, l'amministrazione era curata esclusivamente dal sindaco, che procedeva nell'ordinaria amministrazione, mentre per gli eventi straordinari veniva coadiuvato da un gruppo di cittadini. Nel 1751 la popolazione ammontava a 443 abitanti.

Nel 1757 il comune fa parte della Pieve di Val Travaglia. Nel 1786 Cunardo entra nella provincia di Gallarate, e successivamente di Varese, a seguito dell'editto austriaco che divide la regione Lombardia in otto province. Nel 1791 il comune passa alla provincia di Milano. Il primo Consiglio comunale fu eletto nel 1821.

Il paese è posto ai piedi di due monti (Monte Castelvecchio e monte Penegra). Il monte Castelvecchio prende il suo nome dalla fortezza fatta costruire dai Longobardi nel 700 d.C. che dall'alto dominava la valcuvia e la val Marchirolo. Nel comune di Cunardo si ramifica nel sottosuolo una grotta chiamata "Orrido di cunardo" nella quale scorre anche il fiume Margorabbia. Alcune tra le zone importanti della grotta sono l'Antro dei Morti, Lago Ignoto e Grotta della Madonnina.

Cunardo vanta un antichissimo mulino ad acqua, il Molino Rigamonti, di proprietà della famiglia Rigamonti dal 1787. Ancora oggi tutto l’impianto dell’epoca è completamente funzionante e produce crusca, farina integrale, farina da polenta, fine e grossa.

Il Molino Rigamonti si trova lungo il fiume Margorabbia, al confine tra Cunardo e Ghirla.
È un mulino ad acqua. L’acqua della roggia di derivazione viene convogliata in un canale così che, per caduta, fa girare una ruota idraulica verticale in ferro. È il movimento di questa ruota a produrre l’energia necessaria per il funzionamento, tramite una serie di cinghie e di ingranaggi, di tutte le attrezzature necessarie alla macinazione: le macine, la tramoggia, il buratto.
La costruzione del mulino si perde nei secoli. Notizie certe si hanno a partire dal 1787, quando la famiglia Rigamonti acquistò l’impianto da Pasquale Aimetti. La famiglia Rigamonti proveniva da Barzago, in Brianza, ecco il perché della denominazione Molino Barzago, denominazione che ha poi contrassegnato anche la località.
Nel 1891 furono poste le basi per la costituzione della società “Fratelli Rigamonti” per l’attività – così come recita il certificato rilasciato dalla Camera di commercio di Varese – “di oleificio per la fabbricazione degli olii di semi e mulino di granoturco, commercio al minuto di semi e panelli, farina di granoturco e cascami”. Il mulino serviva i contadini e i proprietari che vi portavano il granoturco, che macinato forniva la farina per la polenta, piatto principe nell’alimentazione del passato. Fino al 1951 presso il mulino veniva prodotto anche olio di noci.
La ruota del mulino, immutata, continua a girare grazie alle incessanti e appassionate attenzioni della famiglia Rigamonti, che ancora oggi è proprietaria di questo gioiello. Tutto l’impianto è dell’epoca e completamente funzionante.
L’attuale proprietario, Riccardo Rigamonti produce e vende farina integrale, crusca, farina da polenta, fine e grossa.
L’antico mulino ad acqua Rigamonti, forse l’unico ancora attivo in tutta la provincia di Varese, costituisce ormai una tappa significativa degli itinerari turistici locali.
L’area in cui sorge il mulino, che ha rispettato nel corso degli anni il verde circostante, viene inserita nel 2010 nel Parco regionale Campo dei fiori.
Sempre nel 2010 la Regione Lombardia riconosce al Molino Rigamonti la qualifica di “negozio di storica attività”. Nel 2011 nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, l’impresa viene inserita tra le 150 imprese storiche d’Italia premiate a Roma durante la cerimonia “Italia 150.
La chiesa della Beata Vergine del Rosario, amatissima dai Cunardesi è destinata alla devozione fin dal 1300. Sulla parete esterna del pronao è dipinto l’affresco della Madonna delle Grazie o delle Rose. L’opera, che raffigura la Vergine con in braccio il Bambino, fu eseguita dal professor Valli di Brebbia nel 1940.
La chiesa parrocchiale di Sant’Abbondio, in stile tardo barocco, fu costruita sullo stesso luogo dove sorgevano edifici di culto precedenti e fu consacrata nel 1779. La tradizione vuole che nella costruzione sia stato utilizzato il materiale del vecchio castello da tempo abbandonato. All’interno vi sono affreschi di Alessandro Valdani da Chiasso e l’organo costruito nel 1833 dagli organisti Arioli & Franzetti, usato regolarmente durante la liturgia per sostenere il canto della corale parrocchiale.

Al centro del paese si apre la bellissima piazza IV Novembre, con la “Vittoria alata”, il monumento ai caduti cunardesi delle due guerre. L’opera è stata realizzata negli Stati Uniti dallo scultore locale J. G. Sassi. Il marmo, il bronzo e la modella sono americani e questo è uno dei pochi monumenti in Italia realizzato con marmo statunitense.

Cunardo è attraversata anche da un tratto della Linea Cadorna, il sistema di fortificazioni costruito lungo il confine italo-svizzero durante la Prima Guerra Mondiale, ma mai utilizzato.

Numerose sono inoltre le cappelle votive e gli affreschi sulle facciate delle vecchie case che si possono trovare passeggiando nel paese. In particolare vi sono due affreschi del pittore locale Antonio da Tradate, attivo lungo le sponde del Lago Maggiore e le valli ticinesi tra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI secolo. Sono la “Madonna in trono”, nella frazione di Raglio e la “Pietà” in via Vaccarossi.

Sulle facciate delle case più vecchie, si possono trovare anche diversi motti fascisti risalenti agli anni ’30.

Cunardo vanta antiche tradizioni nella lavorazione della ceramica, pare che l’inizio della sua produzione risalga al tempo dell’Imperatore Tiberio.

Nel 1796 Camillo Adreani rivitalizzò la ceramica di Cunardo, con l’introduzione di colorazioni verdi e blu la cui lucentezza era insuperabile e che ornò una produzione quasi esclusiva costituita da vasi per unguenti e profumi e vasi per speziali, venduti anche Oltralpe. Adreani impiantò il suo laboratorio di ceramica sfruttando le conoscenze dell’arte apprese a Faenza. La materia prima era a portata di mano: l’argilla dei luoghi, la legna dei boschi, l’acqua pura, sono gli ingredienti che hanno consentito di creare una felice storia della ceramica nella provincia di Varese.
 Alcuni pezzi decorati col “blu Cunardo“, (colore di cui solo i maestri cunardesi conoscevano il segreto della produzione) sono ormai autentiche rarità e sono conservati al Museo internazionale delle ceramiche di Faenza e al Museo Poldi Pezzoli di Milano.

Nel 1896 le fabbriche di ceramica a Cunardo risultavano essere quattro; oltre ad esse, vi erano svariate fornaci per laterizi e calcina. Delle molte fabbriche storiche di maioliche del Piambello, oggi ne sopravvive solo una, sorta sui resti di una fornace da calce ottocentesca, attiva fino agli anni ’30.

Nel 1951, la famiglia di Gianni e Giorgio Robustelli fonda la ceramica Ibis. Dagli anni ’60, con l’istituzione dell’Associazione Culturale Cun-Art, la ex fornace da calce diventa luogo di incontro per artisti di livello mondiale, desiderosi di cimentarsi con l’arte ceramica. Tra le illustri firme rimaste alle Fornaci si leggono infatti quelle di Fontana e Burri, di Guttuso e Ennio Morlotti, di Baj e di Schumacher. Importante è la presenza alle Fornaci di Aldo Carpi e il ricordo delle gustose liti tra Guttuso e Alberto Milani. Anche Piero Chiara veniva a dilettarsi alle Fornaci, tanto da aver lasciato una collezione di piatti, dipinti di sua mano e destinati a essere riprodotti sulle copertine di alcuni suoi romanzi. Vittorio Tavernari ha sua volta prodotto per gli amici Robustelli le sue uniche ceramiche. Piaceva lavorare qui anche ai Frattini, padre e figlio, a Spaventa Filippi e Sergio Pasetto, a Gottardo Ortelli e Luciano Ferriani.

Nel 2014 Giorgio Robustelli ha creato l’associazione “Amici delle Fornaci Ibis”, che ha come scopo il rilancio culturale delle Fornaci di Cunardo con iniziative incentrate non necessariamente sull'arte ceramica, ma che spaziano anche in altre forme di espressione.



Le grotte di Cunardo si sono formate dove il fiume Margorabbia ha scavato nella roccia calcarea, nel corso dei millenni, uno spettacolare traforo idrogeologico, tra cui una grotta ampia e lunga circa una centinaia di metri, percorribile anche da persone poco esperte. E’ un fenomeno naturale unico in Lombardia

Si tratta di un complesso ed importante traforo idrogeologico unico in Lombardia.Comprende le grotte Pont Niv e Antro dei Morti ma si collega anche con altre grotte.Si sviluppa in forma di labirinto di gallerie,ora ampie,ora anguste,scavate dalle acque,talvolta in pressione(condotta forzata) con diversi sifoni attivi di cui due importanti. E percorso dal torrente Margorabia che, nei periodi di piena allarga i rami attivi e rende pericoloso l'accesso a buona parte delle grotte.

Ingresso a spaccatura orizzontale larga m.20 tra strati orizzontali.Inoltrandosi si costeggia una cartiera diroccata,si lascia a destra un laghetto e si prende a sinistra fino ad un salto di m.3.Alle spalle vi è un laghetto limpido e calmo a monte del quale si trova un vasto e scomodo labirinto. Scendendo invece,si giunge ad una comoda galleria,a sinistra della quale si staccano alcuni cunicoli tortuosi; a destra si sbocca  ai due terzi di un pozzo con violenta cascata di una dozzina di metri.Proseguendo su un terreno molto sdrucciolevole si perviene ad un salto di 12 metri che si affaccia su di un vasto cavernone. Superato si accede ad una galleria levigata,un successivo  salto di 3 m. ci permette di arrivare nel cavernone  che si attraversa completamente per raggiungere l'ingresso di una galleria che porta,dopo un nuovo pozzetto di m.8,direttamente al laghetto terminale.Il lago terminale o lago sferico,così chiamato per la forma della volta, ha una quindicina di metri di diametro ed è in comunicazione attraverso un sifone lungo una trentina di metri,con l'Antro dei Morti.

Ingresso pure a spaccatura orizzontale larga una ventina di metri tra strati orizzontali.La grotta si divide in 2 parti distinte:la prima, a sinistra, detta galleria del torrente,è lunga 120m. circa.Da una bassa volta laterale esce il torrente, alimentato dal cosiddetto lago Ignoto che comunicava,per via subacquea  col Lago Sferico di Ponte Nativo.Seguendo il corso del torrente si arriva a  un piccolo e suggestivo laghetto che comunica con l'esterno per mezzo di un breve sifone.Piegando sulla sinistra del lago ed inoltrandosi nella prima parte del labirinto, si giunge in breve alla seconda uscita della grotta che si affaccia nella parte superiore del profondo Orrido nel quale si getta il torrente Margorabia. La seconda parte della grotta è costituita dalla cosiddetta galleria  asciutta o fossile,lunga 180 metri.

Il complesso carsico di Cunardo  venne visitato numerose volte nel passato soprattutto per il suo facile accesso e per la vicinanza con i centri abitati.Una buona descrizione venne data nel 1923 da A.Bohm e A.Di Renzo e la pianta dell'Antro dei Morti,pubblicata in quella occasione,fece testo per molti anni.Successivo è l'interessamento da parte di squadre di speleologi che miravano alla soluzione dell'ultima delle incognite di questo complesso ipogeo,cioè il collegamento  sotterraneo tra il Ponte Nativo e l'Antro dei Morti. A ciò si dedicarono in particolar modo elementi di Gruppi Grotte di Varese, Desio,Milano e Como cui si devono le scoperte  e le esplorazioni  del cosiddetto lago Ignoto  nella prima parte dell'Antro dei Morti,del lago Sferico e l'individuazione del sifone terminale del Ponte Nativo.Nel 1954 due sommozzatori del Gruppo Grotte Milano,forzarono felicemente il sifone n.2 che collega il laghetto terminale dell'Antro dei Morti con lo sbocco della grotta sull'Orrido.IL 7 ottobre 1954 venne finalmente effettuato il superamento del sifone n.1 che unisce ,l'Antro dei morti con il Ponte Nativo.

Il torrente Margorabia ,che prende origine dal Monte Martica,dopo aver percorso la Valganna, alimentando i laghetti di Ganna e Ghirla , con un notevole salto all'altezza di Cunardo scende in Valcuvia per gettarsi,infine,nel Lago Maggiore unitamente al Fiume Tresa,poco a sud di Luino.Nel salto tra Cunardo e Ferrera il Margorabia ha traforato il gradino roccioso formando le due caverne che si susseguono separate da un sifone.Questo complesso carsico sotterraneo costituisce l'unico traforo naturale lombardo d'un corso d'acqua quasi solo superficiale.Subito a monte della grotta superiore le acque del torrente sono trattenute da una piccola diga che alimenta la centrale di Ferrera Valcuvia.

Dal punto di vista archeologico meritano menzione alcuni frammenti di ceramica romana raccolti da C. Chiesa nel 1937 ed altri d'età meno remota rivenuti da G. C. Cadeo e G. Orlandi nel 1948.

Cunardo è famosa per la pista di sci di fondo “Sole e Neve”. La pista è gestita dallo Sci Club Cunardo, che ogni anno organizza corsi individuali e di gruppo. Numerose sono anche le scuole che sfruttano il centro per proporre ai propri alunni un’attività di avviamento alla pratica dello Sci di fondo.

Il percorso della pista Sole e Neve parte dalla Baita del fondista, fornita di locale ristoro, spogliatoi, docce, noleggio del materiale tecnico, impianto di illuminazione, impianto di innevamento programmato (il primo realizzato in Italia per l’approntamento di una pista di sci di fondo, nel 1987).

D’estate la pista da sci si trasforma in bellissime piste ciclabili, completamente asfaltate, che collegano Cunardo con i paesi vicini. Le piste si addentrano nei prati e nei boschi e permettono di ammirare i tesori cunardesi (costeggiano anche il Molino Rigamonti e la Fornace Ibis).

Numerose sono le manifestazioni organizzate dalle associazioni cunardesi. Le più importanti hanno luogo durante il periodo estivo.
Ogni anno, a giugno, la Pro Loco organizza il Palio dei Rioni, una gara dove per tre settimane i 6 rioni di Cunardo (Borgo, Filanda, Ponte Nativo, Pozzo Castelvecchio, Raglio, Sasso Morone) si sfidano in diversi giochi.
Nel mese di luglio, il gruppo folkloristico I Tencitt organizza, presso la Baita del fondista, il Festival Internazionale del folklore, che trasforma Cunardo “nell’ombelico del mondo”. Due settimane di danze, canti, musiche e colori da ogni parte dell’Italia e del mondo.

Ad agosto arriva invece uno degli appuntamenti più attesi dell’estate cunardese, la Sagra della patata, con un menù ricco di specialità. Il ricavato è donato ogni anno alla Scuola Materna di Cunardo.

Sempre ad agosto, i cunardesi celebrano il loro Santo Patrono, Sant’Abbondio.

Il gruppo folkloristico I Tencitt a settembre organizza inoltre la Sagra del fungo, un appuntamento fisso per tantissimi appassionati, con un ricchissimo stand gastronomico.

La festa più sentita dai Cunardesi è però la Festa della Madonna del Rosario, considerata la vera “Festa del paese”, che ha luogo la prima domenica di ottobre. Ogni anno, dopo le celebrazioni religiose e la processione per le vie del paese con la statua della Madonna del Rosario, si tiene l’incanto dei canestri, dove i doni (solitamente prodotti gastronomici) che i Cunardesi offrono alla Madonna vengono “venduti all’asta”. Il ricavato è destinato al sostentamento della Parrocchia.

Fra le personalità cunardesi più influenti vi è sicuramente Vittorio Formentano, fondatore dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue).
Formentano acquistò una residenza estiva ottocentesca a Cunardo, dove scelse di trascorre gli ultimi anni della sua vita.
A lui Cunardo ha dedicato il parco e l’anfiteatro Formentano, sede di numerose manifestazioni.

A Cunardo vive anche il campione Federico Morlacchi, il nuotatore italiano vincitore di tre medaglie di bronzo ai giochi paralimpici di Londra, un oro, un argento ed un bronzo mondiali, cinque ori europei e detentore del record del mondo dei 400 farfalla S9.



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