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sabato 11 luglio 2015

IL RITO AMBROSIANO



Il rito è un modo in cui il cristianesimo si incarna in una cultura: ci possono essere accentuazioni diverse su come rapportarsi a Cristo o vivere la realtà della Chiesa. Quelli attualmente in uso nella Chiesa cattolica sono il rito latino e i riti orientali: bizantino, alessandrino o copto, siriano, armeno, maronita e caldeo. Il rito latino comprende il rito romano, quelli di alcune Chiese locali, come il rito ambrosiano per la Chiesa milanese o quello ispano-mozarabico per alcune regioni spagnole, e il rito di alcuni ordini religiosi, come quello certosino. Da ricordare che nel corso della storia alcuni riti sono stati progressivamente assorbiti dal rito romano oppure soppressi, come il rito gallicano usato in Francia e quello patriarchino dei patriarcati di Aquileia, Grado e Venezia.

Il rito ambrosiano è un rito liturgico della Chiesa cattolica milanese, che si distingue da quello utilizzato nel resto dell'Occidente, detto invece rito romano.

Il rito ambrosiano deriva dalla tradizione che si è stratificata nella liturgia milanese. La sua sopravvivenza vide molti critici, quando vennero soppressi altri riti locali. Quando papa Gregorio I, alla fine del VI secolo, modificò, riordinò ed estese a tutta la chiesa occidentale la liturgia romana, il rito ambrosiano, data la grande importanza e il peso della chiesa milanese, riuscì a sopravvivere alla soppressione dei riti occidentali minori, insieme al rito mozarabico. La sua legittimazione definitiva si ebbe comunque con il Concilio di Trento (occorre tener conto che allora regnava un papa milanese (Pio IV) e che l'anima del Concilio fu il vescovo di Milano san Carlo Borromeo).

È attualmente seguito solo nella diocesi di Milano (con l'eccezione dei decanati di Monza, Treviglio e Trezzo sull'Adda, delle parrocchie di Civate e Varenna e delle chiese non parrocchiali dei religiosi, oltre che dell'Aloisianum a Gallarate) e in alcune parrocchie del comasco e del bergamasco. Fuori dalla Lombardia è seguito nelle parrocchie di Cannobio e di Cannero Riviera (nel vicariato del Verbano in Diocesi di Novara) e nel Canton Ticino. In quest'ultima regione interessa le parrocchie della Valle Capriasca, di Brissago e Ascona e delle tre valli superiori del Cantone: Blenio, Riviera e Leventina, dette appunto le Tre valli ambrosiane. Nella diocesi di Lodi è in uso solo nelle parrocchie di Colturano, Balbiano e Riozzo.

La celebrazione della Messa presenta gli stessi elementi della Messa del rito romano, ma alcuni di essi sono disposti diversamente. Lo scambio della pace, ad esempio, non è immediatamente prima della comunione dei fedeli, ma viene anticipato al termine della Liturgia della Parola, prima della preparazione dei doni. Altre minori differenze sono la mancanza dell'Agnus Dei e la triplice invocazione Kyrie eleison nei riti conclusivi.

A partire dalla prima domenica di Avvento del 2008, verrà introdotto il nuovo Lezionario Ambrosiano che segnerà una diversificazione, fondata su un'antica e consolidata tradizione, del Rito della Chiesa Ambrosiana rispetto al resto della tradizione Latina. Tra le novità di maggiore interesse, oltre al succitato Lezionario, l'attuale Messa festiva del Sabato sera, nota come "Messa Pre-Festiva", subirà un cambiamento nelle modalità di celebrazione. È prevista infatti che essa sia preceduta da una particolare celebrazione vigilare, in forma solenne o comune, che consiste essenzialmente nella lettura di un brano di Vangelo che parla della Resurrezione di Gesù. Inoltre, è stato rivisto anche il Calendario Liturgico Ambrosiano, differente da quello Romano per diversi aspetti.

L'Avvento ambrosiano dura sei settimane, contro le quattro del rito romano, mentre la Quaresima inizia la domenica successiva al "mercoledì delle ceneri" con l'imposizione delle ceneri al termine della Messa festiva.

Una delle differenze che appare più evidente ai fedeli è l'uso del turibolo, che è scoperto e viene usato facendolo girare per aria, in un modo del tutto sconosciuto al Rito Romano che invece lo usa esclusivamente in senso antero-posteriore, ed è coperto da un coperchio traforato. Il modo di incensare ambrosiano è infatti "per ductum et tractum", cioè facendo prima roteare il turibolo (ductus) e poi spingendolo in avanti (tractus) verso la persona o la realtà sacra da venerare, in modo tale che chi incensa "disegni" per così dire la forma di una croce. Nel ductus il turibolo viene fatto ruotare da sinistra a destra (in senso orario); nel tractus il turibolo viene alzato verticalmente e abbassato.

Una differenza con il rito romano riguarda la forma dell'ostensorio che ha conservato la più antica conformazione a tempietto, mentre nel rito romano ha assunto una forma di raggiera.

L'ostensorio e la pisside sono ricoperti da conopei di colore rosso e non bianco.

L'aspersorio è fatto come un piccolo pennello e l'acqua è trattenuta dalle setole.

La croce astile viene sempre rivolta al celebrante, quindi nelle processioni il Crocifisso è volto indietro, mentre nel rito romano è volto in avanti. Sulla stessa croce o sulla croce dell'altare è possibile collocare le candele.

Alcuni sacerdoti (prevosti e vicari episcopali) hanno il diritto di portare durante le processioni la ferula, cioè un bastone sormontato da un globo e una piccola croce.

In generale la foggia dei paramenti liturgici è uguale a quella romana, esistono però alcune particolarità, sebbene non sempre presenti o rispettate:
i diaconi indossano la stola sopra la dalmatica;
l'amitto è indossato sopra e non sotto al camice;
il camice può essere ornato con i cosiddetti "aurifregi", cioè due strisce di tessuto, dello stesso colore dei paramenti, applicate alle estremità delle maniche e due quadrati applicati, uno davanti e uno dietro, nella parte inferiore del camice stesso;
è possibile che ci sia il Cappino, striscia di tessuto nei vari colori liturgici, applicata intorno al collo della dalmatica e della pianeta o casula. Anticamente il Cappino era unito all'amitto, secondo l'uso tuttora vigente in alcune chiese orientali;
chi ha diritto alla croce pettorale (vescovi, canonici, ecc..) la porta sopra la casula o pianeta.
Vi sono anche differenze che riguardano il colore dei paramenti:
nel rito ambrosiano il colore per le celebrazioni del SS.mo Sacramento è il rosso, a differenza del rito romano dove il colore liturgico previsto è il bianco. Per questo motivo si utilizza il rosso alla messa "in cena Domini", al "Corpus Domini" e nella Festa del Sacro Cuore di Gesù;
nel tempo dopo Pentecoste e dopo il martirio di San Giovanni Battista si utilizza il rosso, mentre nel corrispondente tempo ordinario romano si usa il verde;
al posto del viola si utilizza o si dovrebbe utilizzare una particolare tonalità detta morello;
nelle ferie quaresimali, ad eccezione del sabato (non considerato feria), si può usare il nero;
non si utilizza il colore rosaceo ne l'azzurro.
Vi sono differenze anche negli abito del clero:
la veste talare, abbottonata fino in fondo nel caso del rito romano, è chiusa con soli 5 bottoni nella parte superiore e poi fermata in vita da una fascia nera nel caso dei sacerdoti di rito ambrosiano;
la berretta è leggermente più alta di quella del clero romano ed il fiocco è presente solo sulle berrette dei prevosti (vescovi e monsignori usano la berretta romana corrispondete al proprio grado).

Un elemento fondamentale del rito e della liturgia ambrosiana è costituito dal canto "ambrosiano". Fu Sant'Ambrogio stesso che, per la prima volta in assoluto nella liturgia della Chiesa, introdusse nel 386 l'uso di canti non derivanti dai salmi (gli unici fino ad allora cantati durante le messe). Questa sua innovazione si diffuse presto anche nelle Chiese di altro rito.

Ambrogio è stato definito il più musicale dei Padri, in quanto ha personalmente composto testi e musiche dei suoi inni, innovando anche lo stile, grazie all'introduzione della metrica classica al posto di quella libera che era simile alla salmodia ebraica. Scelse per i suoi inni il dimetro giambico e introdusse la antifonia, elemento fondamentale per consentire a tutta la massa di fedeli una maggiore partecipazione al rito, grazie ad un canto collettivo eseguito da un'ala maschile e da un'altra ala composta da donne e bambini. Per agevolare il popolo alla declamazione, Sant'Ambrogio realizzò versetti facili da recitare ed eliminò sia il ruolo del solista sia la presenza dei vocalizzi, rendendo tutto l'insieme più armonico.

Come il canto gregoriano, anche il canto ambrosiano fu naturalmente modificato nel corso dei secoli dalla sua elaborazione da parte di Ambrogio, ma non di meno oggi lo si definisce il più antico corpus musicale occidentale. Per preservare questo patrimonio insostituibile è stato istituito il PIAMS (Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra) consociato con il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.

I testi liturgici musicali e canori ambrosiani sono contenuti nei volumi "Antiphonale Missarum iuxta ritum Sanctae Ecclesiae Mediolanensis" (1935) e "Liber Vesperalis" (1939) editi dal musicologo benedettino spagnolo Gregorio Maria Suñol.

Quando la messa è preceduta da una processione, giunti al limite del presbiterio la processione si arresta, la croce affiancata dai cantari ambrosiani si rivolge al celebrante e il clero si dispone su due file una di fronte all'altra, in fondo il celebrante con i ministri resta rivolto alla croce e all'altare. A questo punto il solista e l'assemblea si alternano cantando 12 volte (6 ciascuno) "kyrie eleison" a cui segue di norma una sallenda. Durante il "Gloria al padre" della sallenda ci si inchina prima alla croce e poi al celebrante, quindi la processione entra in presbiterio. Il canto dei 12 kyrie sostituisce l'atto penitenziale. È prescritto dopo la processione con le palme nella domenica delle palme e dopo la processione con le candele nella festa della presentazione del Signore al tempio.

Caratteristica delle celebrazioni vespertine è il rito della luce o lucernario. La processione con il celebrante entra in chiesa al buio e con i cantari spenti al fianco dell'unica lanterna accesa, che apre la processione. Giunti ai piedi del presbiterio, dopo il saluto all'assemblea, al celebrante vengono presentati i cantari e la lanterna; il celebrante provvede ad accenderli, quindi vengono accesi i ceri dell'altare, sempre dalla stessa fiamma, e secondo l'opportunità infuso l'incenso e incensata la mensa. Il rito si conclude con l'inno, intonato dal celebrante.

Il cardinal Schuster ha limitato questa liturgia alle solenni celebrazioni della vigilia. Vi è un apposito canto per questa liturgia.

Nel rito romano una variante di questa liturgia si svolge solo una volta all'anno, in occasione della benedizione del cero pasquale.

Tuttora in uso è il rito del "faro", la cui origine è antichissima (se ne trova traccia nel VII secolo), e celebrato ora in occasione delle feste patronali, ma solo se si tratta di un santo martire. La sua origine e significato sono incerti: un significato puramente allegorico sarebbe l'allusione al sacrificio della vita da parte del martire.

Il rito si svolge in questo modo: all'inizio della messa solenne si svolge una processione che si ferma al limite del presbiterio dove è sospeso in alto un pallone, di stoppa o bambagia o di altro materiale combustibile, solitamente ornato con una croce, una corona e delle palme (simbolo del martirio). Dopo il canto dei 12 kyrie e della sallenda propria con il Gloria, mentre si ripete la sallenda, il celebrante, senza nulla dire, con un'apposita verga sormontata, solitamente, da 3 candelette incendia il pallone e sale in presbiterio. Un tempo probabilmente veniva incendiato dalla candela che era posta sulla croce astile dallo stesso ostiario che portava la croce.

Il rito del faro è celebrato nel Duomo di Milano in occasione di Santa Tecla, patrona della parrocchia del Duomo e in molte delle parrocchie dedicate a santi martiri nel giorno della loro festa.

Un'altra cerimonia particolare e di origine antichissima quanto incerta, è la processione dell'Idea. Si svolge il 2 febbraio festa della presentazione del Signore al tempio e consiste nel portare in processione prima della messa un'icona mariana sormontata da una candela.

Non si sa da che cosa derivi questa denominazione: secondo alcuni da una celebrazione della dea pagana Cibele (il cui attributo era Magna Mater Idea), secondo altri dal nome generico di "immagine". L'immagine in questione è quella di una Madonna con bambino, una volta trasportata da due presbiteri su una lettiga con manici in forma di scala, portandola con stanghe e stando uno davanti e l'altro dietro, come si vede da un bassorilievo medievale conservato al Museo del Castello. un tempo si svolgeva tra le chiese di (Santa Maria Beltrade e Santa Maria Maggiore). Oggi si svolge solo nel Duomo di Milano e nella Basilica di S. Ambrogio: la lettiga non viene più portata da presbiteri, ma da diaconi.

Nel catino absidale del Duomo di Milano è conservato un morso di cavallo che la tradizione dice essere uno dei chiodi della Passione. In occasione della festa dell'Esaltazione della Santa Croce, l'arcivescovo sale su un carro seicentesco che viene issato fino al reliquiario (a oltre 40 m di altezza rispetto al pavimento), lo porta a terra e lo espone alla venerazione dei fedeli. Alla fine, con lo stesso carro lo riporta al suo posto. Il carro è ornato con angeli e nuvole dipinte, e per questo viene chiamato nivola (cioè nuvola), da cui deriva il nome di rito della Nivola.

La cerimonia relativa prende il nome da questo carro, che per secoli è stato issato da 24 uomini (12 a destra e 12 a sinistra), e solo negli ultimi anni è stato motorizzato. La nivola fa parte delle "macchine", o apparati presenti in modo più o meno residuale in celebrazioni in vari riti (come le macchine processionali per le statue di santi o il grande turibolo di Santiago di Compostela).

Un tipico suono delle campane (peraltro non esclusivo del rito ambrosiano, ma diffuso anche in molte parti del Nord Italia a causa del forte influsso esercitato dalla tradizione dell'arcidiocesi di Milano) dipende dal tipo di struttura su cui sono montate le campane e dalla cosiddetta "inceppatura". Questo genere di inceppatura è tipico della Lombardia, della Liguria, della maggior parte del Piemonte, di parte del Veneto e di parte dell'Emilia-Romagna.

Una volta messe in movimento, le campane possono suonare "a distesa" (senza sequenza) per semplice oscillazione di pochi gradi rispetto al loro asse, oppure "a concerto" (seguendo una serie precisa di "sganci").

Su appositi supporti dell'"incastellatura", su cui è collocata ogni singola campana, si trova una balestra che ha la funzione di far arrestare la campana stessa una volta che questa ha compiuto la sua rotazione; detta balestra serve anche a favorire (col suo molleggio) lo sgancio successivo. L'arresto e sosta "in piedi" della campana sono possibili grazie a una piccola staffa posta sulla ruota, la quale staffa va appunto a scontrarsi con la balestra. Per eseguire il concerto solenne occorre portare le campane in posizione ribaltata di 180° rispetto alla posizione di fermo. Una volta raggiunta tale posizione di stallo, detta "a bicchiere" o "in piedi" (bocca in alto e contrappeso in basso), le campane, sganciate una alla volta o a coppie (eseguendo in questo secondo caso un accordo), si ribaltano (a questo punto di circa 360°) emettendo un rintocco ogni volta in cui il battacchio cade su uno dei due bordi della campana, mentre la campana gira: ad ogni giro vi sono quindi due rintocchi, uno allo sgancio e uno al ritorno verso la posizione di stallo.

Calcolando il tempo che ogni campana impiega per compiere detta rotazione, è possibile comporre determinate successioni di suoni, con la possibilità di ottenere particolari concerti.

Il rito ambrosiano ha un suo calendario e un suo complesso di norme che regolano le precedenze liturgiche. L'anno liturgico inizia con l'Avvento, prosegue con il "tempo di Natale" e quello "dopo l'Epifania", seguono la Quaresima, il "tempo Pasquale", il "Tempo dopo Pentecoste", quello dopo il Martirio di san Giovanni e quello dopo la dedicazione del Duomo.

Nel rito ambrosiano è previsto il colore morello, tranne che nell'ultima domenica (detta "dell'Incarnazione") nella quale si usa il bianco.

Una delle peculiarità di questo rito, con profili non soltanto strettamente religiosi, è l'inizio della Quaresima, che non parte dal Mercoledì delle Ceneri, ma dalla domenica immediatamente successiva. Ciò dà luogo (ad esempio in Canton Ticino, a Tesserete e Biasca) alla distinzione tra carnevale "nuovo" (quello romano) che termina con il martedì grasso e carnevale "vecchio" (quello ambrosiano) che si conclude, invece, il sabato seguente.

La differenza tra il carnevale ambrosiano e quello del resto del mondo è dovuto proprio al diverso modo di calcolare le date di inizio e fine della Quaresima:

il rito ambrosiano intende la Quaresima come un periodo di penitenza, ma non di stretto digiuno, in preparazione al Triduo Pasquale. Pertanto contando a ritroso dal giovedì Santo 40 giorni, si arriva alla prima domenica di Quaresima: dunque i quaranta giorni di penitenza iniziano alla sesta domenica prima di Pasqua. Questo era il computo originale della Quaresima in tutti i riti.
Il rito romano invece, all'idea di quaranta giorni di penitenza, sostituì nel Medioevo quella dei quaranta giorni effettivi di digiuno in preparazione alla domenica di Pasqua. Partendo quindi dal sabato Santo e contando quaranta giorni a ritroso, saltando però le domeniche, in cui non si digiunava, si giunge esattamente al mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima, che divenne il "Mercoledì delle ceneri".
Vi sono differenze anche nella concezione dei venerdì di Quaresima: per il rito ambrosiano, infatti, il venerdì è feria aneucaristica, durante la quale non possono essere celebrate messe, per vivere in modo radicale la privazione da Cristo, come avviene nel sabato Autentico, per accoglierLo pienamente con la Pasqua. Nelle altre feriae di Quaresima, quindi tutti i giorni tranne la domenica e il sabato (considerato semi-festivo in rispetto della prescrizione mosaica e come preparazione alla domenica), l'aspetto penitenziale è espresso dalla colorazione (facoltativa) nera dei paramenti anziché viola-morello. Nelle domeniche invece, come da tradizione ambrosiana, è sottolineato il percorso battesimale, che portava un tempo e può tuttora portare i catecumeni a prepararsi al battesimo nel giorno di Pasqua, e che guida i fedeli battezzati a riscoprire il significato di questo sacramento.

La Settimana Santa è chiamata Hebdomada Authentica (Settimana Autentica), in quanto vi si celebrano gli eventi centrali della storia. I riti del triduo Pasquale sono completamente diversi da quelli del rito romano.

Caratteristica tipica del rito ambrosiano è l'assoluta centralità della domenica, con il suo inizio dal tramonto del sole del giorno precedente. La messa vespertina del sabato, impropriamente talvolta detta prefestiva, ha il suo valore proprio e originario di messa vigiliare, ben evidenziato da un particolare rito, introdotto con l'edizione del lezionario entrato in vigore in occasione dell'Avvento 2008: all'inizio della messa, al posto dei riti penitenziali, è prevista la lettura di un brano di Vangelo che parla della Resurrezione di Gesù, tranne che in Quaresima dove vengono letti brani evangelici che preannunciano il mistero pasquale. È anche possibile celebrare con maggior solennità l'inizio della domenica unendo i vespri alla messa vigiliare e alla lettura del vangelo vigiliare.

L'anno liturgico scandisce anche la sequenza delle letture bibliche nelle celebrazioni eucaristiche.

Anche il rito ambrosiano, come quello romano è strutturato, per le messe festive, su un ciclo triennale (anni A, B e C).

Per le celebrazioni feriali il ciclo è invece biennale (I per gli anni dispari, II per i pari).

Il Messale attualmente in vigore è l'edizione del 1990. Come il messale romano, contiene tutte le parti fisse e variabili della messa eccettuate le letture.

Dopo un periodo transitorio, durato dalla riforma liturgica postconciliare, caratterizzato dall'utilizzo del lezionario romano ed integrato da un volume ambrosiano utilizzato in alcuni periodi dell'anno liturgico, dal 16 novembre 2008 (I domenica di Avvento) è entrato in vigore il nuovo lezionario. Nel nuovo lezionario sono state mantenute le letture proprie dei tempi forti (Avvento, Natale, Quaresima, Settimana Santa, Pasqua) e state recuperate altre letture tradizionalmente proclamate nel resto dell'anno. Accanto a questo recupero, secondo le indicazioni conciliari, sono state affiancate altre letture creando così, come nel rito romano, un ciclo triennale nelle domeniche e biennale nelle ferie.
È organizzato in 3 libri:
Libro I - Mistero dell'Incarnazione; comprende le letture dell'Avvento, del periodo natalizio e del tempo dopo l'Epifania.
Libro II - Mistero della Pasqua; contiene le letture della Quaresima, della Settimana Santa e del tempo pasquale fino a Pentecoste.
Libro III - Mistero della Pentecoste; usato dal lunedì dopo la Pentecoste fino al sabato precedente alla 1ª domenica di Avvento, è diviso a sua volta in 3 sezioni:
da dopo Pentecoste al martirio di San Giovanni il Precursore (29 agosto);
da dopo il Martirio fino alla solennità della Dedicazione del Duomo di Milano (III domenica di ottobre);
da dopo la Dedicazione fino alla 1ª domenica di Avvento
Ciascun "Libro" è suddiviso in un volume festivo articolato in un ciclo triennale (A-B-C) e uno feriale che segue un ciclo biennale (I-II).

Dal 14 novembre 2010 (I domenica di Avvento) entra in vigore anche il volume per le celebrazioni dei Santi. Inoltre da tale data hanno adottato il nuovo lezionario anche le parrocchie di rito ambrosiano appartenenti alla diocesi di Bergamo.

Tale ultima versione del lezionario ha incontrato alcune perplessità, in particolare di tipo teologico-liturgico, da parte di alcuni prelati, il più autorevole dei quali è stato il Cardinal Giacomo Biffi, già Arcivescovo di Bologna, profondo conoscitore della liturgia ambrosiana in quanto proveniente dal clero di Milano. Le perplessità del Cardinal Biffi sono state prontamente confutate dalla Congregazione del rito ambrosiano, per voce autorevole del professor Cesare Alzati.
La liturgia delle ore è pubblicata secondo il rito ambrosiano in 5 volumi distribuiti lungo l'anno liturgico; esistono anche edizioni ridotte in un solo volume. La struttura di lodi e vespri è piuttosto diversa da quella del rito romano.

Nel rito ambrosiano sono stati pubblicati i seguenti rituali:
Comunione e culto eucaristico fuori dalla messa
Sacramenti per gli infermi
Rito del Matrimonio
Rito delle Esequie
Per le altre celebrazioni si usano i rituali romani fino alla pubblicazione dei rituali ambrosiani.



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giovedì 19 marzo 2015

IL MUSEO DELLA BASILICA DI GANDINO

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Il Museo della Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino (Bergamo), allestito nel Palazzo del Vicario (XVI secolo), è stato inaugurato il 15 dicembre 1929, per volere di mons. Giovanni Bonzi per conservare, valorizzare e promuovere la conoscenza del patrimonio storico-artistico proveniente dalla Basilica di Santa Maria Assunta e dal territorio gandinese.
Il Museo, destinato a raccogliere le opere d'arte e la suppellettile liturgica della parrocchiale, venne ideato dal prevosto mons. Giovanni Bonzi e sollecitato da mons. Angelo Giuseppe Roncalli in occasione delle sue visite a Gandino.
La sede fu individuata nel Palazzo del Vicario (XVI secolo), situato vicino alla Basilica, venne inaugurata il 15 dicembre 1929.
Nel 1963 il palazzo, non più sufficiente per raccogliere tutte le opere che la Parrocchia lungo i decenni aveva raccolto, venne ristrutturato ed ampliato.
Successivamente, tra il 1985 e il 1988, venne aumentato lo spazio espositivo, utilizzando un altro antico edificio limitrofo, per accogliere le nuove sezioni dedicate ai presepi e all'archeologia tessile.

Il museo di arte sacra della basilica di Gandino raccoglie moltissime testimonianze artistiche provenienti dalla vicina Basilica di Santa Maria Assunta. Le collezioni abbracciano vari ambiti artistici e si suddividono in: pinacoteca, tesoro, arazzeria, intagli e mobili, graduali e corali, tessili, pizzi.

Non manca però la possibilità di focalizzare una sola di queste dimensioni come quella dei tessuti (grazie anche alla possibilità di visionare campioni di tessuti aulici dal vero) o quella degli argenti per comprendere le varie tipologie di lavorazione ( sbalzo, cesello, bulino, ecc.)

Il museo della tessitura è una tappa fondamentale per comprendere le motivazioni della ricchezza e della produttività della terra gandinese.
In esso si custodiscono i macchinari e gli attrezzi originali necessari alla lavorazione della lana che dal XV sec. Si è sviluppata a Gandino. Si possono ripercorrere in museo i procedimenti della filatura e della tessitura  grazie anche a illustrazioni e modellini in scala di antichi edifici industriali.
La presenza di campionari d’epoca consente di toccare con mano le tipologie di tessuto prodotte in passato a Gandino e di apprezzare le lavorazioni legate alla macchina Jacquard.

Il museo dei presepi rappresenta certamente un unicum nel suo genere nell’ambito delle valli bergamasche. Esso raccoglie oltre 300 presepi provenienti da ogni parte del mondo e realizzati con varie tecniche e materiali. Disposti per ambiti geografici o per analogia di realizzazione, i presepi consentono di incontrare svariate culture e correnti artistiche. I ragazzi possono così lasciarsi coinvolgere nella ricerca dei materiali da costruzione più curiosi come l’avorio o i frutti o il vetro e dedurre le culture d’origine grazie aidifferenti stili nell’abbigliamento, nella postura nell’espressione dei singoli personaggi.
Numerose testimonianze artistiche pittoriche e scultoree consentono di creare una prospettiva storica in cui inquadrare l’evoluzione dell’iconografia dell’evento natalizio dal sec. XV ai giorni nostri. Non mancano chiaramente gli spunti legati alla storia cristiana e soprattutto all’ambito della religione.
Inoltre la presenza di opere d’arte di importanti autori contemporanei consente un approccio alla produzione artistica del nostro tempo che rivede e ripropone l’antico tema del presepe.

L'itinerario museale si sviluppa in tre sezioni espositive, lungo il quale sono presentate opere e suppellettile liturgica, databili dal XV al XX secolo.
Sezione I - Arte Sacra
Questa sezione presenta, lungo dieci sale, le opere e la suppellettile liturgica legate alla storia della Basilica o pervenute al Museo attraverso donazioni di privati.
Sala I - Croce dipinta
Nella prima sala è esposta:
Croce processionale (XV secolo), tempera su tavola, di anonimo pittore lombardo, proveniente dall'arco trionfale della Basilica, dove era stata collocata per volere di san Carlo Borromeo: questa costituisce un autentico unicum nel panorama artistico bergamasco e venne realizzata con lo scopo di essere utilizzata per impartire lezioni di catechesi. La croce è dipinta su entrambe le facciate:
Lato A: Gesù Cristo crocifisso, Dio Padre, Madonna, san Giovanni evangelista e santa Maria Maddalena;
Lato B: Agnello di Dio, Adamo ed Eva e Annunciazione.
Sala II - Antifonari e graduali miniati
Molto interessante è la collezione di messali, antifonari e graduali, databili dal XV al XVIII secolo. La collezione conserva alcuni esemplari di grande interesse storico-artistico impreziositi da miniature, i quali provengono dai conventi dei francescani riformati e delle benedettine situati a Gandino. Di rilievo:
Graduale miniato (XV secolo), in pergamena.
Antifonario miniato (1754) realizzato da Pasquale da Viono.
Sala III - Altare d'argento
Nella sala è conservata l'opera considerata l'apice dell'arte e della ricchezza gandinese:
Apparato dell'altare maggiore, costituito da paliotto, tabernacolo, vasi sacri, candelabri e croce (ultimo quarto del XVII - primo quarto del XVIII secolo), in argento e rame argentato e dorato, realizzata da botteghe orafe milanesi, altoatesine e tedesche, proveniente dalla Basilica di Santa Maria Assunta. L'imponente apparato viene ricollocato sull'altare, sei volte l'anno, per le maggiori solennità liturgiche. Tra gli elementi che compongono l'apparato si segnalano:
Altare maggiore con Apparato liturgico costituito da paliotto, tabernacolo, vasi sacri, candelabri e croce (ultimo quarto del XVII - primo quarto del XVIII secolo), argento e rame argentato e dorato
Tabernacolo (1676 - 1677), realizzato da Hans Jakob II Baur ad Augsburg (Germania);
Gradino d'altare (1723), opera di Pietro Ceredi di Milano.
Sala IV - Arazzi
Notevole importanza assume presso il Museo la raccolta di arazzi, sia a soggetto sacro che profano:
Quattro arazzi con Scene di caccia (1560), realizzati da Frans Guebel a Bruxelles, provenienti dal Palazzo nobiliare della famiglia Giovanelli.
Serie di sei arazzi con Storie della vita di Maria Vergine (1580), realizzati da Cornelio ed Enrico Mattens a Bruxelles, provenienti dal presbiterio della Basilica, donati alla chiesa dalla famiglia Castello.
Sala V - Pinacoteca
Disposta in un'ampia galleria è visibile la numerosa collezione di dipinti del Museo. Di rilievo:
Gesù cade sulla via della croce (1597) di Niccolò Frangipane.
Pala d'altare con l'Assunzione di Maria (1609) di Alvise Benfatti, proveniente dall'altare maggiore della Basilica.
Pala d'altare con Circoncisione di Gesù (1655), olio su tela, del napoletano Pietro Mango, proveniente dall'altare del Santo Nome di Gesù in Basilica.
Pala d'altare con Natività di Gesù e santi (1657 ca.), olio su tela, proveniente dall'altare della Natività e di Sant'Alessandro in Basilica.
Sala VI - Paramenti sacri
Piviale cremisi (XVI secolo), velluto dogale alto-basso di seta
Nella sala sono conservati paramenti sacri e tessuti di notevole pregio. Enorme risulta essere, infatti, la dotazione della Basilica e delle altre chiese sussidiarie, commissionarli alle più importanti manifatture italiane ed europee. Di rilievo:
Due tunichelle (1420), in velluto rosso.
Piviale di san Ponziano (XV secolo), in velluto alto-basso allucciolato su teletta d'oro e ornato da splendidi ricami, di manifattura italiana.
Piviale cremisi (XVI secolo), in velluto dogale alto-basso di seta.
Paliotto con monogramma imperiale (seconda metà del XVI secolo), in teletta d'oro con ricamo in oro, del milanese Pompeo Berluscone.
Parato liturgico del Corpus Domini, costituito da 13 pezzi (1778), in taffettas bianco operato con ordito supplementare broccato con trame in argento e oro lamellare, di manifattura lionese.
Sala VII - Pizzi e merletti
La collezione di pizzi e merletti del Museo, risulta essere una tra le più importanti d'Italia, è composta fondamentalmente da due categorie di pizzi, quelli in fibra tessile (cotone, lino...) e quelli in oro ed argento che sono una rarità.
Sala VIII - Tesoro
A Gandino la fede assai radicata nella popolazione, insieme alle indubbie possibilità economiche dei mercanti, hanno permesso lungo i secoli l'acquisizione di suppellettile sacra di grande interesse. Di rilievo:
Croce processionale (1460), in argento dorato, realizzata da Matreniano de Filippis a Milano.
Calice (XVI secolo), in argento dorato e filigrana d'argento, di bottega ungherese.
Ostensorio gotico (1527 ca.), in argento e oro, di bottega bavarese, utilizzato il giorno del Corpus Domini.
Statuetta della Madonna del Patrocinio (1652 - 1653), in argento, di Andreas I Wickert, dono della famiglia dei baroni Giovanelli.
Sala IX - Dipinti delle Confraternite
In questa sala è possibile ammirare dipinti provenienti dalle confraternite, databili dal XIX all'inizio del XX secolo. Particolarmente interessanti sono:
Stendardo processionale della Confraternita del Santissimo Sacramento (XVIII secolo), in velluto con lamine sbalzate d'argento, di manifattura veronese.
Stendardo processionale della Confraternita di San Giuseppe (1915), realizzato da Carlo Dotti a Milano.
Scene macabre (seconda metà del XVIII secolo), tavole dipinte, di Giovanni Radici, che venivano esposte in Basilica durante le celebrazioni per il Triduo dei morti.
Sala X - Statue lignee
Ambito tirolese, Natività di Gesù (XVI secolo), legno policromo dorato
Nella sala sono conservate le sculture lignee, tra le quali di particolare interesse storico-artistico:
Gesù Cristo crocifisso (XV - XVI secolo), in legno policromo, di ambito tedesco.
San Nicola di Bari (prima metà del XVI secolo), in legno policromo, di ambito lombardo.
Madonna del Carmine (XV - XVI secolo), in legno policromo.
Sezione II - Presepi
La collezione dei presepi, disposta in tre sale inaugurate nel Natale del 1988, è composta da 280 presepi, provenienti da 56 paesi del mondo. Gran parte della raccolta è stata donata da mons. Lorenzo Frana e arricchita successivamente da altre donazioni di privati. Tra i numerosi pezzi esposti ce ne sono alcuni degni di nota:
Natività di Gesù (XVI secolo), in legno policromo dorato, di ambito tirolese.
Adorazione dei Magi (XVI secolo), in legno policromo dorato, di ambito tirolese.
Statuette di presepio napoletano (XVIII secolo).
Presepio brasiliano, donato dal papa Giovanni Paolo II nel 1989.
Presepe boliviano, donato da mons. Angelo Gelmi.
Presepio in corallo nero, dono di padre Dino Bonazzi.
Presepio spagnolo, in terracotta policroma, realizzato da Josep Traitè Olot.
Presepe rumeno, in alabastro e argento.
Sezione III - Archeologia tessile
Telaio (XIX secolo)
La sezione, costituita da quattro sale, venne aperta al pubblico nel Natale del 1985 per volere di mons. Alessandro Recanati, ed espone macchinari per la lavorazione della lana, databili dal XVIII al XIX secolo. L'obiettivo di questa sezione è di far conoscere la tessitura e la sua centralità nella storia e nello sviluppo economico di Gandino. Si possono ammirare:
Orditoio (XVIII secolo).
Due telai (XIX secolo): uno a tessitura semplice dotato di ratiera e uno dotato di macchina a Jacquard.
Collezione di pettini da tessitura, tra i quali anche un raro esemplare in giunco.
Garzatrice con cardi vegetali.
stenditoi che anticamente consentivano l’asciugatura dei panni lana.
Piegatrice meccanica di origine mitteleuropea.
Macchine per l’orlatura.
Campionario della ditta Radici Senior (1877 - 1952).


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