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sabato 16 maggio 2015

GIUSEPPE PIERMARINI

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Piermarini Giuseppe nato a Foligno il 18 luglio 1734 da giovine studia matematica, meccanica, anche astronomia; con tanto amore che, dietro le insistenze dell'astronomo gesuita R. Boscovich, viene mandato a Roma per un corso regolare di studi nel 1760. Ma a Roma, più che dalle scienze esatte, si sente attratto dall'architettura, alla quale si dedica interamente avendo per maestri Paolo Posi e Luigi Vanvitelli. Finiti gli studi, torna a Foligno, e vi si indugia a copiare monumenti classici e a disegnare piccoli edifici e chiese di campagna. E forse si sarebbe impigrito nella quiete provinciale della sua terra, se non gli fosse toccata la meritata fortuna d'essere chiamato dal Vanvitelli a Caserta. Là il suo grande maestro lo aveva desiderato collaboratore nei disegni e nella costruzione della Reggia, dal 1765 al 1769. Sono del tempo di questo soggiorno i rilievi dell'Arco di Traiano a Benevento.

Nel 1770, iniziò la risistemazione dell'Università di Pavia e tre anni dopo il palazzo dell'Accademia di Scienze e Belle Lettere, detta anche Virgiliana a Mantova.

Con la decisione del governo austriaco di insediare stabilmente a Milano un arciduca, venne stabilito di realizzare una dimora cittadina appropriata e una casa di campagna. Per l'abitazione cittadina, si adattò il Regio Ducale Palazzo, posto di fianco del Duomo, mentre per la residenza di campagna, si decise di costruirne una ex novo poco fuori di Monza.

Il Piermarini, a cui venne affidata l'impresa, cercò di non far sfigurare il nuovo palazzo, rinnovato in sobrie forme neoclassiche (1773-80), dinnanzi alla magnificenza del Duomo gotico, e per ovviare a questo problema realizzò la cosiddetta Piazzetta Reale, prospiciente il palazzo e allora più ampia di Piazza Duomo, uno spazio delimitato ma non chiuso, che grazie a quel vuoto urbanistico riequilibra il rapporto tra i due edifici. La Piazzetta Reale che osserviamo oggi è stata rimaneggiata nel corso dell'Ottocento e del Novecento perdendo gran parte del suo carattere originale. In particolare, le due "maniche" del palazzo (le ali laterali che si dirigono verso il Duomo) sono state accorciate drasticamente facendogli perdere gran parte della sua bellezza legata in gran parte ai rapporti proporzionali tra i corpi. La ristrutturazione del palazzo fu assai travagliata e Piermarini dovette equilibrare le richieste di stile e soprattutto di economia di Vienna (l'imperatrice Maria Teresa d'Austria e il suo architetto Nicolò Pacassi, che aveva steso un primo progetto di ristrutturazione) con le esigenze e le aspettative dei futuri abitanti: il principe Ferdinando d'Asburgo-Lorena (figlio di Maria Teresa d'Austria) e consorte.

Piermarini decise anche di riorganizzare urbanisticamente il centro cittadino, aprendo Piazza Fontana e via Santa Radegonda, asse di collegamento col Teatro alla Scala e rettificando il Corso di Porta Orientale (l'attuale Corso Venezia), asse di collegamento con Monza e con Vienna.

Intanto, nel 1771, partecipa al concorso per i disegni della sede dell'Accademia (oggi Accademia Virgiliana) di Mantova in gara col Bibbiena. La vittoria, fatta più preziosa dalla celebrità del competitore soccombente, gli viene in seguito amareggiata da artificiose contrarietà alle quali egli tiene testa, dignitosamente. La costruzione fu terminata dall'architetto Paolo Pozzo nel 1775. Verso il 1772 appresta i disegni di riforma e d'ampliamento dell'università di Pavia; ma i lavori della facciata furono condotti con varianti da lui disapprovate.

Nel 1777 inizia la Villa reale di Monza, voluta dall'arciduca Ferdinando e terminata tre anni dopo.

Questa rapidità è di per sé un titolo di merito per l'architetto; che, più maturo d'esperienza, più saldo nei mezzi finanziari, libero nello sviluppo, dà buona prova del suo equilibrato spirito d'arte, architettando un'imponente, comoda e ben disposta reggia di soggiorno e trasfondendo nei giardini, nelle visuali, nella disposizione di verdi e di acque, di viali e di sfondi, la fantasia nutrita a Caserta e il proprio criterio di una commisurata nobiltà d'effetti. Nelle ville Piermarini, in confronto di quelle del sei e del settecento, fu ritenuto moderno assai; ma l'architettura ne è un po' troppo severa: a Desio, presso Milano, la villa Cusani, trasformata poi nella villa Tittoni; a Cassano d'Adda, la grandiosa villa D'Adda ora Borromeo; in Brianza, a Ello, la villa Prinetti ora Amman, e, a Cremnago, la villa Perego di Cremnago (1782).

Parecchi furono i palazzi costruiti a Milano:  Casnedi; Mellerio; Morigia in Via Borgonuovo; la facciata verso il giardino del palazzo Cusani in Via Brera; pure verso il giardino, la fronte del palazzo Litta sul corso Magenta; il portale del palazzo di Brera, del 1780; il palazzo del Monte di Pietà (1782-1783). Ma già nel 1777 aveva eretto per i Belgioioso il loro magnifico palazzo sulla piazza che ne prende il nome: primo fra tutti, anche per il carattere nell'espressione delle nuove tendenze architettoniche.

Al rinnovamento urbanistico di Milano, per impulso dell'arciduca Ferdinando, diede opera il Piermarini con la sistemazione, nel 1780, della piazza dinnanzi all'arcivescovado (del quale fece la facciata) e che fu chiamata dalla bella fontana che vi eresse, con il tracciato e il progetto di edifici per la via di S. Radegonda (1783); con la creazione rapida e felice dei giardini pubblici (la parte verso il corso) fra il 1782 e il 1787.
La sua opera universalmente conosciuta è il Teatro alla Scala, costruito nel 1776-78, un edificio di foggia neoclassica, ma ove si legge il recupero di un linguaggio morfologico rinascimentale. Dell'edificio originario, dopo i molti, successivi interventi (cominciati sin dal 1808-14 ad opera del Canonica) e la distruzione provocata dai bombardamenti del 1943, resta la facciata (salvo il pesante intervento del Botta) e l'impianto generale.

Nel 1776 ottenne la cattedra di architettura alla neonata Accademia di Belle Arti di Brera e l'anno successivo iniziò la Villa Reale di Monza. Inizialmente progettata come luogo di villeggiatura e di delizie, per volontà dell'arciduca venne pensata come un vero e proprio palazzo di corte e di rappresentanza, privilegiando soluzioni sobrie e un'organizzazione degli spazi interni funzionale e attenta alle esigenze abitative. Ancora a Monza costruì il Teatro arciducale, andato a fuoco nel 1802. Nel 1779 venne nominato Imperiale Regio Architetto.
Nel contado venne chiamato dal suo amico ebanista Giuseppe Maggiolini, per la realizzazione della facciata della Chiesa Prepositurale dei Santi Gervasio e Protasio (1780) di Parabiago. Nel 1782 lavorò all'ingrandimento del Teatro Sociale di Crema.

Nel 1798 tornò a Foligno, approntando il progetto per la cappella del Sacramento nella chiesa di San Lorenzo a Spello e realizzando interventi nel Duomo della sua città natale.

È zio per parte di madre dell'abate Feliciano Scarpellini, scienziato rifondatore dell'Accademia dei Lincei.



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lunedì 16 marzo 2015

I GIARDINI REALI DI MONZA

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I Giardini della Villa Reale di Monza sono i giardini che si trovano dietro alla Villa Reale a Monza. Sono separati dal Parco da una recinzione.

I giardini reali furono realizzati da Giuseppe Piermarini.
Il giardino piermariniano prese forma, tra il 1778 e il 1783, dapprima ispirandosi ai principi della moda francese, secondo un grande disegno geometrico e regolare impostato sull'asse prospettico in direzione est-ovest, e successivamente con l'ampliamento proposto nel disegno conservato alla Biblioteca Nazionale di Vienna, che registra la volontà di collegare aulicamente il palazzo a Milano, mediante un viale a doppio filare di alberi, e il desiderio di proporre una percezione unitaria del giardino, impostato nella prospettiva centrale, con le potenzialità del paesaggio circostante. Se nella scelta del giardino formale contribuì la consapevolezza che la palese appropriazione dello spazio avrebbe costituito la soluzione più idonea a esaltare il potere e la magnificenza del principe, la decisione di rendere apparentemente naturale parte del giardino monzese, anche se frutto di una precisa progettazione, dovette invece essere condizionata dall'atteggiamento intellettuale dei circoli letterari milanesi, di cui certamente Piermarini era a conoscenza, dalla disponibilità all'architetto della ricca biblioteca del Ministro Firmian, che contemplava anche alcuni testi di giardinaggio particolarmente inclini alla moda del giardino paesaggistico, e dall'opportunità di aggiornarsi sulla realtà internazionale attraverso il ricordo manoscritto del viaggio intrapreso tra il 1783 e il 1786 da Ferdinando d'Asburgo, in compagnia di Ercole Silva, attraverso Francia, Svizzera, Olanda, Inghilterra e Germania.
Anche se tutto questo non avrebbe avuto alcun esito se il Piermarini non fosse stato personalità di cultura poliedrica, aperta a nuove suggestioni provenienti d'Oltralpe. Sebbene innovativo nella sezione settentrionale, dove la realizzazione del laghetto con grotta, il tempietto d'ispirazione classicista e l'organizzazione libera degli spazi verdi rispecchiavano i caratteri dello stile inglese, i limiti del progetto di Piermarini si colgono nella rottura tra l'impianto geometrico del verde direttamente connesso alla villa (ove erano previsti un giardino botanico, un giardino dei fiori, un frutteto e un orto, con le serre per l'esibizione di specie esotiche) e la naturalità del giardino di piacere.

Il particolare estratto dalle dieci tavole acquerellate conservate a Vienna registra la situazione nel primo decennio del XIX secolo, con la sapiente distribuzione degli elementi architettonici, aderenti al Gothic Revival o d'ispirazione classica, e della componente vegetale, esemplificata dalla realizzazione del cannocchiale ottico ancora oggi percepibile. Il disegno conferma inoltre l'importanza assegnata dall'architetto all'elemento acqua, palese fin dalla prima sistemazione formale. L'intervento progettuale secondo lo stile naturalistico non poteva quindi che confermare tale scelta, espressa attraverso la realizzazione di un ruscello dal percorso tortuoso tra la vegetazione, la presenza di una cascatella ritratta nelle celebri tavole pubblicate a corredo del trattato del Silva e la funzione scenografica del lago all'interno dell'impianto complessivo: tutti elementi fondanti della cultura sottesa al nuovo giardino "all'inglese".

Tra gli elementi promossi dalla nuova cultura ispirata ai paesi anglosassoni è da annoverare anche il gusto per la chinoeserie e per l'esotico, attestata dalla presenza dei padiglioni di gusto orientale per il ricovero delle barche, situati alla foce della roggia sul laghetto, i cui pinnacoli sono un esplicito riferimento stilistico arabeggiante. La pregevolezza dei giardini e il loro immenso valore culturale, motivati dall''intervento di un professionista d'eccezione coadiuvato da giardinieri inviati da Vienna per volere di Maria Teresa d'Austria, e dal significato assegnato da studiosi ed estimatori e dalla cittadinanza, che tuttora li percepisce come motivo d'orgoglio al pari della villa attorno alla quale sono sorti, è attestata dalla loro fortuna iconografica. Le restituzioni di particolari elementi dei giardini, o le vedute d'insieme realizzate da pittori ed incisori fin dall'epoca della loro realizzazione, trovò particolare impulso grazie all'azione sinergica di un compiacimento estetico per tali beni e dalla consapevolezza della loro importanza quale caposaldo italiano di nuovo stile, supportati dalla politica culturale promossa dagli Asburgo e dalla committenza del Beauharnais. Nella resa iconografica dei giardini, un ruolo fondamentale ebbe infatti la restituzione dei caratteri e degli elementi architettonici propri dell'area sistemata "all'inglese". Basti ricordare i celebri dipinti di Martino Knoller, ritraenti la cascata con laghetto e la grotta con ninfeo, o le incisioni tratte dai disegni di Gaetano Ribaldi e pubblicate nel trattato del Silva, la cui attenzione si era focalizzata sulla cascatella, sulla grotta o Antro di Polifemo, sulla pregevolezza del "quadro di paesaggio" offerto da una veduta sul lago con il tempietto classicheggiante sullo sfondo. Non meno affascinanti sono le incisioni di Federico Lose, pubblicate nella Promenade dans le Pare I. R. et les Jardins de Monza a corredo dell'almanacco per l'anno 1827, o le vedute realizzate da Carlo Sanquirico, entrambe in grado di restituire la bellezza di un luogo in cui il tempo ha apparentemente cessato di scorrere.

La caratteristica che l'ha reso più famoso nel mondo nei suoi duecento anni di vita è costituita dalla grande varietà di alberi ultrasecolari: i giganti verdi.

Le due querce sono presenti nell'elenco degli alberi monumentali d'Italia.
Nel prato all'inglese si incontra uno splendido esemplare di ginkgo, tipica essenza giapponese. Si compie un salto al di là dell'oceano e voltandosi si incrocia con lo sguardo la sequoia americana, dal tronco rossiccio. Seguendo il vialetto, che prende l'avvio dallo spigolo sud-est della Villa, si scende in zona ombreggiata e si costeggia per un tratto il muro di cinta passando in prossimità del gigantesco cedro del Libano, impareggiabile campione degli alberi dei Giardini della Villa Reale. Non un tronco ma quattro si dipartono verso il cielo; questa caratteristica fa di questo albero un autentico monumento botanico.

E ancora tra le tante piante alcuni esemplari di faggi, platani, ippocastani, liriodendri, farnie, sofore.

Il roseto venne inaugurato ufficialmente nel 1970 alla presenza di una Madrina d'eccezione: S.A.S. la principessa Grace di Monaco, la quale consegnò personalmente i premi ai rosaisti vincitori.

Il tempietto rappresentava il primo e più importante ingresso nei Giardini Reali dalla città di Monza. La letteratura vuole che alcune parti di esso provengano dal Duomo di Milano, con il cui apparato decorativo presenta puntuali corrispondenze formali. La scelta di adottare lo stile gotico per uno degli ingressi al Parco conferma inoltre la volontà di aderire al gusto ottocentesco dei revival. Il portale monumentale presenta una raffinata decorazione a traforo nella parte sommitale, con delicate realizzazioni in marmo, guglie e pinnacoli. L'arco a sesto acuto è invece impreziosito da capitelli goticheggianti, modanature a torciglioni", finte finestre chiuse da arco flesso con pinnacoli superiori e archi trilobati.

Architettura d'ispirazione classica che, nell'intento progettuale di Giuseppe Piermarini, si qualifica come elemento decorativo dello stile paesaggistico, o all'inglese, caratterizzante quest'area dei Giardini della Villa Reale: precoce realizzazione in terra italiana. Il tempietto piermariniano, oltre a costituire il fulcro del pittoresco "quadro di paesaggio"che si offre a chi giunge dal palazzo, coincide con uno dei punti focali dei Giardini reali e serve da belvedere collegato alla passeggiata che, attraverso sentieri ascendenti e discendenti, conduce al laghetto. Già nella sistemazione originaria, documentata nelle numerose vedute incise e nelle descrizioni ottocentesche, a partire da quella pubblicata nel 1801 nel Trattato dell'arte de' giardini Inglesi di Ercole Silva, la vegetazione lascia intravedere il manufatto che si specchia sul bacino lacustre. Riparato più volte fin dal XIX secolo e attualmente in fase di recupero, il manufatto è stato oggetto d'interesse anche dell'architetto ticinese Luigi Canonica, che ne avrebbe voluto ripristinare La copertura originale in rame.

La torretta è un edificio in stile medioevale, edificato all'interno dei Giardini Reali dall'architetto Luigi Canonica con materiali di recupero, presenta un apparato decorativo assegnabile al gusto delle rovine e alla moda del revival gotico.
Il fabbricato, a pianta rettangolare e sviluppato su due piani, è completato da una torre alta 30 metri con un belvedere superiore. La torretta, che vanta una certa fortuna iconografica nelle stampe e nelle fotografie storiche, presenta gli stemmi dei Visconti e un bassorilievo in cotto con scene di caccia.

La Cascina Fornasetta,così chiamata per la presenza di un antico forno con camino in uno quattro locali principali posti a pianterreno, durante la seconda metà del XIX secolo subisce consistenti modifiche che, pur non alterandone la pianta quadrangolare, interessano la suddivisione degli spazi interni, disposti su due piani, determinando una variazione di pendenza del tetto. La facciata è caratterizzata da un grande portale d'ingresso sormontato da frontone triangolare in pietra grigia, mentre l'ingresso posteriore è impostato su portico a due colonne in pietra fluviale con soffitto a travature lignee. La destinazione d'uso è stata, fin da subito, abitativa e funzionale alla gestione del Parco. Il caseggiato, progettato per ospitare il Direttore dei Reali Giardini con camere da letto, guardaroba, portico e annessi locali di magazzino, deposito sementi e attrezzi, nonché stanza per l'aiutante del capo-giardiniere, mantiene un'analoga distribuzione dei locali e conserva le caratteristiche stilistiche principali, come il portale in pietra della facciata e la successione delle finestre con nicchia semicircolare tamponata.


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