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giovedì 9 aprile 2015

GABRIELE D' ANNUNZIO E IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI

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Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Dalla madre, Luisa de Benedictis (1839-1917), erediterà la fine sensibilità; dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta (1831-1893) (il quale acquisì anche il cognome D'Annunzio da un ricco parente che lo adottò, lo zio Antonio D'Annunzio), il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, che portarono la famiglia da una condizione agiata a una difficile situazione economica. Reminiscenze della condotta paterna, la cui figura è ricordata nelle Faville del maglio e accennata nel Poema paradisiaco, sono presenti nel romanzo Trionfo della morte. Ebbe tre sorelle, cui fu molto legato per tutta la vita, e un fratello minore.

Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà. Ne è testimonianza la lettera che, ancora sedicenne nel 1879, scrive a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italia umbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Convitto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della Domenica, il libro venne pubblicizzato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Lo stesso D'Annunzio poi smentì la falsa notizia. Dopo aver concluso gli studi liceali accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunse a Roma, dove si iscrisse alla Facoltà di Lettere anche se non avrebbe mai condotto a termine gli studi.

Deluso dall'epilogo dell'esperienza di Fiume, nel febbraio 1921 si ritirò in un'esistenza solitaria nella villa di Cargnacco (comune di Gardone Riviera) che pochi mesi più tardi acquistò. Ribattezzata il Vittoriale degli italiani fu ampliata e successivamente aperta al pubblico. Qui lavorò e visse fino alla morte, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale.

D'Annunzio si impegnò inoltre per la crescita e il miglioramento della zona: la costruzione della strada litoranea Gargnano-Riva del Garda (1929-1931) fu fortemente voluta da lui che se ne interessò personalmente, facendo valere il suo prestigio personale con le autorità. La strada, progettata e realizzata dall'ing. Riccardo Cozzaglio, segnò il termine del secolare isolamento di alcuni paesi del Lago di Garda e fu poi classificata di interesse nazionale con il nome di Strada statale 45 bis Gardesana Occidentale. Lo stesso D'Annunzio, presente all'inaugurazione della strada, la battezzò con il nome di Meandro per via della sua tortuosità e dell'alternarsi delle buie gallerie e del lago azzurro.


Il Vittoriale si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica, dominante il lago. Accoglie il visitatore l'ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele D'Annunzio: «Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale». A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano Io ho quel che ho donato. Dalle arcate d'ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele D'Annunzio, e salendo ancora alla nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l'Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.

Superato l'ingresso e presa la via verso la Prioria si incontrano il Pilo del Piave con la scultura della Vittoria incatenata dello scultore Arrigo Minerbi, il Pilo del Dare in brocca cioè colpire nel segno, imbroccare. Sulla sinistra l'anfiteatro progettato da Maroni fra il 1931 e il 1938 ma ultimato soltanto nel 1953. Ispirato ai teatri della classicità, e in particolar modo a quello di Pompei dove Maroni venne mandato in missione insieme allo scultore Renato Brozzi, gode di uno strabiliante panorama sul lago avendo come naturale scenografia il Monte Baldo, l'isola del Garda, la rocca di Manerba nella quale al poeta tedesco Goethe parve di ravvisare il profilo di Dante e la penisola di Sirmione. È sede ogni estate di una prestigiosa stagione di spettacoli che negli anni ha portato a calcare il palco i più grandi attori italiani, étoiles del mondo della danza come Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, star della musica internazionale come Lou Reed, Michael Bolton e Patti Smith.
Salendo ancora si giunge alla Piazzetta Dalmata che prende il nome dal pilo sovrastato dalla Vergine di Dalmazia. Su questo spazio si affacciano la Prioria, la casa-museo di Gabriele D'Annunzio, lo Schifamondo, le torri degli Archivi e il tempietto della Vittoria con una copia bronzea della celebre Vittoria alata di Brescia di epoca classica. Sul lato destro è possibile ammirare due delle ultime automobili possedute da D'Annunzio nel corso della sua vita: la Fiat T4, con la quale fece il suo ingresso a Fiume il 12 settembre 1919, e l'Isotta Fraschini.

La casa, precedentemente di proprietà del critico d'arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano Né più fermo né più fedele. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli.

Comincia qui un percorso iniziatico fra presenze simboliche che rammentano il valore sacrale della casa: il cancello dorato, i sette scalini, gli stalli di un coro seicentesco alle pareti, un pastorale e un'acquasantiera, la colonnina francescana in pietra d'Assisi sormontata da un canestro in cemento con melograni, frutto che D'Annunzio ha eletto a emblema di sé, in quanto simbolo di abbondanza e fertilità. Due porte, sormontate da due lunette del pittore salodiano Angelo Landi e raffiguranti santa Chiara e san Francesco d'Assisi conducono a due differenti anticamere.

La stanza è così denominata dai versi sopra lo specchio del camino, composti in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925: Al visitatore / Teco porti lo specchio di Narciso? / Questo è piombato vetro, o mascheraio. / Aggiusta le tue maschere al tuo viso / ma pensa che sei vetro contro acciaio.

Questa anticamera fungeva da sala d'attesa per le visite ufficiali. Al suo interno sono collocati circa novecento volumi, fra cui anche spartiti musicali ed una ricca collezione di dischi, una radio ed un grammofono. Da segnalare il lampadario in vetro di Murano raffigurante quattro cornucopie, il cavallo in bronzo di Dario Elting presentato all'Esposizione di Arti Decorative a Parigi nel 1925 (Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne), le sedie con lo schienale a lira di Giancarlo Maroni e alcuni vasi faentini in stile déco di Pietro Melandri.

Inizialmente intitolata a Gasparo da Salò, ritenuto l'inventore del moderno violino, è una grande sala destinata ai concerti da camera. Qui in particolari occasioni suonava il Quartetto del Vittoriale. Per favorire l'acustica e il raccoglimento le pareti sono rivestite da preziosi damaschi neri e argento della ditta Ferrari di Milano raffiguranti bestie feroci e sostenuti da fermacorde a forma di lira: è un rimando al mito di Orfeo che con la musica riesce ad ammansire le fiere. Le vetrate gialle a imitazione dell'alabastro, di Pietro Chiesa, ricordano quelle già descritte nelle prime pagine del romanzo Il Piacere. Nella sala sono conservati due pianoforti e altri strumenti musicali: un clarino, uno zufolo e un arciliuto. Sulle pareti si trovano alcuni dipinti della collezione Thode fra i quali un ritratto di Cosima Liszt Wagner, opera di Franz von Lenbach, e le maschere funerarie di Ludwig van Beethoven e di Franz Liszt. L'arredamento accosta tra loro oggetti déco e statuette orientali, colonne romane sormontate da zucche policrome luminose e cesti di frutti in vetro di Murano di Napoleone Martinuzzi, calchi in gesso di sculture greche, pelli di serpenti come quella di pitone fissata al soffitto. Il gusto eclettico di D'Annunzio che mescola oggetti di diversa provenienza ed epoca trova qui la sua prima e immediata manifestazione.

La sala del Mappamondo è la biblioteca principale della casa. Qui sono collocati i circa seimila libri d'arte già appartenuti al critico d'arte tedesco Henri Thode sul totale dei 33.000 complessivi raccolti da D'Annunzio nel corso della sua esistenza. Il nome della stanza deriva dalla grande sfera geografica settecentesca che troneggia sopra un tavolo. Nella nicchia al centro della sala la xilografica di Adolfo De Carolis raffigurante il Dantes Adriaticus; poco oltre la maschera funeraria di Napoleone Bonaparte e alcuni oggetti realmente appartenuti al condottiero francese durante il periodo di esilio trascorso a Sant'Elena. Sul lato opposto gessi che riproducono il busto di Michelangelo e, nella nicchia sopra il divanetto, il celebre tondo Pitti di Michelangelo Buonarroti il cui originale è conservato al Museo nazionale del Bargello di Firenze. Tra le due finestre un organo americano al quale solitamente sedeva Luisa Baccara, giovane pianista veneziana ma soprattutto compagna ufficiale di D'Annunzio a Fiume e per tutto il periodo del Vittoriale.

La zambracca è l'anticamera alla stanza da letto e guardaroba, negli armadi e nei cassettoni ancora oggi vi è la biancheria del poeta, in questa stanza D'Annunzio sbrigava le ultime faccende della giornata e qui, seduto al tavolo, fu trovato morto la sera del 1º marzo 1938. Alle spalle della scrivania la fornita farmacia del poeta, sull'armadio riproduzioni in gesso dei cavalli fidiaci del Partenone. Sulla scrivania il completo da scrittoio firmato da Mario Buccellati, orafo del Vittoriale e soprannominato dal Poeta Mastro Paragon Coppella, la testa d'aquila in argento di Renato Brozzi, la testa dell'Aurora di Michelangelo.
Il nome è derivato da un antico vocabolo provenzale che significa donna da camera.

La stanza della Leda era la camera da letto del Poeta e prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. Sulla porta si legge il motto Genio et voluptati, al genio e al piacere, e dall'altro lato è appesa una piastrella proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova con il motto Per un dixir, per un solo desiderio. Sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i famosi versi della canzone dantesca Tre donne intorno al cor mi son venute... Anche qui l'assortimento di oggetti è straordinario: dagli elefanti in maiolica cinese ai piatti arabo-persiani, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre e ai mobili in stile orientale. Notevoli il copriletto in seta ricamata persiana con animali selvaggi, dono a D'Annunzio della moglie Maria Hardouin di Gallese, un dipinto di Mario de Maria, il Ritratto di Dogaressa di Astolfo de Maria e il calco monumentale del Prigione morente di Michelangelo, i cui fianchi D'Annunzio cinge con un drappo a nascondere le gambe ritenute troppo corte rispetto al busto.

La veranda dell'Apollino fu aggiunta da Maroni alla struttura originaria della villa per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda e fungeva da saletta di lettura suggestivamente affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. Il nome del vano deriva dal gesso di un kouros arcaico decorato dal Poeta con occhi azzurri, un prezioso perizoma e un fascio di spighe dorate, simbolo di abbondanza; la stanza è decorata da riproduzioni di ritratti famosi della pittura italiana del Rinascimento, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.

Nel bagno, suddiviso alla francese in sala da toilette e ritirata, sono collocati oltre 600 oggetti i cui toni dominanti sono il blu e il verde. Per la ristrutturazione Maroni si avvalse della consulenza di Gio Ponti. Sul soffitto si legge il motto, da Pindaro, Ottima è l'acqua, e alle pareti, oltre alle riproduzioni degli Ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, troviamo a fianco della vasca da bagno una ricchissima collezione di piastrelle di ceramica da parete di produzione persiana, alcune delle quali risalenti anche ai secoli XVII e XVIII. Sul tavolo oggetti da toeletta di Buccellati in argento e pietre, vetri muranesi, collezioni di pugnali e spade. La ritirata contiene tre maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana Rosenthal del 1927. La vetrata con i coloratissimi alcioni è opera di Pietro Chiesa.

La stanza del Lebbroso, chiamata anche Zambra del Misello o Cella dei Puri Sogni, fu concepita da D'Annunzio come luogo di meditazione ove ritirarsi negli anniversari fatidici della sua vita. Alle pareti pelli di daino e sul soffitto nei cassettoni dorati i simboli del martirio di Cristo inframmezzati da figure eteree di sante - Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta d'Ungheria, Odilla d'Alsazia e Sibilla di Fiandra - dipinte da Guido Cadorin e che il poeta disse che gli apparvero in sogno per invitarlo ad abbandonare i piaceri del mondo. Su un podio rialzato la statua lignea di San Sebastiano di scuola marchigiana e il letto chiamato dal poeta delle due età perché simile ad una bara e al tempo stesso ad una culla. Nel quadro in fondo alla parete è raffigurato invece San Francesco nell'atto di abbracciare un lebbroso che altri non è che lo stesso D'Annunzio. Di Cadorin è anche il dipinto sulla parete di fondo raffigurante Gesù Cristo nell'atto di benedire la Maddalena. Su un tavolino i ritratti fotografici della sorella Elvira, della madre Luisa e di Eleonora Duse, insieme alla splendida Coppa delle Vestali in vetro smaltato di Vittorio Zecchin. Fra tutte le stanze del Vittoriale quella del Lebbroso è forse la più densa di simboli la cui fonte principale sembra essere invece la Storia di San Francesco d'Assisi di Chavin de Malan tradotta da Cesare Guasti, pubblicata a Prato nel 1879. In questa stanza, per la veglia privata, venne esposta la salma del poeta nella notte fra l'1 e il 2 marzo 1938.

Il corridoio della Via Crucis prende il nome dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le quattordici stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi. Le pareti sono rivestite con tessuti “vaiati” di Lisio e Ferrari di Milano, recanti il motto "Pax et bonum - malum et pax". All'angolo il calco del frate piangente del sepolcro di Philippe Pot conservato al Museo del Louvre. Dalle finestre si possono vedere il Cortile degli Schiavoni, con lo stemma di Monte Nevoso e il Portico del Parente.

La sala delle Reliquie è la stanza dove D'Annunzio raccoglie immagini e simboli delle diverse fedi: una piramide di divinità e idoli orientali sormontata da una teoria di santi e martiri della religione cristiana in una sorta di sincretismo religioso affermato anche a lettere d'oro sulla trabeazione che corre lungo le pareti: Tutti gli idoli adombrano il Dio vivo / Tutte le fedi attestan l'uomo eterno. Ma reliquia, intesa come simbolo sacro, è anche il volante spezzato – significativamente collocato dinnanzi ad un tabernacolo – del motoscafo di sir Henry Segrave, morto nel 1930 durante un tentativo di superare un record di velocità nelle acque del lago Windermere in Inghilterra. Per D'Annunzio quel volante rappresenta quella che lui definisce la "Religione del rischio", il tentativo cioè dell'uomo di superare i vincoli impostigli dalla natura. Sul soffitto il rosso gonfalone con le sette stelle dell'Orsa Maggiore della “Reggenza del Carnaro”, lo stato rivoluzionario che il poeta aveva fondato a Fiume. Alle pareti troviamo il bassorilievo del leone di San Marco donato a D'Annunzio dalla città di Genova in occasione del discorso interventista del 5 maggio 1915 e quello dipinto da Marussig che era collocato nello studio di D'Annunzio a Fiume e che venne colpito da una granata durante il cosiddetto "Natale di sangue". Le pareti sono rivestite da cortinaggi con disegni a melagrana di Mariano Fortuny e da un grande arazzo di soggetto biblico appeso alla travatura che reca il motto Cinque le dita, cinque le peccata: dai sette peccati capitali D'Annunzio escludeva lussuria e prodigalità.

La stanza del Giglio è uno studiolo contenente circa tremila volumi di storia e letteratura italiana decorato dal Marussig con pannelli raffiguranti steli di giglio, forse con riferimento al progettato ciclo dei Romanzi del Giglio, di cui il poeta scrisse solamente il primo volume, Le Vergini delle rocce. L'ambiente è caratterizzato da un piccolo armonium e da due nicchie-confessionali decorate da una preziosa raccolta di vasi da farmacia dei secoli XVI e XVII.

L'oratorio Dalmata era la sala d'aspetto riservata agli amici ammessi all'interno della Prioria ed è caratterizzata da stalli cinquecenteschi sui quali sono indicati i posti del priore, del vice priore, del cancelliere. Presso il camino, una colonnetta romanica sorregge un leone proveniente dalla città dalmata di Arbe. Sulle pareti immagini religiose della più varia provenienza e un grande dipinto raffigurante Giobbe, attribuito alla scuola del Ribera. Al centro della stanza è invece raccolta una serie di oggetti liturgici - navicelle, turiboli, aspersori – con forte valore simbolico, mentre al centro del soffitto, ulteriore reliquia, è appesa l'elica dell'idrovolante con il quale nel 1925 Francesco De Pinedo compì il volo a tappe di 55.000 chilometri da Sesto Calende a Melbourne e Tokio.

Lo scrittoio del Monco chiamato così per via della scultura di una mano sinistra tagliata e scuoiata collocata sull'architrave della porta con il motto Recisa quiescit, tagliata riposa. Era la saletta adibita al disbrigo della corrispondenza: D'Annunzio, non potendo o non volendo rispondere a tutti, ironicamente si dichiarava monco e dunque impossibilitato a scrivere. Gli armadi sono gli unici mobili del Vittoriale provenienti dalla Capponcina, la famosa villa presso Firenze abitata dal Poeta dal 1898 al 1910. Sull'architrave degli scaffali quattro sentenze di Leonardo da Vinci: E chi non ha sepoltura è coperto dal cielo, Acciocché tu più cose possa più ne sostieni. Se tu vuoi che la tua casa ti paia grandissima, pensa del sepolcro. Niuna casa è si piccola che non la faccia grande uno magnifico abitatore. Sul soffitto, un motivo di mani stilizzate con i motti spagnoli “Tuerto y derecho” e “Todo es nada”. Fra gli oggetti vi è il vaso Libellula, realizzato a Murano su disegno di Vittorio Zecchin intorno al 1914-1915.

L'Officina è l'unica stanza della Prioria nella quale entra liberamente la luce naturale del giorno ed è l'unica arredata con mobili di rovere chiaro semplici e funzionali. Era lo studio di D'Annunzio, al quale si accede salendo tre alti scalini e passando sotto un basso architrave che costringe chi entra a chinarsi. L'architrave è sormontato dal verso virgiliano hoc opus hic labor est (qui sta l'impresa e la fatica) con cui nell'Eneide si ammonisce Enea che si accinge a scendere nell'Ade di quanto sia facile l'accesso agli inferi ma riuscire a ritornare nel mondo dei vivi sia appunta la vera difficile impresa. In effetti dopo la penombra che caratterizza il resto della prioria la luminosità di questa stanza fa al visitatore l'effetto di una risalita dal buio verso la luce. Leggii, scaffali inclinati e teche girevoli circondano il tavolo e lo scanno senza schienale su cui D'Annunzio scrive; a portata di mano stanno le opere di consultazione frequente, a cominciare dai vocabolari e dai repertori di cui l'autore si è sempre servito.

Su una delle due scrivanie spicca il busto velato di Eleonora Duse, opera dello scultore ferrarese Arrigo Minerbi. La grande attrice scomparsa nel 1924, fu per D'Annunzio compagna e musa ispiratrice; un foulard di seta ricopre il volto della donna, “testimone velata” del suo impegno ininterrotto di scrittore. Ma ad arredare la scena della scrittura sono altresì i calchi della Nike di Samotracia e delle metope equestri del Partenone, le immagini fotografiche della Cappella Sistina. Qui D'Annunzio lavorava anche per sedici ore consecutive e qui, dopo aver ultimato il Notturno compose il Libro segreto, ultima sua opera.

Il corridoio del Labirinto il cui nome deriva dall'emblema del Labirinto, che si ripete sulle porte e le rilegature dei libri, ricavato da quello celebre del Palazzo Ducale di Mantova; dal motto dello stesso Labirinto, D'Annunzio aveva tratto nel 1910 il titolo del romanzo Forse che sì forse che no.

La sala della Cheli è stata ultimata nel 1929, l'unica sala non triste della casa come D'Annunzio ebbe modo di dire al Maroni, la stanza deriva il suo nome da una grande tartaruga in bronzo opera di Renato Brozzi, ricavata dal carapace di una vera tartaruga donata a D'Annunzio dalla Marchesa Luisa Casati e morta nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose: la sua presenza vale un monito contro l'ingordigia. Era la sala da pranzo per gli ospiti: negli ultimi anni della sua vita D'Annunzio preferiva pranzare solo nella Zambracca. I vividi colori azzurro e oro, la lacca rosso fuoco o nera, le vetrate ad imitazione dell'alabastro ne fanno l'ambiente più compiutamente déco della casa e lo avvicinano a certe soluzioni dei saloni dei contemporanei transatlantici da crociera. Fra gli oggetti il gruppo bronzeo del Fauno e della Ninfa di Le Faguays, i bellissimi piatti in argento incisi da Renato Brozzi con motti dannunziani, i pavoni segnaposto in argento e pietre dure e, nella nicchia sulla destra, entrando, il calco dell'Antinoo Farnese, il giovinetto amato dall'imperatore Adriano.

Schifamondo è l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L'edificio venne concepito dall'architetto Giancarlo Maroni come l'interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.

Schifamondo comprende anche l'auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo S.V.A. del celebre volo su Vienna. Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele D'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a D'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a D'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio De Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della Figlia di Iorio e di Parisina, Jonathan Meese, Luigi Ontani.

D'Annunzio, dopo aver arredato la Prioria, pensò di realizzare un museo che celebrasse l'eroismo suo e le imprese del popolo italiano nella guerra del 1915-1918. La morte del poeta sopraggiunse prima che vedesse iniziata questa nuova opera, anche se l'aereo SVA che troneggia appeso al soffitto dell'Auditorium ne rimane evidente testimonianza. Questo suo desiderio tuttavia è stato realizzato nel 2000 quando gli spazi di Schifamondo, sono stati aperti al pubblico valorizzando così il ricco e prezioso patrimonio storico legato all'esperienza militare di Gabriele D'Annunzio e alle grandi imprese che lo videro protagonista: il Volo su Vienna, la Beffa di Buccari, l'impresa delle bocche di Cattaro e la grande epopea fiumana.

Fra gli oggetti più significativi visibili nelle grandi sale arredate secondo il gusto déco dell'epoca, il medagliere personale di D'Annunzio con la medaglia d'oro al Valor Militare, quattro d'argento ed una in bronzo; le divise da Lanciere di Novara, da Bersagliere, da Ardito e da Generale dell'Aeronautica; le tenute complete utilizzate per il volo su Vienna e nella Beffa di Buccari; le bandiere fra cui quella nella quale si avvolse il corpo di Giovanni Randaccio, il Gonfalone della Reggenza italiana del Carnaro, il motore dell'aereo del volo su Vienna.

Nel luglio 2011 il Museo della Guerra ha cambiato titolatura in museo D'Annunzio Eroe e si è arricchito di due nuove sale che ospitano settantaquattro oggetti, fra armi, bandiere e autografi, della Collezione dannunziana dell'Ambasciatore Antonio Benedetto Spada. Fra questi una daga d'onore in avorio e acciaio, un versatoio in argento dorato con simbologie fiumane, un teschio in cristallo di rocca, il messaggio lasciato nella Baia di Buccari nella notte fra il 10 e l'11 febbraio 1918, il manoscritto autografo de La notte di Caprera. Nell'allestimento non si sono volutamente adottate tecnologie espositive moderne ma si è realizzato un museo che rispecchiasse nel suo complesso l'atmosfera della Prioria e continuasse lo spirito e l'essenza della casa così come D'Annunzio e Maroni l'avevano voluta e realizzata.

Dalla piazzetta Dalmata si sale al Parco attraverso il viale di Aligi che prende il nome dal personaggio della Figlia di Iorio; nel 1927 questa tragedia fu messa in scena proprio nel Parco del Vittoriale.

La sommità del Vittoriale è occupata dal Mausoleo, monumento funebre realizzato dal Maroni dopo la morte di D'Annunzio. Il monumento è ispirato ai tumuli funerari di tradizione etrusco-romana ed è costituito da tre gironi in marmo botticino a rappresentare le vittorie degli Umili, degli Artieri e degli Eroi. Al centro della spianata superiore è collocata la sepoltura di D'Annunzio e intorno le arche di dieci fra eroi e legionari fiumani cari al poeta fra cui Guido Keller, Giuseppe Piffer, Ernesto Cabruna e lo stesso Gian Carlo Maroni.

Nei pressi del Mausoleo vi è anche l'hangar che ospita il MAS 96 a bordo del quale D'Annunzio con Luigi Rizzo e Costanzo Ciano partecipò alla Beffa di Buccari. Al tempo di D'Annunzio il MAS era ormeggiato alla darsena di Torre San Marco e veniva utilizzato dal poeta per escursioni sulle acque del Garda. All'esterno, l'acronimo Memento audere semper riproduce un motto latino coniato da D'Annunzio ("ricorda di osare sempre").

Sotto il colle mastio è collocata la nave militare Puglia, forse il più suggestivo cimelio del Vittoriale. La nave, sulla quale trovò la morte Tommaso Gulli nelle acque di Spalato, fu donata a D'Annunzio dalla Marina Militare nel 1923. I lavori per portarla al Vittoriale si rilevarono particolarmente impegnativi: si trattava di sezionare una nave e trasportarne per via ferroviaria la prora a 300 km da La Spezia; per l'impresa furono necessari venti vagoni ferroviari e numerosi camion militari. A coordinare l'invio dei materiali e dirigere i lavori di ricostruzione venne designato l'ingegner Silla Giuseppe Fortunato, allora tenente del Genio Navale. La prua, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico e la Dalmazia, fu adornata da una polena raffigurante una Vittoria scolpita da Renato Brozzi. Nel sottoscafo della nave, dal 2002, è stato allestito il Museo di Bordo che raccoglie alcuni preziosi modelli d'epoca di navi da guerra della collezione di Amedeo di Savoia, duca d'Aosta.

Dalla Nave Puglia si può ammirare la valletta formata dai corsi dei torrenti dell' Acquapazza e dell' Acquasavia che si uniscono a valle nel laghetto delle Danze a forma di violino. Questo luogo, pensato da D'Annunzio per spettacoli coreutici, è stato riaperto al pubblico nella primavera del 2013, dopo lavori di restauro per rimediare al dissesto idrogeologico dell'area restituendo così al pubblico un altro tassello del parco.

Dalla Piazzetta Dalmata si accede ai Giardini. Sulla sinistra si incontra dapprima il Cortiletto degli Schiavoni, ornato da vere da pozzo veneziane. Il cortile richiama nelle forme quello della casa natale di D'Annunzio a Pescara. Intorno al cortile corre il Portico del Parente, intitolato a Michelangelo Buonarroti, figura alla quale D'Annunzio si sentiva prossimo per affinità e genio. Il cortile e il porticato circostante, durante la permanenza gardonese di Gabriele D'Annunzio venivano spesso arredati con tappeti persiani, tavoli e altro mobilio trasformando questi spazi in una sorta di cenacolo all'aperto dove il poeta riceveva e intratteneva i propri ospiti.

Proseguendo nei giardini, oltrepassato un architrave in pietra sormontato da una Venere acefala e la scritta rossa Rosam cape, spinam cave, (cogli la rosa, ma stai attento alla spina), si arriva a un boschetto di magnolie al centro del quale si trova l'Arengo. Questo è il luogo simbolico dove D'Annunzio riuniva i fedeli fiumani per cerimonie commemorative. Un alto scanno, quasi un trono, e sedili in pietra sono collocati intorno alla Colonna del giuramento, dal capitello bizantino; fuori dal recinto dei sedili si ergono diciassette colonne simboleggianti le diciassette vittorie di guerra. La colonna raffigurante la vittoria della Battaglia di Caporetto è quella più scura e reca sulla sommità un'urna contenente terra del Carso. Unica statua, qui, la Vittoria in bronzo di Napoleone Martinuzzi, coronata di spine e con il motto: Et haec spinas amat Victoria.

Scendendo le terrazze verso il lago si incontra la limonaia con il Belvedere e più sotto la tomba di Renata, la sirenetta, figlia di D'Annunzio e protagonista del Notturno. Proseguendo, in prossimità di un gruppo di cipressi, si arriva al cimitero dei cani e al frutteto al centro del quale su di un'alta colonna è collocata la Canefora di Martinuzzi, una grande statua di bronzo raffigurante una donna accosciata che porta sul capo un canestro di frutti. Recingono il frutteto pilastri con grandi aquile e gigli simili a quelli che D'Annunzio aveva, molti anni addietro, ammirato nei giardini di Villa d'Este.

Il 19 settembre 2014 a causa di una forte tempesta abbattutasi sul Gardone, tra i vari danni ai giardini, c'è stata la caduta di alcuni cipressi secolari dai quali sono state ricavate delle rondelle messe in vendita dalla Fondazione Il Vittoriale. I proventi sono stati utilizzati per sostenere vari progetti di restauro del complesso.

Inaugurato nel 2010 nel grande spazio espositivo del sottoteatro, il museo D'Annunzio Segreto raccoglie quanto fino ad ora era rimasto sconosciuto al grande pubblico perché chiuso negli armadi e nei cassetti della Prioria: i vestiti del Vate, le scarpe e gli stivali, la biancheria, le vesti appositamente fatte confezionare da D'Annunzio per le sue donne, i collari dei cani, gli oggetti da scrivania, il vasellame da tavola, i gioielli. Un'intera sezione è dedicata alle eleganti valigie, alle cappelliere e ai bauli a incastro. Le gigantografie del poeta alla Capponcina o nel Parco del Vittoriale, le immagini di alcune fra le sue più note amanti, le lettere d'amore, i tessuti che arredano le stanze della Prioria, vestono l'emiciclo e le undici colonne della sala espositiva. All'ingresso sei schermi trasmettono filmati d'epoca dell'Istituto Luce o dell'Archivio storico RAI. Il museo D'Annunzio Segreto rappresenta dunque un incontro ravvicinato, intimo con il mondo quotidiano di Gabriele D'Annunzio nel suo stile di vita inimitabile e raffinatissimo.




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LE CITTA' DEL GARDA : GARDONE RIVIERA

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Gardone Riviera  è un comune italiano  della provincia di Brescia, in Lombardia. Ha una superficie territoriale con un'altimetria che varia dai 65 m s.l.m. ai 1.100 m s.l.m.

È una delle principali località turistiche del Lago di Garda, caratterizzata dalla sua tipicità " mitteleuropea".

Il ritrovamento nella frazione di Fasano (il nucleo più antico) di alcune lapidi, conferma che Gardone Riviera era già abitata in epoca romana. Successivamente il territorio fu occupato dai Longobardi, il nome stesso sembra derivare dal termine tedesco warda, ovvero fortezza o presidio militare.

Dagli inizi del Duecento il comune appartenne al vescovo di Brescia con gli Ugoni come feudatari.

Nel 1334 si confedera con altri trentaquattro comuni del lago e parte della Valle Sabbia nella comunità della Riviera di Salò. Per fronteggiare le incursioni dei Visconti, signori di Milano, la Comunità chiede l'intervento di Venezia e nel XVI secolo ne diventa parte integrante e le venne riconosciuto il titolo di Magnifica Patria.

Dal 1815 fece parte del Regno lombardo-veneto. Con la fine della Seconda guerra d'indipendenza italiana entrò a far parte del Regno d'Italia (1861-1946).

L'agricoltura, con la coltivazione di olivi e limoni, e la pesca rappresentarono per molti anni la principale risorsa economica.

Alla fine dell'Ottocento con l'ingegner Luigi Wimmer, che era venuto in Italia per curarsi i polmoni, ebbe inizio grazie al clima mite ed alla bellezza del lago l'attività turistica, che rappresenta una delle principali fonti di reddito. Nel dopoguerra Winston Churchill soggiornò a Gardone Riviera.

Dal 1943 al 1945, durante la Repubblica Sociale Italiana (RSI) più nota come Repubblica di Salò, numerosi edifici ospitarono sedi di Ministeri e Ambasciate.

Città in cui Gabriele D'Annunzio trascorse un lungo periodo della sua vita fino alla sua morte nel 1 marzo 1938.

Il Vittoriale degli Italiani è un complesso di edifici, vie, teatri e corsi d'acqua edificato dal 1921 al 1938. Fu costruita dal poeta Gabriele D'Annunzio e dall'architetto Giancarlo Maroni.

Otto sono le frazioni che compongono il Comune di Gardone Riviera: Fasano (al confine con Toscolano Maderno) e Gardone Sotto stanno direttamente sul lago di Garda, Gardone Sopra, Montecucco, Supiane, Morgnaga e Tresnico sorgono lungo i fianchi della collina. San Michele è più in alto di tutte, allo sbocco della Val di Sur. Il territorio, che lungo il litorale è compreso tra le foci dei torrenti Bornìco (ad est) e Barbarano (ad ovest), è denominato dai monti Lavino (m.907) e Fornaretto (m.1240) e Spino (m.1488); l'entroterra verso la Valsabbia, selvaggio e coperto di boschi, presenta numerosi sentieri e mulattiere.
Notevole è la varietà della vegetazione esotica: cedri, magnolie, canfore, palme, etc. fanno di Gardone Riviera una "città - giardino", conosciuta a livello internazionale. Ville e alberghi, immersi nei vasti parchi lungo il litorale, conservano le caratteristiche originarie dello stile liberty di fine Ottocento.

La Villa Alba di Gardone Riviera fu progettata nei primi anni del Novecento dall'architetto tedesco Schaefer ad imitazione dei monumenti dell'acropoli di Atene e fu la villa della famiglia Langensiepen. In stile neoclassico, presenta una maestosa facciata con colonnati, una loggia sostenuta da cariatidi, il frontone decorato con bassorilievi ed una monumentale gradinata.
Negli anni '60 la villa ed il parco furono acquistati dal Comune che vi ricavo' successivamente il primo Centro Congressi del Lago di Garda.
Villa Fiordaliso ubicata proprio in riva al lago di Garda, circondata da un bel parco con piante secolari, fu propietà di Otto Vèzin, di origine tedesca ma di nazionalità americana. Espropriata nel 1915-18 fu acquistata nel 1928 da Emilio e Paola Botturi-Polenghi, che la fecero ristrutturare ed affrescare nello stile del Cinquecento toscano. Fu testimone dell'amore tra Mussolini, ormai alla fine della sua avventura politica, e Claretta Petacci, che quì soggiornò dall'autunno 1943, ospite della "stanza rossa" al secondo piano.
Nel 1901 giunse a Gardone Riviera il prof. Arturo Hruska, medico dentista e naturalista di grande fama, che apprezzò la particolarità del clima gardonese. Intorno alla sua residenza, tra il 1910 e il 1971 realizzò un giardino botanico, esteso per poco più di un ettaro e mezzo, in cui raggruppò più di 500 specie di flora provenienti da tutti i continenti e delle più diverse zone climatiche: magnolie, primule del Tibet, canne di ogni misura, iris e verdeggianti felci, tra cui spicca l'Osmunda regalis. Vasta è la gamma di piante succulente e subtropicali, molte le piante acquatiche in piccoli stagni, tra giochi d'acqua tipici dell'architettura paesaggistica giapponese; fitta è la foresta di bambù. Rocce, crepacci e gole incastonano i fiori dell'area alpina.
Il Giardino, che dal 1988 è di proprietà della Fondazione "Andrè Heller", famoso artista multimediale austriaco.
La Chiesa di S. Nicolò eretta su un edificio preesistente che risaliva al 1391, la chiesa è opera dell'architetto lonatese Paolo Soratini. Ultimata nel 1740 conserva due tele (la Pietà e Pentecoste) di Zenon Veronese (1484-1553) un dipinto di Plama il Giovane (1570-1596) con la Madonna Gesù, S.Michele S.Nicolò e S.Antonio Abate, una tela di Andrea Celesti (1637-1712) con S.Nicolò, S.Antonio Abate e i SS. Faustino e Giovita, affreschi di Francesco Monti (1683-1768) tra cui "l'Assunzione di Maria" (1750 ca) i quattordici quadri della Via Crucis di Augusto Lozzia.
Oggetto di particolare devozione è l'immagine della Madonna di Fraole (al primo altare a sinistra) in onore al quale si celebra una grande festa con processione all'inizio di ottobre.
L'abside rivolta al lago di Garda, è circondata da una caratteristica balconata che permette un ampio giro d'orizzonte sul medio lago da Punta S.Vigilio a Peschiera del Garda, Sirmione, la Rocca di Manerba e l'Isola del Garda.


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giovedì 2 aprile 2015

LA RIVIERA DI SALO'

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La Riviera di Salò, ufficialmente nata come «Comunità della Riviera bresciana del lago di Garda», fu una confederazione di 34 comuni della riviera bresciana del lago di Garda e di parte della Valle Sabbia. Durante la dominazione veneziana il senato veneto elargì alla Patria il titolo di Magnifica e di Figlia primogenita della Serenissima, tanto da essere ricordata ancora oggi come la Magnifica Patria della Riviera di Salò. I suoi abitanti furono indicati come "Quelli di Salò". Venne sciolta nel maggio 1797.

Il 4 novembre del 1334 le 34 comunità della riviera e di parte della val Sabbia fondarono la comunità della Riperiae lacus Gardae Brixiensis con capoluogo Maderno. Essa era una sorta di federazione con a capo un podestà. Non volendosi alleare né con Brescia, né con Verona, decidono di dedicarsi a Venezia che manderà un provveditore.

Nel 1350 la riviera cadrà nelle mani dei Visconti, visto l'impossibilità per Venezia di proteggere un così lontano territorio. Nel 1362 Salò è cinta d'assedio da parte delle truppe scaligere e la resistenza dei cittadini, unita alla grande accoglienza per Beatrice Visconti, faranno sì che il capoluogo della riviera passi da Maderno a Salò. Con la salita al potere di Gian Galeazzo Visconti Maderno tornerà ad essere la capitale per un breve periodo per poi perdere nuovamente, durante la stesura degli statuti, il titolo. Alla morte del duca i rappresentanti di Salò e della Riviera occuparono il quinto posto nella processione funebre, ben più avanti di città quali Brescia o Verona.

Nel 1428 Salò e la Riviera tornano ad essere dominio della Serenissima, per motu proprio della Comunità, che abbandona i Visconti poco prima dell'assedio di Brescia. Nei successivi anni la Riviera si schiera più volte a favore dei Visconti, mentre Brescia rimane fedele alla Dominante, pertanto Venezia porrà la Riviera nella giurisdizione di Brescia.

Solo nel 1443 la riviera otterrà di essere indipendente, almeno parzialmente, da Brescia e a poter nuovamente accogliere sul Garda il Capitano della Riviera e Provveditore di Salò mandato dal Senato veneziano.

Durante questi anni Venezia elargirà alla Patria il titolo di Magnifica e di Figlia primogenita della Serenissima, insieme ad innumerevoli autonomie, tale da renderla quasi uno stato a sé stante. Con la guerra della Lega di Cambrai la Magnifica Patria è conquistata da Francesi e Spagnoli, mal voluti dalla popolazione, tornando poi ad innalzare le bandiere di San Marco.

Dalla riviera, il 23 aprile 1570, parte una nave di armigeri per combattere contro il turco. Questi si fanno onore durante la battaglia di Lepanto.

Nel 1580 il futuro santo Carlo Borromeo arriva in visita pastorale a Salò, dirimendo questioni e fondando un Monte di Pietà spirituale per pagare degli insegnanti che educhino i giovinetti e i fanciulli poveri di Salò.

Con l'arrivo delle truppe di Napoleone a Salò il 17 agosto 1796, inizia la fine della Magnifica Patria. Il 25 marzo dei messaggeri da Brescia, insorta contro la dominante, porta l'annuncio della rivoluzione; i Salodiani in principio accolgono la notizia, poi, allontanatisi i bresciani, decidono per rimanere fedeli alla Serenissima: ha inizio la contro-rivoluzione, l'unica ufficialmente appoggiata da Venezia.

Le truppe Bresciane e Bergamasche che attaccano il golfo vengono respinte e arrestate, grazie all'intervento degli abitanti della valle Sabbia. Il 20 maggio la città di Salò è costretta ad arrendersi ai francesi, che gli toglieranno il titolo di capitale, il nome e l'indipendenza da Brescia. Nelle successive dominazioni non verrà più restaurata una provincia, dipartimento o cantone simile alla Riviera, ma sarà sempre smembrata.

La rivera era governata da un consiglio della comunità composta da 36 consiglieri che entrano in carica metà a gennaio e metà a luglio. Ogni quadra mandava 6 consiglieri. Tra questi venivano eletti trimestralmente 6 deputati, uno per quadra, incaricati di governare effettivamente la patria. Tutti i consiglieri non potevano essere imparentati direttamente (padri, figli o fratelli) o indirettamente (cognati, suoceri, nuori) con altri in carica e neppure con il sindico speciale. Al termine del loro mandato non possono essere rieletti per almeno un anno. Alla prima riunione di gennaio e di luglio sono presenti sia i consiglieri uscenti che quelli entranti, per un totale di 56 consiglieri. Il sindico speciale deve essere laureato e deve presenziare tutti i consigli di comunità per poter contrastare tutte le parti (leggi) presentate dai deputati, non può votare.

Dal punto di vista giuridico-amministrativo la Comunità benacense già con gli statuti del 1476 fra i primi testi ad avere l'onore della stampa - appare composta da trentaquattro comuni raggruppati in sei quadre - Gargnano, Montagna, Maderno, Salò, Valtenesi e Campagna - ai quali se ne aggregarono altri otto. Tali unità rimasero invariate per il Sei e Settecento e le stesse Anagrafi assegneranno alla Riviera 42 comuni con 56 parrocchie". Il rappresentante di Venezia risiedette sempre a Salò, malgrado le reiterate istanze di Maderno (sino al 1377 capoluogo della comunità) che vi fosse almeno alternanza fra i due centri quale residenza del rettore veneto. Il quale si intitolava appunto provveditore di Salò e capitano della Riviera, amministrava la giustizia criminale (quella civile era di spettanza di un patrizio bresciano, con il titolo di podestà), aveva potere di convocare il consiglio generale della comunità, in cui però non aveva diritto di voto; nella sua cancelleria criminale il coadiutore originario era nominato dalla comunità, di cui era fiduciario. Il consiglio generale della comunità (presieduto dal sindaco, affiancato da sei deputati con compiti esecutivi e di controllo) si radunava dunque a Salò, che a pieno titolo può considerarsi la capitale di questa provincia autonoma di Terraferma. Capitale talora contestata, come risulta dalle unità inventariate in questa sottoserie, nella quale sono stati inclusi i pezzi relativi non solo ai rapporti del comune di Salò con la comunità di Riviera, ma altresi quelli concernenti rapporti con quadre e comuni della stessa, a meno che la materia di tali rapporti non fosse materia specifica di altre serie, come ad es. "Estimi" o "Gravezze e dazi".



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