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mercoledì 16 marzo 2016

DACHAU

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Filo spinato carico di morte
è teso intorno al nostro mondo.
Sopra, un cielo senza pietà
manda gelo e raggi roventi.
Lontani da noi son tutti gli amici,
lontana è casa, lontane le donne
quando muti marciamo al lavoro,
a migliaia sul far del giorno.

Ma abbiamo imparato la parola d’ordine di Dachau
e l’abbiamo rispettata rigorosamente.
Sii un uomo, compagno,
rimani un uomo, compagno.
Fa’ tutto il lavoro, sgobba, compagno,
poiché il lavoro, il lavoro rende liberi.

Arbeit macht frei!

Con addosso la canna dei fucili
noi viviamo notte e giorno.
La vita qui è per noi una lezione
più dura di quel che mai pensavamo.
Nessuno più conta giorni e settimane,
molti più nemmeno gli anni.
E poi tanti sono distrutti e hanno perso il loro aspetto.

Arbeit match frei!

Ma abbiamo imparato la parola d'ordine di Dachau
e l’abbiamo rispettata rigorosamente.
Sii un uomo, compagno,
rimani un uomo, compagno.
Fa’ tutto il lavoro, sgobba, compagno,
poiché il lavoro, il lavoro rende liberi.

Arbeit macht frei!

Porta via la pietra, tira la carriola,
nessun carico ti sia troppo peso.
Quel che eri in giorni lontani
oggi non lo sei più da tempo.
Pianta la vanga nel terreno.
seppelliscici dentro la pena,
diverrai nel tuo sudore
anche tu pietra ed acciaio.

Arbeit macht frei!

Ma abbiamo imparato la parola d’ordine di Dachau
e l’abbiamo rispettata rigorosamente.
Sii un uomo, compagno,
rimani un uomo, compagno.
Fa' tutto il lavoro, sgobba, compagno,
poiché il lavoro, il lavoro rende liberi.

Arbeit macht frei!

Una sola volta chiamerà la sirena
all'ultimo appello di conta.
Fuori dunque, dove siamo,
compagno, tu sei presente.
La libertà ci sorriderà serena,
si va avanti con nuovo coraggio.
E il lavoro che facciamo,
questo lavoro, diventa buono.

Arbeit macht frei!
Testo della Canzone di Dachau (Arbeit macht frei)

A circa 15 km a nord-ovest di Monaco si trova Dachau che vanta una storia millenaria strettamente legata ai conti di Dachau e dalla metà del 1500 ai Wittelsbach che trasformarono l'antico castello dei conti in una residenza estiva che dalla collina domina l'abitato.

Il 21 marzo del 1933 inizia per la città il periodo più buio e drammatico di tutta la sua lunga esistenza: nel "Münchner Neuesten Nachrichten" apparve con una freddezza agghiacciante questa notizia firmata da Heinrich Himmler, Presidente della Polizia della città di Monaco:

Mercoledì 22 marzo 1933 verrà aperto nelle vicinanze di Dachau il primo campo di concentramento. Abbiamo preso questa decisione senza badare a considerazioni meschine, ma nella certezza di agire per la tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio.

La prima costruzione del campo era una fabbrica di munizioni, costruita durante la prima guerra mondiale e ampliate nel '37-'38, periodo in cui furono costruite le nuove baracche, l'economato e i vecchi capannoni per le munizioni vennero trasformati in officine.

Dachau servì da modello a tutti i lager nazisti eretti successivamente; fu la scuola dell'omicidio delle SS che esportarono negli altri lager "Lo spirito di Dachau", il "terrore senza pietà".

Il lager di Dachau, insieme a quello di Auschwitz, è, nell'immaginario collettivo, il simbolo dei campi di sterminio nazisti.

Nel 1933 inizia così per la città di Dachau un lungo periodo buio e drammatico, a causa di questo nefasto avvenimento, al quale il nome della cittadina rimarrà per sempre legato.

« Il campo di concentramento di Dachau fu l'unico ad esistere per tutti i 12 anni del regime nazista. Nei primi anni della dittatura fu il più grande ed il più noto dei campi di concentramento, ed il suo nome divenne ben presto sinonimo di paura e di terrore in tutta la Germania.»

Il 21 marzo 1933, Heinrich Himmler, a Monaco di Baviera, in una conferenza stampa, annunciò la creazione di un campo di concentramento a Dachau. Dachau fu, in assoluto, il primo campo di concentramento di quello che sarebbe diventato "l'universo concentrazionario nazista", una gigantesca rete che nel 1945 arrivò a contare circa 20.000 lager, costruiti prima in Germania e poi in tutti i territori d'Europa caduti sotto l'occupazione tedesca; Dachau divenne pertanto il prototipo e il modello d'ispirazione per i campi successivi. Fu la scuola dell'assassinio per le SS, un vero e proprio banco di prova per ogni tipo di violenza.

Originariamente venne destinato agli oppositori politici di Hitler, a chi non si adeguò subito all'ideologia nazista. Gl'internati venivano rieducati tramite il lavoro duro e l'indottrinamento. Nei primi mesi di funzionamento il lager, a parte qualche episodio di violenza e la rigida disciplina, aveva ancora un volto un po' umano, che nulla lasciava presagire la mostruosità degli sviluppi futuri. I prigionieri erano prevalentemente sottoposti a lavori pesanti al fine di "punire" in loro il sentimento antinazista. Altro sistema era "rieducarli" al nazismo facendoli accedere a materiali vari di propaganda, presenziare a riunioni, veri e propri corsi, dibattiti e ascoltare dalla radio gli eventuali discorsi di Hitler, che i prigionieri udivano anche arrampicati sulle vecchie strutture del lager. Estenuanti marce erano effettuate inoltre, tra gli edifici e baracche del campo su cui erano state dipinte, a monito, enormi scritte della nascente dottrina nazionalsocialista.

Si prometteva la liberazione per coloro che si fossero riabilitati e in effetti a Natale del 1933, fatto più unico che raro, vennero graziati 600 prigionieri che, felici, poterono tornare a casa.

Solo in seguito divenne un campo di concentramento destinato, oltre che agli oppositori politici, anche ad ebrei e a minoranze "sgradite", come testimoni di Geova, omosessuali, emigranti, zingari e prigionieri polacchi, russi e così via.

L'organizzazione, la disposizione delle varie baracche e dei servizi, così come il programma di sviluppo e di ampliamento, vennero elaborate da uno dei primi comandanti del campo, Theodor Eicke, e tale modello poi venne sistematicamente utilizzato anche negli altri campi.

Eicke destinò il centro di comando e gli altri servizi per la gestione, come i quartieri per le guardie, l'amministrazione e l'armeria, in un'area ben protetta del campo. La sua gestione e l'esperienza accumulata a Dachau, gli valsero la nomina a "Ispettore dei campi di concentramento" (Inspekteur des Konzentrationslagerwesens).

Già il 22 marzo vi furono internati circa 150 detenuti. Nei primi giorni, sotto la sorveglianza della polizia bavarese e, dall'11 aprile, anche delle SS. Il 23 marzo si registrarono i primi omicidi e le prime vittime furono i prigionieri Benario Rudolf, Ernst Goldmann e Arthur Kahn. Nel mese di maggio, Hans Beimler, che sino al momento del suo arresto era stato membro del Reichstag, riuscì ad evadere e fuggire all'estero, dove rese pubbliche le informazioni riguardanti quello che lui definì il campo di omicidio a Dachau.
Ai primi di giugno, le SS assunsero il controllo completo ed alla fine dello stesso mese venne nominato comandante del campo Theodor Eicke. Eicke isolò completamente la struttura dagli estranei e neppure ai vigili del fuoco fu permesso entrare nei locali per verificare il rispetto delle norme di sicurezza antincendio.

Il Campo di concentramento di Dachau divenne da questo momento una zona al di fuori della legge.

Il regime divenne sempre più forte, grazie alla polizia politica ed alla magistratura. I sindacati invece, sempre più deboli, i partiti politici sciolti e la democrazia di fatto abolita. Radio e cinema furono messi sotto controllo. Ogni opposizione veniva ridotta al silenzio. Si diffusero sul territorio molte piccole strutture per raccogliere ed imprigionare i dissidenti, del tutto soggetti alla volontà dei politici nazisti locali.
Il 16 luglio 1933 venne pubblicato sulla rivista Münchner Illustrierte Presse un articolo di propaganda nazista con il titolo La verità su Dachau, che riportava una serie d'immagini sul lager, che avrebbe dovuto dissipare le voci emergenti sulle condizioni di vita drammatiche del campo. Furono mostrate fotografie dell'appello del mattino, della giornata tipo, con prigionieri lindi e pinti, sorridenti, in forma e ben trattati; foto che mostravano i loro abbondanti pasti, comprensivi di surrogato di caffè, pane, stufato e anche il pranzo della domenica, con minestra ed un pezzo di carne di maiale con insalata di patate. La realtà era assai diversa.

Venne aperta una biblioteca interna, contenente, ad esempio il Mein Kampf di Adolf Hitler per agevolare il programma di rieducazione. All'inizio di ottobre però venne emanato il regolamento definitivo del campo, che sostituì quello provvisorio preparato dal primo comandante Hilmar Wäckerle; questo nuovo programma, molto più rigido e spietato, fu l'inizio del terrore. Alla fine del 1933, dopo il rilascio delle circa 600 persone per la grazia di Natale, il campo conteneva quasi 5.000 prigionieri.

Durante il 1934 Himmler aumentò sempre più il suo potere e contemporaneamente i giochi politici estromisero le formazioni delle SA. Il loro capo, Ernst Röhm, cadde in disgrazia e numerosi appartenenti a quella formazione finirono nel campo di Dachau. Sempre nel corso del 1934 vennero chiusi vari campi non organizzati in modo adeguato e, di conseguenza, quello di Dachau, aumentò la sua importanza per tutta l'area della Baviera.

Con l'anno 1935 aumentò il numero degli internati. Arrivarono al campo non solo gli oppositori politici ma anche criminali comuni, zingari, ebrei, testimoni di Geova e omosessuali. Nel 1936 la polizia bavarese incominciò ad arrestare e a deportare i "parassiti dello Stato" (mendicanti, vagabondi, zingari, nullafacenti, sfruttatori di prostitute, bevitori abituali, autori gravi di infrazioni stradali e persone dal temperamento sociale psicopatico), classificati nel lager sotto il termine di "Asociali", oltre ai malati mentali. Un giro di vite si ebbe in occasione delle Olimpiadi di Berlino, dello stesso anno.

Nel 1936 s'iniziarono lavori per la costruzione di nuovi edifici che porteranno il lager di Dachau a diventare uno smisurato complesso tra i più grandi dell'universo concentrazionario nazista.

Moltissimi detenuti di Dachau, scelti tra i più pratici ed alacri, furono inviati in altri luoghi per cominciare a costruire altri nuovi campi di concentramento che divennero con il tempo anche loro, tristemente famosi.

Gli anni successivi furono un periodo di transizione, col terrore ormai instaurato nel campo. Fu usata la tortura per punire anche le più lievi mancanze disciplinari; una tortura molto usata era quella di appendere i prigionieri per le mani legate dietro la schiena senza che i piedi toccassero terra: le braccia si slogavano tra atroci dolori. Stessa punizione anche per chi non si toglieva il berretto davanti a una SS o non riusciva a stare in piedi sull'attenti davanti a loro.

Se a Dachau un prigioniero veniva trovato con un mozzicone di sigaretta, anche nascosto in tasca, riceveva dalle 25 alle 50 frustate. Altra punizione era "La scatola": era un casotto delle dimensioni di una cabina del telefono, fatta in modo che il detenuto non potesse stare in piedi, né seduto né tanto meno sdraiarsi; vi venivano stipati dentro fino a 4 detenuti che venivano lasciati lì dentro per tre giorni e tre notti, senza mangiare, bere o servizi igienici. Dopodiché li aspettavano 16 ore ininterrotte di lavori forzati.

Dagli archivi della Wilhelmstrasse, Documento 215, si parla di altri due famigerati Kommandos di Dachau, Il Moor-express e le "Piantagioni".

Un'altra tortura psicofisica ideata dalle SS a Dachau era il Moor Express (Espresso della palude), pesantissimi carri a cui venivano aggiogati come animali da soma i prigionieri, obbligati a trascinarli di corsa per trasportare anche minimi carichi da una parte all'altra del lager, per otto-dieci ore al giorno.

Le "Piantagioni" erano dei veri e propri bagni penali. Vi erano destinati specialmente ecclesiastici ed ebrei che vi lavorano a mani nude con ogni tempo. La terra fu strappata alla palude al costo di centinaia di vite umane e vi si coltivavano soprattutto piante medicinali.

Vi era anche il Commando della Cava, che come in tutti i campi è sconsigliabile: solo nell'inverno del 1942 vi muorirono di sfinimento trecento religiosi.

S'introdusse un nuovo sistema d'identificazione dei gruppi di prigionieri e, nel 1937, si ampliò notevolmente l'area del campo, con lavori che proseguirono per tutto il 1938. Vennero costruite baracche di legno, un bunker, una fattoria con cucina e altri edifici.

Nel bunker vi erano piccole celle dove avvenivano segregazioni e torture varie. Nel campo c'erano poi il piazzale dell'appello, dove ogni giorno, alla mattina e alla sera, si svolgeva l'appello generale dei detenuti, la cantina-bar, dove si potevano comprare sigarette e ogni tanto anche alimentari come marmellata di rape, pasta di avena e cetrioli. I detenuti avevano accesso anche al paradossale "museo del campo", dove venivano conservate figure in gesso dei prigionieri caratterizzati da particolari menomazioni fisiche o tare ereditarie (in ossequio certamente al pregiudizio razziale nazista). A volte, in questo museo, come fosse uno specie di zoo umano, vi venivano addirittura mostrati e anche percossi pubblicamente detenuti importanti, come il vescovo Kozal, politici, artisti, nobili, tra i quali i duchi di Hohenberg, figli dell'Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco, assassinato a Sarajevo nel 1914.

Le prigioni di Dachau erano un lunghissimo edificio stretto e dotato di numerose piccole celle. Lì erano rinchiusi quelli che i deportati chiamavano NN, la sigla Nacht und Nebel, notte e nebbia. Non avevano il permesso di vedere nessuno e non venivano mai portati fuori all'aria aperta; furono condannati all'isolamento totale per anni e alla facile possibilità di impazzire. Il venerdì prima della domenica in cui fu liberato il campo dagli americani, 8.000 prigionieri furono condotti dalle SS sui "Treni della morte", e tra essi vi erano i reclusi delle celle d'isolamento; di loro non si è mai saputo più nulla.

Il 1º aprile 1938 arrivarono al campo i primi prigionieri provenienti dall'Austria da poco annessa, senza alcun combattimento, con l'Anschluss.

Nell'agosto dello stesso anno venne scritta, clandestinamente, la Canzone di Dachau, una marcia con testo di Jura Soyfer con un ritornello che ripeteva più volte: Arbeit macht frei. Jura Soyfer era un ebreo di origine ucraina trasferitosi a Vienna, arrestato e deportato a Dachau, dove scrisse la canzone, in collaborazione con il compositore viennese Herbert Zipper. Questa drammatica canzone esorta i compagni di prigionia a non lasciarsi sopraffare e abbrutire dal lavoro disumano e bestiale di Dachau ma di reagire allo slogan Arbeit macht frei, trascendendolo anche con sofferenza e stoicismo in modo da riconquistare la dignità umana lesa dalla violenza nazista, di resistere con tutta la forza della disperazione e dell'orgoglio fino all'ultimo appello, quando si apriranno le porte del lager verso l'immancabile libertà. Dachaulied divenne l'inno di resistenza antinazista e regalò una speranza a milioni di condannati a morte durante l'Olocausto.

Nel frattempo le ispezioni internazionali che si fecero al campo lasciarono soddisfatti gli ispettori. Il 19 agosto Guillaume Favre, membro del Comitato internazionale della Croce Rossa, scrisse un commento molto favorevole, ignorando ciò che realmente avveniva dentro le recinzioni. Nel mese di ottobre arrivarono i primi prigionieri dai Sudeti, in maggioranza ebrei. Poi diversi di questi vennero rilasciati, ma invitati ad espatriare, lasciando i loro beni, nei luoghi di origine, che vennero comprati a poco prezzo dai tedeschi.
Nel corso del 1939, prima dello scoppiò della seconda guerra mondiale, le persecuzioni contro gli ebrei divennero ancora più forti e vennero emanate leggi per espropriarli delle loro proprietà. Poi, in occasione dell'anniversario dell'Anschluss, vennero rilasciati molti austriaci. La guerra ormai era alle porte.

Il primo settembre 1939, con l'invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, scoppiò la seconda guerra mondiale. Cominciarono così ad arrivare al campo, in un numero sempre maggiore, prigionieri provenienti dai paesi occupati. Questi vennero impiegati sia nell'industria bellica, per la produzione di armi, sia nelle altre attività industriali e anche nelle cave od ovunque servisse manodopera a basso costo.
Le nuove normative in tema di eutanasia emanate da Hitler ridussero il numero di prigionieri in cattivo stato di salute, poiché vennero semplicemente uccisi.
Tra il 27 settembre 1939 e 18 febbraio 1940 molti prigionieri vennero trasferiti in altri campi, come Buchenwald, Mauthausen e Flossenbürg.
Con l'inizio del 1940 il controllo del campo passò alla sezione delle SS che curava gli armamenti e si aprirono fucine, falegnamerie e sellerie. Da ricordare che è l'anno dell'uscita del film di Charlie Chaplin, Il grande dittatore, dove si parla dei campi di concentramento.

Sempre nel 1940, di fronte al forte aumento del numero dei morti, si rese necessaria la costruzione di un crematorio in un'area alberata adiacente all'estremità del campo. In un capannone di legno, camuffato come una casa stile bavarese, fu installato un forno crematorio J.A. Topf und Söhne, a doppia muffola, di modello identico a quello che la stessa ditta installò a Gusen di Mauthausen. Il capannone (come tuttora si vede) aveva sul davanti una grande porta a due ante che accedeva immediatamente al forno crematorio; i cadaveri venivano raccolti con carri che facevano il giro del campo e il caricamento dei cadaveri nei forni avveniva in un orario indicato dalle sette di sera alle sette di mattina, affinché la notte nascondesse le operazioni di cremazione.

Molti furono i religiosi rinchiusi a Dachau, ripartiti principalmente nel Blocco 26 e, in misura minore, nel 28. Nel gennaio 1941, su ordine di Himmler, nel Blocco 26, denominato appunto il "Blocco dei preti", venne costruita una cappella provvisoria. Ciò per accordi avuti con il Vaticano, accordi che prevedevano un trattamento migliore per i sacerdoti reclusi e anche di evitare la cremazione per quelli che vi fossero eventualmente deceduti. Un sacerdote venne autorizzato a celebrare la Messa ogni giorno, sotto la supervisione di una SS. A partire dal mese di aprile a tutto il clero cattolico vennero concesse, grazie a finanziamenti del Vaticano, razioni di cibo migliore. Il privilegio tuttavia portò ad una reazione degli altri detenuti e, per evitare disordini, nel mese di settembre tale privilegio venne annullato.



Sempre nel 1941 venne creata in infermeria una stazione sperimentale, che iniziò le attività con un trattamento omeopatico su 114 pazienti affetti da tubercolosi. Kapo in infermeria, per tutti i 6 anni della guerra, fu il detenuto Josef Heiden.
Dal 1º giugno fu istituito il Registro dei Decessi all'interno del Campo. Fino ad allora, il numero totale dei decessi in base al registro del comune di Dachau era di 3486 persone. Da ottobre 1941 arrivarono migliaia di prigionieri di guerra sovietici. Durante la guerra contro l'Unione Sovietica vennero reclusi a Dachau ragazzi tra i 12 e i 15 anni e perfino di 7 anni; cosa sia avvenuto di loro non si seppe mai.

Nel 1941 la Germania è vincitrice su tutti i fronti; l'esaltazione paranoide di Hitler è al massimo. Egli vede concretizzarsi il suo ideale di un nuovo potere mondiale nazista. Promette persino "Mille anni di felicità al popolo tedesco". La vittoria sembra vicina e nel nuovo ordine nazista non c'è posto per gli "indesiderabili", siano essi Ebrei, Polacchi, Russi ecc., che si possono ribellare al padrone tedesco, zingari, oppositori, asociali o di "vita indegna". Hitler ordina che i nemici del Reich siano eliminati senza pietà, "in un sol colpo" e una volta per sempre. Himmler le chiama "Grandiose azioni previste" ed esegue. Di conseguenza a ciò i campi in mano alle SS diventarono praticamente tutti campi di sterminio, da attuarsi soprattutto con il lavoro, mentre le Einsatzgruppen furono utilizzate come unità mobili di sterminio. Dall'espropriazione coatta dei beni di milioni e milioni di Ebrei, slavi, zingari e deportati di ogni nazionalità, si ricavarono migliaia di tonnellate d'oro, platino, argento, di altri metalli, oggetti e pietre preziose, valute nazionali e straniere, Titoli del Tesoro e Azioni per miliardi di marchi, beni mobili e immobili, opere d'arte, oceani di suppellettili, come masserizie, oggetti personali, calzature, pellicce pregiate ecc., il lavoro a costo zero di milioni di lavoratori schiavi e la pulizia etnica di immensi territori destinati all'annessione tedesca. Più si deportava, più si uccideva e più guadagnava. Ancora oggi si stenta a calcolare l'immenso tesoro sottratto.

A Dachau le SS iniziarono, prima nel cortile del bunker, poi a Hebertshausen, ad esercitarsi al tiro sparando sui prigionieri di guerra sovietici. Le vittime divennero subito migliaia. Il campo si trasformò quindi da campo di lavoro a vero e proprio campo di sterminio. Circa 30.000 persone vennero uccise, in gran parte da quel momento in avanti. Altre migliaia morirono di fame e di stenti a causa delle condizioni infernali di vita nel campo.

La stragrande maggioranza dei decessi tra gli internati a Dachau avvenne negli anni 1942-45. In conseguenza del numero crescente di morti e di uccisioni, l'unico forno crematorio a doppia muffola, installato in un capannone di legno nel 1940 dalla J.A. Topf und Söhne, non fu più in grado di far fronte al compito d'incenerire tale massa di vittime.

Nel 1942 si rese quindi necessario iniziare la costruzione di un nuovo grande crematorio in muratura, denominato sinistramente Baracke X, che venne edificato accanto al primo. Esso fu dotato di un'ampia camera a gas e di una vasta sala d'incenerimento con quattro forni "Reform" (modello TII), installati dalla ditta Heinrich KORI GmbH di Berlino e realizzati con doppie porte per ridurre l'esplosione di calore quando venivano aperti.

Si deve notare che i forni di Dachau, come quelli di altri lager nazisti, non furono "forni crematori" nel senso più stretto del termine; un forno crematorio è progettato per cremare un corpo alla volta, seguendo un preciso ciclo di riscaldamento, d'incenerimento, di raffreddamento e di recupero delle ceneri.
Un forno che crema, invece, corpi in modo continuo è più esattamente chiamato "inceneritore". In questo caso le cremazioni sono effettuate senza periodo di raffreddamento e di recupero delle ceneri, dove nuovi corpi sono gettati nel forno senza aspettare la fine della cremazione precedente. Questo consentiva un risparmio sul combustibile e sul ricambio dei mattoni refrattari e ciò portava il costo di gestione di un "inceneritore" notevolmente inferiore a quello di un "crematorio", con un'efficienza di cremazione assai più elevata. La stessa ditta costruttrice, nelle sue istruzioni per l'uso ottimale dei forni crematori, conferma: «Nel forno crematorio a doppia muffola, riscaldato a coke, possono essere cremati dai 50 ai 100 cadaveri al giorno. Inoltre, ove l'Azienda lo richieda, le cremazioni possono essere effettuate incessantemente giorno e notte, senza che ciò ne risulti di sovraccarico per il forno. I mattoni refrattari durano di più se nel forno è mantenuta costante una temperatura uniforme.» Si stima che a pieno regime ci volessero circa 10-15 minuti per cremare un corpo. Neanche questa drammatica capacità distruttiva dei crematori era sufficiente a smaltire i corpi delle vittime, tanto che si doveva ricorrere anche allo scavo di fosse comuni. Inspiegabilmente il primo forno a sinistra dei quattro, quello sul lato della camera a gas, per ordine dei nazisti, veniva usato solo per gli Ebrei anche se dopo le ceneri venivano mischiate con quelle degli altri forni.

Inizialmente si effettuava anche il recupero delle ceneri, vendute poi dentro a urne alle famiglie delle vittime che ne facevano richiesta. Le ceneri erano mischiate e non corrispondevano mai al nominativo segnato. Poi con il tempo questo bieco commercio non poté più essere effettuato e cessò e le ceneri vennero gettate in una profonda buca scavata nel terreno adiacente e da questa raccolte per essere adoperate come concime per i campi o altri usi. Una lapide lì posta ne commemora il punto.

Nel nuovo crematorio furono installate anche quattro piccole e basse camerette parallele, indiscutibilmente destinate alla fumigazione e la sterilizzazione con gas di coperte e biancheria da letto per la disinfestazione da pidocchi e altri insetti, ma soprattutto per poter riciclare gli abiti tolti ai morti prima di essere cremati o quelli delle eventuali vittime dell'annessa camera a gas. Per scopi di sterminio venne invece costruita infatti la grande camera a gas camuffata da "Sala doccia", in tedesco Brausebad, come ancora oggi si legge sul cartello all'ingresso. Il vasto locale è dotato di porte ermetiche con spioncino e numerosi soffioni d'acqua finti incassati nel soffitto. Due sportelli esterni in ferro, con maniglia per l'immissione dei cristalli del gas Zyklon B nella camera, confermano le sue finalità omicide. Secondo i produttori del gas, assai notevole è la differenza di quantità di gas usata per lo sterminio degli insetti e quello di esseri umani: 0,3 grammi per metro cubo per uccidere esseri umani e ben 10 grammi per metro cubo per gli insetti; queste basse concentrazioni di acido cianidrico rendevano relativamente facile e poco costosa l'eliminazione di grandi numeri di vittime. Questa camera a gas è una delle poche, assieme a quelle di Sachsenhausen e Majdanek, che non è stata distrutta all'arrivo delle truppe di liberazione, com'è successo invece ad Auschwitz-Birkenau ed in altri campi di sterminio, in particolare in quelli liberati dall'esercito sovietico.

Per completezza di informazione occorre ricordare che l'effettivo utilizzo della camera a gas di Dachau è oggi fonte di discussione e di indagine storica.

Per alcuni, come il giornalista Martin Broszat, non ci sono dubbi in merito.
La notizia è confermata dalla testimonianza di un deportato italiano, Enrico Vanzini.
La scrittrice e giornalista americana Martha Gellhorn, considerata una delle più grandi corrispondenti di guerra del XX secolo, nella sua visita a Dachau subito dopo la liberazione raccolse a caldo, tra le altre, anche questa testimonianza di ex-prigionieri e reduci del Sonderkommando di Dachau: «In febbraio e marzo scorso (1945), duemila uomini sono stati assassinati nella camera a gas perché, nonostante la prostrazione che impediva loro di lavorare, non avevano la grazia di morire da soli; quindi doveva pensarci qualcun altro. La camera a gas era quella che faceva parte del crematorio.» Da quanto è narrato in queste testimonianze si ha conferma che la camera a gas di Dachau era in funzione. Le indagini della giornalista americana si trovano anche su Oldmagazinearticles.
Un aspetto a favore di questa tesi è che i prigionieri da eliminare non potevano essere più inviati ad altri centri di sterminio poiché già dal gennaio del '45 questi erano stati tutti smantellati. Da questa data e fino ad aprile '45, alla liberazione del campo, ciò fa supporre quindi che almeno in questi ultimi mesi la camera a gas sia stata operativa.

Un altro metodo utilizzato nel campo per sopprimere i prigionieri non più adatti al lavoro fu anche quello delle iniezioni letali, in particolare a partire dal 1942.

Il 22 febbraio iniziarono sperimentazioni su vasta scala ed i medici vennero incaricati di testare gli effetti sull'organismo umano della permanenza ad alta quota e della caduta improvvisa da una grande altezza. Tali studi servirono per i piloti della Luftwaffe e venne appositamente costruita una camera a vuoto tra il Blocco 5 e le baracche adiacenti. La serie di prove nella seconda metà di maggio 1942 costò la vita a circa 200 detenuti. Tra i medici coinvolti in tali esperimenti occorre ricordare Wilhelm Beiglböck, che fu giudicato e condannato nel processo di Norimberga, al termine del conflitto mondiale. Quasi contemporaneamente Claus Schilling iniziò i suoi primi esperimenti per lo studio di farmaci contro la malaria e le malattie tropicali. 1100 prigionieri vennero infettati e utilizzati come cavie. Nel mese di giugno venne istituita una stazione di ricerca biochimica, sotto la direzione di Heinrich Schütz.

Malgrado le uccisioni e le sperimentazioni, le condizioni di vita nel campo divennero più accettabili per quella parte dei prigionieri che erano utilizzati come forza lavoro. Contemporaneamente le nuove disposizioni di Himmler fecero affluire ai vari campi un numero sempre maggiore di ebrei. Alla fine del 1942 si ebbe un'epidemia di tifo, trasmessa dai pidocchi per le scarse condizioni igieniche. Il campo venne messo in quarantena e, a causa di questo problema, le SS non entrarono per alcuni mesi nel campo, sino al 15 marzo 1943, con vantaggi per gli internati. Tuttavia subito dopo, per gli atti di sabotaggio, si registrarono le esecuzioni di un numero compreso tra gli 800 ed i 1.000 prigionieri.

Precedentemente, e cioè dal 2 gennaio 1942, aveva avuto inizio il trasporto di prigionieri disabili e improduttivi da Dachau verso il Castello di Hartheim, centro dell'eutanasia nazista denominata Aktion T4, presso Linz in Austria, per essere eliminati con il gas. Più esattamente i deportati selezionati per essere soppressi seguivano l' Aktion 14F13, l'azione più segreta e proprio specifica per l'uccisione dei prigionieri dei campi di concentramento, fossero essi malati, invalidi, fisicamente esauriti e comunque inabili al lavoro. I nazisti, colossali imprenditori di manodopera schiava, li consideravano bocche inutili da sfamare, letteralmente "zavorra umana" (ballastexistenzen) da far sparire. Nella logica criminale nazista, qualunque prigioniero considerato un "peso morto", cioè inutile e costoso all'economia del Reich, doveva essere condannato a morte immediata; prima lo si eliminava e più si risparmiava.

Il centro di sterminio di Hartheim, avviato il 1º settembre 1939, era chiamato in modo sarcastico il "Sanatorio di Dachau", per coprirne le reali finalità omicide. Nel primo anno ci furono 32 spedizioni, per un totale di circa 3.000 deportati uccisi. In questo castello giunsero trasporti da vari lager, tra cui Dachau e Mauthausen/Gusen per un totale di circa 8066 vittime riconosciute. Si stima che in questo Castello vi furono assassinate circa 30.000 persone. In particolare le vittime di Dachau ad Hartheim, nel periodo 1942-44, furono 3166.

Nel 1944, i campi di concentramento ad est, per lo spostamento del fronte, vennero evacuati. In febbraio, nel cortile del crematorio, le SS fucilarono 31 ufficiali sovietici. Il giorno 11 maggio venne creato un bordello nel campo, con sei donne arrivate da Ravensbrück, con lo scopo di premiare il lavoro straordinario tra i detenuti e incrementarlo ulteriormente. Verso la fine dell'anno tuttavia venne chiuso. Il 6 luglio arrivarono detenuti dal campo di Compiègne. Di questi 2521 prigionieri, 984 erano già morti. Contemporaneamente negli uffici delle SS arrivò, attraverso la radio, la notizia dello sbarco alleato in Normandia. Continuarono anche gli esperimenti medici, ad esempio per l'utilizzo di acqua di mare da bere. Vennero coinvolti 44 detenuti sinti e rom.

Nell'agosto del 1944 venne aperto un campo femminile all'interno di Dachau: il primo convoglio di donne proveniva da Auschwitz-Birkenau. Solo diciannove donne guardie servirono a Dachau, molte delle quali fino alla liberazione del campo, e in totale solo sessantatré prestarono servizio nei vari sottocampi del complesso di Dachau.

Nell'autunno del 1944 il campo era sovraffollato: le camerate previste per 52 persone ospitavano 300-500 persone. Vennero uccisi altri 92 ufficiali sovietici nel cortile del crematorio. In novembre ancora una volta si ebbe un'epidemia di tifo. I tassi di mortalità aumentarono: 403 morti in ottobre, 997 in novembre e 1915 in dicembre. Il 17 dicembre il diacono Karl Leisner venne segretamente ordinato sacerdote dal vescovo francese Gabriel Piguet (Karl Leisner venne beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel 1996). Oltre a tutto questo il campo fu teatro di numerosi esperimenti su detenuti; cavie umane nel gergo del lager chiamate Versuchskaninchen. Questi esperimenti, mortali il più delle volte, vennero eseguiti allo scopo di trovare rimedi per i problemi dei soldati dell'esercito nazista impegnati su fronti diversi, come in caso di congelamento in acqua o alta pressione in volo, problemi di tubercolosi e altre malattie di cui si studiavano nuovi farmaci. A questo scopo migliaia di detenuti fecero da cavie anche per esperimenti inutili ed empirici, come quello di far bere acqua salata o di congelare un ebreo in acqua fredda per poi cercare di rianimarlo; fu tentata persino la rianimazione con il calore animale usando prostitute del campo; ciò poteva servire per un aviatore tedesco in seguito di un atterraggio col paracadute e svenimento per il freddo. Si sono trovate lettere di medici nazisti che ammettevano di aver annegate nell'acqua le cavie umane ancora svenute. Per sperimentare i nuovi farmaci fu inoculata la malaria, batteri del tetano, della gangrena, del tifo petecchiale, della tubercolosi e della peste, fortemente settici. Si tentarono esperimenti di sterilizzazione su ebrei con Raggi X e con sostanze acide inalate nelle donne ebree nelle parti intime. Furono amputati arti, teste, organi e ricavati scheletri per le università tedesche. Esperimenti criminali che lasciarono per sempre nei corpi delle poche cavie sopravvissute orribili mutilazioni.

Con l'inizio del 1945 arrivarono sempre più numerosi i prigionieri da altri campi, che erano stati evacuati per l'avvicinamento del fronte. Il sovraffollamento biblico ed epidemie endemiche come la febbre tifoide, fecero salire ancora il numero dei decessi: 2903 morti in gennaio, 3991 in febbraio e 3534 in marzo. Morirono pure molti medici ed infermieri contagiati. Agli inizi di aprile, con gli Alleati ormai vicini, le SS cominciarono a bruciare i documenti, e l'avvicendamento al comando divenne più rapido.
A metà di aprile del 1945, i sottocampi di Kaufering, Augusta e Monaco vennero abbandonati, le guardie delle SS vennero trasferite tutte a Dachau, e alcune di loro fornirono ai prigionieri diverse pistole poco prima della liberazione del campo, nella speranza di aver salva la vita nel dopoguerra.

Occorre ora fare un piccolo passo indietro e tornare al settembre del 1944. I successi degli Alleati, che avanzavano sempre più profondamente nei territori precedentemente occupati dai nazisti, crearono nel campo un clima fervente di attesa per la liberazione e di angoscia nei loro aguzzini.
Un gruppo di prigionieri impiegati in infermeria diede vita all'I.P.C.(Comitato Internazionale dei Prigionieri), che all'inizio comprendeva un internato di origine albanese, uno di origine polacca, uno belga ed uno canadese di lingua inglese. Questi quattro, Kuci, Malczewski, Haulot e O'Leary iniziarono a contattare anche altri rappresentanti di diverse nazionalità. L'I.P.C. divenne subito un punto di riferimento per tutti i detenuti e incominciò ad organizzare una sorta di resistenza interna, per ridurre al massimo le conseguenze sui detenuti delle pessime condizioni nelle quali versava il campo a causa del sovraffollamento.

Gli ultimi giorni di attività del campo videro ancora l'arrivo di nuovi detenuti, ad esempio da Buchenwald, stremati e spesso morti durante i trasferimenti. Il 28 aprile il nuovo comandante Max Ulich, che voleva evitare inutili perdite contro le forze degli Stati Uniti, organizzò la resa. Nella città di Dachau si ebbe una rivolta, che coinvolse anche prigionieri. Dalla radio giungevano ancora ordini di resistere, ma ormai non era più possibile evitare la capitolazione.

Le Marce della morte furono una forma di sterminio tardiva ma volutamente pianificata. Gli ordini di Himmler erano di eliminare tutti quelli che non erano in grado di proseguire; il 14 aprile 1945 aveva emanato l'ordinanza per il massacro totale dei prigionieri; nessun deportato doveva cadere vivo nelle mani degli alleati. I superstiti furono caricati a migliaia su diverse navi minate tedesche come il Cap Arcona e il Deutschland per essere affondati nel Mar Baltico e a migliaia vi muoiono, ironia della sorte, per i bombardamenti degli alleati, convinti di colare a picco navi naziste.

Un deportato proveniente da Hersbruck raccontò la sua lunga marcia della morte attraverso la Germania, per arrivare infine a Dachau. L'ultimo tratto venne percorso su un vagone ferroviario, insieme ad altri compagni ormai stremati, ed all'arrivo alla piccola stazione del campo tutti i compagni erano ormai morti e solo lui poté scendere «Di cento che eravamo stati fatti salire su quel carro, solo io riuscii a scendere, gli altri erano tutti morti durante la nottata.»

L'ultimo leader dei prigionieri del campo fu Oskar Müller (un anti-fascista), che divenne in seguito Ministro del Lavoro del Land tedesco dell'Assia. Secondo i racconti di Padre Johannes Maria Lenz, Müller inviò due prigionieri per informare l'esercito americano che il campo doveva essere liberato, dato che i nazisti si stavano preparando ad uccidere tutti i prigionieri ancora in vita.

Dachau venne utilizzato come campo centrale per i prigionieri di religione cristiana: secondo i resoconti della Chiesa Romana poco meno di 3.000 religiosi, diaconi, sacerdoti e vescovi vennero imprigionati. Tra gl'internati cristiani, figure particolarmente importanti furono Karl Leisner, già ricordato, e Martin Niemöller (teologo protestante e leader della resistenza anti-nazista). In totale, più di 200.000 prigionieri provenienti da 30 diversi paesi vennero internati a Dachau.

Domenica 29 aprile 1945, il giorno prima che Hitler si suicidasse, le Divisioni 42^ e 45^ della Fanteria USA entrarono nel campo di Dachau. I pochi uomini delle Allgemeine SS ancora rimasti all'interno del campo, offrirono poca resistenza. Il campo di concentramento di Dachau fu il penultimo dei grandi campi ad essere liberato, sei giorni prima di Mauthausen, liberato il 5 maggio 1945. Al suo interno rimanevano ancora 32.335 prigionieri.

Il primo carrarmato americano entrando a Dachau sparò due cannonate demolendo una torretta; con altre due aprì una breccia nel muro opposto al cancello facendo comparire per la prima volta ai prigionieri le dieci ville degli ufficiali nazisti.

Ma già una furiosa battaglia infuriava fuori dal lager tra SS e americani, che durò dalla mattina di domenica 29 aprile fino alle cinque del pomeriggio; gli americani da fuori del lager avvertivano i prigionieri con megafoni in tutte le lingue di rifugiarsi nelle baracche per evitare pallottole vaganti.

Ecco come il tenente colonnello Walter Fellenz della Settima Armata americana descrisse il saluto dei 32.000 prigionieri superstiti all'arrivo degli americani a Dachau:

"A diverse centinaia di metri all'interno del cancello principale, abbiamo trovato il campo di concentramento. Davanti a noi, dietro un recinto elettrificato di filo spinato, c'era una massa di uomini, donne e bambini plaudenti, mezzi matti, che salutavano e gridavano di gioia – i loro liberatori erano arrivati! Il rumore assordante del saluto era di là della comprensione! Ogni individuo degli oltre 32.000 che poteva emettere un suono lo faceva, applaudiva e urlava parole di giubilo. I nostri cuori piangevano vedendo le lacrime di felicità cadere dalle loro guance."

Gli americani vengono guidati da alcuni prigionieri russi nel bunker sotterraneo dove si effettuavano esperimenti ed interventi chirurgici su cavie umane; qui trovano venti donne e dieci guardie delle SS che lì si erano nascosti sperando di farla franca; li arrestano immediatamente. Osservano gli strumenti e la sala operatoria dove si asportavano, tra l'altro, organi da individui sani per essere inviati alle università tedesche. Vi è un montacarichi che serviva per portare in superficie i cadaveri mutilati delle vittime pronti per essere messi su carri tirati a mano ed avviati ai forni crematori; testimoni dicono agli allibiti americani che le cavie umane venivano operate anche in vivisezione senza anestesia. Gli americani giravano per il campo ripetendo in continuazione:"Orrendo!"

Le truppe americane, dopo aver liberato Dachau, marciarono verso Monaco di Baviera, a pochi chilometri di distanza, ed entrarono in città il giorno successivo. I sottocampi vennero liberati lo stesso giorno, compreso il campo di Kaufering/Landsberg, dove era rinchiuso Viktor Frankl. Anche i trasporti di prigionieri, che erano nelle vicinanze di Monaco di Baviera, vennero raggiunti e liberati come il capoluogo, il 30 aprile. Tra i prigionieri liberati in questa occasione è da ricordare Max Mannheimer, che si trovava in un convoglio nei pressi di Seeshaupt.

La liberazione di Dachau e la scoperta degli orrori che vi avvenivano, lasciò sgomenta l'opinione pubblica del britannica e statunitense, non solo perché era il secondo campo di concentramento ad essere liberato dagli Alleati occidentali, ma anche, e soprattutto, perché fu il primo sito ad Ovest, nel quale si venne pienamente a conoscenza del reale dramma dei lager nazisti. Gli americani trovarono oltre 32.000 prigionieri in condizioni pietose e altri 1.600 ormai in fin di vita in 20 baracche del campo, che contenevano circa 250 persone ciascuna. I soldati americani scoprirono inoltre 39 vagoni ferroviari contenenti un altro centinaio di corpi di prigionieri morti ammassati.

Oltre a ciò i detenuti continuavano a morire come mosche; vi erano corpi in avanzato stato di decomposizione e si rischiavano gravi epidemie oltre a quelle già presenti. Gli americani fecero riaccendere i forni e in quattro giorni fecero cremare 741 corpi, ma non bastava. Tra i soldati statunitensi vi era anche il futuro scrittore J.D. Salinger, che anni dopo dirà alla figlia "È impossibile non sentire più l'odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva."

Si rese subito necessario scavare vaste e profonde fosse comuni e con le ruspe gettarvi dentro cadaveri in numero impressionante.

Vi erano soldati americani avvezzi alle più crude atrocità della guerra ma che qui, a Dachau, piangevano nel vedere quegli scheletri viventi in "pigiama" a strisce, sporchi, laceri, traballanti fantasmi ancora in piedi, dagli enormi occhi assenti, che venivano piano piano loro incontro e che provavano a sorridere o a parlare; molti cadevano a terra, un guizzo e spiravano; musulmani (muselmann) li chiamano nel gergo dei lager, perché stremati, cadevano spesso in ginocchio con le braccia in avanti a terra e il capo chino come nella tipica posa dei musulmani che pregano.

Morivano anche detenuti che al momento, con gli aiuti, avevano potuto finalmente mangiare a sazietà; il loro stomaco si era troppo ristretto e letteralmente scoppiava per il tanto cibo. Nel campo prigionieri affamati erano arrivati persino a cibarsi di topi e vi furono anche diversi episodi di cannibalismo su cadaveri.

Bisognava disinfettare il campo dai pidocchi e altri parassiti e gli americani usarono il DDT ancora sconosciuto in Europa. Nonostante le cure, i morti si contavano a migliaia nei giorni successivi alla liberazione e in quello spaventoso maggio del 1945.

Dal luglio 1945 il campo venne utilizzato come prigione per graduati e ufficiali SS, ed al suo interno si tennero pure le sedute del tribunale militare per il processo che riguardò i crimini commessi a Dachau, e questo fino al 1948. In seguito venne usato come ricovero per i profughi tedeschi.

Il 16 ottobre 1946 i forni crematori di Dachau vennero riaccesi per l'ultima volta: vennero cremati i 12 cadaveri dei gerarchi nazisti condannati all'impiccagione per sentenza del Processo di Norimberga. Si ripeté la tecnica di inserimento dei corpi nei forni ma stavolta a finirci dentro furono gli stessi apostoli del Nazismo, condannati per crimini contro l'umanità: Hermann Göring, von Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frank, Frick, Streicher, Sauckel, Jodl, Seyß-Inquart e gli altri, passarono anche loro per il famigerato camino e le loro ceneri vennero poi gettate nel rio Conwentz.

Dachau inizialmente, su ordine del comando americano, fu messo in quarantena, a causa dell'epidemia di tifo presente nel sito. Questa, unita alla malnutrizione che aveva indebolito i prigionieri, decimò i sopravvissuti, provocando oltre 2.000 decessi. Il campo, durante questa emergenza, servì come rifugio per i detenuti e per le persone senza fissa dimora ed ex-malati. Venne annunciata in quei giorni la costituzione di un Comitato internazionale degli internati. Dal mese di luglio le autorità militari statunitensi utilizzarono il campo di Dachau per i criminali di guerra, arrivando anche a 30.000 prigionieri.

Circa tre anni e mezzo dopo la liberazione, nel mese di settembre 1948, l'esercito americano consegnò il sito alle autorità bavaresi: da quel momento Dachau venne utilizzato come campo profughi.

Nel corso della giornata della liberazione, il 29 aprile, per cause che furono in seguito oggetto di indagine militare, decine (se non centinaia) di guardie delle Waffen-SS, che si erano già arrese, vennero giustiziate in vari momenti dai soldati americani e dai prigionieri appena liberati. Questo tragico episodio, alla conclusione dei 12 anni di vita del campo, è noto come massacro di Dachau. Pare accertato che, dopo la resa del campo, diversi soldati americani, inorriditi per le condizioni dei prigionieri, avessero iniziato ad uccidere sommariamente una ad una, tutte le guardie del campo. Alcune fonti parlano di sole 35 guardie naziste fucilate e di altre 515 arrestate o fuggite. Gli americani inoltre, non si opposero al giustizialismo dei detenuti verso i loro ex-aguzzini; lo ritennero un loro diritto. Vi furono cacce al nazista e diverse esecuzioni e linciaggi. Vennero saccheggiate le ville degli ufficiali nazisti fuori dal campo e poi gli americani, per impedire disordini gravi, imposero ai prigionieri il ritorno nel lager, naturalmente debitamente sfamati ed assistiti. Poi fecero sfilare nel campo obbligatoriamente, la popolazione di Dachau affinché vedessero con i loro occhi gli orrori del campo.

La cittadina, alla fine della guerra, divenne sede di uno dei tribunali militari costituiti dagli Alleati con il compito di giudicare crimini e criminali nazisti. Il tribunale fu insediato alla fine del 1945, nell'ex lager, e dal 15 novembre al 13 dicembre ebbero luogo le sedute principali del processo di Dachau, contro il comandante del campo e altri 39 membri del personale. Le prove portarono alla condanna a morte per impiccagione di 36 dei 40 imputati.

Nel maggio 1946 vennero eseguite 28 delle condanne a morte delle 36 comminate. Anche altrove si svolsero processi simili e gli imputati erano per lo più i membri delle SS che avevano prestato servizio ad Auschwitz ed ai sottocampi di Dachau.

Tali processi si celebrarono sino all'anno 1948 presso il sito del campo. Oggetto dei processi i presunti crimini di guerra, come l'Olocausto. Furono oggetto di indagine anche gli esperimenti medici sui detenuti. Frederick Hoffman, un prete cattolico ceco, ex internato nel campo, tra i primi a testimoniare, raccontò, presentando documentazioni personali, che 324 preti cattolici, a seguito di sperimentazioni sulla malaria, morirono durante la loro detenzione. Tuttavia la guerra fredda, che sarebbe iniziata di lì a poco, ridusse la portata di questi processi. Nel 1949 la competenza passò alla neonata RFT, molti delitti caddero in prescrizione, con la sola eccezione dell'omicidio premeditato.

Dopo la guerra il campo ospitò, come detenuti, un gran numero di funzionari e appartenenti alle SS, arrestati dagli Alleati (si arrivò al numero di 25.000). Tuttavia, a partire dal 1946, poiché tali prigionieri potevano contare su un'alimentazione migliore della popolazione civile locale, molti di loro vennero rimessi in libertà.

Quando i prigionieri arrivavano al campo erano picchiati con 25 bastonate di benvenuto ed alcuni di loro non sopravvivevano; le guardie poi dicevano esplicitamente loro che non avevano diritti, né onore né difesa.
Poi insultati, rasati, e privati di tutti i loro averi entravano nel campo. Le SS potevano uccidere chiunque. Le punizioni includevano quella di essere appesi per le mani dietro la schiena a ganci per ore, abbastanza in alto da non toccare terra con le punte dei piedi; essere frustati su cavalletti, battuti con fruste di cuoio bagnato ed essere messi in isolamento per giorni in stanze troppo piccole per potersi sdraiare.

Il campo dei prigionieri era formato da 34 baracche disposte su due file separate da un lungo viale alberato; 15 di esse erano suddivise ciascuna in 4 camerate (Stuben), ognuna con un vano soggiorno e un dormitorio; ogni due camerate vi era un lavatoio e una serie di gabinetti. I posti letto per camerata erano per 52 deportati, per un totale, quindi, di 208 a baracca. In periodi di maggior affollamento si arrivò ad ospitare fino a 1600 detenuti a baracca, con condizioni igieniche indescrivibili, tanto che scoppiavano violente epidemie. 5 baracche delle 34, erano adibite ad area ospedaliera (Krankenbau), poi divenute 13, una baracca era adibita a zona di lavoro e la prima a sinistra a spaccio, in realtà sempre sprovvisto. Le prime due baracche a destra erano adibite ad infermeria e una parte della seconda fungeva da obitorio. L'infermeria fu tristemente nota a causa dei raccapriccianti esperimenti su cavie umane effettuati dal dott. Rascher e dal prof. Schilling su inermi deportati che vi perirono a migliaia.

I deportati "indisciplinati" o "incorregibili", erano destinati a detenzione particolarmente dura, venivano rinchiusi nelle baracche di punizione, denominate strafblocke. Sono da segnalare la baracca n. 26, la "baracca dei preti", che era destinata ai religiosi detenuti, e quella definita di "disinfezione", staccata dal corpo centrale, tuttora visibile. Oggi sono rimaste poche baracche (le altre sono state distrutte); all'interno sono state fedelmente ricostruite, per i visitatori.

Alle delegazioni tedesche e straniere in visita al campo veniva mostrata solo parte del campo stesso, perché si voleva che se ne ricavasse l'impressione di un luogo ordinato, efficiente e moderno, e che gli internati apparissero come appartenenti ad una razza "inferiore". Gli internati poi erano soggetti a lavori forzati, per la normale manutenzione prima e per il rifacimento del campo stesso a partire dal 1937.

Nel corso degli anni le condizioni di vita peggiorarono sensibilmente. Pur non essendo ufficialmente un campo di sterminio, ma semplicemente di lavoro, il numero di morti fu impressionante. Con l'introduzione delle disposizioni sull'eutanasia alcune baracche del campo, la 29 e la 30, divennero le anticamere della morte, con detenuti in cattive condizioni di vita e destinati alla soppressione ed al forno crematorio.

Nell'ottobre 1933 venne emanato il regolamento del campo di concentramento di Dachau. Questo conteneva ordini di servizio per le SS addette alla sorveglianza e brutali sanzioni per i detenuti. Tale regolamento, messo a punto da Theodor Eicke, doveva spezzare la personalità degli internati e impedire ogni tentativo di fuga, e prevedeva pene corporali ed esecuzioni.

Per il personale di sorveglianza:
Chi dovesse lasciar fuggire un detenuto verrà arrestato e consegnato alla polizia bavarese con l'accusa di liberazione per negligenza di un detenuto.
Se un detenuto tenta la fuga si deve sparare senza preavviso. Se una guardia, nell'esecuzione dei suoi doveri, dovesse uccidere un detenuto che tenta di fuggire, non ne subirà conseguenze penali.
Se dovesse ammutinarsi un reparto di detenuti, tutte le guardie presenti dovranno aprire il fuoco sui rivoltosi, senza colpi di avvertimento.
Per i detenuti:
punto 6 - Chi assuma un atteggiamento ironico nei confronti delle SS, chi ometta intenzionalmente il saluto regolamentare o chi rifiuti di sottomettersi alla disciplina, verrà punito con otto giorni di arresto e con venticinque bastonate all'inizio ed alla fine di tale periodo.
punto 12 - Chi aggredisce una guardia, chi rifiuta di lavorare, chi istighi alla rivolta, chi lascia una colonna o il posto di lavoro, chi durante queste attività scrive, sobilla o tiene discorsi viene passato per le armi sul posto o successivamente impiccato.

Verso gli ultimi mesi del 1919, in conseguenza della fine della prima guerra mondiale, la fabbrica di polvere da sparo della cittadina di Dachau cadde in abbandono e venne chiusa. Questa fabbrica rappresentava la colonna portante dell'economia locale e in ripercussione di ciò, per anni, la popolazione locale subì la disoccupazione e la miseria. L'apertura di un campo quindi, sul sito della vecchia fabbrica in disuso, riportò la speranza di una rinascita della zona, che tuttavia non si realizzò nelle forme sperate. Inizialmente la struttura si limitò al campo principale, situato in prossimità della ferrovia, e solo in seguito venne gradualmente ampliato.

Il campo fu suddiviso nel tempo in varie aree, tra le quali:

Zona alloggi per i prigionieri, 34 grandi baracche divise in due file da un lungo viale alberato, incluse in un recinto rettangolare di 600 per 300 metri di lato
Alloggiamenti SS
Il Bunker con le prigioni
Depositi e rimesse per veicoli
Zone agricole con fattoria
Campo di tiro
Zona dei forni crematori, area alberata a forma di trapezio rettangolo adiacente per il lato obliquo all'estremità esterna destra del campo in cui si trovano, un capannone di legno dipinto come una casa tipica di villaggio di campagna bavarese, contenente un forno crematorio doppio e un grande edificio in muratura all'interno del quale vi sono quattro forni con annessa camera a gas e camerette per la fumigazione dei tessuti da disinfettare
Cimitero.

Il campo principale, completato il 21 marzo 1933, venne visto nei primi anni come una risorsa economica importante.

I prigionieri vennero impiegati, in seguito, per incarichi di lavoro anche fuori del campo, e questo coinvolse sia singoli individui che migliaia di prigionieri, a seconda delle esigenze. Talvolta gli interventi esterni, se i detenuti avevano anche un posto dove stare, fecero sorgere strutture secondarie, i sottocampi. Al comando di questi, se le dimensioni lo permettevano, vennero chiamati anche prigionieri con incarico di funzionari.

Il sindaco di Dachau, Lambert Friedrich, in un suo memorandum del 1936, scriveva: «Gli affari, l'artigianato e l'industria hanno fatto registrare un forte rilancio grazie alla intensa attività nel settore delle costruzioni, specialmente nei due campi delle SS (K.L.D e II SS Deutschland)».

In seguito, nel 1937, il comando del campo chiese un regolare collegamento con mezzi pubblici tra Dachau ed il campo di concentramento: ciò per permettere, principalmente, alle guardie del campo di potersi spostare in città. In una sua lettera, il nuovo sindaco, Hans Cramer, rispose positivamente, adducendo motivazioni economiche. La nuova linea di autobus richiesta fu inaugurata il 22 novembre 1937. La popolazione locale fu coinvolta solo parzialmente nella vita del campo, ad esempio quando si assisteva alle marce delle colonne dei prigionieri diretti ai luoghi di lavoro.

Nel 1955 gli ex prigionieri sopravvissuti del Lager di Dachau, che avevano costituito il Comité International de Dachau, decisero di erigere un monumento a ricordo dell'immane tragedia che in quel luogo si era consumata. Il Memorial è stato realizzato in dieci anni di lavori e, nel maggio 1965, 20 anni dopo la liberazione, fu aperto il primo grande Memorial di un Lager sul territorio della Repubblica federale tedesca. Un paio di baracche sono state ricostruite, per mostrare al visitatore le condizioni di vita nel campo ed una è visitabile anche con i suoi interni in legno ed i servizi. Le baracche originarie erano state in gran parte abbattute e le poche ancora in piedi, al momento della ricostruzione, erano in condizioni pietose. Delle altre 32 baracche che costituivano il campo sono rimaste le indicazioni delle fondamenta in cemento. Il Memorial, ricostruito nel 2003, è stato integrato con diversi documenti e reperti forniti da ex-internati. Il Memorial comprende inoltre quattro cappelle in rappresentanza delle varie religioni professate dai prigionieri.

Nella notte tra il 1° e il 2 novembre del 2014 il cancello è stato rubato. L'episodio ha attirato subito l'attenzione internazionale e ripete la grave profanazione che era già accaduta ad Auschwitz con il furto della medesima scritta, "Arbeit Macht Frei".


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martedì 3 marzo 2015

QUARTIERI MILANESI : VAIANO VALLE

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Vaiano Valle è una località rurale, posta nella periferia meridionale di Milano, appartenente alla Zona 5.

Vajano fu nominata per la prima volta nel 1346. Nell'ambito della suddivisione del territorio milanese in pievi apparteneva alla Pieve di San Donato, e confinava coi Corpi Santi a nord, con Nosedo ad est, con Chiaravalle e Macconago a sud, e col Vigentino ad ovest. Al censimento del 1751 la località fece registrare 229 residenti.

In età napoleonica, dal 1808 al 1816, Vajano fu per la prima volta aggregata a Milano, recuperando l'autonomia con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto. Nel 1853 il paese contava 244 abitanti, nel 1859 ne aveva 256, mentre erano 263 nel 1861, un anno prima che il governo italiano cambiasse la denominazione comunale in Vaiano Valle per distinguerla da località omonime.

Nel 1869 Vaiano fu aggregata a Quintosole, comune che poi cambiò nome in Vigentino, e con questa località nel 1923 finì nuovamente annessa a Milano.

Attualmente, in seguito allo spopolamento delle aree rurali, il villaggio è abbandonato e in stato di forte degrado. L'area è abusivamente occupata da una comunità di zingari.


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lunedì 16 febbraio 2015

ROM POPOLO DAI MILLE COLORI

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La storia delle popolazioni Rom riguarda la storia delle popolazioni parlanti la lingua romanes/romanì, o varianti dialettali della stessa, e che si riconoscono nella diaspora dei Rom.
L'assenza di antichi documenti scritti ha comportato che per lungo tempo le origini e la storia dei rom fossero un enigma, fino a che, due secoli fa, alcuni filologi ipotizzarono un'origine indiana sulla base di prove legate alla lingua parlata dai rom.

Secondo una cronaca viennese del 1776 (la Anzeigen aus sämmtlich-kaiserlich-königlichen Erbländern), attribuita ad un illuminista slovacco Samuel Augustin ab Hortis, il primo ad accostare le parlate dei rom alle lingue indiane, fu un pastore protestante ungherese, Etienne Vali da Almáš (distretto di Komárno), che si trovava a Leida, nei Paesi Bassi, per motivi di studio. Etienne Vali, ascoltando per caso le conversazioni di un gruppo di studenti indiani del Malabar, si rese conto che molti vocaboli da loro utilizzati erano simili a quelli usati dagli czigany del suo paese. Secondo molti studiosi, gli studenti conosciuti da Etienne Vali, probabilmente appartenenti ad una casta nobile, dovevano in realtà aver usato delle frasi in sanscrito, l'antica lingua dei testi religiosi induisti, in quanto l'idioma del Malabar è il Malayalam, una lingua dravidica che non ha nulla a che vedere con le lingue indoeuropee.

Questa intuizione venne poi ripresa e approfondita da alcuni filologi e, nel 1777, il tedesco Rüdiger espose pubblicamente la nuova teoria col suo Von der Sprache und Herkunft der Zigeuner (Della lingua e dell'origine degli Zingari), che venne poi pubblicato nel 1782.

Nei secoli successivi lo studio della storia del popolo rom, attraverso i contributi della linguistica e della filologia, è diventato una vera e propria scienza, spesso però ammantata di orientalismo, scadendo a volte nel mito e prestandosi, a seconda delle epoche, anche a pericolose teorie eugenetiche e razziste. I maggiori contributi vanno dagli studi del tedesco August Friedrich Pott (nel 1844), allo sloveno Franc Miklošič, al greco Alexandr Paspati, all'italiano Graziadio Isaia Ascoli, agli importanti studi di Angus Fraser, Ian Hancock, John Sampson, Ralph L. Turner, Yaron Matras, Peter Bakker e Marcel Courthiade.

Uno dei misteri più complessi che avvolge l'intera vicenda dell'esodo dei rom, aspetto a cui gli studiosi delle varie discipline hanno tentato vanamente di dare una risposta, riguarda la domanda su come sia stato possibile che, nel corso di pochi secoli, essi abbiano dimenticato la loro origine, dando così luogo ai vari eteronimi che ancora contraddistinguono le popolazioni di lingua e cultura romanì.

Tra le tante spiegazioni, una delle più plausibili potrebbe trovare riscontro nella non conoscenza effettiva dell'India da parte dei contemporanei dell'esodo dei rom, basti pensare a questo proposito al termine "indiani" attribuito dagli scopritori delle Americhe ai nativi delle Antille, nel XV secolo.

La confusione rispetto alle loro origini potrebbe quindi essere stata causata dall'incrociarsi di alcune drammatiche circostanze: la conoscenza etnocentrica del mondo da parte dei bizantini, dei greci, dei veneziani, e via dicendo fino agli spagnoli, inglesi, italiani, tedeschi;l'assenza di comunicazione da parte dei rom con gli autoctoni e, non ultimo, la perdita della memoria del racconto orale, nell'arco di alcune generazioni, a causa delle persecuzioni subite nel corso dei secoli.

Le prime cronache italiane che ci raccontino della presenza dei rom provengono da Forlì e da Bologna, entrambe riferite al 1422. Per quanto riguarda Bologna, una cronaca anonima del XV secolo (la "Historia miscellanea bononiensis") racconta dell'arrivo in città di una comunità nomade:

« A dì 18 de luglio venne in Bologna uno ducha d'Ezitto, lo quale havea nome el ducha Andrea, et venne cum donne, puti et homini de suo paese; et si possevano essere ben cento persone si demorarono alla porta de Galiera, dentro et fuora, et si dormivano soto li portighi, salvo che il ducha, che stava in l'albergo da re; et gli andava de molta gente a vedere, perché gli era la mogliera del ducha, la quale diseva che la sapeva indivinare e dire quello che la persona dovea avere in soa vita et ancho quello che havea al presente, et quanti figlioli haveano et se una femmina gli era bona o cativa, et s'igli aveano difecto in la persona; et de assai disea il vero e da sai no. Tale duca aveva rinnegato la fede cristiana e il Re d'Ungheria prese la sua terra a lui. Dopodiché il Re d'Ungheria volle che andassero per il mondo 7 anni e che si recassero a Roma dal Papa e poscia tornassero alloro Paese. »

Il passaggio degli zingari a Forlì viene riferito, invece, nella cronaca di frate Girolamo dei Fiocchi da Forlì, in cui si parla di circa duecento zingari giunti a Forlì nel 1422. Sulla loro provenienza, Giovanni riporta: Aliqui dicebant, quod erant de India. Benché in questa cronaca non sia chiaro chi siano gli "aliqui", si tratta del primo documento in cui si fa riferimento alla probabile origine indiana dei rom; l'elenco delle ipotesi comprendeva comunque anche la Caldea, la Nubia, l'Etiopia, l'Egitto ed addirittura il continente scomparso di Atlantide.

Sia a Bologna che a Forlì, oltre che per i tratti somatici che ne caratterizzavano l'appartenenza a una diversa etnia, gli zingari sono notati soprattutto per l'aspetto rude ed "inselvatichito" dalla fame e dalle difficoltà.

A partire dal 1448, alcune comunità di "zingari" s'insediarono nell'Italia centrale, nel territorio compreso tra Ferrara, Modena, Reggio e Finale Emilia. Stazionavano in aree di confine, spesso gravitando intorno ai principali luoghi di mercato dove potevano commerciare in cavalli, utensili di rame e di ferro fabbricati da loro stessi, e le donne si dedicavano al vaticinio del futuro. A volte i Cingari militarono come mercenari al soldo dei signori, come nel 1469 per gli Estensi di Ferrara, o per i Bentivoglio di Bologna nel 1488. In quegli stessi anni le cronache riportano il loro arrivo a Napoli.

I rom recavano lettere firmate dal santo Padre, sulla cui autenticità permangono forti dubbi, in cui si chiedeva protezione e che per quasi un secolo ricorreranno nelle varie e sporadiche cronache attestanti la presenza dei primi gruppi rom nella penisola. La cronaca della città di Fermo riporta che era stato esibito un documento del Papa «che permetteva loro di rubare impunemente». Di eventuali lettere firmate dal Santo Padre non è stata trovata traccia negli archivi vaticani, anche se un documento che attesta la presenza dei rom a Napoli nel 1435 lascerebbe aperta l'ipotesi che alcune di queste comunità nomadi siano passate per Roma.

Tra il 1470 ed il 1485 è riportata notizia che "conti del Piccolo Egitto" circolavano nel modenese, provvisti di passaporto del signore di Carpi.

È tuttora in dubbio l'origine dei gruppi di "Egiziani" che arrivarono in Italia nel XV secolo, se essi venissero via terra dal'Europa centrale o dal nord oppure se essi siano venuti via mare dai Balcani già durante la caduta dell'impero bizantino. La possibile origine rom di un pittore abruzzese, Antonio Solario, detto lo "Zingaro pittore", lascerebbe supporre che l'arrivo dei rom in Italia andrebbe datato precedentemente il 1422.

Attraverso l'Adriatico e lo Jonio, spesso uniti a dalmati e greci in fuga dall'avanzata dei turchi nei Balcani, diverse comunità cominciarono ad insediarsi nell'Italia Centrale e meridionale, specialmente in Abruzzo e Puglia, provenienti principalmente da Ragusa, crocevia obbligato tra le strade dei Balcani e quelle dei mari, incentivati da vantagi fiscali concessi dagli Aragonesi.

Movimenti analoghi si ebbero nello stesso periodo anche verso la Sicilia, dove già nel XV secolo il nome "zingari" viene registrato negli atti dei notai di Palermo e nei registri della cancelleria della città di Messina, nella quale i "Cingari", ritenuti provenienti dalla Calabria, erano equiparati ad una universitas e godevano di autonomia giudiziaria. Secondo alcuni studiosi la successiva migrazione verso le coste sudorientali della Spagna, insieme ad altri profughi greci, sarebbe partita dalla Sicilia, e sarebbe provata, già dalla metà del XV secolo, dalla presenza dei zinganos in Sardegna e Corsica, isole situate lungo la rotta commerciale con la penisola iberica.

Un altro documento interessante è datato 1506 e riferisce del seppellimento ad Orvieto di tale "Paolo Indiano, capitano dei cingari", che aveva prestato servizio nell'esercito veneziano.

La prima testimonianza scritta di lingua romani in Italia è datata al 1646 e si trova in una commedia di Florido dei Silvestris, nella quale è riportata la frase tagar de vel cauiglion cadia dise (ritrascrivibile in: t(h)agar devel, k aviljom kadja disë), che significa "Signore Iddio, che sono giunto (in) questa città". Questa espressione corrisponderebbe al secondo "strato" della classificazione linguistica fatta da Marcel Courthiade e costituirebbe un elemento per sostenere che i Rom siano arrivati in Italia dai Balcani.

Nelle varie cronache che raccontano dell'incontro con queste comunità di "pellegrini", un importante aspetto è legato al dono della divinazione o della predizione del futuro, così come il commercio dei cavalli, che i rom accompagnavano alle loro richieste di aiuto. Le stesse cronache, allo stesso tempo, sono anche le prime a testimoniare dell'insorgere dei pregiudizi nei confronti dei rom, i quali vengono spesso accusati di furti.

In seguito a diffondersi dei pregiudizi nei confronti dei rom, a partire dal XVI secolo, per circa 250 anni, i governanti europei hanno messo in atto punizioni draconiane fino ad attuare persecuzioni, espulsioni e bandi, per risolvere il supposto "problema" del nomadismo degli "zingari". I rom che fuggivano dal nuovo feudalesimo dell'Europa orientale e dei Balcani finiti sotto il dominio dei turchi, si scontrarono in Europa occidentale con la nascita dello stato post-feudale fondato sull'economia mercantile, proponendo ai cittadini europei un'economia fondata sul dono.

L'assenza evidente di effetti, in seguito ai bandi dalle città e dagli stati, portò poi, in seguito all'avvento dell'assolutismo monarchico e dell'illuminismo, le monarchie degli Asburgo in Austria e dei Borbone in Spagna, ad attuare nuove politiche basate sull'assimilazione forzata dei rom. Con l'obiettivo di rendere gli "zingari vagabondi" in persone "produttive, rispettabili, obbedienti e diligenti" i sovrani illuminati misero in atto misure coercitive per costringere i rom a vivere in aree rurali, destrutturando la loro identità culturale, come mezzo per assimilarli nella società.

In questo periodo storico prese forma un vero e proprio modello occidentale, basato sul divieto ai rom d'insediarsi nelle strutture socioeconomiche locali, salvo il loro annichilimento identitario.

Fin dalle prime notizie storiche relative all'arrivo dei rom in Europa occidentale è possibile trovare traccia di episodi che nel corso degli anni assumeranno il carattere di vere e proprie persecuzioni, il cui approdo alle politiche di assimilazione forzata giungerà in maniera sistematica ad attuarsi a partire dall'instaurazione dello Stato assoluto.

Nel 1417 vengono uccisi alcuni secani in Germania, nel 1419 vengono banditi da Berna e nel 1427 da Parigi. In Italia, sempre a Bologna nel 1422, frà Bartolomeo della Pugliola li descrive come "li più fini ladri che se volesse mai", a Forlì nello stesso anno frà Girolamo dei Fiocchi parla di gentes non multum morigerate, sed quasi brutalia animalia et furentes", a Fermo nel 1430 Antonio di Niccolò li descrive come mala gentes.

A poco a poco incominciò a formarsi una descrizione stereotipata dei Rom: "dicono di essere pellegrini ma si comportano come conquistatori, sfruttano la creduloneria degli indigeni, chiedono elemosine come fossero tributi, sono mal vestiti, non sono affatto poveri".

In un periodo di grandi trasformazioni culturali, socio economiche e religiose della civiltà europea, i rom si trovarono nel giro di pochi anni ad essere additati e stigmatizzati, principalmente dagli esponenti della varie confessioni religiose europee, per l'usanza delle donne di leggere la mano, per le pratiche mediche e curative non cristiane e le altre stregonerie che avrebbero costituito una prova del loro "carattere demoniaco". Nel volgere di pochi anni l'immagine di pellegrini che gli stessi rom avevano contribuito a crearsi diventò così l'immagine di accattoni, ladri e oziosi. Cominciarono ad essere promulgati molti editti e bandi, in alcuni casi potevano anche essere eliminati fisicamente. Con il diffondersi dei pregiudizi nei confronti dei nomadi, comincia a mutare anche il carattere delle donazioni pubbliche: nel 1439 a Siegburg viene fatta una donazione pubblica affinché se ne vadano, così a Bruges nel 1445 (e nel 1451 affinché non entrino in città), nel 1463 a Bamberga e nel 1465 a Carpentras. L'istituzione di pagare i rom affinché andassero via è di grande rilevanza per le sue conseguenza nella storia di queste popolazioni in Europa, nei secoli a venire, e l'Italia è una delle terre dove questa pratica venne subito istituzionalizzata ed ebbe vita più lunga: è attestata in Piemonte nel 1499, nel Trentino nel Seicento ed ancora in Toscana agli inizi dell'Ottocento. Nel 1499 una cronaca di Polidoro Virgilio testimonia dello stato di povertà dei rom, ormai non più creduti come pellegrini, dicendo che "mendicano porta a porta", nel 1505 Giovan Battista Pio scrive di "mendicanti stranieri, seminudi e sempre famelici".
A partire dalla seconda metà dell'Ottocento l'Impero austro-ungarico fu interessato da un'intensa ondata migratoria di comunità rom Cudža e Lovara, provenienti dalla regioni orientali dei carpazi.

L'obbligo da parte delle municipalità di fornire accoglienza e servizi di base ai gruppi di nomadi portò in poco tempo all'esplosione di gravi episodi di intolleranza. Nel 1907, 28 province dell'impero chiesero l'istituzione di un archivio comune per il controllo dei rom. L'assenza di una legislazione adeguata spostò a livello amministrativo il trasferimento delle misure da intraprendere per fronteggiarne l'afflusso. Le decisioni prese: la proibizione dell'elemosina e la deportazione verso i luoghi di residenza; documentano il carattere repressivo delle politiche "anti-zingari".

L'assenza di risorse adeguate portò al fallimento delle politiche di insediamento forzato che avevano caratterizzato le politiche di assimilazione dei rom in Austria ed Ungheria fino al 1918, i rom furono di conseguenza costretti a riprendere la vita nomadica per sopravvivere. Nello stesso periodo cominciarono a crescere e diffondersi i pregiudizi e le tendenze criminalizzanti tra la popolazione residente.

Nelle regioni occidentali dell'Impero, nell'attuale Burgenland, l'incapacità e la non volontà di affrontare la situazione dei rom portò a drammatici cambiamenti. Le politiche di deportazione nelle aree di confine, attuate fin dal 1870, avevano portato ad una massiccia concentrazione di comunità, che vivevano in accampamenti di baracche, fuori i villaggi. L'arretratezza economica delle regioni in cui erano stati deportati portò al fallimento di ogni tentativo di integrazione.

Similarmente a quanto accadde in Germania nello stesso periodo, furono emessi provvedimenti restrittivi ed istituiti registri di polizia, le cui statistiche furono utilizzate in seguito per criminalizzare i rom e provare la loro asocialità. La stampa del Burgenland attuò delle campagne radicali contro gli insediamenti che ebbero l'effetto di contribuire alla crescita dei sentimenti antigitani, chiedendo che la regione "venisse liberata dalla presenza degli zingari".

In seguito all'avvento del nazismo in Germania, il leader del partito nazionalsocialista del Burgenland, Tobias Portschy, trovò terreno fertile per portare avanti il suo progetto di "deportazione e sterilizzazione degli Zingari".

In Ungheria, nel 1931, il ministro dell'Interno adottò un provvedimento per il restringimento del lavoro ambulante, limitando esclusivamente al luogo di residenza.

Nel 1938 fu emesso un ulteriore provvedimento nel quale i rom venivano identificati come sospetti criminali, aprendo nei fatti la strada alla persecuzione ed alle deportazioni nei campi di sterminio nazisti.

L'assenza di risorse adeguate portò al fallimento delle politiche di insediamento forzato che avevano caratterizzato le politiche di assimilazione dei rom in Austria ed Ungheria fino al 1918, i rom furono di conseguenza costretti a riprendere la vita nomadica per sopravvivere. Nello stesso periodo cominciarono a crescere e diffondersi i pregiudizi e le tendenze criminalizzanti tra la popolazione residente.

Durante il governo di Otto von Bismarck, il possesso della cittadinanza divenne un fattore di discriminazione per le politiche di assimilazione delle minoranze Sinti e Rom.

A partire dal 1886, la distinzione tra "nativi" e "forestieri" divenne il principio in base al quale i governanti dei Land del Reich venivano istruiti per adottare le deportazioni o le misure amministrative nei confronti degli "Zigani", deprivando le minoranze dei loro mezzi di sussistenza. I provvedimenti adottati in Baviera ed in Prussia, attraverso l'obbligo di disporre di carte d'identità, passaporti, certificati sanitari, ecc.

Nel 1906 il Reich arrivò a decretare, attraverso il Dipartimento dell'Interno, un provvedimento per "il controllo della situazione degli Zingari", in seguito adottato anche da altri paesi. La direttiva inclusa in questo decreto riprendeva il provvedimento del 1886, nel quale i rom ed i sinti non nativi dovevano essere deportati, attraverso degli accordi bilaterali sottoscritti con la Svizzera, l'Impero austro-ungarico, la Russia, la Francia, l'Italia, la Danimarca, i Paesi Bassi ed il Lussemburgo.

Gli zingari che in seguito alla deportazione avessero fatto ritorno nei territori del reich sarebbero stati arrestati e puniti per "inottemperanza dell'ordine di espulsione".

Le direttive concernenti i "nativi" dividevano le misure da adottare in "preventive" e "soppressive", i minori che non erano venivano registrati venivano dati in affido ai servizi sociali, fu inoltre aumentata la sorveglianza dei rom e sinti da parte delle forze di polizia e furono aumentate le pene per gli “zingari delinquenti” che commettevano reati.

In seguito alla creazione dei registri di "zingari", nella seconda metà dell'Ottocento, da parte di alcune città del Reich, furono create delle agenzie per la sorveglianza dei rom e dei sinti. La prima agenzia, creata a Monaco di Baviera nel 1899, contava 3350 file nel 1904 e diventò in seguito, durante la Repubblica di Weimar, la principale struttura di controllo per la "lotta contro gli zingari".

Nel 1926 il governo della Baviera approvò la "legge per la lotta contro gli zingari, i vagabondi e non volenterosi al lavoro", un atto che in nome della "lotta preventiva contro il crimine", legittimava le autorità a prendere misure contro persone che non avevano commesso nessun reato.

Negli atti successivi gli "Zingari" vennero visti come potenziali criminali e trattati di conseguenza. A partire dagli anni 1920 una delle principali misure per la prevenzione dei crimini fu l'obbligo di registrazione degli "zingari" presso i di dipartimenti di Polizia criminale. In Prussia furono introdotte le rilevazioni delle impronte digitali e la registrazione dei dati biometrici e dei particolari delle persone, inclusi I minori.

Le misure restrittive adottate dall'Impero tedesco ed in seguito dalla repubblica di Weimar, contribuirono enormemente alla costruzione ideologica del "problema degli zingari", e contribuì ad edificare le basi ideali per l'ideologia nazista.

L'esistenza dei file delle agenzie per il controllo degli zingari diventò in seguito la base per la raccolta di informazioni per la deportazione, l'internamento e lo sterminio dei Rom e dei Sinti dopo l'avvento del terzo reich, nel 1933.

Porrajmos (in lingua romaní: devastazione, grande divoramento), è il termine con cui i rom descrivono il tentativo del regime nazista di sterminare il loro popolo.

Durante l'olocausto i rom subirono persecuzioni pari a quelle degli ebrei. Nel 1935 la legge di Norimberga privò i rom della cittadinanza tedesca, dopo quella data essi furono oggetto di violenze, imprigionati in campi di concentramento e successivamente soggetti a genocidio nei campi di sterminio nazisti. Questa politica di sterminio fu attuata anche nei territori occupati dalla Germania nazista durante la guerra e dai loro alleati e in particolare dalla Croazia, dalla Romania e dall'Ungheria.

Poiché non si conosce con accuratezza il numero di rom che al 1935 vivevano in quei territori, è difficile dire con precisione quante furono le vittime. Ian Hancock, direttore del Programma di studi Rom presso l'Università del Texas ad Austin, suggerisce una cifra che oscilla tra le 500 000 e il milione e mezzo di vittime, mentre una stima di 220/500 000 vittime è fatta da Sybil Milton, storico dell'"Holocaust Memorial Museum". pubblicato in Stone, D. (ed.) (2004) The Historiography of the Holocaust. Palgrave, Basingstoke and New York.

Nell'Europa centrale, nei protettorati di Boemia e Moravia, lo sterminio fu così accurato che portò alla completa scomparsa della lingua romanì-boema.

Dopo la seconda guerra mondiale ha preso forma un movimento che è arrivato in occasione del primo congresso nel 1971 a Londra alla creazione dell'Unione Internazionale dei Rom. Questa Unione mira al riconoscimento di un'identità e di un patrimonio culturale e linguistico nazionale senza stato né territorio, cioè presente in tutti i paesi europei.

La bandiera rom, in lingua romaní O styago le romengo, è la bandiera internazionale del popolo rom, uno dei pochi simboli ufficiali di unità per questa popolazione nomade. È stata creata dall'Uniunea Generala a Romilor din Romania (Unione generale dei Rom di Romania) nel 1933, e approvata ufficialmente nel 1971 dai delegati internazionali al primo Congresso Mondiale Rom. Durante il medesimo Congresso venne anche ufficializzato l'inno della popolazione Rom, Gelem, Gelem (anche noto come Romale Shavale).

La bandiera è costituita da due bande orizzontali, la superiore azzurra e l'inferiore verde, che rappresentano il cielo e la terra. Al centro campeggia una ruota raggiata rossa, che rappresenta il continuo migrare dei Rom. Tale ruota è simile a quella presente sulla bandiera indiana, luogo d'origine di questa popolazione, sebbene in quest'ultima essa rappresenti piuttosto un chakra che una ruota vera e propria.



Le radici della cultura zingara si devono ricercare in India. Esistono molti elementi comuni con la cultura, la civiltà e le lingue dravidiche, cioè le popolazioni che, arrivate in India prima del 3500 a.C., si stabilirono nelle regioni del Deccan e del Panjab. Nella cultura dei Rom e dei Sinti si incrociano poi molti influssi; questo popolo è infatti entrato in contatto con molti altri popoli assumendone in parte usi e costumi. Elementi culturali comuni sono il senso di indipendenza, il ruolo della vita (più importante di qualsiasi valore), il rifiuto della guerra, l'attenzione per i bambini, l'autorità paterna ed il ruolo subordinato della donna e l'amore per la musica.

Nei testi di letteratura zingara si trovano molti riferimenti a spiriti buoni o cattivi che intervengono nella vita degli uomini. Anche gli zingari credono nella metempsicosi, cioè che l'anima di un essere umano nel momento della morte si trasferisca o in un oggetto, o in un animale, o in un altro uomo; spiriti che possono essere puri o impuri. Legata al concetto di puro e impuro è la concezione del tempo, ed in particolare, della ruota della fortuna, legata a sua volta al destino (Karma): l'universo è guidato dal destino e tutto avviene secondo le leggi da esso fissate. Questo spiega un certo fatalismo presente nella cultura zingara, che purtroppo ha perso molti dei suoi valori nell'ultimo secolo a causa della imposizione della "nostra" cultura, basata sulla tecnologia e sulla comunicazione.

Per capire quale importanza ha per i Rom e i Sinti la religione bisogna risalire alle origini di questo popolo. Ci sono grandi differenze tra i diversi gruppi di zingari: alcuni sono musulmani, altri cristiani ortodossi, altri cattolici o luterani. Alcuni festeggiano il Natale e la Pasqua, altri che festeggiano il Bajram ed il Kurban Bairam. Alcuni elementi di origine indiana sono comuni, pur essendo stati affiancati da valori appartenendi alle religioni dei paesi ospitanti. Comune a tutti gli zingari è la credenza negli spiriti dei morti e la fede nel Destino (fortuna). Ci sono poi alcuni miti, come quelli riferiti all'acqua o quello della battaglia e della vittoria di Indra, che costituiscono un patrimonio religioso comune. Indra è una delle grandi divinità induiste assieme a Shiva e Vishnu. Quest'ultima, si sarebbe presentata agli uomini come Rama; c'è chi sostiene che il nome rom ( o roma ) significhi proprio figli di Rama. Ci sono poi alcuni "santi" comuni a rom e sinti sia cristiani che musulmani, in particolare Bibi (o Sara) la Nera e San Giorgio.

La famiglia costituisce per i Rom e i Sinti l' elemento fondamentale della loro vita sociale. Il vincolo con la famiglia e con il clan è molto forte perchè sono queste istituzioni che garantiscono la protezione e la sicurezza. La famiglia si deve occupare anche di quelle funzioni che nella nostra società sono affidate ad altre istituzioni, come la scuola, l'amministrazione pubblica, lo stato... Per Sinti e Rom non esistono ospizi per i vecchi; nessuno abbandonerebbe mai una persona anziana che è membro della famiglia. Le donne sono sottomesse agli uomini anche se molto spesso sono proprio loro che si occupano della cura della famiglia e si danno da fare per trovare i soldi con i quali mantenere tutti i componenti della stessa. Sono loro che vanno in giro a chiedere la carità, a leggere le mani, a vendere fiori o altri oggetti di artigianato.

Per molti secoli i sinti ed i rom non hanno conosciuto la scuola. Imparavano vivendo in famiglia e nel clan. In questo modo apprendevano tutto ciò che era utile ed importante per sopravvivere. I giovani conoscevano la storia del loro popolo dai racconti dei vecchi che tramandavano, solo oralmente, la cultura zingara. Questo modo di apprendere è entrato in crisi negli ultimi secoli, dopo che la rivoluzione industriale ha imposto nuovi modelli economici e culturali. Il fatto di essere analfabeti han creato non pochi problemi agli zingari nel momento in cui hanno dovuto avere rapporti con la burocrazia dei vari stati: anche attraversare un confine diventa un grosso problema per chi non sa leggere e scrivere e non può dunque controllare dei documenti. Diventa dunque importante che i ragazzi zingari possano frequentare le scuole e lo possano fare con continuità e non sentendosi degli "intrusi", e perchè questo non succeda è necessario che la loro cultura sia conosciuta dagli insegnanti e dagli altri ragazzi e che sia rispettata la loro diversità. Per permettere agli zingari di frequentare le scuole con continuità e profitto sarebbe importante o costruire dei campi-sosta attrezzati nei quali le famiglie si possano fermare per più tempo garantendo così la frequenza dei figli a scuola , o istituire delle scuole itineranti nelle quali anche gli insegnanti viaggino assieme ai ragazzi; questo sarà possibile nel momento in cui ci saranno dei maestri sinti o rom.

Per molti secoli i sinti e i rom hanno esercitato dei lavori che erano in accordo con il tipo di vita nomade che facevano, professioni che sono state tramandate dai padri ai figli: per questo alcuni gruppi di zingari portano ancora oggi un nome che proviene dal lavoro che faceva il gruppo (lovara - allevatori, kalderasha - calderai e fabbri, lautari - musicisti). Molti di questi lavori offrono poca possibilità di guadagno nella nostra società odierna: rimangono così poche possibilità di lavoro per gli zingari anche perchè, fino ad oggi, hanno frequentato poco le scuole e dunque è per loro particolarmente difficile trovare una nuova occupazione. E' forse per questo che alcuni giovani zingari, soprattutto dei gruppi più poveri, cadono nella rete tesa dalla malavita.

La sensibilità degli zingari per la musica è proverbiale. E' facile trovare negli accampamenti dei sinti e dei rom degli strumenti musicali, soprattutto violini, cimbali, chitarre. Quasi mai questi musicanti conoscono le note musicali ed i trattati sull'armonia: più che compositori sono dei bravi arrangiatori della musica popolare. Gli zingari sono anche bravi artigiani nella produzione di strumenti musicali. Un esempio della creatività zingara nel campo della musica è il flamenco, espressione musicale tipica dei gitani, cioè dei rom di Spagna. Il flamenco (chitarra, danza, canto e battito delle mani) è diventato famoso in tutto il mondo.
Dopo la seconda guerra mondiale ha preso forma un movimento che è arrivato in occasione del primo congresso nel 1971 a Londra alla creazione dell'Unione Internazionale dei Rom. Questa Unione mira al riconoscimento di un'identità e di un patrimonio culturale e linguistico nazionale senza stato né territorio, cioè presente in tutti i paesi europei.

In Italia, con compiti di mediazione culturale, è attiva l'associazione, eretta in ente morale, denominata "Opera Nomadi".

Come per la storia delle origini delle popolazioni di lingua romaní, anche l'origine del termine rom è aperta a diverse ipotesi dibattute tra gli studiosi.

Rom è l'autonimo che la maggioranza della popolazione di lingua romaní utilizza per denominare il proprio gruppo. Si ritiene che questo termine sia strettamente correlato all'etnonimo Ḍom/Ḍomba, la cui prima apparizione nei testi sanscriti risale al "Sádhanamálá" (VII secolo d.C.), dove viene narrata l'esistenza di un re Ḍom, Heruka.

Questa ipotesi si basa sull'analogia tra la popolazione dei ḍomba o ḍomari (in sanscrito ḍoma, ma anche Domaki, Dombo, Domra, Domaka, Dombar e varianti dalla stessa radice), e i dom, un gruppo etnico dalle caratteristiche sedentarie e nomadiche del Medio Oriente. Tra le varie ipotesi, una delle più suggestive indicherebbe nella radice sanscrita Ḍom, onomatopeicamente connessa al suono del tamburo, che in sanscrito corrisponde alla parola Ḍamara e Ḍamaru, l'origine del termine. Le donne Domba avevano un ruolo importante nelle pratiche tantriche perché considerate intoccabili e immonde, inoltre era considerato degradante avere rapporti sessuali con loro, per questo motivo venivano selezionate per le pratiche tantriche di auto-umiliazione.

I dom medio-orientali hanno una ricca tradizione orale ed esprimono la loro cultura e la loro storia attraverso la musica, la poesia e la danza.

Nel nord-ovest dell'India, ancora oggi, numerosi Jati sono chiamate con il termine Ḍom, il che induce a ritenere che abbia avuto in passato lo status di un etnonimo. L'esistenza, inoltre, di rovine di antiche fortezze, chiamate "Ḍomdigarh", costituirebbe una prova che sia effettivamente esistito il regno dei Ḍom/Ḍomba, in seguito distrutto dalla dinastia Gupta, evento che avrebbe provocato la perdita dello status etnico dei Ḍom e la loro riduzione in Jati di infimo ordine.

In base agli studi e le ricerche effettuate sui Ḍom/Ḍomba di oggi (sulla loro cultura, religione, etc.) si ritiene che essi appartengano a una popolazione che aveva abitato l'India prima dell'invasione degli Arii (nel 1500 a.C. circa).

Le prime ipotesi sulla correlazione tra il termine "rom" e i Ḍom/Ḍomba furono formulate dall'orientalista tedesco Hermann Brockhaus nel XIX secolo, e in seguito riprese dall'indologo tedesco August Friedrich Pott (pubblicate in un testo che è considerato la base dei moderni studi sui rom ("Die Zigeuner in Europa und Asien", 1845).

Hermann Brockhaus trovò il termine Ḍom/Ḍomba in due importanti testi di letteratura sanscrita bramina: nel Kathasaritsagara ( "Oceano di Storie", una famosa collezione di leggende indiane scritta da Somadeva nell'XI secolo) e nel "Rajatarangini" ("Il Fiume dei Re" una collezione scritta da Kalhan, considerato il primo storiografo kashmiri). In entrambi questi testi i Ḍom/Ḍomba appartengono alla casta più bassa mentre gli autori appartenevano alla più alta casta, che considerava le popolazioni non arie come estranee al sistema Hindu, che era stato vittorioso sulle popolazioni dell'India.

In alcune regioni dell'India di oggi (ad esempio a Benares), sono i Ḍom/Ḍomba che esercitano la funzione di cremare i morti, attività considerata degradante e "sporca". Diversamente nel Rajasthan, nel Punjab e nell'Uttar Pradesh, molti Ḍom esercitano il mestiere tradizionale di musicisti e alcuni membri di questo gruppo sono considerati influenti.

In India, gruppi simili ai Ḍom/Ḍomba, per condizioni sociale e caratteristiche professionali, sono i gaḍe lohars (gaḍí: carro; lohár: fabbro), fabbri ambulanti; i Badis (tra i rom Badi/Bodi è uno dei cognomi più diffusi) suonatori di musica e acrobati; i Badjos (Badžo è un cognome molto diffuso tra i rom dell'Europa dell'est) musicisti; i Banjaras che sono mercanti fuori casta.

Oggi, in lingua romaní, rom significa uomo, marito e designa l'etnia stessa solamente presso i rom propriamente detti.

La gran parte dei rom europei parla il romaní ("romani chib") e sono divisi in "sottogruppi" ("endaïa"):

I diversi sottogruppi vengono individuati sulla base di un criterio principalmente ergonimico (fatta sulla base del lavoro svolto). Fra questi i più comuni sono:

Khorakhané ("amanti del corano") Shiftarija (albanesi). Sono musulmani, provenienti soprattutto dal Kosovo, la regione della ex Jugoslavia, ma anche dalla Macedonia e dal Montenegro.
Khorakhané Crna Gora (Montenegro) sono i principali conservatori della tradizione della lavorazione del rame.
Khorakhané Cergarija ("quelli delle tende") provengono dalla Bosnia (Sarajevo, Mostar, Vlassenica). Varianti fonetiche dei Khorakhané (trascritti anche come Xoraxane) sono Korane, Korhane.
Kanjarja cristiano-ortodossi. Provengono perlopiù da Serbia e Macedonia.
Rudari ("intagliatori"), cristiano-ortodossi. Parlano il rumeno. Apprendono il romaní per frequentazione di altri gruppi rom. Provengono perlopiù dalla Serbia.
Lovara, (dall'ungherese ló = cavallo), allevatori e commercianti di cavalli
Kaloperi ("piedi neri") sono piccoli gruppi, questi ultimi musulmani e provenienti dalla Bosnia.
Gagikane, cristiani ortodossi, provengono perlopiù dalla Serbia.
Căldărari (o anche Kotlar(i) o Kalderash o Kalderásha, Котляры (Kotlyary) e Кэлдэрары/Kelderary in Russo e Ucraino), originari dei Balcani, della Serbia in particolare, tradizionalmente dediti al mestiere del ramaio;
Churára o čurára: affilatori di coltello (dal romaní čurín = coltello);
Làutari: originariamente suonatori di làuto (liuto o cordofono affine) e, per estensione, musicisti professionisti designati per l'intrattenimento di feste, matrimoni e ricorrenze;
Machwáya, Boyásha e altri.
A ogni sottogruppo si fa seguire una ulteriore divisione per nazionalità (nátsija), quindi per discendenza (vítsa) prendendo il nome del capostipite, quindi per famiglia, per arrivare all'individuo.

Nei Balcani ci sono gruppi gitani che si autodefiniscono Rom ma che non parlano il romaní. Questi gruppi includono:

i Boyash (chiamati anche, a seconda del paese: Beash, Bayash, Banyash, Baiesi or Rudari).
gli Ashkali, che parlano albanese.
Altri gruppi che hanno simili caratteristiche culturali e sociali con i rom, come gli egiziani del Kosovo (così si autodefiniscono perché ritengono di provenire dall'Egitto), e gli ashkali rimarcano fortemente le loro differenze etniche con il resto delle popolazioni rom.

I rom si distinguono inoltre da:

i kalé che hanno perduto l'uso della lingua rom, si definiscono kalé e vivono soprattutto in Spagna e vengono definiti gitanos dagli spagnoli (termine che significa "Egiziani")
i sinti (o sinte), tra i quali si possono distinguere i sinti piemontesi e lombardi, la cui lingua è largamente influenzata dall'italiano e dal piemontese, e i Sinti del Nord, la cui lingua è influenzata dal tedesco e dall'alsaziano. Essi si definiscono Sinti e sono chiamati manouches dai francesi.

La tradizionale struttura sociale dei Rom è rimasta intatta solo presso alcuni piccoli gruppi.

Il Porrajmos distrusse la gran parte delle organizzazioni sociali preesistenti tra i gruppi Rom e Sinti dell'Europa centrale e orientale e i sopravvissuti allo sterminio nazista non furono in grado di ristabilire una nuova identità Rom.

La politica di assimilazione forzata dei paesi ex socialisti, attraverso il coinvolgimento dei Rom nei Kolkhoz contribuì, infine, a mettere fine al carattere nomadico delle popolazioni rom e alla struttura sociale che ne conseguiva.

Le differenze storiche e culturali sedimentatesi nel corso della diaspora delle popolazioni rom fino in Europa, durante i secoli precedenti, hanno portato a una disomogeneità tra gruppi, principalmente tra i Rom e i Sinti, che si è sviluppata in differenze linguistiche e sociali.

Tra i principali gruppi e sottogruppi Rom e Sinti è tuttavia possibile affermare che il sentimento di appartenenza sia principalmente esteso alla "famiglia", prima che al gruppo in quanto tale.

A causa quindi dell'eterogeneità tra le comunità Rom, gran parte degli antropologi ed etnologi ritengono possibile indicare in dettaglio solo le dinamiche intra-gruppo che fanno da sfondo agli aspetti sociali e organizzativi del "gruppo": la consapevolezza di appartenere all'etnia Rom, il desiderio di essere indipendenti e dissociati dai Gadže (Gagé), l'adattabilità e la sopravvivenza alle condizioni che minacciano la propria identità etnica.

La famiglia (padre, madre, figli) è la struttura base della comunità rom. Oltre essa si pone la famiglia estesa, che comprende i parenti con i quali vengono sovente mantenuti i rapporti di convivenza nello stesso gruppo, comunanza di interessi e di affari. Oltre alla famiglia estesa, presso i rom esiste la kumpánia, cioè l'insieme di più famiglie non necessariamente unite fra loro da legami di parentela, ma tutte appartenenti allo stesso gruppo e allo stesso sottogruppo o a sottogruppi affini.

La struttura sociale del gruppo, in generale, è definita dalla "coscienza collettiva" determinata dai confini che vengono posti nei confronti dei Gadže (Gagé), così come nei confronti degli altri gruppi Rom e Sinti.

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