sabato 31 gennaio 2015
IL FREDDO E I SUOI RICAMI-LA GALAVERNA-
In meteorologia la galaverna o calaverna è un deposito di ghiaccio in forma di aghi, scaglie o superficie continua ghiacciata su oggetti esterni che può prodursi in presenza di nebbia quando la temperatura dell'aria è inferiore a 0 °C.
La galaverna è costituita da un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide; di solito non è molto duro e può essere facilmente scosso via. Essa si forma perché le goccioline d'acqua in sospensione nell'atmosfera possono rimanere liquide anche sotto zero (stato di sopraffusione). Il fenomeno della galaverna è il passaggio da vapore acqueo a ghiaccio, che avviene non solo sul terreno, ma anche sugli alberi, sui tetti delle case, sulle auto ecc.
La galaverna richiede piccole dimensioni delle gocce di nebbia, temperatura bassa, ventilazione scarsa o nulla, accrescimento lento e dissipazione veloce del calore latente di solidificazione. Quando questi parametri cambiano si hanno altre formazioni, come per esempio la calabrosa, che si forma quando le gocce di nebbia sono più grosse e il vento è più forte.
La galaverna si distingue dalla brina perché questa non è coinvolta dal processo di sopraffusione delle gocce d'acqua e si forma per il brinamento del vapore sulle superfici raffreddate a causa della perdita di calore per irraggiamento durante la notte. Le formazioni di ghiaccio, simili alla galaverna, che si producono in assenza di nebbia con temperature molto basse e un'alta umidità relativa dell'aria superiore al 90% possono essere chiamate ugualmente galaverna (in inglese soft rime).
Ciro Chistoni descrisse un fenomeno assimilabile alla galaverna, che egli definì forte brinata invernale. Il fenomeno avviene con cielo inizialmente limpido e con formazione di brina sugli oggetti. Scendendo la temperatura, l'aria raggiunge il punto di saturazione di vapore acqueo e, per la presenza di nuclei di condensazione, si forma una nebbia bassa. In questa situazione avviene la solidificazione delle goccioline d'acqua nella nebbia con formazioni aghiformi di ghiaccio amorfo o cristallino che si sovrappongono alla brina. Il fenomeno sarebbe più frequente in autunno avanzato e più raramente in inverno, in particolar modo su oggetti compresi tra il suolo e quattro-sei metri d'altezza. Data la confusione allora presente tra fenomeni di brinamento e solidificazione della nebbia, è probabile che lo scienziato si riferisse a quella che oggi è la galaverna in senso proprio.
La galaverna, sotto forma di ghiaccio sulle piante, è utilizzata anche in ambito agronomico per preservare le piante dalle gelate sfruttando la liberazione del calore di brinamento nel processo di solidificazione dell'acqua liquida spruzzata sulle piante. Infatti durante l'intero passaggio di stato liquido-solido per la liberazione del suddetto calore la temperatura dell'acqua-ghiaccio rimane costante a 0 °C mentre quella dell'aria può essere anche di diversi gradi sotto lo zero. Al termine del passaggio di stato però anche il ghiaccio formatosi sulla pianta si porta rapidamente all'equilibrio termico con la temperatura dell'aria a diversi gradi sottozero, la stessa che avrebbe inevitabilmente subito la piante senza il suddetto trattamento. La tecnica quindi, a livello teorico, non è di per sé dannosa e risulta utile in caso di gelate notturne e disgelo diurno diminuendo il tempo di esposizione della pianta alle temperature sottozero (specie nel periodo critico primaverile), ma nel lungo periodo, cioè in condizioni di gelo persistente anche di giorno e per più giorni, risulta inefficace. Dei danni alla pianta possono altresì crearsi sui germogli con l'aumento di volume dell'acqua che solidifica e per questo è oggetto di severe critiche..
venerdì 30 gennaio 2015
CHIEDI ALLA MARMOTTA SE LA PRIMAVERA ARRIVERA'
Il Giorno della marmotta (in inglese Groundhog Day) è una festa celebrata negli Stati Uniti e nel Canada il 2 febbraio, e si basa sul comportamento di un esemplare di marmotta americana Marmota monax, un roditore della famiglia Sciuridae, diffuso in tali località, al suo risveglio.
La tradizione ha origine da credenze simili, associate con la Festa della luce (il Candlemas Day) ed il Giorno del riccio. Anche se la data viene spesso riferita come uno dei quarter day, si tratta in realtà di uno dei cross-quarter day.
Il primo Giorno della marmotta venne osservato a Punxsutawney, in Pennsylvania, il 2 febbraio 1887.
La tradizione vuole che in questo giorno si debba osservare il rifugio di una marmotta. Se questa emerge e non riesce a vedere la sua ombra perché il tempo è nuvoloso, l'inverno finirà presto; se invece vede la sua ombra perché è una bella giornata, si spaventerà e tornerà di corsa nella sua tana, e l'inverno continuerà per altre sei settimane..
BEN ARRIVATO FEBBRAIO
Febbraio è il secondo mese dell'anno secondo il calendario gregoriano ed è l'unico che conta di 28 giorni (29 negli anni bisestili). Viene dopo gennaio e prima di marzo ed è il terzo ed ultimo mese dell'inverno nell'emisfero boreale, dell'estate nell'emisfero australe.
Astrologicamente febbraio incomincia con il sole nell'Acquario e termina con il sole nei Pesci, mentre astronomicamente incomincia con il Capricorno e termina con l'Acquario.
Il nome del mese deriva dal latino februare, che significa "purificare" o "un rimedio agli errori" dato che nel calendario romano febbraio era il periodo dei rituali di purificazione, tenuti in onore del dio etrusco Februus e della Dea romana Febris, i quali avevano il loro clou il giorno 14. Tale ricorrenza pagana sembrerebbe poi essere confluita nel culto cristiano tributato in onore a Santa Febronia, poi soppiantata da San Valentino e trasferita al 25 giugno. Assieme a gennaio è stato l'ultimo mese aggiunto al calendario, poiché i romani consideravano l'inverno un periodo senza mesi. Secondo i miti, fu Numa Pompilio, nel 700 a.C., a inserirli entrambi per potere adattare al calendario l'anno solare: il febbraio originale conteneva 29 giorni (30 in un bisestile). Augusto avrebbe rimosso in seguito un giorno di febbraio per aggiungerlo al mese in suo nome, agosto, (rinominato da Sestilio), in modo che il mese dedicato a Giulio Cesare, luglio, non fosse più lungo. Questo fatto, provato da poche fonti non certissime, è contestato da molti storici che reputano più probabile un febbraio da sempre di 28 giorni.
Nominalmente febbraio era l'ultimo mese dell'anno romano, che iniziava a marzo. Poiché i calcoli calendariali antichi erano imprecisi, alcune volte i sacerdoti romani inserirono un mese di inframezzo, Mercedonius, dopo febbraio, per riallineare le stagioni.
Nomi storici di febbraio sono l'anglosassone Solmoneth ("mese del fango") e Kale-monath così come il corrispettivo carolingio Hornung.
Nel vecchio calendario giapponese, il mese è chiamato Kisaragi (如月, 絹更月 or 衣更月, che letteralmente significa "il mese del cambio di vesti"). Altro nome nipponico è Mumetsuki (梅見月, che significa letteralmente "il mese in cui si vedono i fiori di prugno") o Konometsuki (木目月, "il mese nel quale gli alberi prendono nuova vita"). In finlandese, il mese è chiamato helmikuu, "mese della perla".
Febbraio è conosciuto come Black History Month ("Mese della storia nera") negli USA e Canada.
Curiosità del mese:
-Febbraio inizia lo stesso giorno di marzo e novembre nell'anno normale, e di agosto nell'anno bisestile.
Febbraio nell'emisfero boreale è l'equivalente stagionale di agosto in quello australe e viceversa.
La pietra del mese è l'ametista.
Il fiore del mese è la violetta o la primula.
In alcuni casi è esistito anche un 30 febbraio: è stato introdotto in Svezia nel 1712 e in Unione Sovietica nel 1930 e 1931. Secondo il De Anni Ratione di Giovanni Sacrobosco (1235) esso è stato in uso anche a Roma per alcuni anni a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.
Il giorno della settimana che di anno in anno corrisponde al 28 febbraio, o al 29 se l'anno è bisestile, è lo stesso che corrisponde al 4/4, 6/6, 8/8, 10/10 e 12/12 e per i mesi dispari al 9/5, 5/9, 11/7 e 7/11. Per esempio, visto che il 28 febbraio 2010 era una domenica, sono stati delle domeniche anche il 4 aprile, il 9 maggio, il 6 giugno, l'11 luglio, l'8 agosto, il 5 settembre, il 10 ottobre, il 7 novembre e il 12 dicembre di quello stesso anno..
IL NOSTRO AMICO GATTO-STORIA E CULTURA-
Il gatto domestico (Felis catus Linnaeus, 1758 o Felis silvestris catus Schreber, 1775) è un mammifero carnivoro appartenente alla famiglia dei felidi.
Si contano una cinquantina di razze differenti riconosciute con certificazioni. Essenzialmente territoriale e crepuscolare, il gatto è un predatore di piccoli animali, specialmente roditori. Per comunicare utilizza vari vocalizzi (più di 16), le fusa, le posizioni del corpo e produce dei feromoni. Può essere addestrato a obbedire a semplici comandi e può imparare da solo a manipolare meccanismi elementari come le maniglie delle porte.
È il felino col più vasto areale nel mondo e con la popolazione più numerosa, protagonista anche di fenomeni di inselvatichimento così ampi da determinarne l'inclusione nell'elenco delle 100 tra le specie invasive più dannose al mondo da parte dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura.
Il nome italiano gatto deriva dal latino medievale gattus (VIII sec.), latino tardo cattus (IV sec.), classico catta (Marziale, c. 75 d.C.) di origine incerta, forse africana (cfr. nubiano kadīs e berbero kaddīska, "gatto"; arabo قط, "gatto maschio"). Il tipo catta/cattus ha soppiantato il termine tradizionale latino fēlēs in tutta la Romània (ma non nel rumeno, dove si usa pisică) e da questo deriva l'italiano gatto, lo spagnolo e portoghese gato, il francese chat. Dal termine tardolatino derivano anche le parole corrispondenti celtiche (cfr. irl. cat, gall. cath, bret. kaz), germaniche (cfr. protogermanico *kattuz, da cui antico frisone katte, norr. köttr, neer. kat, a.a.t. kazza, ted. Katze, ags. catt, ingl. cat) e slave (cfr. antico slavo ecclesiastico котъка kotŭka, bulg. котка kotka, russo кошка koška, pol. kot), nonché il lituano kate e il finlandese katti) e il greco moderno γάτο.
Il gatto è un animale il cui addomesticamento è relativamente recente. Le prime tracce di addomesticamento sono state trovate in Cina e risalgono al 5300 a.C.. Per questo conserva una sua naturale diffidenza e indipendenza. Nei gatti non esiste una struttura gerarchica come nei cani, e dunque il suo rapporto con gli umani è diverso: l'essere umano viene considerato come una madre sostitutiva che è utile per procurare il cibo e garantisce protezione. Il gatto infatti è un animale più legato al territorio che non al branco, a differenza del cane. Non per questo il gatto non può provare affetto verso le persone e può anche essere protettivo. Nella maggior parte dei casi se allevato da piccolo il suo atteggiamento verso il padrone è affettuoso e dolce.
Il gatto può inoltre manifestare il proprio affetto verso il padrone facendo le fusa e allungando le zampe. In tali momenti resta con gli occhi chiusi e il padrone, in una forma di imprinting, rappresenta per lui la vera madre.
Un altro modo di riconoscere l'umano come una "mamma" è quello di grattare il torace o un'altra parte del corpo del compagno umano con le zampe anteriori. Questo comportamento è detto "fare la pasta" (o "fare la panettiera"), in quanto le zampe si muovono come le braccia di un uomo quando impasta la farina, ed è un'azione tipica dei gattini sotto allattamento che in questo modo stimolano la lattazione dalle mammelle materne. Non è sempre un comportamento gradito agli umani, in quanto eseguito con le unghie sfoderate, ma va considerato comunque una dimostrazione di affetto in quanto viene appunto proiettata sul padrone la figura materna. Può talvolta essere eseguito su oggetti, ad esempio vestiario, appartenenti al padrone oppure sulla base di appoggio quando riceve coccole particolarmente gradite.
Le carezze vanno effettuate con moderazione perché il pelo dei gatti è ricco di terminazioni nervose ultrasensibili alle manipolazioni. I miagolii rivolti al compagno umano sono di diversi tipi: quello lungo e lamentoso per segnalare un corteggiamento, quello breve caratteristico del saluto e infine quello prolungato per una richiesta
Si chiama domesticazione il lungo processo svolto dall'uomo, sin dall'antichità, per ottenere, da una specie selvatica, un animale domestico.
Le prime scoperte paleontologiche situavano i primi siti della domesticazione del gatto in Egitto, verso il 2000 a.C., ma la scoperta nel 2004 di resti di gatto vicino a quelli di uomini in una sepoltura a Cipro porta l'inizio di questa relazione tra i 7500 e i 7000 anni prima di Cristo. Il gatto scoperto presenta una morfologia molto simile a quella del gatto selvatico africano, senza le modifiche dello scheletro dovute alla domesticazione: si tratta di un gatto addomesticato piuttosto che domestico. La coabitazione dei gatti con gli uomini è probabilmente cominciata con l'inizio dell'agricoltura: l'immagazzinamento del grano ha attirato i topi e i ratti, che a loro volta hanno attirato i gatti, loro predatori naturali. Lo studio condotto da Carlos Driscoll su 979 gatti ha permesso di definire la probabile origine del gatto domestico nella regione della mezzaluna fertile in Mesopotamia.
Sebbene gran parte degli etologi concordino nel definire il gatto domestico discendente del gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica), alcuni esemplari di Felis chaus, un piccolo felino africano parente stretto del gatto, sono stati ritrovati mummificati nelle tombe egiziane, presumibilmente addomesticati. Questo, oltre alla similitudine morfologica del cranio, ha portato alcuni studiosi a formulare l'ipotesi che il gatto domestico discenda dal Felis chaus, e non dal Felis lybica; altri ancora sostengono che siano avvenute ibridazioni.
Il gatto domestico non è la sola specie tra le Felinae utilizzate come animale da compagnia. Anche il gatto selvatico e il jaguarondi sono stati addomesticati per cacciare topi e ratti.
Gli egiziani dell'antichità hanno divinizzato i tratti del gatto nella dea protettrice Bastet, simbolo di fecondità e dell'amore materno. Il suo culto si situava principalmente nella città di Bubasti. Gli archeologi hanno scoperto numerose mummie di gatto che mostrano la venerazione degli egiziani per questo felino. Anche la sorella di Bastet, Sekhmet, era un felino (anche se una leonessa) e lei aveva come animale sacro il gatto.
Per molto tempo la Grecia antica conoscerà solo i mustelidi (furetti e donnole) come cacciatori di roditori. I primi esemplari gli saranno venduti dai fenici, che li avevano rubati agli egiziani. Aristofane cita addirittura la presenza di un mercato dei gatti ad Atene che veniva chiamato ailouros (che muove la coda). Poi, a partire dal secondo secolo prima di Cristo, katoikidios (domestico)
I romani avevano una passione per i gatti: dapprima erano riservati alle classi agiate, poi l'uso di possedere un gatto si propagò in tutto l'impero e in tutti gli strati della popolazione, assicurando così la propagazione dell'animale in tutta l'Europa.
L'immagine del gatto nell'islam è principalmente positiva, grazie all'affetto che portava loro Maometto, dopo essere stato salvato da un morso di serpente da una gatta soriana, Muezza, che poi venne adottata e amata dal Profeta. Per l'affetto e l'amore che nutriva nei confronti della sua gatta, secondo la leggenda Maometto regalò ai felini la capacità di cadere sempre su quattro zampe, nonché la presunta facoltà di poter osservare contemporaneamente il mondo terreno e la dimensione ultraterrena. Tutt'oggi, nei paesi di cultura araba, il gatto è solitamente l'unico animale al quale è permesso di passeggiare liberamente nelle moschee.
Al contrario, il gatto fu demonizzato nell'Europa cristiana durante la maggior parte del Medioevo, a causa dell'adorazione di cui era stato l'oggetto in passato da parte dei pagani. Nella simbologia medievale, il gatto era associato alla sfortuna e al male, soprattutto quando era nero, e anche all'essere sornioni e alla femminilità. Era un animale del diavolo e delle streghe. Gli si attribuivano dei poteri soprannaturali, tra cui la facoltà di possedere nove (o sette per alcuni Paesi, tra cui l'Italia, in cui la religione lo considera un numero sacro) vite. Nella notte di San Giovanni, nelle piazze, venivano bruciati vivi centinaia di gatti rinchiusi in ceste assieme alle donne accusate di stregoneria. Le differenti epidemie di peste, dovute alla proliferazione dei ratti, potrebbero essere una conseguenza della diminuzione del numero dei gatti.
Nel Rinascimento il gatto venne rivalorizzato, soprattutto a causa dell'azione preventiva contro i roditori, divoratori dei raccolti.
Malgrado delle nobili eccezioni come i cistercensi o il persiano bianco di re Luigi XV di Francia, il gatto non conobbe un vero ritorno di immagine fino al romanticismo. In questo periodo divenne l'animale romantico per eccellenza, misterioso e indipendente. Sempre nel XIX secolo, diventò il simbolo del movimento anarchico. Nel XX secolo, si è mantenuta questa visione romantica, con un interesse anche scientifico verso il gatto.
Dei gatti si sono occupati diversi celebri scrittori come Lope de Vega (che scrisse La Gattomachia, un intero poema burlesco in sette canti, per raccontare gli amori del valoroso soriano Marramachiz e della bella gatta Zapachilda), come Kipling, Eliot, Carroll (che fa colloquiare Alice nel Paese delle Meraviglie con un gatto del Cheshire) e come Perrault, che nella sua celebre fiaba al gatto fa addirittura indossare un paio di stivali.
Si ricorda qui, inoltre, Luis Sepúlveda, con Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, romanzo ispirato dal suo gatto Zorba (soppresso a causa di una malattia), citato anche ne Le rose di Atacama.
Lo scrittore ceco Čapek ha descritto le vicissitudini dei suoi gatti in una serie di racconti, pubblicati dapprima come articoli su quotidiani cechi degli anni venti e trenta e successivamente raggruppati nella raccolta Měl jsem psa a kočku.
Anche lo scrittore giapponese Natsume Sōseki ha scritto un libro con protagonista un gatto intitolato, appunto, Io sono un gatto, in cui narra le vicende di una famiglia borghese del Giappone di inizio Novecento viste dal punto di vista dell'animale; Jun'ichirō Tanizaki ha invece dedicato ai rapporti tra una gatta e i suoi ospiti umani il romanzo La gatta, scritto nel 1936.
Tra gli autori italiani, il filosofo Piero Martinetti ha dedicato ai suoi gatti defunti i toccanti Brevi epitaffi. I gatti sono inoltre una presenza costante nelle opere di Giorgio Celli.
I gatti siamesi Koko e Yum Yum sono i protagonisti della fortunata serie di romanzi gialli "Il gatto che..." della scrittrice americana Lilian Jackson Braun.
Anche svariati fumetti moderni hanno dei gatti come protagonisti: basti pensare a Felix il gatto, a Garfield, a Tom del duo Tom e Jerry, a Gambadilegno, a Birba, il gatto di Gargamella nei Puffi, all'impareggiabile Gatto Silvestro o all'ilare Isidoro.
Il gatto ha stimolato anche la fantasia di numerosi poeti: basti pensare a Charles Baudelaire che l'ha citato nei suoi Fiori del male, e a Pablo Neruda, che a questo felino ha dedicato addirittura un'ode (Ode al gatto). Hanno scritto poesie sui gatti Dario Bellezza, Luce d'Eramo e la poetessa Rosella Mancini (Gatti stellari e terrestri). Anche la poetessa polacca Wisława Szymborska ha scritto del gatto ("Il gatto nell'appartamento vuoto") come di un animale del lutto, che viene ferito profondamente dalla morte del padrone, vista dall'animale come un tradimento della fiducia e un ferimento alla sua sensibilità.
Alcune canzoni di successo hanno per tema questo animale: basti citare La gatta di Gino Paoli, Quarantaquattro gatti, Volevo un gatto nero ed El me' gatt di Ivan Della Mea, o musical come Cats. Anche Freddie Mercury dedicò l'album Mr. Bad Guy ai suoi gatti e la canzone Delilah, dell'album dei Queen Innuendo, alla sua gatta che portava questo nome.
Sempre in campo musicale è da citare, infine, il Duetto buffo di due gatti, componimento musicale per soprano erroneamente attribuito a Gioachino Rossini. Il gruppo musicale inglese The Cure intitola un loro brano "The lovecats".
Il gatto è il simbolo araldico della famiglia nobiliare dei Fieschi, i conti di Lavagna, che lo posero a sormontare il loro blasone accompagnandolo al motto "Sedens ago" (Anche sedendo sono attivo).
Particolarmente diffuso in Giappone è il Maneki Neko, una statua di porcellana raffigurante un gatto e simbolo di buona fortuna. Si ritiene che tale tradizione risalga al XVI secolo, essendo il gatto giunto in Giappone dalla Cina intorno all'anno mille, ma inizialmente era considerato un essere malvagio e diabolico. In seguito, probabilmente grazie a influenze di origine cinese, l'atteggiamento cambiò.
Nel Borneo malese, precisamente nello stato del Sarawak, la capitale Kuching è la città dei gatti: infatti Kuching significa "gatto" in malese. La graziosa cittadina si caratterizza per le molte statue e per un museo dedicati ai felini. Il gatto è il simbolo della città di Kuching. In novembre, e per un mese intero, si svolge il Pesta Meow (Festival del Gatto).
In termini di superstizione, il gatto nero in alcune culture è considerato portatore di sfortuna, specialmente quando attraversa la strada, e allo stesso tempo in altre è invece reputato un portafortuna..
giovedì 29 gennaio 2015
MAMMA CHE BELLO:C'E' LA NEVE!!!!
In meteorologia la neve è una configurazione di precipitazione atmosferica nella forma di acqua ghiacciata cristallina, formata da una moltitudine di minuscoli cristalli di ghiaccio, tutti aventi di base una simmetria esagonale e spesso anche una geometria frattale, ma ognuno di tipo diverso e spesso aggregati tra loro in maniera casuale a formare fiocchi di neve. Dal momento che è composta da piccole parti grezze è un materiale granulare. Ha una struttura aperta ed è quindi soffice, a meno che non sia sottoposta ad una pressione esterna. La disciplina che studia le caratteristiche fisico-chimiche della neve in relazione all'ambiente è la nivologia.
La neve si forma nell'alta atmosfera quando il vapore acqueo, a temperatura inferiore a 0 °C, brina attorno ai cosiddetti germi cristallini passando dallo stato gassoso a quello solido formando cristalli di ghiaccio i quali cominciano a cadere verso il suolo quando il loro peso supera la spinta contraria di galleggiamento nell'aria e raggiungono il terreno senza fondersi. Questo accade quando la temperatura al suolo è in genere minore di 2 °C (in condizioni di umidità bassa è possibile avere fiocchi al suolo anche a temperature lievemente superiori) e negli strati intermedi non esistono temperature superiori a 0 °C dove la neve possa fondere e diventare acquaneve o pioggia.
Tuttavia, in presenza di uno o più dei seguenti fattori:
violente precipitazioni,
violenti moti verticali,
bassa umidità,
aria estremamente gelida in quota,
la neve può cadere, anche se per brevi periodi, con temperature positive superiori ai 2 °C (se l'aria nei bassi strati è abbastanza secca la neve può giungere al suolo anche con temperature lievemente superiori). Se la temperatura lo consente, è possibile produrre neve artificiale con cannoni appositi, che tuttavia creano piccoli granelli più simili a neve tonda che non a neve propriamente detta.
In generale quindi per l'occorrenza del fenomeno nevoso conta non solo il campo termico al suolo, ma anche quello degli strati atmosferici compresi tra la nube e il suolo: la neve infatti può anche non cadere alle temperature proprie suddette in presenza di precipitazioni ovvero giungere sotto forma di pioggia pur a temperatura del suolo sottozero: questo accade a volte quando si è in presenza di una forte inversione termica caratterizzata da strati superiori dell'atmosfera a temperatura positiva all'interno del quale cristalli e fiocchi fondono tramutandosi in acqua liquida; quando quest'acqua sotto forma di pioggia raggiunge il suolo gela quasi istantaneamente a contatto con il suolo ghiacciato portando alla formazione del pericolosissimo gelicidio.
Allo stesso modo, anche una prolungata omotermia verticale con temperatura costante di poco superiore allo zero sfavorisce la caduta di neve facendo fondere i fiocchi in caduta. Anche alti livelli di umidità relativa con temperature al suolo di poco superiori allo zero sfavoriscono la caduta al suolo di neve perché aumenta la conducibilità termica dell'aria, la quale fa fondere più velocemente i cristalli di ghiaccio in caduta. Spesso al riguardo la precipitazione può iniziare sotto forma di neve e poi tramutarsi in pioggia proprio per l'aumento dell'umidità relativa al suolo in conseguenza della fusione della neve stessa, nonostante l'assorbimento del calore latente durante questo passaggio di stato fisico. Altre volte accade il contrario: le precipitazioni possono iniziarsi sotto forma di pioggia per poi convertirsi in neve al calo della temperatura per precipitazioni o al dissolvimento dello strato di inversione/omotermia per sopraggiunta aria fredda in quota.
Ci sono diversi tipi di neve:
A larghe falde: è la più comune e consiste in fiocchi di neve di medie e grandi dimensioni e si verifica con temperature dagli 0 °C in su e con livelli medio-alti di umidità. La velocità di caduta, in assenza di moti convettivi verticali, risente delle dimensioni dei fiocchi.
A piccole falde: è una forma di precipitazione nevosa sotto forma di piccoli fiocchi che avviene con basse temperature (qualche grado sotto zero) e bassi livelli di umidità. La velocità di caduta è maggiore rispetto alla neve a larghe falde e dà spesso luogo a fitte nevicate. Spesso dà luogo al suolo ad accumuli di neve secca e farinosa.
Neve a pioggia: espressione tipica del meridione per indicare una neve con grandi fiocchi e molto fitta che di solito si ha a temperature moderatamente alte (1 grado o 2). La velocità di caduta è maggiore rispetto alla grandine.
Neve tonda: fiocchi di neve che, attraversando uno strato dell'atmosfera a temperatura lievemente positiva, vanno ad ampiarsi infinitamente su sé stessi o i cristalli a perdere le punte arrotondando i loro bordi e prendendo così una forma più sferica.
Gragnola: neve finissima e leggera, che è formata da cristalli di neve circondati, individualmente, da uno strato trasparente di ghiaccio simile per molti versi alla grandine; cade generalmente a temperature di qualche grado sopra lo zero e con forte instabilità atmosferica cioè con aria fredda in quota e marcate correnti convettive.
Acquaneve: caduta di fiocchi parzialmente fusi in pioggia.
Tormenta o bufera: tempesta di neve intensa spesso accompagnata da vento come ad esempio il blizzard.
Nevischio: debole caduta di fiocchi di piccole dimensioni.
Polvere di diamante: è una precipitazione nevosa, generalmente poco abbondante, sotto forma di finissimi cristalli di ghiaccio non aggregati tra loro, che si verifica in presenza di bassissime temperature e bassi livelli di umidità, ovvero si forma per brinamento diretto del vapore acqueo non necessariamente in nube, ma anche nei bassi strati atmosferici. È tipica delle steppe siberiane in corrispondenza di forti irruzioni di aria fredda polare.
Scaccianeve: non è propriamente una precipitazione, bensì una forte tempesta di vento, che solleva la neve già caduta al suolo in mulinelli simili a una vera tormenta.
A queste si aggiunge infine la cosiddetta neve chimica che si forma occasionalmente in presenza di forte inquinamento atmosferico in combinazione a temperature sotto lo zero ed alta umidità.
Una volta caduta al suolo la neve tende a compattarsi sotto il proprio peso in misura tanto maggiore e veloce quanto più spessa e umida è la coltre nevosa e tanto maggiore è l'eventuale fusione potendo subire anche altri processi in relazione alle condizioni ambientali. La neve al suolo può essere classificata come segue:
Imbiancata: leggera caduta di neve, quanto basta a ricoprire in modo disomogeneo il terreno.
Leggera e polverosa: quando è appena caduta se si è sotto zero e con poca umidità dell'aria.
Pesante: quando la temperatura va sopra lo zero, cosa molto frequente in montagna, la neve diventa umida e un po' più pesante.
Grande e pesante: se si è sopra zero, i fiocchi si uniscono in agglomerati più grandi e a terra la neve diventa molto pesante e facilmente compattabile, la migliore per fare le palle di neve.
Ghiacciata: quando la temperatura scende successivamente sotto zero, cosa molto frequente in pianura la neve ghiaccia, prende la consistenza di polvere mista a ghiaccio, scarsamente umida e quindi difficilmente compattabile e inutilizzabile per costruzioni o palle di neve; è il caso ad esempio della neve brinata senza crosta.
Trasformata: successivi passaggi sopra e sotto lo zero portano la neve a divenire molto compatta, quasi come in pista, spesso anche con crosta di rigelo, e questo è il tipo di neve che si trova a volte in primavera.
Con crosta: il vento e l'umidità ad esso associata e/o successivi passaggi sopra e sotto lo zero formano una crosta molto rigida e spessa sopra la neve polverosa, meno spessa sulla neve più molle. Tale strato ghiacciato si associa spesso al vetrone.
Un ultimo tipo di neve al suolo è la neve artificiale, che si ottiene attraverso tecniche di innevamento artificiale.
Al nostro occhio la neve appare bianca, anche se è composta da cristallini di ghiaccio trasparenti come l'acqua. Essa appare bianca perché ogni raggio di luce che attraversa un cristallo di neve viene leggermente riflesso; così, di cristallo in cristallo, la luce continua ad esser riflessa e deviata fino a riemergere in una direzione casuale (riflessione diffusa). Così il raggio di luce che perviene all'occhio è una somma di tutta la luce che è emessa in quella direzione, ed è composta dalla somma di tutti i colori dello spettro, dato che i cristallini di ghiaccio non assorbono alcun colore. Ai nostri occhi arrivano così tutti i colori di partenza, e di conseguenza percepiamo il colore bianco che ne è la somma.
Inoltre, poiché quasi tutta la luce che entra viene restituita, il manto nevoso appare spesso abbagliante. Lo stesso fenomeno si presenta con ogni polvere che non assorba troppa luce: una strada sterrata polverosa appare biancastra, ma se piove diventa scura.
Nelle precipitazioni nevose dell'Europa meridionale, si può talvolta notare una leggera colorazione rosa a strati nella neve caduta: è la sabbia che arriva con il vento dal Sahara.
La neve può facilmente accumularsi al suolo se le temperature sono sufficientemente basse (non più di 1 °C) e/o se la nevicata è particolarmente intensa: tipicamente come riferimento si ha che un millimetro di acqua fusa corrisponde ad un centimetro di neve fresca subito dopo la nevicata (leggermente meno se la neve è secca e a fiocchi piccoli), con il manto nevoso che tende poi ad assestarsi sotto il proprio peso (tanto più è spesso e umido) e l'eventuale fusione. Lo spessore del manto può raggiungere anche diversi metri come accade nelle zone più nevose al mondo e con accumuli duraturi per tutto l'inverno in montagna.
La neve al suolo crea inoltre il cosiddetto effetto albedo ovvero riflette in massima parte la radiazione solare incidente contrastandone così l'assorbimento da parte del terreno; questo fatto unito al calore di fusione assorbito dalla neve durante l'eventuale fusione favorisce un riscaldamento termico minore dello strato atmosferico a contatto con essa col risultato che zone coperte di neve si riscaldano molto meno e si raffreddano molto più velocemente di zone non coperte da essa. È il presupposto che favorisce estese ed intense gelate notturne tali da produrre a volte estremi record negativi. Tale effetto oltre che a scala meteorologica è alla base anche di alcuni meccanismi di retroazione in campo climatico .
La neve accumulata al suolo può seguire due strade: fondersi nei periodi più caldi come primavera ed estate oppure conservarsi tale se le temperature rimangono costantemente sotto lo zero. In questo caso, che avviene al di sopra del cosiddetto limite delle nevi perenni cioè a partire da una certa quota altimetrica in su, variabile in funzione della latitudine, la neve inizia a seguire un ciclo di trasformazione che la trasformerà in ghiaccio grazie al processo di metamorfismo dei cristalli e al peso della neve soprastante espellendo l'aria contenuta negli interstizi e autocompattandosi progressivamente (firnificazione). Il ghiaccio così formatosi a partire dal 5º anno in poi va a formare il ghiacciaio.
La neve può costituire un rischio per l'incolumità di infrastrutture e persone fisiche nel fenomeno delle valanghe. Danni da sovraccarico nevoso possono prodursi sui tetti, sulla vegetazione arborea o favorire la formazione di ghiaccio su germogli in primavera. Nevicate consistenti (tormente) spesso creano danni alle infrastrutture e costituiscono un ostacolo alla viabilità bloccando la circolazione e i servizi, talvolta anche in zone dove il fenomeno meteorologico accade con frequenza. Interruzione dell'elettricità, dei servizi telefonici e di altre infrastrutture di base sono comuni nel caso di tempeste di neve. Spesso scuole e altri uffici rimangono chiusi e alcuni centri abitati remoti rimangono isolati. La neve può anche creare dei rischi stradali, ma capita più spesso con il ghiaccio..
L'UCCELLO DELLA NEVE-IL PETTIROSSO-
Il pettirosso (Erithacus rubecula (Linnaeus, 1758)) è un piccolo uccello passeriforme della famiglia dei Muscicapidae, in passato classificato come facente parte della famiglia dei Turdidae.È l'unica specie nota del genere Erithacus.
Il pettirosso è un piccolo uccello canoro europeo molto comune.
È insettivoro e si alimenta generalmente a terra anche se non rifiuta insetti in volo. Pur avendo dimensioni ridotte è conosciuto per il suo comportamento spavaldo. Gli adulti hanno il petto e la fronte colorati di arancio. Il resto del piumaggio è di colore bruno oliva e il petto bianco sporco. Ai giovani manca la colorazione arancione e sono fortemente macchiettati. Il comportamento è confidente verso l'uomo ed ha abitudini vivaci note a tutti. Spesso quando si lavora in giardino e si rigira la terra il pettirosso si avvicina molto all'uomo per ricercare vermi o insetti venuti alla luce, in inverno non rifiutano grasso e semi anche se non è la loro alimentazione base È presente in Italia d'inverno nelle zone di bassa quota e svernante regolare ad alte quote, migratore a breve raggio, territoriale anche durante lo svernamento.
Il pettirosso si nutre in aperta campagna nel sottobosco. Il suo regime alimentare è composto soprattutto da Invertebrati che vivono nel suolo (insetti, coleotteri, lumache, vermi e ragni). Durante l'autunno e fino alla primavera consuma anche molte bacche e frutti piccoli. La sua tecnica per procacciare il cibo è ben adattata alla vegetazione densa e agli spazi aperti che si trovano sia nel sottobosco sia nei giardini. Accovacciato su un ramo basso osserva l'ambiente vicino e quando individua una preda vola giù e l'afferra per poi accovacciarsi di nuovo. Può anche saltellare sul terreno, fermandosi qua e là per individuare una preda. Nella foresta l'uccello spesso approfitta dal fatto che altri animali (cinghiali, cervi o fagiani) disturbano gli insetti o altri animali nel sottosuolo. Forse per questo motivo è sempre molto interessato a seguire una persona intenta a zappare la terra. Si sono anche osservati dei pettirossi che seguivano una talpa, intenta a scavare la galleria, per catturare i vermi. Nella stagione invernale hanno bisogno di grassi per superare meglio il freddo, quindi per chi dovesse avere questi inquilini nel giardino di casa o sui balconi, può mettere tranquillamente biscottini tritati o anche pezzettini di pandoro, ne vanno molto ghiotti.
Il richiamo è un tic persistente e spesso ripetuto. Il canto è una serie variata e definita di frasi corte e altamente gorgheggiate. Sia il maschio che la femmina cantano d'inverno quando occupano territori separati. Questo vuole dire che il canto è udibile durante tutto l'inverno. Spesso cantano anche all'imbrunire o al buio e vengono confusi con l'usignolo.
Secondo una leggenda il pettirosso si sarebbe insanguinato il petto tentando di rimuovere con il becco la corona di spine che circondava la testa di Gesù Cristo sulla croce. Per questo motivo il petto sarebbe rimasto macchiato di rosso.
Il pettirosso, antico simbolo dell’anno nuovo, è colui che facilita il passaggio dall’inverno alla rinascita. Ecco anche perché una credenza di origine romagnola associa la migrazione dei pettirossi all'arrivo della neve..
ROSSO DI SERA....
Se il sole al tramonto non incontrava nuvole e si tingeva di rosso, la giornata seguente, con grande probabilità, sarebbe stata serena. Era quanto sostenevano i nostri avi ed è, in parte, confermato dalla scienza. Oggi sappiamo infatti che sono i venti occidentali atlantici a portare tempo umido e piovoso, ma se il cielo a ovest si pulisce, per esempio per l'alta pressione delle Azzorre, si hanno tramonti fiammeggianti.
"Rosso di sera bel tempo si spera", spiega Marina Baldi dell'Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr, "è una previsione 'meteorognostica' (dal greco 'conoscenza delle cose del cielo'), una versione popolare della meteorologia, basata sulle osservazioni astrologiche e dei fenomeni naturali".
Legato al mondo di coloro che andavano per mare e a quello dei pastori, l'antico detto nasce in Inghilterra: se ne trova traccia nel 1395 in una versione della Bibbia del teologo inglese Wyclif. Nel Medioevo, l'economia inglese era prevalentemente rurale e marittima, la vita e la morte dipendevano molto dalle condizioni meteo e, in assenza di mezzi di previsione, si sfruttavano al meglio le poche informazioni a disposizione, codificandole in qualche modo.
"Il proverbio ha, di fatto, un qualche fondamento meteorologico sia in Inghilterra sia, almeno in parte, in Italia", conferma Baldi. Ma perché a volte le nuvole e il cielo appaiono di colore rosso? E come questa osservazione può essere utilizzata per prevedere il tempo? "La luce solare è una radiazione elettromagnetica composta di varie frequenze", precisa la ricercatrice dell'Ibimet-Cnr. "Ogni frequenza corrisponde a un colore che va dal rosso (frequenza più bassa) al violetto (frequenza più alta), i quali combinati danno alla luce il colore bianco. Passando attraverso l'atmosfera la luce solare viene deviata dalla direzione iniziale. A seconda della frequenza, la deviazione cambia: è più grande per la radiazione rossa e diminuisce man mano che la frequenza si avvicina al violetto. Quando il sole è basso nel cielo - all'alba e al tramonto - e i suoi raggi sono radenti agli strati più alti dell'atmosfera, arriva il momento in cui la radiazione di frequenza vicina al violetto non riesce più a penetrarla, mentre, al contrario, la radiazione vicina al rosso è in grado di attraversare l'atmosfera. Così il cielo si tinge di rosso".
La durata del fenomeno dipende dalla densità dell'aria, che aumenta passando dagli strati più alti dell'atmosfera verso la superficie terrestre. Occorre infine considerare che l'acqua, presente nell'atmosfera e nelle nubi in forma di vapore acqueo, assorbe molto di più le radiazioni con frequenze verso il rosso che verso il violetto. Inoltre, il tempo meteorologico e le perturbazioni nel Regno Unito, come anche in Italia, provengono da ovest, cioè il vento è soprattutto occidentale.
"Considerando che il sole sorge a est e tramonta a ovest, e alla sera a occidente non vi sono nubi (mancanza di acqua e vapore acqueo), guardando in quella direzione possiamo vedere un tramonto rosso e, se le condizioni meteorologiche non cambiano repentinamente, ci si può aspettare per l'indomani una giornata assolata", conclude la climatologa..
martedì 27 gennaio 2015
IL MONTAGNA DEI PIRENEI -UNA MONTAGNA DI DOLCEZZA-
Il cane da montagna dei Pirenei, conosciuto anche con il nome tradizionale di patou è una razza canina di origine francese riconosciuta dalla FCI (Standard N. 34, Gruppo 2, Sezione 2, Sottosezione 2).
È la razza canina appartenente al gruppo dei cani da montagna che svolge tradizionalmente il compito di guardiano del gregge sul versante francese dei Pirenei. Sul versante spagnolo della catena montuosa, nella regione di Aragona, da antenati comuni si è sviluppata la razza del mastino dei Pirenei. Il cane da montagna dei Pirenei non è da confondere con il pastore dei Pirenei, il suo "collega" di lavoro, incaricato di condurre il gregge (pastore-conduttore), mentre il compito del cane da montagna dei Pirenei è quello di difenderlo.
La coda è lunga, a pelo lungo, termina a uncino. Nei momenti di "attenzione", viene portata arrotolata sulla schiena, a formare la caratteristica "arrundera". Il colore bianco è sempre predominante, sono accettate macchie di colore sabbia e/o grigio. Il pelo è molto lungo e gli occhi son ben livrettati, a mandorla, con iride ben scura. Le orecchie sono attaccate all'altezza degli occhi, ben inserite e poco visibili. La testa è a tartufo nero, calotta cranica tanto lunga quanto larga. I piedi hanno doppi speroni negli arti posteriori, ricercati quelli negli arti anteriori.
In famiglia è molto dolce e legato al padrone: nei suoi confronti può diventare geloso, ma si affeziona agli altri membri del suo branco umano. Con l'uomo cerca spesso un rapporto paritario, basato sul rispetto e la fiducia reciproca. Non ama la sudditanza, per cui va bandita ogni forma di coercizione violenta. È un cane solo in parte addestrabile all'obbedienza ed è preferibile non spingerlo ad un addestramento svolto all'attacco. Si deve infatti tenere presente che, per via dell'innata indipendenza e della notevole mole, si rischierebbe di avere tra le mani un soggetto non facilmente gestibile. Ha la caratteristica comportamentale di difendere il territorio, tenendo sempre a bada gli estranei. Riesce a comprendere chi sono le persone che non sono gradite al padrone con una intelligenza acutissima. Perlustra il territorio abbaiando profondamente al minimo passaggio di estranei, e tende a essere fortemente dominante con tutti i cani. Inoltre tende ad esplorare gli spazi aperti e a farli diventare il proprio territorio. È pertanto opportuno che abbia a sua disposizione un grande spazio, ma non troppo in modo da stimolare la sua propensione alla guardia. Di notte subisce un mutamento e diventa molto più attento. Osservandolo vedrete che spesso "abbaia ai quattro venti", girando su se stesso e abbaiando nelle varie direzioni, allo scopo di segnalare la sua presenza agli altri cani e agli estranei (tenetene conto per il vicinato).
LEGGENDE.:I GIORNI DELLA MERLA
I cosiddetti giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio (29, 30 e 31) oppure gli ultimi due giorni di gennaio e il primo di febbraio. Sempre secondo la tradizione sarebbero i tre giorni più freddi dell'anno. .L'origine della locuzione "i giorni della merla (o Merla)" non è ben chiara. Sebastiano Pauli espone due ipotesi:
« "I giorni della Merla" in significazione di giorni freddissimi. L'origine del quel dettato dicon esser questo: dovendosi far passare oltre Po un Cannone di prima portata, nomato la Merla, s'aspettò l'occasione di questi giorni: ne' quali, essendo il Fiume tutto gelato, poté quella macchina esser tratta sopra di quello, che sostenendola diè il comodo di farla giugnere all'altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una Nobile Signora di Caravaggio, nominata de Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a Marito, non lo poté fare se non in questi giorni, ne' quali passò sovra il fiume gelato. »
Secondo altre fonti la locuzione deriverebbe da una leggenda secondo la quale, per ripararsi dal gran freddo, una merla e i suoi pulcini, in origine bianchi, si rifugiarono dentro un comignolo, dal quale emersero il 1º febbraio, tutti neri a causa della fuliggine. Da quel giorno tutti i merli furono neri. Si noti che se alcune leggende parlano di una merla, nella realtà questi uccelli presentano un forte dimorfismo sessuale nella livrea, che è bruna (becco incluso) nelle femmine, mentre è nera brillante (con becco giallo-arancione) nel maschio.
Secondo una versione più elaborata della leggenda, una merla, con uno splendido candido piumaggio, era regolarmente strapazzata da gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva ad aspettare che lei uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni, la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al riparo, per tutto il mese di gennaio, che allora aveva solo ventotto giorni. L'ultimo giorno del mese, la merla, pensando di aver ingannato il cattivo gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo.
Gennaio se ne risentì così tanto che chiese in prestito tre giorni a febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era annerito a causa del fumo, e così essa rimase per sempre con le piume nere. Come in tutte le leggende, esiste un fondo di verità: infatti nel calendario romano il mese di gennaio aveva solo ventinove giorni. Sempre secondo la leggenda, se i giorni della merla sono freddi, la primavera sarà bella; se sono caldi, la primavera arriverà in ritardo.
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domenica 25 gennaio 2015
FOLKLORE A VARESE LA FESTA DELLA GIOEBIA
Le origini
L'ultimo giovedì di gennaio è il giorno, anzi la notte della Giubiana. Incerta è l'origine del nome per la mancanza di fonti scritte. Alcuni sostengono che esso derivi dal culto alla divinità di Giunone (da qui il nome Joviana). Altri ancora lo ricollegano a Giove, giovedì: il nome deriverebbe dal dio latino "Jupiter-Jovis", da cui l'aggettivo Giovia e quindi Giobia per indicare le feste contadine di inizio anno per propiziare le forze della natura che, secondo la credenza popolare, condizionano l'andamento dei raccolti. Il periodo della festa coincide con le Ferie Sementive o Sementine.
LA STORIA
La storia di questo personaggio ha diverse varianti, a seconda dell'area geografica. La Giubiana è una strega, spesso magra, con le gambe molto lunghe e le calze rosse. Vive nei boschi e grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero. Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. E l'ultimo giovedì di gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare. Ma una mamma, che voleva molto bene al suo bambino, le tese una trappola. Preparò una gran pentola piena di risotto giallo (zafferano) con la luganega (salsiccia), e lo mise sulla finestra. Il profumo era delizioso, da far venire l'acquolina in bocca. La Giubiana sentì il buon odore e corse con la sua scopa, verso la pentola e cominciò a mangiare il risotto. Il risotto era tanto ma era così buono, che la Giubiana non si accorse che stava per arrivare il sole. Il sole uccide le streghe, così il bambino fu salvo.
Una versione un poco più orrida, dice che una mamma prese una bambola e la riempì di coltelli e forbici, poi la mise nel letto, al posto della figlia. A mezzanotte si sentono i passi della Giubiana. La bimba spaventatissima, si stringe vicino alla mamma, mentre si sente la Giubiana salire i gradini ed entrare nella stanza. La Giubiana è feroce e in attimo ingoia la bambola, pensando di mangiare la bambina. Si sente un urlo, la mamma va nella stanza della bimba e trova il corpo della Giubiana a brandelli, per via dei coltelli e delle forbici. La Giöbia nel basso Varesotto (Busto Arsizio, Gallarate e Saronnese)
La Festa della Giöbia è una festa di antica tradizione di origine precristiana che ancora permane nel basso varesotto. In età medioevale alla Giobia è stata associata la sembianza umana, spesso quella di una vecchia o di una strega. Ricorrendo la festa alla fine di gennaio, ancora oggi viene celebrata in molti comuni con il rogo di un pupazzo simboleggiante una donna anziana per esorcizzare le forze negative dell'inverno e propiziare l'avvento della primavera. La Giöbia è particolarmente sentita nelle città di Busto Arsizio, Gallarate e dintorni. L'ultimo giovedì di gennaio a Busto Arsizio decine di fantocci raffiguranti una donna vecchia e di brutto aspetto vengono bruciati. Inoltre, nella piazza principale della città, piazza San Giovanni Battista, vengono serviti polenta e bruscitti. AGallarate, la Giöbia viene bruciata ogni anno in un diverso quartiere della città, anche qui accompagnata da risott e luganega (piatto tipico e maschere ufficiali della città)
LEGGI ANCHE : asiamicky.blogspot.it/2015/03/lombardia-la-regione-che-ospita-expo.html
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sabato 24 gennaio 2015
venerdì 23 gennaio 2015
Shoah
Il termine Shoah è voluto dagli ebrei, i quali, attualmente, rifiutano l'altra parola stilizzata, Olocausto, in quanto questo indica un sacrificio propiziatorio, il che è sicuramente ingannevole.
L'espressione Shoah si riferisce al periodo che intercorre fra il 30 Gennaio 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, e l'8 Maggio 1945, la fine della guerra in Europa: in questo periodo furono milioni le persone soppresse dalla follia razziale nei confronti non solo degli ebrei . Pur essendo impossibile accertare l'esatto numero di vittime ebree, le statistiche indicano che il totale fu di oltre 5.860.000 persone. La maggior parte delle autorità generalmente accettano la cifra approssimativa di sei milioni a cui si devono sommare 5 milioni circa di civili non ebrei uccisi. In tutto quindi, ma la cifra precisa ha ben poca importanza, oltre 10 milioni di persone furono uccise dall'odio nazionalsocialista. Tra i gruppi assassinati e perseguitati dai nazisti e dai loro collaboratori, vi erano: zingari, serbi, membri dell'intellighentia polacca, oppositori della resistenza di tutte le nazionalità, tedeschi oppositori del nazismo, omosessuali, testimoni di Geova, delinquenti abituali, o persone definite "anti sociali", come, ad esempio, mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti. La maggior parte delle persone soppresse passarono per i campi di sterminio, che erano campi di concentramento con attrezzature speciali progettate per uccidere in forma sistematica. Storicamente il partito nazista prese la decisone di dare avvio alla cosiddetta "Soluzione Finale" (Endl sung), in realtà molti ebrei erano già morti a causa delle misure discriminatorie adottate contro di loro durante i primi anni del Terzo Reich, ma lo sterminio sistematico e scientifico degli ebrei non ebbe inizio fino all'invasione, da parte della Germania, dell'Unione Sovietica nel Giugno 1941. Per i nazisti ebreo era: chiunque, con tre o due nonni ebrei, appartenesse alla Comunità Ebraica al 15 Settembre 1935, o vi si fosse iscritto successivamente; chiunque fosse sposato con un ebreo o un'ebrea al 15 settembre 1935 o successivamente a questa data; chiunque discendesse da un matrimonio o da una relazione extraconiugale con un ebreo al o dopo il 15 settembre 1935. Vi erano poi coloro che non venivano classificati come ebrei, ma che avevano una parte di sangue ebreo e venivano classificati come Mischlinge (ibridi). I Mischlinge venivano ufficialmente esclusi dal Partito Nazista e da tutte le organizzazioni del Partito (per esempio SA, SS, etc.). Benché venissero arruolati nell'esercito tedesco, non potevano conseguire il grado di ufficiali. Era inoltre proibito loro di far parte dell'Amministrazione Pubblica e svolgere determinate professioni (alcuni Mischlinge erano, in ogni caso, esonerati in determinate circostanze). Gli ufficiali nazisti presero in considerazione la possibilità di sterilizzare i Mischlinge, ma ciò non fu sempre attuato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i Mischlinge di primo grado rinchiusi nei campi di concentramento, furono tradotti nei campi di sterminio. Ma il Terzo Reich considerava nemici non solo gli ebrei, ma anche, zingari, oppositori politici, oppositori del nazismo, Testimoni di Geova, criminali abituali, e "anti-sociali" In sostanza ogni individuo che poteva essere considerato una minaccia per il nazismo correva il rischio di essere perseguitato, ma gli ebrei erano l'unico gruppo destinato ad un totale e sistematico annientamento. Per sottrarsi alla sentenza di morte imposta dai Nazisti, gli ebrei potevano solamente abbandonare l'Europa occupata dai tedeschi. Secondo il piano Nazista, ogni singolo ebreo doveva essere ucciso. Nel caso di altri "criminali" o nemici del Terzo Reich, le loro famiglie non venivano coinvolte. Di conseguenza, se una persona veniva eliminata o inviata in un campo di concentramento, non necessariamente tutti i membri della sua famiglia subivano la stessa sorte. Gli ebrei, al contrario, venivano perseguitati in virtù della loro origine familiare indelebile. La spiegazione dell'odio implacabile dei nazisti contro gli ebrei nasceva dalla loro distorta visione del mondo che considerava la storia come una lotta razziale. Essi consideravano gli ebrei una razza che aveva lo scopo di dominare il mondo e, quindi, rappresentava un ostacolo per il dominio ariano. Secondo la loro opinione, la storia consisteva, quindi in uno scontro che sarebbe culminato con il trionfo della razza ariana, quella superiore: di conseguenza, essi consideravano un loro preciso obbligo morale eliminare gli ebrei, dai quali si sentivano minacciati. Inoltre, ai loro occhi, l'origine razziale degli ebrei li identificava come i delinquenti abituali, irrimediabilmente corrotti e considerati inferiori, la cui riabilitazione era ritenuta impossibile.Il termine Shoah è voluto dagli ebrei, i quali, attualmente, rifiutano l'altra parola stilizzata, Olocausto, in quanto questo indica un sacrificio propiziatorio, il che è sicuramente ingannevole. L'espressione Shoah si riferisce al periodo che intercorre fra il 30 Gennaio 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, e l'8 Maggio 1945, la fine della guerra in Europa: in questo periodo furono milioni le persone soppresse dalla follia razziale nei confronti non solo degli ebrei . Pur essendo impossibile accertare l'esatto numero di vittime ebree, le statistiche indicano che il totale fu di oltre 5.860.000 persone. La maggior parte delle autorità generalmente accettano la cifra approssimativa di sei milioni a cui si devono sommare 5 milioni circa di civili non ebrei uccisi. In tutto quindi, ma la cifra precisa ha ben poca importanza, oltre 10 milioni di persone furono uccise dall'odio nazionalsocialista.
Tra i gruppi assassinati e perseguitati dai nazisti e dai loro collaboratori, vi erano: zingari, serbi, membri dell'intellighentia polacca, oppositori della resistenza di tutte le nazionalità, tedeschi oppositori del nazismo, omosessuali, testimoni di Geova, delinquenti abituali, o persone definite "anti sociali", come, ad esempio, mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti. La maggior parte delle persone soppresse passarono per i campi di sterminio, che erano campi di concentramento con attrezzature speciali progettate per uccidere in forma sistematica. Storicamente il partito nazista prese la decisone di dare avvio alla cosiddetta "Soluzione Finale" (Endl sung), in realtà molti ebrei erano già morti a causa delle misure discriminatorie adottate contro di loro durante i primi anni del Terzo Reich, ma lo sterminio sistematico e scientifico degli ebrei non ebbe inizio fino all'invasione, da parte della Germania, dell'Unione Sovietica nel Giugno 1941. Per i nazisti ebreo era: chiunque, con tre o due nonni ebrei, appartenesse alla Comunità Ebraica al 15 Settembre 1935, o vi si fosse iscritto successivamente; chiunque fosse sposato con un ebreo o un'ebrea al 15 settembre 1935 o successivamente a questa data; chiunque discendesse da un matrimonio o da una relazione extraconiugale con un ebreo al o dopo il 15 settembre 1935. Vi erano poi coloro che non venivano classificati come ebrei, ma che avevano una parte di sangue ebreo e venivano classificati come Mischlinge (ibridi). I Mischlinge venivano ufficialmente esclusi dal Partito Nazista e da tutte le organizzazioni del Partito (per esempio SA, SS, etc.). Benché venissero arruolati nell'esercito tedesco, non potevano conseguire il grado di ufficiali. Era inoltre proibito loro di far parte dell'Amministrazione Pubblica e svolgere determinate professioni (alcuni Mischlinge erano, in ogni caso, esonerati in determinate circostanze). Gli ufficiali nazisti presero in considerazione la possibilità di sterilizzare i Mischlinge, ma ciò non fu sempre attuato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i Mischlinge di primo grado rinchiusi nei campi di concentramento, furono tradotti nei campi di sterminio. Ma il Terzo Reich considerava nemici non solo gli ebrei, ma anche, zingari, oppositori politici, oppositori del nazismo, Testimoni di Geova, criminali abituali, e "anti-sociali" In sostanza ogni individuo che poteva essere considerato una minaccia per il nazismo correva il rischio di essere perseguitato, ma gli ebrei erano l'unico gruppo destinato ad un totale e sistematico annientamento. Per sottrarsi alla sentenza di morte imposta dai Nazisti, gli ebrei potevano solamente abbandonare l'Europa occupata dai tedeschi. Secondo il piano Nazista, ogni singolo ebreo doveva essere ucciso. Nel caso di altri "criminali" o nemici del Terzo Reich, le loro famiglie non venivano coinvolte. Di conseguenza, se una persona veniva eliminata o inviata in un campo di concentramento, non necessariamente tutti i membri della sua famiglia subivano la stessa sorte. Gli ebrei, al contrario, venivano perseguitati in virtù della loro origine familiare indelebile. La spiegazione dell'odio implacabile dei nazisti contro gli ebrei nasceva dalla loro distorta visione del mondo che considerava la storia come una lotta razziale. Essi consideravano gli ebrei una razza che aveva lo scopo di dominare il mondo e, quindi, rappresentava un ostacolo per il dominio ariano. Secondo la loro opinione, la storia consisteva, quindi in uno scontro che sarebbe culminato con il trionfo della razza ariana, quella superiore: di conseguenza, essi consideravano un loro preciso obbligo morale eliminare gli ebrei, dai quali si sentivano minacciati. Inoltre, ai loro occhi, l'origine razziale degli ebrei li identificava come i delinquenti abituali, irrimediabilmente corrotti e considerati inferiori, la cui riabilitazione era ritenuta impossibile.
Non ci sono dubbi che ci furono altri fattori che contribuirono all'odio nazista contro gli ebrei e alla creazione di un'immagine distorta del popolo ebraico. Uno di questi fattori era la centenaria tradizione dell'antisemitismo cristiano, che propagandava uno stereotipo negativo degli ebrei ritenuti gli "assassini di Cristo", inviati del diavolo e praticanti di arti magiche. Altri fattori furono l'antisemitismo politico e razziale della seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX secolo, che considerava gli ebrei come una minaccia per la stabilità sociale ed economica. La combinazione di questi fattori scatenò la persecuzione, certamente nota a tutti i tedeschi e lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti che fu in qualche modo celato dagli stessi esecutori.
Non ci sono dubbi che ci furono altri fattori che contribuirono all'odio nazista contro gli ebrei e alla creazione di un'immagine distorta del popolo ebraico. Uno di questi fattori era la centenaria tradizione dell'antisemitismo cristiano, che propagandava uno stereotipo negativo degli ebrei ritenuti gli "assassini di Cristo", inviati del diavolo e praticanti di arti magiche. Altri fattori furono l'antisemitismo politico e razziale della seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX secolo, che considerava gli ebrei come una minaccia per la stabilità sociale ed economica. La combinazione di questi fattori scatenò la persecuzione, certamente nota a tutti i tedeschi e lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti che fu in qualche modo celato dagli stessi esecutori.
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