mercoledì 29 aprile 2015

LE PERSONE DI LAVENO MOMBELLO : IL DOTTOR MONTEGGIA

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Monteggia Giovanni Battista nacque a Laveno l’8 agosto 1762, da Gian Antonio e da Marianna Vegezzi. Si hanno notizie di due fratelli, uno oblato parroco a Carbonate, l’altro medico.
Il padre si occupava di acque e strade; avviò il figlio, che aveva studiato a Pallanza, alla carriera di chirurgo, facendolo ammettere alla scuola di chirurgia dell’ospedale Maggiore di Milano, dove Monteggia visse a partire dal settembre 1779. L‘apprendistato si svolse sullo sfondo delle inquietudini ideologiche e politiche del suo tempo, tra l’età giuseppina e quella rivoluzionaria e napoleonica, che ebbero riflessi anche sulla vita medica e sanitaria, segnando la definitiva affermazione sociale e intellettuale dei chirurghi e dei medici ospedalieri. Furono anni di riorganizzazione e razionalizzazione dell’istituzione ospedaliera della «Ca’ Granda», come era chiamato l’ospedale Maggiore, una delle più antiche della penisola. Tra i maestri di Monteggia vi furono Guglielmo Patrini, Pietro Moscati, Giovan Battista Palletta. Il giovane si dedicò con particolare impegno allo studio dell’anatomia ma ebbe anche una preparazione botanica e chimico-farmaceutica, alla scuola di Antonio Porati. La farmacia era al centro dell’azione della direzione ospedaliera di Moscati, primario chirurgo e primo direttore medico dell’ospedale, allontanato nel 1788 dalla direzione, ufficialmente per irregolarità, in realtà per le sue simpatie per i Francesi.

L’11 giugno 1781 Monteggia si sottopose all’esame «di libera pratica di chirurgia» presso l’Università di Pavia, dove poi conseguì la laurea in medicina. L’iniziale formazione chirurgica determinò in lui una visione della medicina incentrata sulla clinica. La sua prima opera a stampa, in latino – una presa di posizione implicita di distacco dall’esercizio chirurgico ‘basso’ – fu pubblicata nel 1789, a Milano, presso la tipografia di Giuseppe Marelli, con il titolo Fasciculi Pathologici. Il volumetto è dedicato a Carlo Maria Taverna, preposto parroco di San Nazaro e membro della Giunta istituita nel 1784 da Giuseppe II per amministrare i luoghi pii.

All'età di 20 anni si sottopone all'esame di libera pratica in Chirurgia presso l'Università di Pavia e, pochi anni dopo, all'esame di Medicina, in cui viene confermato con lode, riuscendo ad ottenere nel 1788 l'abilitazione alla professione.
Nel 1790 viene nominato chirurgo aiutante presso l'Ospedale Maggiore a Milano; l'anno successivo incisore anatomico, ottenendo una camera attigua alle sale mortuarie per meglio adempiere al suo lavoro. Segue la nomina di medico e di chirurgo dei detenuti delle carceri di Milano e del Foro Criminale. Nel 1791 pubblica, traducendolo dal tedesco, il “Compendio sulle malattie veneree” del Fritze e contribuisce a far conoscere i segni clinici della sifilide, che a quei tempi imperversava, ed a mettere a punto la terapia adeguata che era affidata alle mani di volgari praticanti. Tre anni dopo pubblica “Annotazioni sui mali venerei” ricevendo notevoli manifestazioni di stima dal mondo accademico. Il duca Francesco Melzi d'Eril, affetto da malattia considerata incurabile dai professori del tempo in Italia e all'estero, si fa curare con successo dal Monteggia che conquista grande fama nonché un assegno vitalizio. Nel 1792 la Congregazione dell'Ospedale Maggiore di Milano gli affida l'incarico di dare lezioni gratuite di chirurgia ai giovani chirurghi ospedalieri.

Nel 1795, a 33 anni, viene nominato professore di Istituzioni di Chirurgia presso la nuova cattedra dell'Ospedale Maggiore di Milano, anche se in realtà, a causa di eventi politici sfavorevoli, l'incarico decorre solo 5 anni dopo. Nel 1796 pubblica in latino “Osservazioni anatomico-patologiche”, poi tradotta in italiano, mettendosi in mostra presso il mondo accademico del tempo e facendosi notare da illustri professori quali Gian Battista Palletta e Pietro Moscati. Prepara continuamente “pezzi” di anatomia patologica e ne fa dono al Gabinetto anatomico dell'Università di Pisa. Stampa inoltre l'Arte ostetrica dello Stein, tradotta dal tedesco, con l'aggiunta di proprie osservazioni sui parti laboriosi e sulle regole da seguire durante la gravidanza ed il puerperio. La Cattedra, che tiene fino alla morte, forma molti giovani studenti grazie alla passione ed alla bravura che infonde. Pubblica poi “Istituzioni chirurgiche”, un'opera in 8 volumi che ha una grande diffusione e che viene considerata una vera e propria summa teorico-pratica dello stato dell'arte delle conoscenze e delle pratiche chirurgiche dell'epoca napoleonica. Il successo gli vale l'attenzione delle più importanti Società Scientifiche e Accademie che lo annoverano tra gli iscritti mettendolo anche in contatto con i principali chirurghi europei. Ripubblica anche il “Compendio sulle malattie veneree” riconoscendo in prefazione, con la schiettezza degli uomini dotti, i difetti della prima edizione giovanile e correggendoli con l'esperienza maturata sul campo negli anni successivi. Importante, in appendice, è il “Ragionamento sull'uso della salsapariglia” farmaco utilizzato nella cura delle malattie veneree e che il Monteggia medesimo mette a punto e sperimenta, concedendo, poi, gratuitamente la preparazione ai farmacisti. Pubblica anche uno studio sulla “estirpazione del canchero uterino” che aveva ideato e proposto fino dall'anno 1794. Nel 1799 è nominato chirurgo e chirurgo ostetrico presso la Pia Casa delle partorienti di S. Caterina alla Ruota. Nello stesso anno, per decreto del Consiglio di guerra, è nominato ufficiale di sanità per le prigioni del Consiglio permanente di guerra presso l'esercito francese in Italia. È, inoltre, nominato membro della Commissione permanente di Sanità.
Il Monteggia è sempre intento ad imparare dai cadaveri la tessitura del corpo ed a svelare dai visceri i segreti reconditi delle malattie; più volte si ferisce rischiando, a causa di una infezione, l'amputazione del braccio sinistro; una volta è anche infettato da “miasma petecchiale” che lo porta quasi alla morte. Lavora in maniera instancabile e primeggia in beneficenza non rifiutando mai la visita agli infermi poveri, provvedendo ai farmaci ed al vitto e curandoli con la stessa diligenza che utilizzava verso i pazienti più agiati. Annota sempre per iscritto le osservazioni dei segni clinici al capezzale dei malati; nella lettura delle sue memorie si trovano fedelmente registrate anche le cure errate e, perfino gli errori diagnostici accadutigli nel lungo esercizio della professione, nella quale, chi più vale, meno errori commette; come lo stesso Ippocrate sosteneva.

Il Monteggia sta lavorando all'ultima edizione delle “Istituzioni chirurgiche” quando viene colpito da febbri notturne che, comunque, non lo distolgono dal suo lavoro e dalla cura dei malati; è affetto da “Risipola” che dall'orecchio destro si sparge a tutto il viso e, nonostante la cura dei colleghi, muore la notte del 17 gennaio 1815. La sua abitazione era ubicata in Via S. Antonio in Milano, a pochi passi dall'Ospedale Maggiore; dopo la sua morte fu affissa, per volere della moglie, una lapide tuttora leggibile. Il poeta Carlo Porta, suo contemporaneo, gli dedicò, poco dopo la morte, un sonetto in dialetto milanese.

Nel suo trattato “Istituzioni Chirurgiche”, molto utilizzato per la formazione degli studenti, disserta e approfondisce gran parte delle patologie conosciute all'epoca; espone le varie tecniche chirurgiche, descrive l'aneurisma, il coxario, della scrofola, la stenosi dell'uretra, l'idropericardio. Divide i tumori bianchi in umidi e secchi, e tanto altro ancora. In particolare fornisce preziosi contributi descrittivi alla patologia dell'apparato locomotore soprattutto per la parte riguardante la traumatologia. Prima di altri, studia e descrive i vizi dell'andatura (le zoppie) che chiama “dilombamento o sfiancamento”. Rende più semplice la tecnica della medicazione delle ferite e delle piaghe e perfeziona gli apparecchi in uso per curare le fratture e le distorsioni. Divide le lussazioni in perfette ed imperfette (sublussazioni). Gli è attribuita la prima descrizione della poliomielite. Lega il suo nome alla frattura eponima descrivendo per primo la frattura del III prossimale dell'ulna associata alla lussazione anteriore del capitello del radio.

Il Monteggia è un uomo legato alla famiglia ma, preso dal suo lavoro, non si curò mai delle faccende domestiche; segue l'educazione dei figli ma non ha la gioia di poter trasmettere la propria passione ad uno di loro. Ha modi gentili, frugale nell'alimentazione, modesto nel vestire e noncurante delle eccessive comodità della vita. Non briga mai per salire ad apparenti onori e al favore dei grandi preferisce la propria libertà. È sempre vivo il culto religioso ed il pensiero di Dio in cui sempre ripone le proprie speranze. Il Policlinico di Milano, come gesto di solenne rispetto nei confronti del Monteggia, gli dedica nel 1929 il Padiglione di Chirurgia.




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