domenica 26 aprile 2015

PERSONE DI VARESE : CALOGERO MARRONE

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Calogero Marrone (Favara, 12 maggio 1889 – Dachau, 15 febbraio 1945) è stato un funzionario italiano.

Fu Capo dell'Ufficio Anagrafe del Comune di Varese, durante il periodo fascista e l'occupazione nazista, rilasciò centinaia di documenti di identità falsi a ebrei e anti-fascisti permettendo loro di salvarsi dalle persecuzioni. Scoperto a causa di una segnalazione anonima venne imprigionato e morì nel campo di concentramento di Dachau. Per quanto ha fatto è stato insignito del titolo di "Giusto tra le Nazioni".

Il trasferimento di Marrone dalla natia Favara a Varese non è avvenuto sull'onda dei primi movimenti migratori dal Sud verso il Nord, ma perché per il suo antifascismo, era inviso ai notabili del paese. Quest'impiegato comunale (segretario della Sezione combattenti e reduci, per aver combattuto come sergente nella Prima guerra mondiale), non tollerava arbitri ed imposizioni. Giunse a scontare alcuni mesi di galera, perché rifiutava di iscriversi al Partito nazionale fascista. Quando gli si offrì l'occasione di partecipare ad un bando per applicato comunale a Varese, vinse il concorso. Presi con sé moglie e i quattro figli si trasferì in Lombardia. Era il 1931. Pochi anni dopo, per le sue elevate capacità professionali e per la sua dedizione al servizio pubblico, diventa capo dell'Ufficio anagrafe di Varese. In questa veste, durante l'occupazione nazifascista, Marrone (che faceva parte del gruppo partigiano "5 Giornate del San Martino"), rilascia centinaia e centinaia di documenti d'identità falsi ad ebrei e ad antifascisti, permettendo loro di salvarsi. Tradito da un delatore, il funzionario comunale è arrestato il 7 gennaio 1944 da ufficiali della Guardia di Frontiera tedesca. Il suo calvario inizia nel carcere di Varese dove è torturato. Marrone non rivela nulla ai suoi carnefici. Trasferito da un carcere all'altro, dopo una sosta nel lager di Bolzano-Gries viene condotto nel campo di sterminio di Dachau. Vi morirà, ufficialmente, di tifo. A Varese, davanti all'Ufficio Anagrafe di Palazzo Estense, c'è una targa che ricorda Calogero Marrone.

Fervido antifascista e convinto oppositore del regime, era malvisto da molte personalità del paese agrigentino e stette anche alcuni mesi in carcere per non essersi voluto iscrivere al Partito Nazionale Fascista. Lui si chiamava Calogero Marrone e la sua toccante e poco conosciuta vicenda è stata raccontata dai giornalisti Franco Giannantoni e Ibio Paolucci nel loro libro, scritto a quattro mani e significativamente intitolato “Un eroe dimenticato”.

Marrone era un impiegato del comune di Favara, il quale, in anni in cui emigrare al nord non era ancora divenuto una drammatica necessità, nel 1931 si trasferisce in Lombardia assieme alla moglie ed ai loro quattro figli, a seguito della vincita di un concorso per applicato comunale al comune di Varese.

Ma apparve subito chiaro che il suo trasferimento non fu solo dettato da motivi lavorativi ed il suo giungere nel capoluogo varesino si rivelerà una circostanza colma di significati e conseguenze. Nel suo nuovo ufficio, Calogero Marrone dimostra sin da subito di possedere notevoli doti intellettuali, organizzative e direttive, tanto da diventare molto presto capo dell’Ufficio Anagrafe Comunale già nel 1937.

Ma dopo l’armistizio dell’08 settembre del 1943, che fece cessare le ostilità militari contro le truppe anglo-americane, avviando nel contempo quelle con gli ex alleati tedeschi, Varese, città di frontiera, divenne la meta prescelta da migliaia di militari di leva e di ebrei, consapevoli del fatto che rappresentasse una delle migliori aree strategiche per il passaggio nella vicina e neutrale Svizzera, a ragione considerata la terra della salvezza.

Alla frontiera, infatti, solo i cittadini in regola con i documenti di riconoscimento o con gli obblighi militari venivano autorizzati a passare il confine, per gli altri l’unica risposta ricevuta era l’essere respinti o, peggio, arrestati.

Fu in quel periodo che Calogero Marrone, già componente del gruppo partigiano “5 giornate del San Martino”, essendo sempre più fermamente convinto che ciascun cittadino italiano degno di questo nome avrebbe dovuto combattere contro il regime fascista, ideò un inedito, semplice quanto efficace stratagemma, ovvero sfruttare la sua importante posizione di Capo dell’Ufficio anagrafe per rilasciare migliaia di documenti d’identità falsi ad ebrei ed antifascisti che a lui o al suo gruppo si erano rivolti per un aiuto, in tal modo permettendo loro di superare facilmente il confine e mettersi in salvo.

Fu infatti grazie a lui che intere famiglie di ebrei, private anche dei più elementari diritti dalle deprecabili e famigerate “leggi razziali” del 1938, poterono scampare il pericolo di una sicura ed inevitabile deportazione nei lager tedeschi e che numerosi dissidenti del regime poterono organizzarsi, appena  fuori dall’Italia, in gruppi di assistenza ai molti resistenti e partigiani operanti fino a Roma.

Si salvarono davvero in tanti, come risulta dalle molte testimonianze (alcune anche ufficiali e giurate innanzi ad un notaio) che nel corso degli anni sono state raccolte. Ma poco dopo più di tre mesi di intensa attività presso il suo ufficio di Palazzo Estense, una denuncia mise fine a tutta l’attività di appoggio e soccorso documentale concepita e realizzata da Marrone, che fu sempre fortemente cosciente degli altissimi rischi personali e professionali ai quali si stava esponendo, consapevolezza che però non gli impedì di portare avanti il suo personale progetto.

Non si sapeva allora e non si conosce ancora adesso (anche se si è sempre sospettato che fosse un impiegato del suo stesso ufficio) il nome di chi avvertì i nazisti sull’opera di Marrone, il quale il 31 dicembre del ’43 fu destinatario di una lettera riservata del podestà repubblichino di Varese Domenico Castelletti che lo informava dell’apertura di indagini a suo carico, al contempo sospendendolo dal servizio ed invitandolo a rimanere a disposizione delle autorità.

Calogero Marrone, pur prevedendo le drammatiche conseguenze di quelle indagini, diede la sua parola d’onore al podestà, promettendogli che sarebbe rimasto a casa e non sarebbe fuggito, come ci si sarebbe normalmente aspettato da chiunque si fosse trovato nella sua posizione.

Ebbe pure la possibilità di poter scappare in tempo quando il 4 gennaio del ‘44 ricevette l’accorata ed implorante visita di don Luigi Locatelli, canonico della Basilica di San Vittore, il quale lo informò che era stato firmato nei suoi confronti un ordine d’arresto. Ma Calogero Marrone, dopo un breve ed intenso colloquio sia col parroco che con la moglie, decise di non andarsene, poiché, oltre al valore che attribuiva alla sua parola data, temeva una vendetta dei fascisti nei confronti della sua famiglia.

E amaramente puntuali, solo tre giorni dopo, il 7 gennaio, bussarono alla sua porta due ufficiali del Comando Tedesco della Polizia di Frontiera, i quali, armi alla mano e sulla base delle accuse a lui mosse di collaborazionismo con la Resistenza, favoreggiamento nella fuga di ebrei  e violazione dei doveri d’ufficio, lo presero e lo portarono dapprima nel carcere di Varese, dove venne torturato, ed in seguito, dopo essere stato rinchiuso in vari istituti penitenziari ed aver subito un breve periodo di detenzione nel lager di Bolzano-Gries, fu definitivamente deportato nel tristemente noto campo di sterminio tedesco di Dachau, dove morì di tifo il 15 febbraio del 1945, “quando stava per sorgere il sole della libertà”.

Il 27 gennaio del 2003, in occasione della “Giornata della Memoria”, all’interno del Parco di monte Po a Catania sono state piantate tre querce ed una di esse è stata dedicata proprio a Calogero Marrone, del quale inoltre è in corso, presso l’apposita commissione del museo Yad Vashem di Gerusalemme, l’istruttoria per il riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni”, titolo riservato esclusivamente a chi ha compiuto particolari azioni di soccorso ed aiuto a favore degli ebrei in fuga dal nazismo.

Dunque, Calogero Marrone come Giorgio Perlasca, come Oskar Schindler. A Marrone è stata dedicata persino una piazzetta a Varese.

Una curiosità: Calogero Marrone è bisnonno di Renzo Bossi, detto il Trota, figlio del senatùr Umberto Bossi che è stato sposato con una favarese.



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