sabato 23 maggio 2015

PERSONE DI BUSTO ARSIZIO : DON ISIDORO



Don Isidoro Meschi (Merate, 7 giugno 1945 – Busto Arsizio, 14 febbraio 1991) è stato un presbitero e giornalista italiano. Fu ucciso per mano di un giovane squilibrato di cui si prendeva cura da anni.

Nacque a Merate, in provincia di Lecco.

Il padre Guido è molto stimato tra i suoi concittadini per l’impegno come contabile dell’ospedale e della parrocchia, attività che presta gratuitamente, e come militante della Democrazia Cristiana.
All'età di tre mesi rischiò di morire per gravi problemi intestinali.

A Isidoro, fin da piccolo soprannominato Lolo, Gesù si manifesta a sei anni, durante la lezione di catechismo della maestra di scuola: il bimbo se ne innamora, tanto da maturare presto, “con un fulgore da non lasciare dubbio alcuno”, il desiderio di servirlo come sacerdote. La messa del mattino prima di scuola e la recita del rosario diventano abitudini quotidiane per il piccolo Lolo, che a 14 anni entra nel seminario di Seveso.
Poco dopo il suo ingresso in seminario, il padre Guido si ammala gravemente e nel giro di pochi mesi muore a soli 46 anni. La madre vorrebbe riportare Isidoro a casa con sé e con i due fratelli più piccoli, ma il ragazzo la convince a lasciarlo continuare gli studi. È così che nel 1969 Isidoro giunge all’ordinazione sacerdotale.

Il suo primo incarico è nel seminario di Venegono Inferiore come vicerettore. Nel non facile clima di contestazione seguito al Sessantotto, con i ragazzi egli dimostra una rigorosa coerenza unita a una straordinaria capacità di comprensione e accoglienza.
Dopo tre anni, Isidoro viene assegnato alla basilica di San Giovanni a Busto Arsizio, in provincia di Varese. La sua vita pastorale è piena di impegni: educatore in oratorio nei primi anni, insegnante di religione nel liceo classico cittadino, membro del consiglio presbiterale diocesano, direttore del settimanale diocesano “Luce” nell’edizione dell’Alto milanese. Isidoro è molto apprezzato per le sue fini qualità intellettuali, ma è soprattutto sull’altare e nel confessionale che esprime il suo valore: è una guida spirituale instancabile e illuminata, le sue omelie lasciano il segno e il suo rapimento durante la celebrazione eucaristica ne rivelano la fede granitica e feconda. Nonostante i suoi molteplici impegni, infatti, Lolo è sempre pronto a visitare gli ammalati e le persone sole e a prendersi a cuore gli sbandati. Tra loro c’è un ragazzo psicolabile, Maurizio, che don Isidoro cerca in tutti i modi di riabilitare facendolo anche assumere nella redazione del “Luce”.
Anche il suo stile di vita ricalca i dettami evangelici: don Isidoro è astemio e si ciba solo dell’indispensabile, il suo abbigliamento è decoroso ma usurato dal tempo, all’auto preferisce la bicicletta, che usa anche per tenersi in forma, difficilmente accetta regali e rifiuta persino i caffè, tiene per sé solo il necessario e regala ai poveri tutto ciò di cui dispone: denaro, cibo, maglioni, persino il pigiama.
Negli anni Ottanta il dilagare dell’eroina tra i giovani non lo lascia indifferente: per loro apre un punto di ascolto e poi, confidando solo sulle forze proprie e di altri volontari, ristruttura una cascina per farne il centro di recupero “Marco Riva”. Rubando il tempo al sonno, studia libri di psicologia ed elabora un metodo di riabilitazione condensato nel volume: “Dallo sballo all’empatia”, ancora oggi alla base del lavoro della comunità.
La notte del 14 febbraio 1991 Maurizio, geloso delle attenzioni che il sacerdote riservava agli altri bisognosi, va a cercare Lolo alla “Marco Riva” armato di coltello

La notte del 14 febbraio 1991 don Isidoro si trovava alla "Marco Riva" per i consueti incontri con gli ospiti della comunità. Maurizio Debiaggi, giovane con gravi problemi psichici che era stato anche suo collaboratore per il settimanale "Luce", uscì di casa dicendo alla madre che avrebbe dovuto "regolare i conti con il prete", cosa che indusse la stessa madre a telefonare a don Isidoro per avvertitlo. Quando il giovane suonò al portale, don Isidoro gli aprì senza timore. Maurizio Debiaggi però cominciò a gridare ed estrasse un coltello. Invece di cercare la fuga, don Isidoro cercò di farlo ragionare ma il ragazzo lo pugnalò al cuore. Sembrava sapesse di dover morire dato che qualche mese prima aveva scritto il suo testamento. Morì sulla macchina che lo portava all'ospedale.

Don Lolo muore a 46 anni, come aveva spesso profetizzato agli amici, pochi mesi dopo aver scritto il suo testamento spirituale, un vero capolavoro di religiosità che si conclude con questo appello:
Sorelle e fratelli che mi avete conosciuto, accorgetevi che Gesù, Emmanuele, Cristo Signore è davvero in sovrabbondante, gioiosa pienezza Via, Verità, Vita.
In Lui, con Lui, per Lui, scoprite quanto è bella la vita, in tutte le sue espressioni autentiche. Essa, può, forse, sembrare breve, deludente, anche crudele; è invece l’appuntamento e il cammino con l’immolarsi di Gesù per noi, perché noi possiamo credere, sperare, amare fino alla Risurrezione, fino alla vita eterna.
Davanti a qualsiasi fratello, abbiate il coraggio di non chiudere né mente, né cuore; Gesù ce ne rende capaci e ci fa avere il “Suo centuplo”.
Ricordatevi che, credendo in Cristo, abbiamo la incommensurabile ricchezza di poter pregare; non rinunciate mai a mettervi sempre quali discepoli che vogliono imparare a pregare.
Adesso, sapendo che ogni giorno è reso dallo Spirito Santo Pentecoste, uniti a Maria che ci è Madre e Maestra nel permettere alla parola di Dio di illuminare e glorificare l’uomo, ricordando un poco pure me, elevate insieme la preghiera che il Vangelo di Gesù ci insegna: Padre Nostro….

Il testamento viene letto durante la cerimonia funebre, celebrata da 150 sacerdoti e due vescovi e cui partecipa una folla immensa, stimata dalle cronache giornalistiche intorno alle 20mila persone. Alla messa di suffragio che l’aveva preceduta, il cardinale Carlo Maria Martini, allora arcivescovo della diocesi di Milano, aveva detto: “Sono certo che questa morte sarà un grande segno evangelico. Non è una morte come le altre, non è una semplice disgrazia, non è una semplice perdita di un prete giovane da cui speravamo molto per la diocesi, non è un semplice vuoto ma un grande segno evangelico e voi tutti che siete venuti qui, che lo avete conosciuto, lo sentite profondamente come un grande segno evangelico per un mondo distrutto dall’odio. E io oso affermare che questo segno non sarà solo per questa comunità, non sarà solo per la città di Busto Arsizio, sarà per tutta la diocesi, per tutto il clero. Chissà che un giorno non possa essere un segno per tutta la Chiesa e fare parte della santità della Chiesa.”.

A distanza di dieci anni dalla morte il cardinale Carlo Maria Martini celebrò una santa Messa in ricordo di don Isidoro nella chiesa parrocchiale di San Giovanni di Busto Arsizio. La città mantiene il suo ricordo e ogni anno, in occasione di san Valentino, viene fatto un concerto in sua memoria in città.

A don Isidoro sono stati intitolati una via nella città di Busto Arsizio, un centro di ascolto della Caritas Italiana a Busto Arsizio ed un centro residenziale e diurno per persone affette da AIDS a Tabiago di Nibionno, in provincia di Lecco. Proprio a Nibionno è stato istituito il premio letterario "Isidoro Meschi".




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