Sabbio Chiese è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia.
Il comune di Sabbio Chiese si trova in provincia di Brescia, all'incirca a metà strada tra il lago di Garda ed il lago d'Idro. Si apre su una conca caratterizzata da terrazzamenti di sabbia e massi, trasportati dai ghiacciai, depositatisi ai due lati del fiume Chiese, che lo attraversa.
L'abitato più antico sorge sulle rive del torrente Vrenda, poco prima della sua confluenza con il citato fiume Chiese ed è dominato da uno sperone roccioso su cui sorge il Santuario della Madonna della Rocca, in passato sede di un antico castello.
Il nome verrebbe dalla gens Sabinae, inviata a colonizzare la valle dopo la conquista romana.
Alcuni utensili in selce sono stati rinvenuti in contrada Pavone; oggetti del neolitico in grotte sul versante nord-ovest del monte Selvapiana; una fibula in bronzo nel centro del paese. Di qui passarono Etruschi, Reti e Celti. Il paese divenne centro della dominazione romana nella valle; tale epoca è attestata da tre epigrafi catalogate dal Mommsen e da alcune sepolture romano-barbariche sulla "strada del Bosco" verso Odolo.
Nella prima metà del '500 Sabbio assistette all'occupazione francese, seguita da una breve reggenza militare spagnola e dal passaggio dei lanzichenecchi, che spogliarono la parrocchiale di San Michele. Sabbiensi che acquistarono fama in quel periodo furono nel '400 il pittore Gian Battista Baruzzo, nel '500 lo scultore-fonditore Andrea Baruzzo e il pittore Comino da Sabbio. Nell'Ottocento è ricordato Carlo da Sabbio, artigiano intagliatore.
La chiesa di San Martino è sicuramente assegnabile al XV secolo, per quanto riguarda la costruzione, riferendosi la data del portale 1578 relativa solo a quest'ultimo. Sulle quadrelle del soffitto si leggono le date 1574 e 1584, sicuramente si riferiscono a sistemazioni della chiesa. In una nota riportata nel «Repertorio di antiche memorie» riferita al Libro I «principia 1575: 18 Decembre, e fin 20 Novembre 1588» si legge: «Parte di vender Legne per fornir la Chiesa di San Martino ». All'esterno della struttura si conservano tratti di antico intonaco con decorazioni a finto bugnato eseguite a graffito. Di stile romanico-gotico col tetto a capanna, forse appartenente al tipo di architettura promossa dagli Ordini mendicanti, ha l'aula lunga 23 metri. Contiene tre cappelle: l'altare maggiore si presenta con un'opera raffigurante «Madonna con Bambino, San Martino e Santo Vescovo», mentre nelle cappelle laterali sono visibili «L'Assunzione della Vergine» e «Madonna con Bambino coi Santi Sebastiano e Rocco».
San Carlo Borromeo in occasione della sua visita a Sabbio avvenuta il 14 agosto 1580, la definì «parochialis nuper a Populo magnifice extrui cepta». La chiesa venne illuminata con apparecchiature elettriche soltanto nel 1954. Per concessione del vescovo di Brescia, Mons. Luigi Morstabilini, ogni domenica e nelle feste di precetto, a partire dal Natale del 1964 si celebra una messa. Il 15 agosto 1970, dopo sette mesi di chiusura, causa pericolose crepe riscontrate nel tetto e sulle pareti, la chiesa venne riaperta al pubblico.
All'interno si trovano opere prestigiose che appartengono al primo '500 ma alquanto trascurate. .
La frazione di Pavone si trova ad est di Sabbio Chiese, si sviluppa sulla strada statale di via XX Settembre ed internamente su via San Giovanni. Attualmente gli abitanti della frazione sono circa 300 e precisamente 192 residenti sulla via San Giovanni e 101 sulla statale via XX Settembre.
La piccola chiesa romanica di San Giovanni è una delle più antiche della Valle Sabbia. Sull'architrave si legge la data 1372, sull'acquasantino in pietra in cifre gotiche, 1394.10 Alla struttura originaria furono aggiunti il presbiterio quadrangolare con volta a crociera a sud, la navata a nord. Sulla facciata esterna si conserva una decorazione a mensoline in cotto. La chiesa è dedicata a San Giovanni Battista: alla fine del XV secolo un pittore dipinse sulla parete di sinistra (esterna) un'immagine del santo tutelare, della quale oggi non è rimasta traccia."
Nei primi anni della sua costruzione aveva la funzione di xenodochia a sollievo dei viandanti di passaggio in quella zona paludosa. A Pavone vi era la Pieve matrice; non si conosce il tempo in cui le pievi si emanciparono in parrocchie, così come non è possibile seguire le fasi evolutive delle xenodochie in chiesette rurali. Comunque a Pavone non vi è mai stata Parrocchia.
Il vescovo Ramperto nell'anno 841 si lamentò per lo stato di decadenza e abbandono in cui erano caduti alcuni benefici monastici.
Tracce di affreschi del XIV secolo sulla parete destra (voltando le spalle alla porta), trattengono i segreti della vicenda religiosa e della storia di Pavone. Subito a sinistra una «Madonna con Bambino»: dolce, delicata immagine di maternità religiosa, intensa e penetrante nello sguardo, morbida ed elegante nell'acconciatura dei capelli biondo castano. Una posa naturale forse disegnata sul sagrato della chiesa con la complicità di una ragazza del luogo. Alla Madonna sono stati affiancati due Santi dei quali, almeno uno è «San Giovanni», l'altro è di difficile identificazione.
La cappella dell'abside centrale, affrescata da Vittorio Trainini con i quattro evangelisti (1953), recupera altre immagini dello stesso legate al tema religioso. Al centro dell'abside, sopra l'altare è il dipinto di Gian Battista Baruzzo «L'imposizione del nome a San Giovanni Battista», opera firmata della seconda metà del XVI secolo. La tela è stata recentemente sottoposta a restauro conservativo. Nel dipinto di Gian Battista Baruzzo, firmato in basso a sinistra: «Gio. Batta. Baruzzo / Faciebat...155...», dopo che il restauro ha fatto recuperare il colore originale, alcune parti sono di difficile lettura. L'opera risente del clima e degli influssi mantovano-emiliani della prima metà del XVI secolo. Anche la cornice che la contiene, tradizionalmente attribuita ai Boscaì, è stata restaurata con un intervento che a nostro parere è decisamente pesante. La chiesa di Pavone alla fine degli anni '80 e stata decorata con immagini moderne e inconsuete. Lo stesso è accaduto a Sabbio di Sopra, dove una decorazione risolta con un'orchestrina da Paradiso, dipinta sull'arco che divide l'aula dall'abside, ha completamente e incredibilmente rovinato un equilibrio fatto di armonia, di piani e di vuoti, creando una sorta di pieno che ha cancellato con un sol colpo uno stile cinquecentesco.
La frazione di Clibbio sorge ai piedi dei monti Magno e Selvapiana, sulla destra del Chiese, in una realtà territoriale di carattere nettamente diverso rispetto agli altri insediamenti abitativi del comune.
Consta di un nucleo situato sul fondovalle e di due agglomerati situati sui primi pendii collinari, Fontanelle e Rive.
Una strada interna conduce, tra boschi e campi, a Sabbio. Il collegamento normale con il capoluogo però si svolge tramite la provinciale che si imbocca scavalvando il Chiese.
Strano destino quello di Clibbio soggetto nelle faccende civili e naturali a Sabbio, in quelle religiose prima a Vobarno e, da oltre 250 anni, come curazia indipendente retta da un curato-parroco.
La chiesa venne costruita ex novo accanto all'Oratorio (diventato poi sacrestia), benedetta il 28 aprile 1746 dall'arciprete di Vobarno don Zobola, ritenendolo costui un diritto della supremazia vicariale.
Il museo etnografico non vuole essere muta esposizione di oggetti in disuso, bensì raccontare vita.
La nascita del museo si deve alla passione collezionistica del Sig. Morelli che ha raccolto, nel corso del tempo, molti oggetti legati alla vita quotidiana della gente valsabbina , ma non solo (diversi oggetti vengono anche dalla bassa bresciana). La raccolta, inaugurata nel 1992 in occasione delle Feste Decennali, è gestita dall´Associazione Culturale "Museo della Civiltà Contadina e dei Mestieri" ed è composta dalla collezione Morelli, donata ufficialmente al Comune di Sabbio Chiese il 19 febbraio 2009, e da altri oggetti donati da numerosi privati alla suddetta associazione.
Il museo si trova nella ex-chiesetta di S. Nicola da Tolentino, ai piedi del Santuario della Madonna della Rocca, ben visibile dalla Statale oltre il fiume Chiese.
Nella navata sono disposti, secondo una progressione di aree a tema, gli oggetti relativi all’agricoltura, all’allevamento, alle arti tessili, ai mestieri del falegname, fabbro, calzolaio, macellaio, muratore, postino, stagnaro, oste, conciatore, apicoltore, etc.
Una stanza a soppalco ospita gli oggetti tipici della vita domestica della famiglia contadina : utensili per cucinare e relativi al focolare, ed oggetti relativi alla camera da letto. Nel portico sottostante trovano posto altri strumenti dell’agricoltore ed un barroccino (calesse da passeggio), mentre in una stanza adiacente sono sistemati gli strumenti per la produzione casalinga del vino e dei latticini.
Di grande interesse è la dimostrazione di lavorazione al telaio, da gomitoli di lana vengono creati coloratissimi tappeti, è previsto per il futuro la dimostrazione completa del ciclo della lavorazione della lana.
Verso il 1000 si costruì una chiesa dedicata a S. Michele. La struttura della chiesa si presenta particolarmente ordinata ed equilibrata: nella facciata che segue lo schema a capanna del tetto (munita di contrafforti laterali, di un rosone e di un oculo tondo), si inserisce un portale cinquecentesco. Sulle pareti laterali vi sono dei contrafforti di pietra squadrata e si aprono finestre allungate, concluse in alto da archi inflessi. I contrafforti sono separati da due cornici che ribadiscono a breve distanza le normali conclusioni della bassa zoccolatura. Lo stile armonico e severo del romanico lombardo, sembra cessare con l'affermarsi della nuova architettura ‘sacra' promossa dagli Ordini mendicanti, fiorita nel XIII secolo. Un modello semplice in apparenza, ad aula unica o a ‘sala', derivato da influenze circestensi, francesi e lombarde; architettura che si limita a riutilizzare strutture preesistenti. Uno stile che si rivelò dominante anche nei confronti delle successive realizzazioni tra il XIV e XV secolo. Diffusione che non espresse episodi architettonici esaltanti, tuttavia «significanti e paradigmatici nella comune voluta riduzione dell'architettura a funzione e struttura, nel superamento del complesso percorso simbolico dei ritmi icnografici e figurativi romanici, verso una spazialità chiara, immediata e non priva di enfasi scenica. Nel corpus delle chiese mendicanti questa. unità di concezione, che potremmo dire meta-architettonica, precede e in un certo senso supera la specificità delle scelte spaziali e formali. In altre parole le chiese mendicanti realizzano tipi e modelli precisi sulla base di una scelta, paradossalmente indifferente alla tipologia, nella quale prevale l'utilizzo dell'architettura come luogo e non più come simbolo».
Temi più complessi sono nella zona absidale «ricavati però anch'essi, si può dire, dalla stessa tradizione artigianale e innestati in un'insieme di convincente unità e coerenza. L'interno, purtroppo guastato da una decorazione recente, comporta una serie di cinque campate separate da quattro archi acuti sostenuti da semipilastri. L'imposta è segnata da una piccola cornice. Il profondo coro strutturato in una volta a vela, collegato attraverso una fitta seria di «unghie» ad un sistema di pilastrini che fanno da tramite alla cornice d'imposta, rappresenta probabilmente la fase terminale della costruzione, con mezzi che si possono dire, per questo periferico angolo della provincia, ‘rinascimentali'».
Sulle quadrelle del soffitto è stata più volte segnata la data 1548, sotto la cornice esterna in granito dell'abside centrale si legge 1549, quasi alla base della conchiglia decorativa dell'abside minore a destra è scritto 1551.
Queste date segnano alcune fasi della ricostruzione della chiesa, notizia confermata anche dall'indicazione 1482 figurante sotto al deposito degli oli santi. Sull'ampia abside romanica si è innestata la nuova navata che utilizza il tracciato della vecchia chiesa forse altrettanto ampia. Della chiesa primitiva si sono in parte imitate le forme e lo stile, ma alla nuova costruzione si è probabilmente dato maggiore ampiezza.
Si possono osservare una serie di campate coperte da un tetto a vista, con rivestimento interno di travetti e mattonelle dipinte con curiosi motivi. Gli archi trasversi a sesto fortemente acuto partono da sostegni parallelepipedi con imposta piuttosto alta separata da rozzo abaco.
La chiesa lungo i secoli ha registrato molte trasformazioni, fortunatamente non furono irrimediabili e, con gli ultimi restauri, si è riusciti in qualche modo a correggerle.
Nella parrocchiale di San Michele a Sabbio sono certamente del Caylina le quattro lunette con: Phrigia, Eliseus, Helias e Cumea, mentre le altre sono state realizzate da Vittorio Trainini. Il Caylina, nato a Brescia nel 1550, è morto pare verso il 1610.
Sulla parete di sinistra (voltando le spalle all'ingresso principale) la cappella della «Madonna del Rosario» è decorata con un'ancona lignea a colonne sormontate da trabeazione e timpano, contiene la pala di Giovan Battista Galeazzi (figlio del pittore Agostino Galeazzi a sua volta allievo del Moretto), opera realizzata nel 1585. Nella pala di Sabbio sono evidenti i forti richiami a Paolo Veronese, soprattutto nella parte bassa, e sono influssi che derivano parte dal padre Agostino e parte dal Veronese stesso, a cui aveva, con ogni probabilità, guardato con attenzione. La pala di Sabbio è firmata in basso a sinistra: «Johannes Baptista de Galeatijs Brixiensis fecit 1585», olio su tela (185 x 275 cm), in discreto stato di conservazione Con il tema della «Madonna del Rosario» il pittore rinnova la pratica dell'ucronia, cioè del mescolare un motivo religioso o mistico con personaggi del presente in un unica immagine coerente. L'opera è magistralmente dipinta soprattutto nella parte bassa con i gruppi di Santi, cardinali e vescovi, inoltre religiose, Sante e nobili donne colti in atteggiamento devoto. Oltre ad una serie di ritratti molto incisivi e di ottima tecnica, si notano delicatezze pittoriche e squisitezze tecniche degne di un maestro. È forte il richiamo al Veronese, nella parte destra in basso con la figura femminile in primo piano e il giovinetto alle sue spalle.
La «Deposizione» attribuita a Johannes da Ulma (l'ultimo recente restauro non ha fatto ritrovare alcuna firma) è collocata nell'ancona lignea della cappella di destra (sempre voltando le spalle all'ingresso principale), chiusa in alto a semicerchio, con la croce posta quasi al limite della composizione, il Cristo calato e sorretto da più figure maschili; più in basso, il gruppo con la Madonna e la Maddalena. Johannes da Ulma è pittore così poco conosciuto che ogni volta deve essere considerato e inteso con molta precauzione.
se da un lato ci dichiarano influssi germanici piuttosto marcati, dall'altro denotano una sorta di confusione: le figure incastrate l'una sull'altra vengono assorbite dalla mescolanza delle tinte, dei veli, delle tuniche e dei panneggi. Johannes da Ulma fino a pochi anni fa era ritenuto l'autore del bellissimo Crocifisso ligneo del Duomo di Salò, commissionato all'inizio dell'estate del 1449 e certamente ultimato nel marzo successivo. L'attribuzione a Johannes da Ulma era stata sostenuta dagli storia più qualificati quali il Mucchi, il Peroni e il Panazza. Il restauro .eguito negli anni '7o ha restituito il monogramma JH, abbreviazione di Johannes, dipinto a lettere gotiche maiuscole
E una tempera su tavola, conservata dentro un'ancona con colonne, trabeazione e timpano spezzato; l'Arcangelo Michele regge nella mano destra la spada, nella sinistra tiene la bilancia, ai suoi piedi, schiacciato, il demonio.
Il polittico di San Michele a Sabbio, datato dal Panazza 1548-1551 (anni della ricostruzione della chiesa) è sicuramente opera di Dionisio Brevio; è suddiviso in sei scomparti (in origine trattenuti da una cornice della «Bottega» dei Boscai: in alto «San Lorenzo» con «San Michele Arcangelo» e «Santo Vescovo», mentre in basso vi sono «San Giovanni Battista», «Madonna con Bambino e angeli» e «San Pietro». Il Panazza assegnava al Brevio soltanto cinque delle sei tavole; la Madonna con Bambino aveva preferito assegnarla ad un artista vicino ai modi di Zenone Veronese. Invece è del Brevio. Infatti se osserviamo il dipinto «Ritratto di donna» (La Velata) di Palazzo Pitti a Firenze (del 1516), certamente la «Fornarina», e il «Ritratto di giovane donna» (La Fornarina) (intorno al 1519), della Galleria Nazionale di Roma, opere di Raffaello, e, li raffrontiamo con la Madonna di Sabbio, noteremo una straordinaria somiglianza che non è soltanto palese. La Madonna di Sabbio è un ritratto della senese Margherita Luti, figlia del fornaio della contrada di Santa Dorotea a Roma, amica intima di Raffaello.
Il progetto che comprendeva il restauro dell'abside maggiore con il recupero degli affreschi di Paolo da Caylina il Giovane, nuove decorazioni dipinte o graffitate, e l'esecuzione degli affreschi divenne operativo nel 1930. Con Vittorio Trainini collaborarono anche i fratelli Arturo per la parte decorativa a graffito, Luigi per le decorazioni a buon fresco sulle lesene e sugli archi. Le due absidi minori delle cappelle laterali all'altare maggiore furono affrescate da Vittorio Trainini nel 1940; figura difficile quella di Cristo (il pittore dovette rifare per tre volte la testa), mentre per i due angeli posarono (a sinistra) Bruno Bianchi, a destra il fratello Andrea. Il «San Giuseppe» della cappella di destra porta il volto di don Riccardo Vecchia. Sull'arco che separa le absidi dall'aula, ad interrompere la decorazione a graffito, Vittorio Trainini affrescava un «Crocifisso» con contorno di angeli e angioletti, secondo uno stile chiamato neo-gotico, caratteristico dell'arte cristiana o sacra della fine del secolo XIX. Per la figura di Cristo posava Angelo Piovani.
Sono del 1940 gli affreschi «Preludio all'Istituzione dell'Eucarestia» (Abramo che offre il pane e il vino a Melchisedec) e «L'ultima cena». Per la figura di Melchisedec posava don Angelo Galotti, per quella di Abramo, Tobia Scalvini; inoltre per le figure prossime a Melchisedec posava Giovanni Mascadri, Mario Fascio per il soldato alla sinistra del cavallo. Trainini da ottimo affreschista, trattava la materia pittorica con padronanza, le tinte venivano stese a larghe campiture, sollevate da chiarori di luce sui rilievi. Risolta la scena principale, utilizzava ampi spazi prospettici con l'inserimento di quinte naturali. Trainini era pittore sveltissimo, un novello «Luca fa presto» che risolveva anche una figura al giorno senza mai fermarsi. Usava prevalentemente terre bruciate e naturali, la gamma degli ocra, i grigi «scaldati» e i rossi. Il disegno mai meticoloso diventava efficace nella distribuzione delle masse, le espressioni dei volti di una naturalezza disarmante. Nell'affresco «L'ultima cena» prevalgono gli spazi occupati dalle tuniche, masse di colore forzate sui rilievi e nelle rientranze del tessuto. I contadini di Sabbio sono diventati apostoli, partecipando loro malgrado al sacrificio di Cristo e al tradimento di Giuda. Giovanni Mascadri dovette vestirsi dei panni del traditore. La scena è avvolta da vapori di fiati e umori, Cristo ha pronunciato le terribili parole, ma non vi è sgomento, agitazione o rabbia. Trainini non solleva il velo del tradimento, lo mortifica invece sul volto dell'ultimo degli apostoli, il peggiore.
Secondo documenti, "il colle di S. Onofrio, su cui sorge l'oratorio in onore del santo, apparteneva alla Congregazione laica dei Confratelli di S. Nicola e manteneva sul S. Onofrio un dormitorio con casa di abitazione". Un tempo a S. Onofrio di Sabbio Chiese, la bellezza del luogo e la devozione della popolazione dovevano andare a gara per rendere onore al santo eremita.
La chiesa sorge su un pianoro breve, ma suggestivo, di quel dossone che la gente chiama Monte Disa e che taglia in due il vasto anfiteatro che da Pavone si allarga sotto Monte Magno, raggiunge Odolo, per chiudersi a Preseglie e Barghe. Lo sguardo spazia nella Valle Sabbia da Pavone, che sta sotto gli occhi, fino a Barghe, chiusa dalla stretta di S. Gottardo.
Vi si può salire per un sentiero che dalla Piana Parù (o Palù) si inerpica lungo il costone del cosiddetto monte Disa, o aggirando questo per la mulattiera più a est, salvo poi prendere il dorsale sul quale si erge il santuario.
Intorno è un trionfo di verde, ma anche di rovi e di arbusti selvaggi che vanno invadendo tutto, rubando sempre più spazio ai già brevi spiazzi erbosi. Anche la `passata' che sta appena sotto alla chiesa è ormai abbandonata. Il santuario guarda a est, ha una facciata semplice con una porta di una certa dignità, mezzo occhio sopra. L'interno, spoglio com'è, sembra ancor più vasto di quanto è in verità. E ad una sola navata, con presbiterio semiovale, con ai lati due ex altari. Il soffitto è a vista, ma singolarmente ornato da tavolette colorate, decorate, che dovevano dare un aspetto vario e quasi allegro al santuario.
Al centro del paese, su una rupe di roccia dolomitica che si erge alcune decine di metri sopra il letto del fiume Vrenda, sorge la "Rocca". Dalla sommità dell'edificio, in posizione dominante sul resto del paese, con lo sguardo è possibile abbracciare gran parte della media Valle Sabbia. Elemento architettonico caratterizzante, l'edificio sorse tra il IX e il X secolo. Probabilmente in origine la "Rocca" era un semplice terrapieno protetto da palizzate che successivamente si trasformò in bastione o fortezza militare, destinato a dare rifugio ai sabbiensi contro le invasioni di passaggio così frequenti nel Medioevo.
Tra il XII ed il XIII secolo Sabbio Chiese e la Valle Sabbia sono teatro delle continue tensioni e scontri tra le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini. Il Vaglia riferisce che nel 1330 la Rocca venne occupata dai ghibellini di Mastino della Scala, signore di Verona, ma le vicende belliche la restituirono presto ai guelfi comandati da Tebaldo Graziotti di Vestone. Successivamente, per tutto il 1400, Sabbio Chiese segue il destino dell'intera Valle ed assiste al conflitto ed alle lotte fra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, ed è periodicamente oggetto di tentativi di saccheggio a causa dell'incessante passaggio dei diversi eserciti. La repubblica di Venezia, che ormai controlla la Valle Sabbia, decide la riorganizzazione del sistema difensivo dei propri territori. Alla fine del XV secolo i veneziani decidono di privilegiare la ristrutturazione ed il rinforzo della Rocca d’Anfo, decretando pertanto la fine della funzione militare e politica delle altre fortezze della Valle, tra cui la "Rocca". Inizia così la trasformazione della Rocca in santuario dedicato alla Beata Vergine del Campanile (1527) mentre nel 1588, con bolla pontificia, l'edificio viene eletto ad oratorio non consacrato. Anche se ha ormai terminato da secoli il suo compito di difesa ed è ormai trasformata in edificio di culto e di preghiera, ancora oggi è possibile identificare nell'architettura della Rocca alcune parti dell'originario bastione: ad esempio il massiccio portone d’accesso, con posto di guardia e feritoie, le imponenti colonne all’ingresso e parte della scalinata interna. All'attuale edificio si accede partendo dalla sottostante piazza Rocca. Si salgono i 107 scalini della scalinata e, attraversando alla sommità il massiccio portone militare, si accede al piccolo sagrato antistante la chiesa. All'inizio della scalinata da segnalare la cinquecentesca Chiesetta di San Pietro, in passato utilizzata come ospizio e poi scuola elementare. Nella roccia su cui sorge l'edificio sono stati scavati cunicoli sotterranei e prigioni. Successivamente nella prima metà del Cinquecento l'edificio fu risistemato e trasformato in oratorio. Dal sagrato posto in cima alla balza è possibile accedere alla chiesa oltrepassando il pesante portone che la cela.
La struttura dell'edificio è estremamente originale e si articola in due chiese sovrapposte, entrambe dedicate all'Annunciazione. Nella chiesa inferiore, di forma decisamente irregolare, si trovano due altari, uno laterale ed un altro centrale, arricchiti da sculture lignee policrome, opera della bottega dei Boscaì, antichi e celebri intagliatori valsabbini. Sfortunatamente parte di questo patrimonio artistico venne gravemente danneggiato da un incendio scoppiato nel 1958. Nella cantoria in legno osserviamo tre immagini e fra queste la Maternità, che mostra sullo sfondo il paesaggio di Sabbio con la rocca. Dal fondo della navata e dal lato della sacrestia,attraverso due scale poste una a destra ed una a sinistra, è possibile salire fino alla parte superiore. Qui l'abside appare protetta da un cancello in ferro battuto che risale ai primi del Cinquecento. Nella nicchia da segnalare l'affresco della Vergine col Bambino, con ai lati quattro statue dei Profeti. Nel volto numerosi affreschi: Annunciazione, Visitazione, Incarnazione, Maternità, Morte di Maria. Alle pareti delle due navate riconosciamo ex voto cinquecenteschi ormai deteriorati, uno dei quali raffigura San Aio. Una porticina introduce al campanile, che verosimilmente nel passato fu torre di vedetta e venne eretto nel Cinquecento, quando già alloggiava un orologio. Il porticato esterno, settecentesco, è caratterizzato da colonne di marmo.
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