mercoledì 7 ottobre 2015

IL lavoro dell'ASSISTENTE SOCIALE

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L'Assistente sociale lavora sulle situazioni di disagio e di emarginazione di singole persone, di nuclei familiari e di particolari categorie.

L'assistente sociale lavora a stretto contatto con persone o nuclei familiari in gravi situazioni di disagio. Le categorie che solitamente beneficiano di questa professionalità sono i minori, gli anziani, i tossicodipendenti, i portatori di handicap e gli immigrati. Risulta già ben chiaro come possano essere tantissimi i compiti di questi professionisti che devono essere in grado di relazionarsi con una moltitudine diversa di interlocutori.

Negli anni ’20, a Milano nasce l’Istituto Italiano di Assistenza Sociale in cui operano enti chiamati "segreterie sociali", con lo scopo di facilitare ai lavoratori l’accesso alle opere sociali. Padina Tarugi viene ricordata come una pioniera del servizio sociale italiano; ad essa viene riconosciuto il merito di aver favorito la fondazione della prima scuola di servizio sociale (Roma, 1928), che risentirà però a livello di impostazione del clima del tempo.

Nel 1944 a Milano il sacerdote don Paolo Liggeri e l’assistente sociale francese Odile Vallil danno avvio alla prima scuola per la preparazione di assistenti sociali e ciò segna l’effettiva nascita del servizio sociale in Italia.

Il Convegno degli studi di Tremezzo (Como) svoltosi dal 16 settembre al 6 ottobre del 1946 segna in maniera definitiva che nel contesto italiano vi fu un fermento generale per il riconoscimento di tale professione; l’ideazione e l’ effettiva creazione del CEPAS di Roma e della Scuola UNSAS di Milano sono da collocarsi proprio a Tremezzo.

Così, tra il 1945 e il 1949 nacquero sette scuole di servizio sociale, con il sostegno di privati e dell’A.A.I., diffondendosi poi in tutto il Paese. Dal 1946, numerose scuole si riunirono nei gruppi E.N.S.I.S.S., U.N.S.A.S. e O.N.A.R.M.O. per due motivi: per sostenersi nell’impostazione didattica e negli scambi culturali; per unirsi in base alla specifica impostazione filosofico - religiosa ( gli unici però a dare alla formazione degli assistenti sociali un’impostazione religiosa saranno i gruppi dell’O.N.A.R.M.O.).

La professione di assistente sociale ha sempre messo al centro del suo intervento la vita delle persone e le situazioni vengono affrontate con particolare dedizione, con un’alchimia di passione mista a conoscenza. I valori alla base del servizio sociale, infatti, possono essere sintetizzati nel valore di umanità dell’uomo, cioè nel riconoscere la dignità e la libertà di ciascuna persona.

L’assistente sociale ha sviluppato nel tempo la sua identità, basandosi sempre su valori e principi costanti, riuscendo a raggiungere un primo traguardo con il riconoscimento ufficiale della professione mediante l’istituzione dell’Ordine professionale degli Assistenti Sociali (L. 23 marzo 1994, n. 84). Questo ha rappresentato un momento di svolta, perché ha identificato il gruppo di appartenenza e ha dato la possibilità di rilanciare la professione stessa.

La successiva importante conquista dopo questa, è stata l’emanazione del Codice Deontologico professionale dell’Assistente Sociale nel 1998, che ha ufficializzato i principi guida e ha assunto la funzione di sostenere la categoria professionale. L’esistenza di tale codice non crea di per sé l’agire professionale, ma è un segno significativo dell’elevato livello di stabilità e di organizzazione raggiunto dalla professione. «Esso giustifica per molte ragioni, in quanto rende pubbliche e manifeste le norme interne di una professione, forma e stimola una coscienza deontologica, dirige l’azione in casi concreti, favorisce l’unità professionale e ne incrementa l’autonomia, protegge gli utenti e infine protegge la professionalità, in quanto offre le basi non solo per le sanzioni, ma anche per l’autodifesa».

In primo luogo è necessario nuovamente sottolineare che l’azione dell’assistente sociale viene fatta nel rispetto di tutti i diritti universalmente riconosciuti e sulle qualità originarie di ogni singolo soggetto. "Il servizio sociale si basa sulla concezione che l’uomo è un valore in quanto dotato di infinite potenzialità, capace di libertà e di autonomia, in grado di compiere scelte consapevoli e creative, di assumersi responsabilità e di prendersi cura degli altri, in grado di dominare le leggi della natura attraverso studi e attività che esprimono il suo infinito potere di ricerca".

Il rispetto verso la persona umana in quanto tale è legato al principio di accettazione di ogni persona per quello che è. Nel momento in cui si stabilisce un primo contatto con l’utente-cliente, infatti, è necessario che l’assistente sociale non esprima giudizi di valore in merito alla situazione che l’individuo si ritrova ad affrontare, per non fargli vivere quel momento come fallimento, facendo diminuire di conseguenza la sua autostima. Al contrario è essenziale che l’assistente sociale riesca a creare durante i colloqui un’atmosfera non intrinseca solo dell’odore istituzionale, ma soprattutto di disponibilità all’ascolto e alla comprensione. Ciò sarebbe la base per creare un possibile rapporto di fiducia, in cui l’utente-cliente riesca ad acquisire una maggiore fiducia in se stesso, compiendo i primi passi verso un nuovo percorso di vita e diventando sempre più consapevole delle sue effettive potenzialità. Il non giudicare dell’assistente sociale nella relazione di aiuto indica una visione del bisogno non come fatto morale ma come fatto scientifico, quindi da studiare e comprendere.

L’unicità e la soggettività di ciascun utente-cliente deve essere riconosciuta dall’assistente sociale per poter effettuare un intervento adatto al soggetto. Le azioni dell’assistente sociale devono cioè essere rivolte ad un soggetto che ha un pensiero, una sensibilità, delle emozioni e delle potenzialità proprie dalle quali non si può assolutamente prescindere nel momento dell’intervento, che anzi sarà costruito proprio tenendo conto della specificità delle persone cui ci si riferisce.

Una formulazione di Kant sottolinea come "nella propria persona e in quella di qualsiasi altro non si veda unicamente uno strumento ma sempre anche un fine". Con ciò egli intende che noi dovremmo trattare gli altri come esseri che hanno mete (ossia scelte e desideri), e non soltanto come oggetti o strumenti per i nostri fini. Si viene ad affermare così il valore assoluto dell’uomo come unico e irripetibile, considerato quindi un sé, per un fine e mai un mezzo.

L’assistente sociale deve, perciò disporre di una conoscenza approfondita degli elementi teorici appartenenti a più aree scientifiche, necessari per l’interpretazione del comportamento umano. Ciò è essenziale per riuscire a mettere in atto una personalizzazione dell’intervento per promuovere autonomia e responsabilità.

L’assistente sociale deve considerare e accogliere la persona come "unica e distinta da altre analoghe situazioni" e deve saperla collocare "entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente". È essenziale tener presente, appunto, che la persona vive all’interno di una fitta rete di relazioni tra diversi sistemi e che è, quindi, in stretto contatto con concetti di interdipendenza e continuità. È proprio nei rapporti con l’esterno, però, che le persone possono incontrare delle difficoltà che le portano ad una condizione di "crisi", infatti spesso il problema è proprio la rottura, la mancata integrazione fra le parti di cui sono composte, che minaccia la loro autonomia e distorce le relazioni sociali.

Pertanto il compito dell’assistente sociale è quello di cercare di ricostruire tali legami per ricomporre prima di tutto l’unitarietà della persona. Il professionista deve tendere a riconoscere e valorizzare l’utente-cliente e presuppone una nuova visione dell’intervento che non si incentra sulla cura della patologia, ma sul potenziamento di funzioni - individuali e sociali - di apprendimento sociale, sostenendolo nell’uso delle risorse proprie e della società. In tal caso l’assistente sociale si ritrova a dover svolgere una funzione di raccordo e connessione di risorse.

Riportando la definizione, data da un dizionario di lingua italiana, l’autodeterminazione è "l’atto secondo cui l’uomo si determina secondo la propria legge: espressione della libertà positiva dell’uomo, e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione".

Tale principio può essere considerato quello che maggiormente identifica l’operato dell’assistente sociale e che lo contraddistingue principalmente dagli altri operatori. Poiché il servizio sociale valorizza la libertà come risorsa fondamentale, che deriva dal rispetto che va garantito ed assicurato alla persona, tale principio dovrà essere presente in ogni momento del processo di aiuto e in ogni relazione instaurata dall’assistente sociale.

L’utente-cliente, infatti, non è attore passivo nella relazione e nel processo di aiuto, ma ne deve essere il principale attore che si impegna attivamente, una volta consapevole delle proprie risorse, nel portare avanti, fase per fase, il proprio progetto personale per liberarsi dal suo bisogno. In questo progetto l’assistente sociale deve aiutare l’utente-cliente a procedere verso il raggiungimento degli obiettivi, ma non si deve sostituire a lui, per permettergli di prendere le sue decisioni in libertà e con responsabilità.

Tale progetto, infatti, non può essere chiaro e definito fin dall’inizio, ma è compito dell’assistente sociale, prima di tutto, portare l’utente ad avere consapevolezza della situazione in cui si trova, per poi poter realizzare man mano ciascuna fase progettuale. Saranno necessarie delle fasi intermedie di rivisitazione degli obiettivi, che possono variare in base sia ai passi compiuti dall’utente, che anche da cause esterne, e quindi dai rapporti che magari vengono a instaurarsi nuovamente con l’esterno.

Una maggiore presa di coscienza dell’utente, lo porta a crescere, a raggiungere la propria autonomia e anche a riconoscere le proprie responsabilità, in quanto cercherebbe di prendersi carico delle proprie problematiche e di affrontarle una per una con calma e consapevolezza dei propri limiti.

L’assistente sociale, nella relazione di aiuto, deve promuovere le condizioni favorevoli per una riabilitazione con l’utente-cliente. Il processo di cambiamento non dipende solo dalla volontà della persona di intraprenderlo e quindi dalla maggior consapevolezza, ma è ottenuto da quel percorso da cui si è partiti, dal suo sistema di valori, per individuare ed attivare tutte le risorse possibili nel processo di cambiamento. Questo è un processo lento che richiede enorme pazienza, in cui l’assistente sociale si deve adattare possibilmente ai tempi degli utenti senza forzarli o affrettarli, riconoscendo i ritmi di ciascuno.

Il Principio del Rispetto e della Promozione dell’Uguaglianza deriva dal valore che ogni uomo è uguale ad un altro in quanto a dignità e a godimento dei diritti fondamentali, che porta l’assistente sociale a svolgere la sua azione professionale senza alcuna discriminazione di alcun genere ("di età, di sesso, di stato civile, di razza, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di ideologia politica, di minorazione mentale o fisica, o di qualsiasi differenza o caratteristica personale").

Questo principio, che si rifà sia agli articoli 1 e 7 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che all’art. 3 della Costituzione della repubblica Italiana, "non solo non nega le differenze, ma anzi da un’appropriata constatazione delle differenze, impone attività differenziate in modo che tutti possano disporre di pari opportunità e godere effettivamente di uguali diritti, in un’ottica di giustizia ed equità sociale".

Il Capo III del Titolo III del Codice Deontologico è interamente dedicato alla riservatezza e al segreto professionale. Temi molto importanti nella relazione che si instaura tra assistente sociale ed utente o cliente. Si sottolinea, infatti, che per la particolare natura del rapporto professionale, e cioè di fiducia che si viene a creare, l’assistente sociale deve trattare con riservatezza "le informazioni e i dati riguardanti" gli utenti e clienti, e "deve ricevere l’esplicito consenso degli interessati, o dei loro legali rappresentanti, ad eccezione dei casi previsti dalla legge" per l’uso o per la trasmissione di questi.

Come prima prerogativa si sottolinea che la riservatezza e il segreto professionale sono diritto dell’utente e del cliente e dovere dell’assistente sociale. Inoltre, si può ricordare che il "carattere fiduciario che viene instaurato con gli utenti", rappresenta da sempre, per gli assistenti sociali, un valore professionale prima che un obbligo, un dovere etico prima che giuridico. È importante, quindi, nell’ambito del rapporto fiduciario, la capacità di coinvolgere al massimo gli utenti nella scelta dei contenuti per le comunicazioni ad altri delle informazioni che li riguardano.

Il Servizio Sociale ha come obiettivo quello di aiutare la persona o la collettività a risolvere i problemi attraverso il cambiamento delle situazioni usando le capacità delle persone coinvolte e le risorse disponibili.
Gli obiettivi vengono scelti in base ai mezzi, alle risorse, in base alle conoscenze teoriche sull’uomo e sulla società, in base ad alcuni valori guida.
Gli obiettivi possono essere generali o specifici, tesi ad un cambiamento a livello individuale, collettivo, istituzionale e delle politiche sociali.

Creare raccordi tra bisogni e risorse:
attivando un sistema di aiuto intorno ai problemi del singolo e della collettività
favorendo e migliorando i rapporti e le relazioni tra gli individui e fra gli individui e i sistemi di risorse
rendendo l’ambiente di vita delle persone promozionale ed educativo per persone e gruppi
Aiutare le persone a sviluppare conoscenze e capacità per affrontare e risolvere i propri problemi assistenziali con senso di responsabilità e autonomia attraverso l’attivazione delle proprie risorse personali, familiari e con quelle predisposte dalla società
Aiutare la collettività a:
individuare i propri bisogni
attivare le reti di solidarietà naturali, i processi di partecipazione, il volontariato organizzato al fine di creare nuove risorse per la soluzione di problemi individuali e collettivi
Progettare, organizzare, gestire i servizi e le risorse in mdo personalizzato e non emarginante, perchè siano veramente corrispondenti i bisogni individuali e collettivi
Evidenziare, studiare e analizzare i problemi collettivi al fine di contribuire alla progettazione e alla realizzazione di un adeguato sistema di servizi nell’ambito delle linee guida delle politiche sociali nazionali e locali
Lavorare per l’uguaglianza delle opportunità per ogni utente

La funzione curativo-riparitiva viene attivata con persone o gruppi che chiedono aiuto a causa di bisogni complessi, sotto il profilo fisico, psichico e sociale.
E’ prevista l’attivazione le risorse personali, istituzionali e comunitarie al fine di avviare il processo di cambiamento e il raggiungimento dell’autonomia.

ORGANIZZATIVA-GESTIONALE è  una funzione propria delle organizzazioni che devono adeguare i servizi e le prestazioni attraverso la lettura dei bisogni e della domanda sociale, nell’ottica del potenziamento delle risorse.

PREVENTIVO PROMOZIONALE è proiettata verso l’esterno dell’organizzazione, e vuole favorire i processi di integrazione tra servizi, la cooperazione, lo scambio sistematico delle informazioni, il cambiamento delle politiche sociali in base all’evoluzione dei bisogni, la crescita della solidarietà comunitaria, l’analisi costante e il monitoraggio dei fenomeni sociali. E’ una funzione importante perchè consente di raccogliere le informazioni indispensabili per operare scelte programmatiche dei servizi e del sistema istituzionale.

Poi ci sono delle funzioni condivise con altre professioni:

programmazione, organizzazione e gestione di servizi sociali;
attività di indagine, studio, ricerca, monitoraggio e documentazione.

Il sistema di sicurezza sociale italiano è stato interessato, a partire dagli ultimi 30-40 anni, da un processo di rinnovamento che ha interessato sia il livello delle competenze amministrative che quello delle modalità di intervento degli attori chiamati in causa nella gestione ed erogazione dei servizi. Tale processo ha avuto inizio negli anni ’70 con l’istituzione delle Regioni. Successivamente con il D.P.R. 616 del 1977 si realizzò il decentramento cioè il trasferimento, alle Regioni, delle funzioni amministrative e in particolare con l’attribuzione, ai Comuni, delle funzioni di organizzazione dei servizi sociali. Ulteriori innovazioni vennero introdotte negli anni 90 e in particolare con la prima legge Bassanini (L. n°59 del 1997) che introdusse il principio di sussidiarietà in base al quale le decisioni vengono prese dall’organo di governo più vicino ai cittadini (il Comune) e cioè da quello che è maggiormente in grado di interpretare i bisogni e le risorse della comunità territoriale di riferimento. Tale principio ha portato allo sviluppo di modelli organizzativo- istituzionali che attribuiscono ai Comuni la titolarità delle funzioni amministrative riguardanti i servizi sociali e che valorizzano la collaborazione tra pubblico e privato. Questo quadro di ridefinizione del rapporto Stato-Regioni- Enti locali è stato completato attraverso l’introduzione della Legge Quadro di Riforma dell’assistenza, la L. 328 del 2000 e dalla Riforma del Titolo V della Costituzione (L. 3 del 2001).

La legge n° 328 del 2000 –“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” ha ridefinito il profilo delle politiche sociali apportando tutta una serie di elementi di novità. Questa legge si colloca in un vuoto legislativo di oltre 110 anni in cui è mancata una regolamentazione organica dei servizi socio-assistenziali. Prima della 328, infatti, solo la Legge Crispi del 1890 aveva costituito la norma organica di riferimento per l’assistenza sociale. Tra le due norme numerosi sono stati i cambiamenti e le riforme ma solo con la legge del 2000 si è giunti alla creazione di un quadro normativo unitario valido per l’intero territorio nazionale.

Essa ha innanzitutto segnato il passaggio dalla concezione di utente quale portatore di un bisogno specialistico a quella di persona nella sua totalità costituita anche dalle sue risorse e dal suo contesto familiare e territoriale; quindi il passaggio da una accezione tradizionale di assistenza, come luogo di realizzazione di interventi meramente riparativi del disagio, ad una di protezione sociale attiva, luogo di rimozione delle cause di disagio ma soprattutto luogo di prevenzione e promozione dell’inserimento della persona nella società attraverso la valorizzazione delle sue capacità.

L’attenzione con tale legge si è spostata poi:

dalla prestazione disarticolata al progetto di intervento e al percorso accompagnato;
dalle prestazioni monetarie volte a risolvere problemi di natura esclusivamente economica a interventi complessi che intendono rispondere ad una molteplicità di bisogni;
dall’azione esclusiva dell’ente pubblico a una azione svolta da una pluralità di attori quali quelli del terzo settore.



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