sabato 14 novembre 2015

SANT'ANGELO LOMELLINA



Sant'Angelo Lomellina è un comune situato nella Lomellina occidentale, alla destra dell'Agogna.
Sant'Angelo appartenne al comitato di Lomello, e fu uno dei castelli rimasti nelle mani della casata dei Conti Palatini anche dopo la sua sottomissione a Pavia; nel 1311 è ancora ricordato Enrico di Sant'Angelo tra i discendenti della famiglia. Il ramo di Sant'Angelo dei Conti Palatini, a differenza di altri, probabilmente si estinse di lì a poco, e il feudo fu acquisito dai Beccaria di Pavia, all'epoca la maggiore potenza locale della Lomellina. All'inizio del XV secolo Sant'Angelo fu ceduto temporaneamente al Marchese del Monferrato; ritornato poi ai Visconti e agli Sforza, fu da questi ultimi infeudato a Pietro Gallarati, consigliere ducale, nel 1467 (da due anni il Gallarati era signore del vicino Cozzo). Il feudo restò ai Gallarati (dal 1729 Gallarati-Scotti) nei secoli seguenti, fino all'abolizione del feudalesimo nel 1797. Sant'Angelo, con tutta la Lomellina, passò sotto il dominio dei Savoia nel 1707; nel 1859 fu incluso nella provincia di Pavia.

All'interno della chiesa di San Rocco era possibile vedere, prima dei ripetuti furti, due bellissimi banchi con schienale intagliato e scolpito con lo stemma dei feudatari. Nel secolo XVII il paese era ancora cinto da mura e per entrarvi si passava dalla Porta Pavese situata in via Maestra (attuale via Roma); a quel tempo, all'interno delle mura vi erano circa cento costruzioni. Dinanzi alle mura scorreva il colatore che raccoglieva l'acqua piovana e la convogliava nella Roggia Vercellina (per tutti i santangelesi la "Sanatura").
Al termine della dominazione spagnola, il 7 settembre 1706, il generale Fontana fu incaricato di censire i Comuni lomellini che ormai facevano parte del Ducato di Savoia: Sant'Angelo contava allora 400 anime. Dopo la breve parentesi napoleonica, seguì le vicende risorgimentali sotto la regia casa piemontese.

Sul lato nord della vasta piazza esiste una seconda chiesa dedicata a S. Giovanni Battista.
Con facciata a sud, di modesta altezza, e con un'unica nave, era posta al di fuori delle mura del Castello dove si stima vi fosse l'antica pieve.
Tale chiesa di epoca romanica, rappresenterebbe un'antico battistero snaturato e ridotto a chiesa comune mediante ristrutturazioni del secolo XVI.
Nel 1819 era abbandonata e non vi si celebrava perché rovinata, ma nel 1887 fu ridotta in buon stato, alla forma attuale.
La vetusta chiesa fronteggia la piazza coi ruderi del romanico e la finestra rotonda, ha il campanile a cuspide con tre campane e ricorda silenzioso i sacri giuramenti battesimali dei primi abitanti di Sant'Angelo.

Appena fuori dall'abitato, addossata al cimitero e alla fine del viale che le dà un impatto visivo di grande suggestione, troviamo la chiesa di San Rocco.
Questa opera è molto cara ai santangelesi, i quali, nel corso dei secoli, con la loro devozione l'hanno difesa e protetta da tutte le traversie militari, politiche e religiose della storia. Sicuramente (ma non esistono documentazioni a proposito) esisteva già nel secolo XI come chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie e come asilo aperto giorno e notte per i pellegrini che passavano sulla Via Francigena.
La leggenda vuole che durante la terribile peste nera del 1348 qui si sia fermato san Rocco proveniente da Piacenza e diretto a Novara per curare gli appestati.
Probabilmente è da allora che l'edificio di culto gli fu dedicato.
La chiesa, come la conosciamo oggi, è di origine quattrocentesca, con impianto romanico ad aula unica, abside a pianta quadrata e volta a crociera a cui si accede attraverso un arco a sesto acuto.
Misura m 11,20 x m 8, per un'area complessiva di 89,6 mq: dette dimensioni risultano molto contenute sia in altezza che in profondità, mentre la volta a crociera dell'abside è più alta di oltre quattro metri rispetto a quella dell'aula.
Il pavimento è rimasto quello originale in cocciopesto.
La facciata principale ha forma di capanna e presenta ancora la sua antica linea di pietra a vista con caratteri trecenteschi a bordura geometrica in cotto, che corre lungo tutto il timpano. La scandiscono quattro aperture: il portale a sesto acuto inquadrato tra due lesene leggermente slanciate per accentuarne la verticalità; il rosone centrale; due piccole finestre rettangolari fortemente strombate e molto ribassate.
Le pareti interne sono completamente affrescate: ciò rappresenta un esempio unico nel territorio lomellino.
Gli affreschi sono attribuibili a più artisti, quattrocenteschi e cinquecenteschi, di scuola vercellese e mortarese, ma a tutt'oggi ignoti: fanno eccezione i dipinti a firma di Tomasino da Mortara (in data 1500-1504), solo pittore anagraficamente lomellino.
Con elemosine e donazioni popolari la chiesa venne sottoposta a vari restauri nel 1576, nel 1676 e nel 1735 e sempre i cittadini la salvarono dalla completa distruzione nell'Ottocento con un nuovo restauro.
Negli ultimi decenni, specie negli anni Ottanta, visse un periodo di declino, ma in seguito iniziarono i lavori di risanamento che per fortuna l'hanno riportata all'antico splendore: tanto che ora gode della protezione del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali.
Il recupero dell'edificio, nei suoi aspetti artistici e religiosi, costituisce un importante momento di valorizzazione storica e culturale della Lomellina all'interno della realtà provinciale.
A dimostrazione dell'affetto verso san Rocco, è ancora viva la secolare tradizione di portare qui tutti i santangelesi prima della sepoltura, per l'ultimo saluto.

La chiesa parrocchiale, dedicata al santo patrono S. Michele Arcangelo, sorse nel 1762 dopo l'atterramento pressoché totale di un edificio sacro preesistente.
Consta di tre navate di stile barocco composito con stucchi.
Lo storico Pianzola afferma che prima dell'ultima tinteggiatura era visibile sulla sinistra della facciata, parte di un affresco raffigurante un gigantesco S. Michele, con frammenti di una dicitura databile al 1443, forse dipinto dal mortarese Antonio De Murini.
Il campanile della chiesa ingloba i resti di una delle torri dell'antica roccaforte locale.

Una lunga fascia di vegetazione naturale, sviluppatasi in un'ansa meandrica abbandonata del fiume Sesia, ha rappresentato l'ambiente ideale per la costituzione della garzaia della Verminesca. Attorno ad essa l'Ente gestore ha realizzato un'ampia area di rispetto che fa da cintura protettiva alla riserva che, risultando così lontana da tratti stradali o insediamenti antropici, l'ha resa un'oasi di nidificazione ideale anche per le specie ornitiche più esigenti.
Le rogge e i canali, gli specchi d'acqua stagnante e il terreno paludoso grazie alla falda acquifera piuttosto artificiale, hanno conferito un'umidità tale all'ambiente da consentire l'insediamento di vegetazione esclusivamente igrofila. Sono presenti formazioni boschive dominate da Ontani neri (Alnus glutinosa), aggruppamenti a Saliconi e Salici grigi (Salix caprea e Salix cinerea) e fitti canneti costituiti da Canne di palude (Praghmites australis) e Mazzesorde (Typha latifolia).
Tra le specie acquatiche dominano la Brasca nodosa (Potamogeton nodosus), le Erbe gamberaje (Callitriche spp.), il Millefoglio comune (Myriophyllum spicatum) e la Lenticchia d'acqua (Lemma sp.).
Il Monumento Naturale, nei suoi attuali confini, è stato proposto quale "Sito di Importanza Comunitaria" per la formazione della rete europea Natura 2000 e come Zona di Protezione Speciale ai sensi della direttiva comunitaria 79/409.

Inserita nell'Azienda Faunistica "la Favorita" (la cui attività, limitata a periodi differenti da quelli della nidificazione, non minaccia la riproduzione degli Aironi), la garzaia della Verminesca ospita diverse specie di Ardeidi da alcune decine di anni.
Nel '72 ospitava già una consistente colonia di Nitticore (Nycticorax nycticorax) e Garzette (Egretta garzetta) che, da dati non certi, pare visi fossero stabilizzati circa vent'anni prima; della seconda metà degli anni '70 comparvero gli Aironi rossi (Ardea purpurea) e le Sgarze ciuffetto (Ardeola ralloides), anche se i primi vi nidificarono solo fino alla fine degli anni '80, periodo in cui si rinvennero inoltre esemplari di Aironi guardabuoi (Bubulcus ibis) in livrea nuziale.
Verso la metà dello stesso decennio arrivarono le prime coppie di Aironi cenerini (Ardea cinerea).




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