martedì 17 novembre 2015

VALEGGIO

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Valeggio è un comune situato nella Lomellina centrale, nella pianura tra l'Agogna e il Terdoppio.

L’etimologia del toponimo “Valeggio” secondo lo storico ottocentesco Goffredo Casalis il nome deriverebbe da vallicum, cioè “piccola valle”. Lo studioso contemporaneo Dante Olivieri propende per la voce lombarda Varicella, interpretazione confermata anche dalla voce latina Valligium o Vallicula. Secondo lo storico pavese Portaluppi, il nome Valigium affonderebbe le radici nell’epoca longobarda: un’ipotesi che si avvicina molto alla leggenda popolare della Via Regia, l’antica strada romana che la regina Teodolinda percorse nel 590 con lo sposo Agilulfo, duca di Torino e poi re dei Longobardi. Infatti sembra accertato che la regina Teodolinda, quando da Lomello si recava a Milano, passasse proprio da Valeggio.

Valeggio, come altri luoghi vicini (in particolare Garlasco), appartenne dal X secolo al monastero di San Salvatore di Pavia. Nel 1250 appare come Valegium nell'elenco delle terre soggette al dominio di Pavia. Successivamente appartenne ai conti Albonese di Pavia, originari di Albonese in Lomellina (e forse discendenti dai Conti Palatini di Lomello). Nel 1487 il conte Gualtiero Albonese permutò il feudo di Valeggio con Luigi Arcimboldi di Milano (in cambio di Sabbione, fraz. di Zerbolò). Alla morte senza eredi, nel 1675, di Antonio Arcimboldi (che era anche conte di Candia Lomellina), la signoria di Valeggio fu incamerata. La località fu nuovamente infeudata nel 1708 a Pietro Quintana di Milano (il cui nome è ricordato dalla locale cascina Quintana) e dal 1733 ai De Cardenas, fino alla fine del feudalesimo (1797). Nel 1713 Valeggio, con tutta la Lomellina, fu incluso nei domini di Casa Savoia, e nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia.

All'inizio del XX secolo, le famiglie Borra, de Candia, e Serra sono emigrate in Argentina da Valeggio Lomellina.

In origine Valeggio fu un centro religioso di comunità monastica, in virtù della presenza della confraternita del Carmelo che aveva il compito di custodire il luogo di culto definito “ Santa Maria di Veleggio” o del Carmine situato in località Val Madonna. La chiesa, passata all’ospedale civico di Pavia, scomparve verso la metà del XIX secolo. In questa chiesa era conservata la statua lignea della Madonna del Carmelo ritrovata poi all’inizio del 1900 nella roggia Selvatica.
Questa chiesetta era situata in direzione Ottobiano e nel 1576 fu visitata e denominata dal vescovo “ Oratorium Sanctae Crocis in campis” che depone in favore della sua antichità. Scomparve senza lasciare indicazioni della sua ubdicazione.

La chiesa primitiva era piccola e di stile romanico, fu visitata nel 1460 dal Vescovo di Pavia e ne era cappellano e curato Giovanni de Glisiis. Nel 1576 la chiesa era nota come rettoria di San Pietro. Nel decreti del 1583 si imponeva al parroco di provvedere ai vasi per gli olii santi e ai registi dei battesimi, dei matrimoni, dei morti e dei cresimati, sotto pena di 3 monete d’oro. Intorno vi era il cimitero. La rettoria fu elevata a prepositura con decreto di Monsignor Forzani, vescovo di Vigevano, nel 1846. La chiesa attuale, sotto l’invocazione dei SS. Pietro e Paolo, fu più volte restaurata, e fu ridotta alla forma rettangolare, edificandola più ampia La facciata attuale è stata rifatta su disegno romanico nei primi anni del 1900, duranti i lavori di restauro del 1951 vennero alla luce affreschi del 1400. Il campanile medioevale venne abbattuto da un fulmine nel 1954 e al nuovo venne data una caratteristica cupola conica.
La chiesa di San Paolo era di pari antichità della parrocchia e si trovava tra i campi vicino la strada Selvatica che andava a Pavia . E’ nominata in carte del 1318 visita nel 1460 e trovata cadente nel 1576 e successivamente ne fu ordinata la demolizione e i pochi redditi furono uniti alla parrocchiale con l’obbligo di unire al titolo di San Pietro anche quello di San Paolo.

Gli storici sostengono che vicino a Valeggio vi era una stradicciola denominata di San Gaudenzio e da qui si pensa che sia esistita San Gaudenzio di Lomellina. La strada era ricordata da un documento del 1318 e poi non si hanno più notizie. Si pensa che il reliquato storico di questa parrocchia venne unita alla chiesa di Garlasco intorno al 1547.

Il Castello di Valeggio di forma architettonica medioevale-spagnolesca è a pianta trapezioidale con un elevato numero di torri (otto) distribuite lungo il perimetro esterno in modo asimmetrico. In una torre si leggeva un iscrizione del 703 ciò fa presumere esistenza di questa torre già nell’ottavo secolo. La costruzione vera e propria di carattere difensivo risalirebbe al XIII secolo. Secondo alcuni storiografi il castello sarebbe stato costruito dai Sannazzari . Nella facciata settentrionale del castello si trova una torre quadra alta 22 metri alla quale nel XVIII secolo le fu aggiunta una cella campanaria, anch’essa di forma quadrata. Dopo i fasti di Carlo V° e Francesco I°, con il passare dei secoli il Castello passò dal luogo fortificato a residenza rurale. Nel castello fu pure ospitato il famoso Pico della Mirandola grande filosofo di illustre famiglia Modenese. Numerose sono le nobili famiglie proprietarie del castello nei corsi dei secoli tra qui i Visconti, gli Sforza, gli Arcimboldi, i Cardenas, i Busca, i Sormani e i Laugier. Attualmente la proprietà è della Società Castello di Valeggio s.r.l.

L’andamento del suolo è pianeggiante e compreso fra quote variabili da un massimo di m. 93 s.l.m. a di un minimo di m. 91 s.l.m. E’ irrigato da molti corsi d’acqua, come l’Arcimbolda, la Regina, la Biraga, la Selvatica. Questi canali, conservano ancora oggi nelle loro denominazioni la derivazione dall’antiche vicende che hanno interessato il Borgo: il contado degli Arcimboldi del XVI e XVII secolo, la Romana “Via Regia” , il Feudo del Birago del XV secolo.

La sagra del paese che ricorre il 29 giugno con i Santi patroni Pietro e Paolo è denominata del “cucù” per via di un fatto leggendario. Secondo la tradizione, il 29 giugno di un anno imprecisato, i cuculi di Valeggio smisero improvvisamente di cantare poiché non ne era rimasto uno vivo: gli abitanti del paese gli avevano infatti catturati e messi in padella per adornare la tavola della sagra patronale. Da quel giorno è la festa del cucù, perché non canta più.








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