lunedì 16 febbraio 2015

ROM POPOLO DAI MILLE COLORI

.

 .


La storia delle popolazioni Rom riguarda la storia delle popolazioni parlanti la lingua romanes/romanì, o varianti dialettali della stessa, e che si riconoscono nella diaspora dei Rom.
L'assenza di antichi documenti scritti ha comportato che per lungo tempo le origini e la storia dei rom fossero un enigma, fino a che, due secoli fa, alcuni filologi ipotizzarono un'origine indiana sulla base di prove legate alla lingua parlata dai rom.

Secondo una cronaca viennese del 1776 (la Anzeigen aus sämmtlich-kaiserlich-königlichen Erbländern), attribuita ad un illuminista slovacco Samuel Augustin ab Hortis, il primo ad accostare le parlate dei rom alle lingue indiane, fu un pastore protestante ungherese, Etienne Vali da Almáš (distretto di Komárno), che si trovava a Leida, nei Paesi Bassi, per motivi di studio. Etienne Vali, ascoltando per caso le conversazioni di un gruppo di studenti indiani del Malabar, si rese conto che molti vocaboli da loro utilizzati erano simili a quelli usati dagli czigany del suo paese. Secondo molti studiosi, gli studenti conosciuti da Etienne Vali, probabilmente appartenenti ad una casta nobile, dovevano in realtà aver usato delle frasi in sanscrito, l'antica lingua dei testi religiosi induisti, in quanto l'idioma del Malabar è il Malayalam, una lingua dravidica che non ha nulla a che vedere con le lingue indoeuropee.

Questa intuizione venne poi ripresa e approfondita da alcuni filologi e, nel 1777, il tedesco Rüdiger espose pubblicamente la nuova teoria col suo Von der Sprache und Herkunft der Zigeuner (Della lingua e dell'origine degli Zingari), che venne poi pubblicato nel 1782.

Nei secoli successivi lo studio della storia del popolo rom, attraverso i contributi della linguistica e della filologia, è diventato una vera e propria scienza, spesso però ammantata di orientalismo, scadendo a volte nel mito e prestandosi, a seconda delle epoche, anche a pericolose teorie eugenetiche e razziste. I maggiori contributi vanno dagli studi del tedesco August Friedrich Pott (nel 1844), allo sloveno Franc Miklošič, al greco Alexandr Paspati, all'italiano Graziadio Isaia Ascoli, agli importanti studi di Angus Fraser, Ian Hancock, John Sampson, Ralph L. Turner, Yaron Matras, Peter Bakker e Marcel Courthiade.

Uno dei misteri più complessi che avvolge l'intera vicenda dell'esodo dei rom, aspetto a cui gli studiosi delle varie discipline hanno tentato vanamente di dare una risposta, riguarda la domanda su come sia stato possibile che, nel corso di pochi secoli, essi abbiano dimenticato la loro origine, dando così luogo ai vari eteronimi che ancora contraddistinguono le popolazioni di lingua e cultura romanì.

Tra le tante spiegazioni, una delle più plausibili potrebbe trovare riscontro nella non conoscenza effettiva dell'India da parte dei contemporanei dell'esodo dei rom, basti pensare a questo proposito al termine "indiani" attribuito dagli scopritori delle Americhe ai nativi delle Antille, nel XV secolo.

La confusione rispetto alle loro origini potrebbe quindi essere stata causata dall'incrociarsi di alcune drammatiche circostanze: la conoscenza etnocentrica del mondo da parte dei bizantini, dei greci, dei veneziani, e via dicendo fino agli spagnoli, inglesi, italiani, tedeschi;l'assenza di comunicazione da parte dei rom con gli autoctoni e, non ultimo, la perdita della memoria del racconto orale, nell'arco di alcune generazioni, a causa delle persecuzioni subite nel corso dei secoli.

Le prime cronache italiane che ci raccontino della presenza dei rom provengono da Forlì e da Bologna, entrambe riferite al 1422. Per quanto riguarda Bologna, una cronaca anonima del XV secolo (la "Historia miscellanea bononiensis") racconta dell'arrivo in città di una comunità nomade:

« A dì 18 de luglio venne in Bologna uno ducha d'Ezitto, lo quale havea nome el ducha Andrea, et venne cum donne, puti et homini de suo paese; et si possevano essere ben cento persone si demorarono alla porta de Galiera, dentro et fuora, et si dormivano soto li portighi, salvo che il ducha, che stava in l'albergo da re; et gli andava de molta gente a vedere, perché gli era la mogliera del ducha, la quale diseva che la sapeva indivinare e dire quello che la persona dovea avere in soa vita et ancho quello che havea al presente, et quanti figlioli haveano et se una femmina gli era bona o cativa, et s'igli aveano difecto in la persona; et de assai disea il vero e da sai no. Tale duca aveva rinnegato la fede cristiana e il Re d'Ungheria prese la sua terra a lui. Dopodiché il Re d'Ungheria volle che andassero per il mondo 7 anni e che si recassero a Roma dal Papa e poscia tornassero alloro Paese. »

Il passaggio degli zingari a Forlì viene riferito, invece, nella cronaca di frate Girolamo dei Fiocchi da Forlì, in cui si parla di circa duecento zingari giunti a Forlì nel 1422. Sulla loro provenienza, Giovanni riporta: Aliqui dicebant, quod erant de India. Benché in questa cronaca non sia chiaro chi siano gli "aliqui", si tratta del primo documento in cui si fa riferimento alla probabile origine indiana dei rom; l'elenco delle ipotesi comprendeva comunque anche la Caldea, la Nubia, l'Etiopia, l'Egitto ed addirittura il continente scomparso di Atlantide.

Sia a Bologna che a Forlì, oltre che per i tratti somatici che ne caratterizzavano l'appartenenza a una diversa etnia, gli zingari sono notati soprattutto per l'aspetto rude ed "inselvatichito" dalla fame e dalle difficoltà.

A partire dal 1448, alcune comunità di "zingari" s'insediarono nell'Italia centrale, nel territorio compreso tra Ferrara, Modena, Reggio e Finale Emilia. Stazionavano in aree di confine, spesso gravitando intorno ai principali luoghi di mercato dove potevano commerciare in cavalli, utensili di rame e di ferro fabbricati da loro stessi, e le donne si dedicavano al vaticinio del futuro. A volte i Cingari militarono come mercenari al soldo dei signori, come nel 1469 per gli Estensi di Ferrara, o per i Bentivoglio di Bologna nel 1488. In quegli stessi anni le cronache riportano il loro arrivo a Napoli.

I rom recavano lettere firmate dal santo Padre, sulla cui autenticità permangono forti dubbi, in cui si chiedeva protezione e che per quasi un secolo ricorreranno nelle varie e sporadiche cronache attestanti la presenza dei primi gruppi rom nella penisola. La cronaca della città di Fermo riporta che era stato esibito un documento del Papa «che permetteva loro di rubare impunemente». Di eventuali lettere firmate dal Santo Padre non è stata trovata traccia negli archivi vaticani, anche se un documento che attesta la presenza dei rom a Napoli nel 1435 lascerebbe aperta l'ipotesi che alcune di queste comunità nomadi siano passate per Roma.

Tra il 1470 ed il 1485 è riportata notizia che "conti del Piccolo Egitto" circolavano nel modenese, provvisti di passaporto del signore di Carpi.

È tuttora in dubbio l'origine dei gruppi di "Egiziani" che arrivarono in Italia nel XV secolo, se essi venissero via terra dal'Europa centrale o dal nord oppure se essi siano venuti via mare dai Balcani già durante la caduta dell'impero bizantino. La possibile origine rom di un pittore abruzzese, Antonio Solario, detto lo "Zingaro pittore", lascerebbe supporre che l'arrivo dei rom in Italia andrebbe datato precedentemente il 1422.

Attraverso l'Adriatico e lo Jonio, spesso uniti a dalmati e greci in fuga dall'avanzata dei turchi nei Balcani, diverse comunità cominciarono ad insediarsi nell'Italia Centrale e meridionale, specialmente in Abruzzo e Puglia, provenienti principalmente da Ragusa, crocevia obbligato tra le strade dei Balcani e quelle dei mari, incentivati da vantagi fiscali concessi dagli Aragonesi.

Movimenti analoghi si ebbero nello stesso periodo anche verso la Sicilia, dove già nel XV secolo il nome "zingari" viene registrato negli atti dei notai di Palermo e nei registri della cancelleria della città di Messina, nella quale i "Cingari", ritenuti provenienti dalla Calabria, erano equiparati ad una universitas e godevano di autonomia giudiziaria. Secondo alcuni studiosi la successiva migrazione verso le coste sudorientali della Spagna, insieme ad altri profughi greci, sarebbe partita dalla Sicilia, e sarebbe provata, già dalla metà del XV secolo, dalla presenza dei zinganos in Sardegna e Corsica, isole situate lungo la rotta commerciale con la penisola iberica.

Un altro documento interessante è datato 1506 e riferisce del seppellimento ad Orvieto di tale "Paolo Indiano, capitano dei cingari", che aveva prestato servizio nell'esercito veneziano.

La prima testimonianza scritta di lingua romani in Italia è datata al 1646 e si trova in una commedia di Florido dei Silvestris, nella quale è riportata la frase tagar de vel cauiglion cadia dise (ritrascrivibile in: t(h)agar devel, k aviljom kadja disë), che significa "Signore Iddio, che sono giunto (in) questa città". Questa espressione corrisponderebbe al secondo "strato" della classificazione linguistica fatta da Marcel Courthiade e costituirebbe un elemento per sostenere che i Rom siano arrivati in Italia dai Balcani.

Nelle varie cronache che raccontano dell'incontro con queste comunità di "pellegrini", un importante aspetto è legato al dono della divinazione o della predizione del futuro, così come il commercio dei cavalli, che i rom accompagnavano alle loro richieste di aiuto. Le stesse cronache, allo stesso tempo, sono anche le prime a testimoniare dell'insorgere dei pregiudizi nei confronti dei rom, i quali vengono spesso accusati di furti.

In seguito a diffondersi dei pregiudizi nei confronti dei rom, a partire dal XVI secolo, per circa 250 anni, i governanti europei hanno messo in atto punizioni draconiane fino ad attuare persecuzioni, espulsioni e bandi, per risolvere il supposto "problema" del nomadismo degli "zingari". I rom che fuggivano dal nuovo feudalesimo dell'Europa orientale e dei Balcani finiti sotto il dominio dei turchi, si scontrarono in Europa occidentale con la nascita dello stato post-feudale fondato sull'economia mercantile, proponendo ai cittadini europei un'economia fondata sul dono.

L'assenza evidente di effetti, in seguito ai bandi dalle città e dagli stati, portò poi, in seguito all'avvento dell'assolutismo monarchico e dell'illuminismo, le monarchie degli Asburgo in Austria e dei Borbone in Spagna, ad attuare nuove politiche basate sull'assimilazione forzata dei rom. Con l'obiettivo di rendere gli "zingari vagabondi" in persone "produttive, rispettabili, obbedienti e diligenti" i sovrani illuminati misero in atto misure coercitive per costringere i rom a vivere in aree rurali, destrutturando la loro identità culturale, come mezzo per assimilarli nella società.

In questo periodo storico prese forma un vero e proprio modello occidentale, basato sul divieto ai rom d'insediarsi nelle strutture socioeconomiche locali, salvo il loro annichilimento identitario.

Fin dalle prime notizie storiche relative all'arrivo dei rom in Europa occidentale è possibile trovare traccia di episodi che nel corso degli anni assumeranno il carattere di vere e proprie persecuzioni, il cui approdo alle politiche di assimilazione forzata giungerà in maniera sistematica ad attuarsi a partire dall'instaurazione dello Stato assoluto.

Nel 1417 vengono uccisi alcuni secani in Germania, nel 1419 vengono banditi da Berna e nel 1427 da Parigi. In Italia, sempre a Bologna nel 1422, frà Bartolomeo della Pugliola li descrive come "li più fini ladri che se volesse mai", a Forlì nello stesso anno frà Girolamo dei Fiocchi parla di gentes non multum morigerate, sed quasi brutalia animalia et furentes", a Fermo nel 1430 Antonio di Niccolò li descrive come mala gentes.

A poco a poco incominciò a formarsi una descrizione stereotipata dei Rom: "dicono di essere pellegrini ma si comportano come conquistatori, sfruttano la creduloneria degli indigeni, chiedono elemosine come fossero tributi, sono mal vestiti, non sono affatto poveri".

In un periodo di grandi trasformazioni culturali, socio economiche e religiose della civiltà europea, i rom si trovarono nel giro di pochi anni ad essere additati e stigmatizzati, principalmente dagli esponenti della varie confessioni religiose europee, per l'usanza delle donne di leggere la mano, per le pratiche mediche e curative non cristiane e le altre stregonerie che avrebbero costituito una prova del loro "carattere demoniaco". Nel volgere di pochi anni l'immagine di pellegrini che gli stessi rom avevano contribuito a crearsi diventò così l'immagine di accattoni, ladri e oziosi. Cominciarono ad essere promulgati molti editti e bandi, in alcuni casi potevano anche essere eliminati fisicamente. Con il diffondersi dei pregiudizi nei confronti dei nomadi, comincia a mutare anche il carattere delle donazioni pubbliche: nel 1439 a Siegburg viene fatta una donazione pubblica affinché se ne vadano, così a Bruges nel 1445 (e nel 1451 affinché non entrino in città), nel 1463 a Bamberga e nel 1465 a Carpentras. L'istituzione di pagare i rom affinché andassero via è di grande rilevanza per le sue conseguenza nella storia di queste popolazioni in Europa, nei secoli a venire, e l'Italia è una delle terre dove questa pratica venne subito istituzionalizzata ed ebbe vita più lunga: è attestata in Piemonte nel 1499, nel Trentino nel Seicento ed ancora in Toscana agli inizi dell'Ottocento. Nel 1499 una cronaca di Polidoro Virgilio testimonia dello stato di povertà dei rom, ormai non più creduti come pellegrini, dicendo che "mendicano porta a porta", nel 1505 Giovan Battista Pio scrive di "mendicanti stranieri, seminudi e sempre famelici".
A partire dalla seconda metà dell'Ottocento l'Impero austro-ungarico fu interessato da un'intensa ondata migratoria di comunità rom Cudža e Lovara, provenienti dalla regioni orientali dei carpazi.

L'obbligo da parte delle municipalità di fornire accoglienza e servizi di base ai gruppi di nomadi portò in poco tempo all'esplosione di gravi episodi di intolleranza. Nel 1907, 28 province dell'impero chiesero l'istituzione di un archivio comune per il controllo dei rom. L'assenza di una legislazione adeguata spostò a livello amministrativo il trasferimento delle misure da intraprendere per fronteggiarne l'afflusso. Le decisioni prese: la proibizione dell'elemosina e la deportazione verso i luoghi di residenza; documentano il carattere repressivo delle politiche "anti-zingari".

L'assenza di risorse adeguate portò al fallimento delle politiche di insediamento forzato che avevano caratterizzato le politiche di assimilazione dei rom in Austria ed Ungheria fino al 1918, i rom furono di conseguenza costretti a riprendere la vita nomadica per sopravvivere. Nello stesso periodo cominciarono a crescere e diffondersi i pregiudizi e le tendenze criminalizzanti tra la popolazione residente.

Nelle regioni occidentali dell'Impero, nell'attuale Burgenland, l'incapacità e la non volontà di affrontare la situazione dei rom portò a drammatici cambiamenti. Le politiche di deportazione nelle aree di confine, attuate fin dal 1870, avevano portato ad una massiccia concentrazione di comunità, che vivevano in accampamenti di baracche, fuori i villaggi. L'arretratezza economica delle regioni in cui erano stati deportati portò al fallimento di ogni tentativo di integrazione.

Similarmente a quanto accadde in Germania nello stesso periodo, furono emessi provvedimenti restrittivi ed istituiti registri di polizia, le cui statistiche furono utilizzate in seguito per criminalizzare i rom e provare la loro asocialità. La stampa del Burgenland attuò delle campagne radicali contro gli insediamenti che ebbero l'effetto di contribuire alla crescita dei sentimenti antigitani, chiedendo che la regione "venisse liberata dalla presenza degli zingari".

In seguito all'avvento del nazismo in Germania, il leader del partito nazionalsocialista del Burgenland, Tobias Portschy, trovò terreno fertile per portare avanti il suo progetto di "deportazione e sterilizzazione degli Zingari".

In Ungheria, nel 1931, il ministro dell'Interno adottò un provvedimento per il restringimento del lavoro ambulante, limitando esclusivamente al luogo di residenza.

Nel 1938 fu emesso un ulteriore provvedimento nel quale i rom venivano identificati come sospetti criminali, aprendo nei fatti la strada alla persecuzione ed alle deportazioni nei campi di sterminio nazisti.

L'assenza di risorse adeguate portò al fallimento delle politiche di insediamento forzato che avevano caratterizzato le politiche di assimilazione dei rom in Austria ed Ungheria fino al 1918, i rom furono di conseguenza costretti a riprendere la vita nomadica per sopravvivere. Nello stesso periodo cominciarono a crescere e diffondersi i pregiudizi e le tendenze criminalizzanti tra la popolazione residente.

Durante il governo di Otto von Bismarck, il possesso della cittadinanza divenne un fattore di discriminazione per le politiche di assimilazione delle minoranze Sinti e Rom.

A partire dal 1886, la distinzione tra "nativi" e "forestieri" divenne il principio in base al quale i governanti dei Land del Reich venivano istruiti per adottare le deportazioni o le misure amministrative nei confronti degli "Zigani", deprivando le minoranze dei loro mezzi di sussistenza. I provvedimenti adottati in Baviera ed in Prussia, attraverso l'obbligo di disporre di carte d'identità, passaporti, certificati sanitari, ecc.

Nel 1906 il Reich arrivò a decretare, attraverso il Dipartimento dell'Interno, un provvedimento per "il controllo della situazione degli Zingari", in seguito adottato anche da altri paesi. La direttiva inclusa in questo decreto riprendeva il provvedimento del 1886, nel quale i rom ed i sinti non nativi dovevano essere deportati, attraverso degli accordi bilaterali sottoscritti con la Svizzera, l'Impero austro-ungarico, la Russia, la Francia, l'Italia, la Danimarca, i Paesi Bassi ed il Lussemburgo.

Gli zingari che in seguito alla deportazione avessero fatto ritorno nei territori del reich sarebbero stati arrestati e puniti per "inottemperanza dell'ordine di espulsione".

Le direttive concernenti i "nativi" dividevano le misure da adottare in "preventive" e "soppressive", i minori che non erano venivano registrati venivano dati in affido ai servizi sociali, fu inoltre aumentata la sorveglianza dei rom e sinti da parte delle forze di polizia e furono aumentate le pene per gli “zingari delinquenti” che commettevano reati.

In seguito alla creazione dei registri di "zingari", nella seconda metà dell'Ottocento, da parte di alcune città del Reich, furono create delle agenzie per la sorveglianza dei rom e dei sinti. La prima agenzia, creata a Monaco di Baviera nel 1899, contava 3350 file nel 1904 e diventò in seguito, durante la Repubblica di Weimar, la principale struttura di controllo per la "lotta contro gli zingari".

Nel 1926 il governo della Baviera approvò la "legge per la lotta contro gli zingari, i vagabondi e non volenterosi al lavoro", un atto che in nome della "lotta preventiva contro il crimine", legittimava le autorità a prendere misure contro persone che non avevano commesso nessun reato.

Negli atti successivi gli "Zingari" vennero visti come potenziali criminali e trattati di conseguenza. A partire dagli anni 1920 una delle principali misure per la prevenzione dei crimini fu l'obbligo di registrazione degli "zingari" presso i di dipartimenti di Polizia criminale. In Prussia furono introdotte le rilevazioni delle impronte digitali e la registrazione dei dati biometrici e dei particolari delle persone, inclusi I minori.

Le misure restrittive adottate dall'Impero tedesco ed in seguito dalla repubblica di Weimar, contribuirono enormemente alla costruzione ideologica del "problema degli zingari", e contribuì ad edificare le basi ideali per l'ideologia nazista.

L'esistenza dei file delle agenzie per il controllo degli zingari diventò in seguito la base per la raccolta di informazioni per la deportazione, l'internamento e lo sterminio dei Rom e dei Sinti dopo l'avvento del terzo reich, nel 1933.

Porrajmos (in lingua romaní: devastazione, grande divoramento), è il termine con cui i rom descrivono il tentativo del regime nazista di sterminare il loro popolo.

Durante l'olocausto i rom subirono persecuzioni pari a quelle degli ebrei. Nel 1935 la legge di Norimberga privò i rom della cittadinanza tedesca, dopo quella data essi furono oggetto di violenze, imprigionati in campi di concentramento e successivamente soggetti a genocidio nei campi di sterminio nazisti. Questa politica di sterminio fu attuata anche nei territori occupati dalla Germania nazista durante la guerra e dai loro alleati e in particolare dalla Croazia, dalla Romania e dall'Ungheria.

Poiché non si conosce con accuratezza il numero di rom che al 1935 vivevano in quei territori, è difficile dire con precisione quante furono le vittime. Ian Hancock, direttore del Programma di studi Rom presso l'Università del Texas ad Austin, suggerisce una cifra che oscilla tra le 500 000 e il milione e mezzo di vittime, mentre una stima di 220/500 000 vittime è fatta da Sybil Milton, storico dell'"Holocaust Memorial Museum". pubblicato in Stone, D. (ed.) (2004) The Historiography of the Holocaust. Palgrave, Basingstoke and New York.

Nell'Europa centrale, nei protettorati di Boemia e Moravia, lo sterminio fu così accurato che portò alla completa scomparsa della lingua romanì-boema.

Dopo la seconda guerra mondiale ha preso forma un movimento che è arrivato in occasione del primo congresso nel 1971 a Londra alla creazione dell'Unione Internazionale dei Rom. Questa Unione mira al riconoscimento di un'identità e di un patrimonio culturale e linguistico nazionale senza stato né territorio, cioè presente in tutti i paesi europei.

La bandiera rom, in lingua romaní O styago le romengo, è la bandiera internazionale del popolo rom, uno dei pochi simboli ufficiali di unità per questa popolazione nomade. È stata creata dall'Uniunea Generala a Romilor din Romania (Unione generale dei Rom di Romania) nel 1933, e approvata ufficialmente nel 1971 dai delegati internazionali al primo Congresso Mondiale Rom. Durante il medesimo Congresso venne anche ufficializzato l'inno della popolazione Rom, Gelem, Gelem (anche noto come Romale Shavale).

La bandiera è costituita da due bande orizzontali, la superiore azzurra e l'inferiore verde, che rappresentano il cielo e la terra. Al centro campeggia una ruota raggiata rossa, che rappresenta il continuo migrare dei Rom. Tale ruota è simile a quella presente sulla bandiera indiana, luogo d'origine di questa popolazione, sebbene in quest'ultima essa rappresenti piuttosto un chakra che una ruota vera e propria.



Le radici della cultura zingara si devono ricercare in India. Esistono molti elementi comuni con la cultura, la civiltà e le lingue dravidiche, cioè le popolazioni che, arrivate in India prima del 3500 a.C., si stabilirono nelle regioni del Deccan e del Panjab. Nella cultura dei Rom e dei Sinti si incrociano poi molti influssi; questo popolo è infatti entrato in contatto con molti altri popoli assumendone in parte usi e costumi. Elementi culturali comuni sono il senso di indipendenza, il ruolo della vita (più importante di qualsiasi valore), il rifiuto della guerra, l'attenzione per i bambini, l'autorità paterna ed il ruolo subordinato della donna e l'amore per la musica.

Nei testi di letteratura zingara si trovano molti riferimenti a spiriti buoni o cattivi che intervengono nella vita degli uomini. Anche gli zingari credono nella metempsicosi, cioè che l'anima di un essere umano nel momento della morte si trasferisca o in un oggetto, o in un animale, o in un altro uomo; spiriti che possono essere puri o impuri. Legata al concetto di puro e impuro è la concezione del tempo, ed in particolare, della ruota della fortuna, legata a sua volta al destino (Karma): l'universo è guidato dal destino e tutto avviene secondo le leggi da esso fissate. Questo spiega un certo fatalismo presente nella cultura zingara, che purtroppo ha perso molti dei suoi valori nell'ultimo secolo a causa della imposizione della "nostra" cultura, basata sulla tecnologia e sulla comunicazione.

Per capire quale importanza ha per i Rom e i Sinti la religione bisogna risalire alle origini di questo popolo. Ci sono grandi differenze tra i diversi gruppi di zingari: alcuni sono musulmani, altri cristiani ortodossi, altri cattolici o luterani. Alcuni festeggiano il Natale e la Pasqua, altri che festeggiano il Bajram ed il Kurban Bairam. Alcuni elementi di origine indiana sono comuni, pur essendo stati affiancati da valori appartenendi alle religioni dei paesi ospitanti. Comune a tutti gli zingari è la credenza negli spiriti dei morti e la fede nel Destino (fortuna). Ci sono poi alcuni miti, come quelli riferiti all'acqua o quello della battaglia e della vittoria di Indra, che costituiscono un patrimonio religioso comune. Indra è una delle grandi divinità induiste assieme a Shiva e Vishnu. Quest'ultima, si sarebbe presentata agli uomini come Rama; c'è chi sostiene che il nome rom ( o roma ) significhi proprio figli di Rama. Ci sono poi alcuni "santi" comuni a rom e sinti sia cristiani che musulmani, in particolare Bibi (o Sara) la Nera e San Giorgio.

La famiglia costituisce per i Rom e i Sinti l' elemento fondamentale della loro vita sociale. Il vincolo con la famiglia e con il clan è molto forte perchè sono queste istituzioni che garantiscono la protezione e la sicurezza. La famiglia si deve occupare anche di quelle funzioni che nella nostra società sono affidate ad altre istituzioni, come la scuola, l'amministrazione pubblica, lo stato... Per Sinti e Rom non esistono ospizi per i vecchi; nessuno abbandonerebbe mai una persona anziana che è membro della famiglia. Le donne sono sottomesse agli uomini anche se molto spesso sono proprio loro che si occupano della cura della famiglia e si danno da fare per trovare i soldi con i quali mantenere tutti i componenti della stessa. Sono loro che vanno in giro a chiedere la carità, a leggere le mani, a vendere fiori o altri oggetti di artigianato.

Per molti secoli i sinti ed i rom non hanno conosciuto la scuola. Imparavano vivendo in famiglia e nel clan. In questo modo apprendevano tutto ciò che era utile ed importante per sopravvivere. I giovani conoscevano la storia del loro popolo dai racconti dei vecchi che tramandavano, solo oralmente, la cultura zingara. Questo modo di apprendere è entrato in crisi negli ultimi secoli, dopo che la rivoluzione industriale ha imposto nuovi modelli economici e culturali. Il fatto di essere analfabeti han creato non pochi problemi agli zingari nel momento in cui hanno dovuto avere rapporti con la burocrazia dei vari stati: anche attraversare un confine diventa un grosso problema per chi non sa leggere e scrivere e non può dunque controllare dei documenti. Diventa dunque importante che i ragazzi zingari possano frequentare le scuole e lo possano fare con continuità e non sentendosi degli "intrusi", e perchè questo non succeda è necessario che la loro cultura sia conosciuta dagli insegnanti e dagli altri ragazzi e che sia rispettata la loro diversità. Per permettere agli zingari di frequentare le scuole con continuità e profitto sarebbe importante o costruire dei campi-sosta attrezzati nei quali le famiglie si possano fermare per più tempo garantendo così la frequenza dei figli a scuola , o istituire delle scuole itineranti nelle quali anche gli insegnanti viaggino assieme ai ragazzi; questo sarà possibile nel momento in cui ci saranno dei maestri sinti o rom.

Per molti secoli i sinti e i rom hanno esercitato dei lavori che erano in accordo con il tipo di vita nomade che facevano, professioni che sono state tramandate dai padri ai figli: per questo alcuni gruppi di zingari portano ancora oggi un nome che proviene dal lavoro che faceva il gruppo (lovara - allevatori, kalderasha - calderai e fabbri, lautari - musicisti). Molti di questi lavori offrono poca possibilità di guadagno nella nostra società odierna: rimangono così poche possibilità di lavoro per gli zingari anche perchè, fino ad oggi, hanno frequentato poco le scuole e dunque è per loro particolarmente difficile trovare una nuova occupazione. E' forse per questo che alcuni giovani zingari, soprattutto dei gruppi più poveri, cadono nella rete tesa dalla malavita.

La sensibilità degli zingari per la musica è proverbiale. E' facile trovare negli accampamenti dei sinti e dei rom degli strumenti musicali, soprattutto violini, cimbali, chitarre. Quasi mai questi musicanti conoscono le note musicali ed i trattati sull'armonia: più che compositori sono dei bravi arrangiatori della musica popolare. Gli zingari sono anche bravi artigiani nella produzione di strumenti musicali. Un esempio della creatività zingara nel campo della musica è il flamenco, espressione musicale tipica dei gitani, cioè dei rom di Spagna. Il flamenco (chitarra, danza, canto e battito delle mani) è diventato famoso in tutto il mondo.
Dopo la seconda guerra mondiale ha preso forma un movimento che è arrivato in occasione del primo congresso nel 1971 a Londra alla creazione dell'Unione Internazionale dei Rom. Questa Unione mira al riconoscimento di un'identità e di un patrimonio culturale e linguistico nazionale senza stato né territorio, cioè presente in tutti i paesi europei.

In Italia, con compiti di mediazione culturale, è attiva l'associazione, eretta in ente morale, denominata "Opera Nomadi".

Come per la storia delle origini delle popolazioni di lingua romaní, anche l'origine del termine rom è aperta a diverse ipotesi dibattute tra gli studiosi.

Rom è l'autonimo che la maggioranza della popolazione di lingua romaní utilizza per denominare il proprio gruppo. Si ritiene che questo termine sia strettamente correlato all'etnonimo Ḍom/Ḍomba, la cui prima apparizione nei testi sanscriti risale al "Sádhanamálá" (VII secolo d.C.), dove viene narrata l'esistenza di un re Ḍom, Heruka.

Questa ipotesi si basa sull'analogia tra la popolazione dei ḍomba o ḍomari (in sanscrito ḍoma, ma anche Domaki, Dombo, Domra, Domaka, Dombar e varianti dalla stessa radice), e i dom, un gruppo etnico dalle caratteristiche sedentarie e nomadiche del Medio Oriente. Tra le varie ipotesi, una delle più suggestive indicherebbe nella radice sanscrita Ḍom, onomatopeicamente connessa al suono del tamburo, che in sanscrito corrisponde alla parola Ḍamara e Ḍamaru, l'origine del termine. Le donne Domba avevano un ruolo importante nelle pratiche tantriche perché considerate intoccabili e immonde, inoltre era considerato degradante avere rapporti sessuali con loro, per questo motivo venivano selezionate per le pratiche tantriche di auto-umiliazione.

I dom medio-orientali hanno una ricca tradizione orale ed esprimono la loro cultura e la loro storia attraverso la musica, la poesia e la danza.

Nel nord-ovest dell'India, ancora oggi, numerosi Jati sono chiamate con il termine Ḍom, il che induce a ritenere che abbia avuto in passato lo status di un etnonimo. L'esistenza, inoltre, di rovine di antiche fortezze, chiamate "Ḍomdigarh", costituirebbe una prova che sia effettivamente esistito il regno dei Ḍom/Ḍomba, in seguito distrutto dalla dinastia Gupta, evento che avrebbe provocato la perdita dello status etnico dei Ḍom e la loro riduzione in Jati di infimo ordine.

In base agli studi e le ricerche effettuate sui Ḍom/Ḍomba di oggi (sulla loro cultura, religione, etc.) si ritiene che essi appartengano a una popolazione che aveva abitato l'India prima dell'invasione degli Arii (nel 1500 a.C. circa).

Le prime ipotesi sulla correlazione tra il termine "rom" e i Ḍom/Ḍomba furono formulate dall'orientalista tedesco Hermann Brockhaus nel XIX secolo, e in seguito riprese dall'indologo tedesco August Friedrich Pott (pubblicate in un testo che è considerato la base dei moderni studi sui rom ("Die Zigeuner in Europa und Asien", 1845).

Hermann Brockhaus trovò il termine Ḍom/Ḍomba in due importanti testi di letteratura sanscrita bramina: nel Kathasaritsagara ( "Oceano di Storie", una famosa collezione di leggende indiane scritta da Somadeva nell'XI secolo) e nel "Rajatarangini" ("Il Fiume dei Re" una collezione scritta da Kalhan, considerato il primo storiografo kashmiri). In entrambi questi testi i Ḍom/Ḍomba appartengono alla casta più bassa mentre gli autori appartenevano alla più alta casta, che considerava le popolazioni non arie come estranee al sistema Hindu, che era stato vittorioso sulle popolazioni dell'India.

In alcune regioni dell'India di oggi (ad esempio a Benares), sono i Ḍom/Ḍomba che esercitano la funzione di cremare i morti, attività considerata degradante e "sporca". Diversamente nel Rajasthan, nel Punjab e nell'Uttar Pradesh, molti Ḍom esercitano il mestiere tradizionale di musicisti e alcuni membri di questo gruppo sono considerati influenti.

In India, gruppi simili ai Ḍom/Ḍomba, per condizioni sociale e caratteristiche professionali, sono i gaḍe lohars (gaḍí: carro; lohár: fabbro), fabbri ambulanti; i Badis (tra i rom Badi/Bodi è uno dei cognomi più diffusi) suonatori di musica e acrobati; i Badjos (Badžo è un cognome molto diffuso tra i rom dell'Europa dell'est) musicisti; i Banjaras che sono mercanti fuori casta.

Oggi, in lingua romaní, rom significa uomo, marito e designa l'etnia stessa solamente presso i rom propriamente detti.

La gran parte dei rom europei parla il romaní ("romani chib") e sono divisi in "sottogruppi" ("endaïa"):

I diversi sottogruppi vengono individuati sulla base di un criterio principalmente ergonimico (fatta sulla base del lavoro svolto). Fra questi i più comuni sono:

Khorakhané ("amanti del corano") Shiftarija (albanesi). Sono musulmani, provenienti soprattutto dal Kosovo, la regione della ex Jugoslavia, ma anche dalla Macedonia e dal Montenegro.
Khorakhané Crna Gora (Montenegro) sono i principali conservatori della tradizione della lavorazione del rame.
Khorakhané Cergarija ("quelli delle tende") provengono dalla Bosnia (Sarajevo, Mostar, Vlassenica). Varianti fonetiche dei Khorakhané (trascritti anche come Xoraxane) sono Korane, Korhane.
Kanjarja cristiano-ortodossi. Provengono perlopiù da Serbia e Macedonia.
Rudari ("intagliatori"), cristiano-ortodossi. Parlano il rumeno. Apprendono il romaní per frequentazione di altri gruppi rom. Provengono perlopiù dalla Serbia.
Lovara, (dall'ungherese ló = cavallo), allevatori e commercianti di cavalli
Kaloperi ("piedi neri") sono piccoli gruppi, questi ultimi musulmani e provenienti dalla Bosnia.
Gagikane, cristiani ortodossi, provengono perlopiù dalla Serbia.
Căldărari (o anche Kotlar(i) o Kalderash o Kalderásha, Котляры (Kotlyary) e Кэлдэрары/Kelderary in Russo e Ucraino), originari dei Balcani, della Serbia in particolare, tradizionalmente dediti al mestiere del ramaio;
Churára o čurára: affilatori di coltello (dal romaní čurín = coltello);
Làutari: originariamente suonatori di làuto (liuto o cordofono affine) e, per estensione, musicisti professionisti designati per l'intrattenimento di feste, matrimoni e ricorrenze;
Machwáya, Boyásha e altri.
A ogni sottogruppo si fa seguire una ulteriore divisione per nazionalità (nátsija), quindi per discendenza (vítsa) prendendo il nome del capostipite, quindi per famiglia, per arrivare all'individuo.

Nei Balcani ci sono gruppi gitani che si autodefiniscono Rom ma che non parlano il romaní. Questi gruppi includono:

i Boyash (chiamati anche, a seconda del paese: Beash, Bayash, Banyash, Baiesi or Rudari).
gli Ashkali, che parlano albanese.
Altri gruppi che hanno simili caratteristiche culturali e sociali con i rom, come gli egiziani del Kosovo (così si autodefiniscono perché ritengono di provenire dall'Egitto), e gli ashkali rimarcano fortemente le loro differenze etniche con il resto delle popolazioni rom.

I rom si distinguono inoltre da:

i kalé che hanno perduto l'uso della lingua rom, si definiscono kalé e vivono soprattutto in Spagna e vengono definiti gitanos dagli spagnoli (termine che significa "Egiziani")
i sinti (o sinte), tra i quali si possono distinguere i sinti piemontesi e lombardi, la cui lingua è largamente influenzata dall'italiano e dal piemontese, e i Sinti del Nord, la cui lingua è influenzata dal tedesco e dall'alsaziano. Essi si definiscono Sinti e sono chiamati manouches dai francesi.

La tradizionale struttura sociale dei Rom è rimasta intatta solo presso alcuni piccoli gruppi.

Il Porrajmos distrusse la gran parte delle organizzazioni sociali preesistenti tra i gruppi Rom e Sinti dell'Europa centrale e orientale e i sopravvissuti allo sterminio nazista non furono in grado di ristabilire una nuova identità Rom.

La politica di assimilazione forzata dei paesi ex socialisti, attraverso il coinvolgimento dei Rom nei Kolkhoz contribuì, infine, a mettere fine al carattere nomadico delle popolazioni rom e alla struttura sociale che ne conseguiva.

Le differenze storiche e culturali sedimentatesi nel corso della diaspora delle popolazioni rom fino in Europa, durante i secoli precedenti, hanno portato a una disomogeneità tra gruppi, principalmente tra i Rom e i Sinti, che si è sviluppata in differenze linguistiche e sociali.

Tra i principali gruppi e sottogruppi Rom e Sinti è tuttavia possibile affermare che il sentimento di appartenenza sia principalmente esteso alla "famiglia", prima che al gruppo in quanto tale.

A causa quindi dell'eterogeneità tra le comunità Rom, gran parte degli antropologi ed etnologi ritengono possibile indicare in dettaglio solo le dinamiche intra-gruppo che fanno da sfondo agli aspetti sociali e organizzativi del "gruppo": la consapevolezza di appartenere all'etnia Rom, il desiderio di essere indipendenti e dissociati dai Gadže (Gagé), l'adattabilità e la sopravvivenza alle condizioni che minacciano la propria identità etnica.

La famiglia (padre, madre, figli) è la struttura base della comunità rom. Oltre essa si pone la famiglia estesa, che comprende i parenti con i quali vengono sovente mantenuti i rapporti di convivenza nello stesso gruppo, comunanza di interessi e di affari. Oltre alla famiglia estesa, presso i rom esiste la kumpánia, cioè l'insieme di più famiglie non necessariamente unite fra loro da legami di parentela, ma tutte appartenenti allo stesso gruppo e allo stesso sottogruppo o a sottogruppi affini.

La struttura sociale del gruppo, in generale, è definita dalla "coscienza collettiva" determinata dai confini che vengono posti nei confronti dei Gadže (Gagé), così come nei confronti degli altri gruppi Rom e Sinti.

1 commento:


Eseguiamo Siti e Blog a prezzi modici visita: www.cipiri.com