sabato 25 aprile 2015

SANT ' AMBROGIO OLONA

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Sant'Ambrogio è un quartiere della città di Varese posto nel quadrante nordoccidentale dell'area urbana.

Il primo nome del rione fu Segocio, in quanto le cronache del tempo affermano che la Madonna vergine madre di Dio apparve a Sant'Ambrogio nel luogo di "Segocio" (la zona centrale del rione) che in seguito fu chiamato Sant'Ambrogio Olona in onore del Santo Vescovo ed al fiume che scorre nella zona.

Sotto l'impero Romano, anche Segocio, come tanti altri punti strategici circostanti della zona varesina allo sbocco delle valli, venne interessata dalla costruzione di un sistema difensivo formato da presidi di vedetta realizzati con grossi conci di pietra e collegati fra loro attraverso alcune strade, che arrivavano fin sulla cima del Sacro Monte.

Fu così che venne innalzata la torre (oggi campanile), che fece delle poche case che la circondavano il primo vero nucleo di quello che sarebbe diventata l'attuale frazione di Sant'Ambrogio Olona.

Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 345 abitanti, nel 1786 Sant'Ambrogio entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 400 abitanti. Nel 1809 il comune fu soppresso su risultanza di un regio decreto di Napoleone che lo annesse a Velate, ma l'autonomia municipale di Sant'Ambrogio fu poi ripristinata con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi discretamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 600 anime, salite a 698 nel 1871. Nel frattempo, dal 1863, il governo aveva cambiato la denominazione del comune in Sant'Ambrogio Olona. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 1201 residenti del 1921. Fu quindi il fascismo a decidere nel 1927 la nuova e definitiva soppressione del municipio locale, stabilendo l'annessione dell'abitato a Varese.

In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Sant’Ambrogio Olona con 622 abitanti, retto da un consiglio di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel mandamento I di Varese, circondario II di Varese, provincia di Como.
Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia, il comune aveva una popolazione residente di 640 abitanti (Censimento 1861). Sino al 1863 il comune mantenne la denominazione di
Sant’Ambrogio e successivamente a tale data assunse la denominazione di Sant’Ambrogio Olona (R.D. 8 febbraio 1863, n. 1192). In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1867 il comune risultava incluso nello stesso mandamento, circondario e provincia (Circoscrizione amministrativa 1867). Popolazione residente nel comune: abitanti 698 (Censimento 1871); abitanti 775 (Censimento 1881); abitanti 880 (Censimento 1901); abitanti 1.064 (Censimento 1911); abitanti 1.201 (Censimento 1921). Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Varese della provincia di Como. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. Nel 1927 il comune venne aggregato alla provincia di Varese. Nel 1927 il comune di Sant’Ambrogio Olona venne aggregato al comune di Varese (R.D. 24 novembre 1927, n. 2247).

La chiesa edificata in onore del Vescovo e della vergine, in quei tempi, doveva essere assai ridotta anche perchè il luogo era isolato, ma ricco di essenze arboree, successivamente nel secolo XII la piccola costruzione venne sostituita dalla chiesa "PARROCCHIALE ANTICA" di stile romanico, della quale rimane l'abside accanto al campanile.

L'edificio della chiesa parrocchiale, dichiarato Monumento Nazionale, sorge nel centro della frazione di S. Ambrogio Olona.

Il suo campanile, originariamente privo di cella campanaria e cupola, altro non è che l'antica torre romana presso la quale Ambrogio, vescovo di Milano, sconfisse gli Ariani nell'Alto Medioevo.

La chiesetta - attribuibile secondo alcuni al XII secolo, secondo altri alla seconda metà del XI secolo - venne costruita presso la torre romana preesistente per soddisfare le accresciute esigenze della popolazione del tempo (200-250 abitanti), la cui dipendenza ecclesiastica da Varese diveniva pesante, anche a causa delle difficoltà nei collegamenti fra i due abitati.

L'edificio attuale sorge sul luogo dell'antichissima cappellina: la parte absidale tuttora visibile ne testimonia lo stile romanico, orientato secondo l'antica usanza da oriente a occidente e dalla forma di rettangolo perfetto, a cui si aggiunge il semicerchio dell'abside.

Nonostante la perdita nel 1890 di una buona metà della struttura originaria, si possono ancora vedere le immorsature della copertura originaria del tetto, la finestra centrale ancora intatta e le tracce di quella a nord (quella a sud, sulla piazzetta, è stata eliminata nel ‘700).

Sul fianco meridionale inoltre sono visibili, in alto, i resti di una finestra ad arco tondo, della primitiva costruzione romanica.

Dopo studi approfonditi, nel 1949 il pittore santambrogino Luigi Daverio ha richiamato l'attenzione di critici e studiosi sul notevole complesso di affreschi interno alla chiesa.

Nella volta della cappella laterale dell'antica parrocchiale, inquadrati tra stucchi di fattura barocca, sono stati svelati dipinti attribuiti a Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, il più singolare artista del Seicento lombardo, le cui opere sono ammirate anche nella Basilica di S. Vittore di Varese, nella settima cappella del Sacro Monte, nel Santuario di Varallo, a Novara, Como, Piacenza.

Al centro degli affreschi è raffigurato l'Eterno Padre benedicente, attorniato dalla colomba simbolo dello Spirito Santo e da pannelli con gruppi di angeli musicanti di mirabile fattura.

Dopo attenti studi, anche la bellissima Madonna dipinta su tavola da anni riposta nel coro, ha ritrovato l'antico splendore: essa è dovuta al valente pennello di Carlo Francesco Nuvolose (1608-1661), il maggior esponente di una famiglia di noti pittori, discepolo di Giulio Cesare Procaccini.

Celebri i suoi dipinti e ricercatissime le sue Madonne che, ricche di grazia e di soavità, si avvicinavano moltissimo allo stile del Veronese e del Murillo.

Tutti gli studi critici e le attribuzioni sono state pienamente confermate dalla professoressa Eva Tea, docente di storia delle Arti all'Accademia di Brera e all'Università Cattolica di Milano, nel corso di un sopralluogo eseguito a brillante coronamento del lungo e paziente lavoro compiuto dal Daverio.

La chiesa parrocchiale di S. Ambrogio si onora, inoltre, anche di due notevoli bassorilievi che un parrocchiano, lo scultore Angelo Frattini, eseguì agli inizi della sua felice carriera artistica.

Essi sono in opera nelle lunette sopra le porte che dall'altare maggiore introducono in sacrestia e alla Grotta di Lourdes, e raffigurano La Speranza e La Fede.

S. Ambrogio ha sempre nutrito un profondo culto per la patria, ad onore e gloria della quale ha anche immolato parecchi dei suoi Figli migliori: ne è testimonianza il Monumento ai Caduti, eretto in piazza Milite Ignoto dopo la prima guerra mondiale.

Lo scultore Ernesto Bazzano, chiamato a realizzare l'opera, modellò un soldato che impugnava la bandiera nazionale, proteso verso la trincea nemica.

Il bronzo, collocato su un piedistallo di pietra in mezzo a un giardinetto recinto, vi rimase fino al 1943, quando venne rimosso dalle truppe tedesche di stanza in Alta Italia, che lasciarono solo il nudo piedistallo.

Al termine del secondo conflitto mondiale, un Comitato esecutivo emanazione della locale Sezione Combattenti e Reduci, diede incarico al santambrogino Angelo Frattini di studiare un nuovo bronzo, raffigurante la gioventù nell'atto di stringersi al petto la bandiera, simbolo della Patria.

L'opera, realizzata con il solidale contributo di tutta la popolazione, venne inaugurata il 9 settembre 1957 alla presenza delle maggiori autorità cittadine e provinciali e dell' onorevole Tambroni, allora Ministro degli Interni, che tagliò il nastro d'onore.

Il bronzo fu anche benedetto dal parroco don Barnaba Stucchi, e fu madrina la signorina Corinna Marocchi, sorella di un glorioso caduto pluridecorato.

Sulla pietra del piedistallo venne scolpita questa dedica: "Sulla pietra monca e fredda risorge il Soldato d'Italia. Nello sguardo la visione della Vittoria, della Gloria, del Martirio. Nel gesto, la difesa della Patria immortale."

S. Ambrogio Olona è ricordata nella storia del Risorgimento italiano per aver ospitato il grande condottiero dei Cacciatori delle Alpi e delle camicie rosse, nelle giornate fatidiche del maggio 1859, quando la città di Varese si affrancò dalla dominazione austriaca.

Racconta in proposito lo scrittore Carrano: "L'ex maggiore austriaco a riposo, italiano, abitava in S. Ambrogio la casa di una suo nipote, residente in Londra la quale, presentando, unica fra le altre, un aspetto civile e vago, poteva essere facilmente rimarcata ed attirare lo sguardo e l'attenzione dei passeggeri.

Quando giunse Garibaldi era già calata la notte, ed anche senza le eccezionali circostanze d'allora, la porta della casa in discorso sarebbe stata egualmente serrata, poiché era vecchia abitudine del maggiore Zanzi il coricarsi presto la sera per alzarsi prestissimo il mattino.

Era dunque naturalissimo che la porta fosse chiusa, e che s'avesse a picchiare per farla aprire, allorché Garibaldi decise di volere entrare a passare la notte in quella casa.

Il maggiore Zanzi era a letto ammalato, ma diede ordine al proprio domestico di aprire e dare ospitalità.
Per cui la casa fu tosto messa a disposizione del generale Garibaldi e del suo seguito.

In un momento furono approntati 24 materassi per ristorare le membra affaticate dei sopraggiunti e le tre nipoti del signor Zanzi – per quanto spossate e bisognevoli anch'esse di riposo, in quanto ivi rifugiatesi, fuggitive da Varese – vegliarono in piedi tutta quanta la notte, per cedere stanze, letti, divani e sedie ai benvenuti".

Nella casa Zanzi, Garibaldi riposò in una stanzetta a piano terreno, dove non c'era di meglio che un libro legato elegantemente "che era uno schema o almanacco militare dell'Impero d'Austria".

Sempre dal suo quartier generale di S. Ambrogio, il grande Condottiero italiano scriveva al Commissario Regio in Como, signor Venosta: "Io sono a fronte del nemico a Varese – penso di attaccarlo questa sera. Mandate i paurosi e le famiglie che temono fuori della Città, ma la popolazione virile, sostenuta dal Camozzi nostro, le due Compagnie, i Volontari e le campane a stormo, procurino di fare la possibile resistenza".

Prosegue il Della Valle nel suo libro: "A tale scopo, scaglionati i suoi Battaglioni a destra verso Masnago, ed a sinistra verso Induno, egli stesso in persona (Garibaldi) collocò gli avamposti dinnanzi a S. Ambrogio.

Quindi, accompagnato da due ufficiali di Stato Maggiore, dal capitano Simonetta e dal signor Adamoli di Varese, si portò per una ricognizione su di un colle a destra della strada da S. Ambrogio a Varese, da dove poté osservare la sottoposta Città e rilevare le forti posizioni che gli Austriaci tenevano fuori di essa, sulle alture e nelle ville circostanti.
Conosciute quelle favorevolissime posizioni del nemico, vedutolo preparato e pronto a riceverlo, e consideratone il numero sproporzionatamente superiore alle sue forze, Garibaldi dimise il pensierino di tentare nuovamente colà la fortuna delle armi e fece ritorno a S. Ambrogio".

Era il I giugno 1859.

Il giorno seguente "…il generale andò fuori all'alba a riconoscere il nemico, secondo il suo costume di volere osservare ogni cosa coi propri occhi, e scoprì che esso erasi avanzato anche verso S. Ambrogio, occupando Biumo Superiore, e dominando da questo promontorio la strada da S. Ambrogio a Varese.

S.Ambrogio vanta la presenza di numerose ville d'epoca liberty, con torrette, palmizi e ferri battuti floreali, segno della stagione turistica d'inizio secolo e del primo dopoguerra: molti signori di Milano infatti sceglievano la zona tranquilla e salubre del Varesotto per trascorrervi i mesi estivi.

Di grande suggestione è Villa Toeplitz, costruita in stile eclettico sul finire dell'800 per conto della famiglia del fondatore dell'appena fondata Banca Commerciale Italiana.

La villa, costruita sulla collina a levante del paese, è in posizione dominante verso l'Orsa, il Bisbino, Brunate, la piana di Induno, il Comasco e verso la zona a mezzodì del Rione.

Oltre alla terrazza panoramica affacciata sulla valle dell'Olona, è da notare la torretta con specola per le osservazioni astronomiche. Lo splendido parco, realizzato nel 1927, è percorso da un sofisticato gioco di prospettive e sentieri e disseminato di notevoli fontane in pietra.

Lo splendore della villa troverebbe origine nella determinazione e nel gusto di donna Edvige Toeplitz, ispiratrice del meraviglioso giardino e collaboratrice intelligente del marito, Giuseppe Toeplitz, che verso la fine della prima guerra mondiale, acquistata la villa a cui diede il proprio nome, ampliava i terreni della proprietà fino ad avere lo spazio sufficiente alla realizzazione di uno dei suoi sogni.

Un lato del terreno fu trasformato in frutteto, con una coltura completa di ogni qualità di pere e mele ad alto fusto. Nel medesimo tempo, l'interno della villa subiva notevoli modifiche, mentre nella zona più alta del parco veniva edificata la bella Cappella.

La realizzazione dello splendido parco fu affidata a un famoso giardiniere francese, a patto tuttavia che si attenesse alle precise indicazioni di donna Edvige, ispirate alle meraviglie osservate durante i suoi avventurosi viaggi in Asia.

Ad esempio, il disegno del giardino riconduce chiaramente a Shalimar-Bag e Nisha-Bag, le due più belle realizzazioni dell'imperatore mongolo Babar (detto proprio "Padre dei Giardini"), da cui donna Edvige rimase profondamente affascinata durante il suo viaggio nel Kashmir.

La villa ed il suo parco diventarono presto centro di raffinata vita culturale ed artistica: intorno a donna Edvige si raccoglievano musicisti, compositori, cantanti, attori e attrici.

I Toeplitz, profondamente religiosi, vollero anche la costruzione di una Cappella, per la quale fu chiamata dalla Polonia la signorina Goraska, architetto, che diede vita a un piccolo capolavoro.

Degli affreschi si occupò il celebre pittore polacco Rosen, lo stesso che, su invito di Papa Pio XI, eseguì nella Cappella privata del Pontefice a Castelgandolfo gli affreschi della difesa di Czestochowa, raffigurandovi la famosa Madonna Nera. Lo stesso Rosen ha affrescato anche la cappella di famiglia al cimitero di Sant'Ambrogio dove è raffigurata l'immagine del Cardinale di Milano S.E. Idelfonso Schuster.

Ma le sorprese, in questo giardino della felicità sono quasi inesauribili.

Donna Edvige, che si interessava anche di astronomia, fece costruire anche un piccolo Osservatorio, perfettamente attrezzato, valendosi della collaborazione del prof. Bianchi, direttore dell' Osservatorio di Brera e creatore dell' Osservatorio di Merate e del Planetario di Milano.

Con la morte di Giuseppe Toeplitz, il complesso fu ereditato dalla moglie e dal figlio Ludovico che, dopo la seconda guerra mondiale, lo vendettero ai fratelli Mocchetti di Legnano.

Nel lasciare la villa, dopo la scomparsa del marito, donna Edvige cedette sì il telescopio ma lasciò intatta la cupola mobile.

La proprietà passò infine, nel 1972, al Comune di Varese, che volle aprire il parco al pubblico e destinare l'edificio ad una funzione scolastica.

Attualmente la villa è sede dell'Università dell'Insubria di Varese.

Il complesso dei Molini Grassi, sia per la loro struttura architettonica (sono composti da più edifici su più livelli naturali lungo l'Olona) che per la dotazione ruote (ben sette iscritte a Catasto nel 1881) è stato senza dubbio uno fra i più importanti della nostra zona.

Date presenti su una parete interna dell'edificio più a Sud (1730) e soprattutto l'affresco esterno sulla facciata dell'edificio a Nord (1675) ne attestano la presenza sin dai tempi più antichi.

Ancora di grande valore l'ambito circostante.

Il complesso dei Molini Grassi, grazie anche ad  alcuni   recenti   interventi  di   restauro,  ha mantenuto una consistenza strutturale originaria ancora facilmente visibile.

Sono tuttora presenti due ruote in ferro a  testimonianza di un passato recente.

Attualmente parte degli edifici (quelli a Nord sono disabitati, mentre gli altri sono abitati).




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