sabato 20 giugno 2015

LA CHIESA DI SAN LORENZO A VEROLANUOVA

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La Parrocchiale di San Lorenzo Martire custodisce un importante tesoro d'arte. Nel 1580 il cardinale Borromeo raccomandò ai Gambara di ingrandire la chiesa esistente e fu consacrata nel 1647, anche se l'alta cupola (sormontata da un grande Angelo in rame) fu completata solo all'inizio dell'700. E' a croce latina e sorse dov'era precedentemente una chiesa dei Disciplini.
La volta all'interno è a botte liscia, sostenuta da larghe lesene corinzie sormontate da un elaborato cornicione con fregio rinascimentale in rilievo, che gira per tutta la chiesa. Tra le opere d'arte due tele, Caduta della manna e Sacrificio di Melchisedech, eseguite in grandi dimensioni nel 1740-41 da Giambattista Tiepolo.
Inoltre dipinti di Andrea Celesti (Assunta, Natività di Maria e Martirio di San Lorenzo, di Pietro Ricchi detto il Lucchese (San Francesco Saverio), di Andrea Bertanza, di Francesco Maffei (Angelo custode e Ultima Cena), di Giovan Battista Trotti detto il Malosso (Madonna e Santi) e del Ciavichino. Tale concorso di grandi artisti è dovuto al munifico mecenatismo dei Gambara.

Opera dei maestri di fabbrica Antonio e Domenico Comino, sorge nella parte più elevata del centro del paese, al posto di un preesistente oratorio dei Disciplini. La posa della prima pietra, secondo una annotazione del "Libro Cronologico" dei Cappuccini di Verolanuova, avvenne il 10 agosto 1633, deliberata collegialmente nel precedente gennaio dai rappresentanti del popolo, dal clero e dai maggiorenti della famiglia dei Conti Gambara.
Con l'inizio della costruzione, architettonicamente interessante per la sua singolare concezione, si compiva il voto solenne espresso dalla popolazione verolese durante la drammatica esperienza della peste del 1630 e si esaudivano anche le più antiche sollecitazioni del Cardinale Borromeo (San Carlo), da lui espresse al cugino Gambara durante la visita pastorale del 1580 per le crescenti necessità di culto e di decoro della dignità prepositurale.
L'impegno di mezzi e di uomini, veramente cospicuo, sostenuto dalla comunità, dalle Confraternite, dai Vicari, dai singoli e dalla famiglia Gambara, a cui si devono senz'altro gli orientamenti artistici, si protraeva per diversi anni, ostacolato da guerre e carestie.La chiesa veniva consacrata il 30 giugno 1647 dal Vescovo di Brescia Marco Morosini.
Mentre quasi tutte le chiese parrocchiali costruite in provincia di Brescia durante il 1600 (circa una quarantina) seguono lo schema compositivo e strutturale delle chiese del tardo '500, risultanti come un unico vano voltato a botte, che comprende nave e presbiterio, quella di Verolanuova, come poche altre, costituisce un'eccezione: infatti si stacca dall'architettura locale e dall'ambito degli artisti locali, portando nelle sue linee compositive e strutturali apporti e contributi diversi e notevoli. Gli artisti, che qui lavorarono, vennero certamente scelti dai Gambara fra i migliori, a Venezia, a Roma od altrove, dove ampi ed umanistici erano i loro legami.

La facciata rimasta incompleta, accenna motivi ornamentali a testimonianza di un preciso intento decorativo. L'ampio ed alto frontone, a timpano triangolare, è completato da due torricelle, impostate sugli angoli della facciata: un impianto architettonico di non facile riscontro in territorio bresciano. La semplicità delle linee di ordine toscano sottolineano l'essenzialità dell'intero organismo, rendendo, unicamente alla cupola, senso di grande spazialità. Di stile composito, a doppio ordine, è il pregevole portale.

L'imponente composizione spaziale interna a croce latina, di tipica concezione controriformista, voltata a botte liscia, trovasi costantemente cadenzata da larghe ed alte lesene corinzie, sormontate da un elaborato cornicione a fregio rinascimentale in rilievo, dalla costante e continua linea d'ornato, che si sviluppa per tutto l'intero contorno. L'ampia, unica navata si presenta ritmata dalle laterali cappelle (tre per parte), interposte alla portante struttura, aperte da alti archi e sottolineate dalle corinzie lesene. In relazione alle sottostanti cappelle, il grande vaso presenta la volta alleggerita da sei semicircolari lunette sovrastanti altrettanti finestroni a tutto sesto, separati da intercapedine muraria rispetto agli ampi varchi esterni. Il transetto trovasi delineato dallo spazio di intervallo fra i quattro archi trionfali a tutto sesto, anch'essi impostati su lesene corinzie, che sorreggono, al centro della pianta cruciforme, l'alto tamburo della cupola. Nei pennacchi angolari d'incrocio degli archi del transetto trovano luogo quattro altorilievi a medaglione. Così concepita, la composizione basilicale sottolinea le due grandi cappelle poste all'estremità del transetto, approfondendo maggiormente il presbiterio, già di per sé allungato, in cui la curva dell'abside si richiude superiormente a catino, seguendo la pianta semicircolare del coro. Il pavimento della sala in lastre di pietra, ribassato rispetto al pavimento policromo del presbiterio e delle laterali cappelle, sottolinea anch'esso le linee della composizione. La luce, oltre che dalle finestre del tamburo, entra anche dalle due alte ed ampie finestre poste in corrispondenza del timpano della parete di fondo delle cappelle laterali del transetto e dalle due grandi finestre laterali del presbiterio. L'effetto complessivo‚ è veramente di grande suggestione.

La cupola sopra i pennacchi d'incrocio degli archi del transetto, impostato su di un primo cornicione rinascimentale, munito di elegante ringhiera, si innalza un alto tamburo, coronato da un secondo cornicione, su cui poggia la cupola: altro elemento di rarità nell'architettura bresciana del Seicento. La struttura muraria del tamburo, ad andamento interno circolare, assume all'esterno forma prismatica ottagonale, con una snella finestra per lato. La soprastante cupola, in struttura muraria dal profilo interno sferoidale, risulta coerentemente risolta all'esterno in forma di calotta ad otto spicchi, su complessa ed indipendente struttura lignea centinata, rivestita da lastre di piombo. Il profilo esterno è poi coronato da una lanterna ottagonale, aperta a belvedere, che porta al culmine un angelo in rame sbalzato, girevole sul proprio asse, recante sul petto lo stemma cardinalizio dei Conti Gambara e la data del 30 novembre 1674 con il nome di Lucrezio Gambara, prevosto pro-tempore. Ai primi del'700 la chiesa, anche se disadorna, si presentava completa nelle sue strutture murarie.

Nel frattempo avevano trovato collocazione al suo interno alcune opere di artisti della fine del'500, che probabilmente provenivano dalla precedente parrocchiale. Vi troviamo, infatti, importanti opere del Trotti detto il Malosso, del Mainardi detto il Chiavechino riferibili alla fine del '500 e di Pietro Ricchi detto il Lucchese della prima metà del'600. Alcuni pregevoli altari in legno intarsiato di scuola bresciana e cremonese, iniziati nella seconda metà del XVII secolo, ed ormai compiuti, si arricchivano poi, specialmente durante il XVIII secolo, di opere d'arte di immenso valore. Il merito dei Gambara mecenati fu quello di aver scelto fra i migliori artisti del tempo, incominciando da Francesco Maffei (1625-1660) il cui momento verolese coincide forse con la fase più forte della sua creazione, ad Andrea Celesti (1637-1712) i cui grandiosi teleri si montarono nel primo decennio del '700, continuando con Giovanni Battista Tiepolo (1696- 1770) con le sue ariose scene bibliche di rilevanza estrema, per arrivare a Ludovico Gallina (1752-1787) che con ampiezza di respiro venne a compiere la sua ultima opera, finita dallo scolaro Tantin. Si può tranquillamente affermare che la scuola pittorica veneta è qui presente in tutta la sua evoluzione, riassunta nei suoi contenuti più grandi ed espressivi. Nel tempo, l'interno andava poi completandosi con altre preziose opere, come le marmoree balaustre di varia tonalità ad incastri floreali (1683), le cantorie di scuola cremonese, il settecentesco coro, l'altare maggiore in marmo striato verde (1832) ed il prezioso organo dei fratelli Lingiardi (1875). Per le decorazioni, volute dal Prevosto Don Francesco Manfredi, bisogna arrivare ai primi del '900. L'architetto Antonio Tagliaferri ne segui i lavori, ispirandosi per l'ornamentazione al Gesù di Roma, chiamando a compiere le decorazioni d'omato i manerbiesi fratelli Cominelli e con essi altri pregevolissimi pittori, quali i verolesi Roberto Galperti e Benedetto Lò. Il lavoro d'ornato della cupola è opera di Angelo Cominelli, il medaglione della volta e gli Apostoli sono opera del valente pittore bresciano Gaetano Cresseri (morto il 17 luglio 1933), gli Angeli della cupola sono del Galperti. Mentre l'interno della chiesa veniva così completato, l'architettura esterna del fabbricato rimaneva incompiuta nella sua maestosa solidità, nella semplicità delle sue linee di ordine toscano piane e severe, nonostante la facciata accenni a qualche motivo ornamentale. Nel 1901 l'architetto Antonio Tagliaferri ebbe a ridisegnare la facciata, cercando di legare con lo stile del portale ed abbondando in fregi ed ornati: il progetto, contrastante con le linee e le robuste partiture architettoniche esistenti, non ebbe seguito, rappresentando così una semplice esercitazione accademica.


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