sabato 13 giugno 2015

LA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CARMINE A BRESCIA

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Papa Clemente VI (1291-1352) dispose che a Brescia si fondasse un monastero di frati Carmelitani dotato di una chiesa per il culto, di un cimitero, di ambienti dedicati alla vita comunitaria e di tutte le garanzie di sostentamento necessarie. La missiva sopraggiunse in riposta a una serie di richieste - certamente un appello inoltrato dal priore dei Carmelitani della Provincia Lombarda ma, lo si deduce dal testo della bolla stessa, anche una supplica del vescovo di Brescia Balduino Lambertini della Cecca († 3 settembre 1349, Brescia) - invocanti l'avvento dell'ordine in città. Il 16 marzo 1346 un drappello di circa dodici frati Carmelitani dell'Antica Osservanza, guidati da Guglielmo d'Alessandria, si insediò in contrada Ponticello, in quello che già dal secolo precedente si era andato delineando come il quarterio di San Faustino.
Poco si conosce sull'articolazione architettonica del primo cenobio che oltre alla chiesa dotata di campanile comprendeva un dormitorio, un refettorio, un granaio e una cella vinaria, o cantina. Il primo tempio, dedicato a Santa Maria Annunciata del Carmelo, era probabilmente costituito da un'aula unica con tetto a vista sorretto da capriate, con altari dedicati a san Gottardo e sant'Onofrio. La lettura della tessitura muraria oggi esistente consente di identificare l'ambiente con la struttura rettangolare posta a destra dell'attuale abside: lungi dall'essere distrutta, la primitiva chiesa fu infatti inglobata nella nuova edificazione, sorta a partire dai primi decenni del Quattrocento, e nel corso dei secoli adibita a diversi usi. Sono probabilmente riconducibili ai primi decenni del Seicento i lavori di tramezzatura orizzontale attraverso la costruzione di tre volte a costoloni, destinate a suddividere il vano in due piani sovrapposti.

La struttura originaria denota una continua mescolanza tra elementi tardogotici e aperture al nuovo linguaggio rinascimentale. Ciò è chiaramente visibile nella facciata a frontone spezzato, divisa in tre specchiature da lesene in cotto e pietra dove, nell'ampio portale centrale accanto alla strombatura, alla modanatura torica, ai capitelli a fascio e ai leoni stilofori, le decorazioni della fascia esterna, del pilastro che divide in due l'apertura e dell'architrave presentano elementi chiaramente classicheggianti. Parallelamente, nelle specchiature laterali, le lunghe monofore strombate e trilobate sono inquadrate da cornici in maiolica verde con un motivo rinascimentale a teste leonine e tralci vegetali. La facciata è solcata da una preziosa fascia di archetti intrecciati che si ripete lungo gli spioventi e tutto il lato orientale, sottolineando il ritmo spezzato della copertura a capanna delle singole cappelle. Queste due parti dell'edificio presentano una decorazione con slanciati pinnacoli in laterizio, richiamando il duomo di Mantova, l'abside di S. Fermo a Verona e il fianco meridionale del S. Eustorgio a Milano. L'interno a tre navate, scandite da possenti piloni con capitelli decorati, si conclude con un profondo coro. Lungo la navata orientale si aprono sette cappelle con volte a tutto sesto, eccetto la terza (cappella Averoldi) che conserva ancora l'originaria struttura a crociera, impreziosita dagli affreschi eseguiti dal Foppa nel 1477. Entrambe le navate si concludevano con due cappelle quadrate: quella di sinistra, oggi voltata a tutto sesto, è chiusa da un muro, mentre quella di destra è integra e conserva numerosi affreschi. La testimonianza più antica (1432), come attesta un'iscrizione nella fascia che la incornicia, è posta sulla parete ovest e raffigura il Miracolo di sant'Eligio. Il santo, affiancato da un cavaliere avvolto in un prezioso mantello, è curiosamente ritratto nell'atto di attaccare la zampa al cavallo indemoniato. A fianco, all'interno di una struttura marmorea, sono inserite due scene diverse: la prima con un'Annunciazione, la seconda con l'Incontro di san Francesco con un lebbroso, databili nello stesso arco di anni del precedente. Nel registro inferiore una teoria di Santi e Sante rivela, in pieno Quattrocento, soluzioni stilistiche attardate. Sulla parete di fondo, mutilata dall'apertura di una porta, è affrescato una sorta di polittico a muro raffigurante al centro la Vergine in trono col Bambino, Santa Lucia e san Cristoforo, ai lati un Santo vescovo e un'altra Madonna in trono. L'eleganza del panneggio e la delicatezza cromatica rimandano alla scuola di Bonifacio Bembo, a cui si rifanno anche le restanti raffigurazioni della parete con la mutila Trinità, la Madonna in trono con Bambino, e la Madonna del latte. La stessa paternità può essere proposta anche per una quarta Maestà affrescata nel registro superiore della parete orientale con riportata la data 1444. Essa si sovrappone ad un altro affresco lacunoso, ma di alto livello qualitativo, raffigurante San Cristoforo. L'opera dall'insolita tecnica esecutiva affine più al disegno che all'affresco vero e proprio, presenta il grande santo al centro con ai piedi un cavaliere armato. Anteriore dunque al 1444, ma posteriore al 1429 (inizio della costruzione della chiesa), rivela soluzioni miniatorie e, sia nell'elaborato panneggio che nella resa allungata delle figure, chiari rimandi all'opera di Michelino da Besozzo, di cui il nostro autore è stato uno stretto seguace.



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