Il Palazzo, splendida residenza dei conti d'Arco, come oggi si presenta nella sua imponente facciata e nelle strutture interne, fu eretto fra il 1784 e gli anni immediatamente seguenti dall'architetto neoclassico Antonio Colonna per un ramo della casata trentina dei conti d'Arco.
A Mantova la presenza e l'importanza dei conti d'Arco erano rilevanti già prima del Rinascimento. Nel 1740 un ramo della famiglia era venuta ad insediarsi stabilmente, avendo ereditato in questa città la dimora dei conti Chieppio, che si trovava nel luogo stesso in cui ora si erge la parte anteriore del Palazzo d'Arco. L'idea di una ricostruzione radicale dell'edificio dove avevano abitato i Chieppio si affacciò poco dopo il 1780 nella mente del conte Giovanni Battista Gherardo d'Arco.
La bella facciata si ispira all'arte del Palladio. Mostrano soluzioni d'arte pure interessanti e solenni l'atrio d'ingresso, il cortile, lo scalone e gli ambienti interni. Chi percorre poi l'adiacente via Portazzolo può vedere lungo il fianco del Palazzo i resti di strutture precedenti al rinnovamento. Nel secolo scorso e precisamente nel 1872 la proprietà corrispondente alla vecchia residenza dei Chieppio fu ampliata da Francesco Antonio d'Arco che acquistò dai marchesi Dalla Valle l'area situata al di là dell'esedra, che comprende il giardino e alcuni corpi di costruzione rinascimentale.
Recentemente, come viene ricordato dalla lapide applicata nell'atrio, Giovanna dei conti d'Arco, per matrimonio marchesa Guidi di Bagno, con illuminato atto testamentario ha voluto che l'assieme costituito dal Palazzo e dalle raccolte in esso contenute divenissero un pubblico Museo, a beneficio della città e del mondo della cultura. L'edificio è stato legato alla città di Mantova attraverso una fondazione che ne mantiene inalterato il fascino sette-ottocentesco di dimora patrizia. E' completamente arredato come ai tempi dell'ultima discendente della nobile famiglia.
Di notevole valore artistico e storico la pinacoteca. Interessante la cucina ottocentesca ricca di oggetti di rame. Al di là dell'inusuale esedra che chiude il cortile d'onore è visitabile il grande ciclo di affreschi della Sala dello Zodiaco opera di G.M. Falconetto degli inizi del XVI secolo.
La collezione di dipinti di palazzo d’Arco si configura anzitutto come una tra le più ricche (se non la più ricca in assoluto) di tutto il territorio mantovano, splendida di oltre trecento dipinti. Da un punto di vista storico è però necessario precisare come l’attuale collezione sia da un lato frutto della fusione di più raccolte familiari, dall’altro veda innestarsi su questo “corpus” un’attenta ricerca collezionistica dedicata soprattutto all’ambito mantovano e condotta in particolar modo nell’Ottocento con Carlo d’Arco. Analizzando con maggiore attenzione queste istanze emerge anzitutto il compito delle famiglie che hanno posseduto il palazzo, ed in particolar modo dei Chieppio. La loro collezione è in gran parte perduta, ma alcuni dipinti sono ancora presenti nelle sale del palazzo. Gran parte delle tele si deve poi ai d’Arco (e basti pensare ai sessanta ritratti nella Sala degli Antenati), ma sono presenti anche opere portate in dote dalle mogli dei d’Arco. Significative a questo proposito sono le tele un tempo appartenenti alla famiglia Ardizzoni di Pomà, della nobiltà monferrina, qui giunte grazie a Teresa, moglie di Francesco Eugenio d’Arco e madre di Giovan Battista Gherardo. Importanti furono gli acquisti sul mercato, soprattutto nell’Ottocento, volti a recuperare opere d’arte in particolar modo appartenenti all’ambiente artistico mantovano. Pittori furono infine Carlo d’Arco (sue, ad esempio, le tele oggi in portineria) e la marchesa Giovanna. La collezione comprende dipinti dalla fine del Trecento all’Ottocento. Anticamente era presente anche un’opera di Andrea Mantenga, oggi dispersa. Da un punto di vista stilistico, accanto agli artisti che hanno operato a Mantova, nelle opere in palazzo emerge un attento interesse per la pittura veneta e lombarda, con notevoli spunti fiamminghi, emiliani e romani. L’attuale disposizione ricalca un certo interesse iconografico. Almeno tre ambienti sono infatti dedicati ad accogliere ritratti (ed emergono soprattutto personaggi delle casate legate ai d’Arco). A sé stante è poi la raccolta dei teleri di Giuseppe Bazzani. Disposti in maniera meno ordinata nelle sale sono un discreto numero di dipinti di genere. L’Ottocento trova soprattutto luogo nella Sala Rossa, con ritratti di personaggi della famiglia d’Arco.
Il complesso degli arredi di Palazzo d’Arco appare ad un primo esame sostanzialmente omogeneo e temporalmente collocabile intorno al periodo della renovatio tardosettecentesca. Ad un più attento esame invece l’insieme degli arredi appare abbastanza variegato e legato a diverse provenienze: dagli acquisti fatti sul mercato italiano e straniero (basti pensare ai mobili veneziani o all’arredo della Sala Rossa) alle acquisizioni del palazzo in seguito al trasporto nella dimora cittadina di mobilio presente nelle proprietà del contado, come la villa dell’Olmo Lungo. Numerose d’altra parte sono le testimonianze del mobilio d’alta epoca, giunto nelle sale con acquisti mirati di gusto antiquario o tramite eredità e acquisizioni per via dotale da parte delle famiglie confluite in quella dei marchesi d’Arco: basti pensare ai quattro stipi con tarsie in avorio o alle decine di panche disseminate in vari ambienti e databili a partire dal Cinquecento.
Ricchissima è la collezione di disegni del palazzo. Sono conservate circa 150 opere comprendenti anche composizioni di grandi maestri. Tra questi ricordiamo: Giulio Campi (Cremona 1507 ca. – 1573), Angeli con i simboli della passione (studio per la volta del transetto di San Sigismondo in Cremona); Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane (1548-1628), Mercurio e le tre Grazie, studi per le Grazie in piedi e sedute (recto) e studio per la caccia al toro (verso); Giovanni Mauro della Rovere detto il Fiamminghino (Milano 1475 ca. – 1540 ca.), Santo francescano in piedi fra gli appestati, Santo francescano in gloria fra gli appestati (recto); due santi nel deserto (verso). Altre opere sono autografe o assegnate ad Aurelio Luini (Milano 1530 ca. – 1593), Carlo Bononi, Carlo Antonio Procaccini (Bologna 1571 – Milano 1630), Giacomo Cavedone (Sassuolo 1577 – Bologna 1600), Johann Carl Loth (1632 –1698). Un nucleo consistente di disegni è quello legato a Carlo d’Arco (Mantova 1799-1872), storico dell’arte e artista. Tra i suoi disegni molti sono accademici e raffigurano soggetti vari, soprattutto opere d’arte. Non è possibile concludere la sezione dei disegni senza citare i cinque rari disegni raffiguranti altrettante Stazioni della Via Crucis opera Giuseppe Bazzani (Mantova 1690 - 1769).
Nel contesto delle collezioni della Fondazione d’Arco ha posto una notevolissima raccolta di ceramiche meritevole d’esser conosciuta dagli appassionati di questo settore artistico. Si tratta di un complesso piuttosto disomogeneo sotto l’aspetto tecnico (ceramiche graffite, maioliche, porcellane, terraglie) e storico (vi sono rappresentate produzioni d’ogni fabbrica e d’ogni epoca tra le più importanti) nato, più che da esigenze di collezionismo, dalle necessità d’uso e perciò frutto di scelte casuali e pratiche. Accanto ai grandi servizi da tavola in maiolica, degli Antonibon delle Nove di Bassano e della manifattura di Faenza, vi sono anche quelli in porcellana della produzione Ginori di fine Ottocento, vari esemplari di manifatture orientali, alcuni della manifattura lodigiana di Antonio Ferretti del secolo XVIII mentre altri rimandano ad officine pesaresi. Accanto a questi esemplari prestigiosi figurano anche testimonianze della grande tradizione ceramica mantovana, la lavorazione graffita dei secoli XV, XVI e XVII, ben rappresentata nel museo grazie ai numerosi reperti raccolti dalla marchesa d’Arco durante i lavori di sterro nella vicina zona occupata un tempo dallo scomparso convento di san Giovanni delle Carrette. Infine non si può negare che il valore della raccolta trovi il suo fulcro in due pezzi acquistati dai Gonzaga presso le più importanti botteghe del tempo, il boccale faentino con il simbolo del crogiolo e la coppa raffigurante “La pesca miracolosa” attribuibile alla cerchia di Nicola d’Urbino.
Estremamente eterogenee sono le sculture ed i rilievi presenti nelle collezioni d’Arco, sia come provenienza, sia come qualità. La maggior parte della consistente collezione di rilievi e marmi greci e romani di proprietà della famiglia venne donata al costituendo museo dell’Accademia delle scienze, lettere e arti ed ora compaiono nelle collezioni di Palazzo Ducale.
Non amplissima ma comunque interessante è la collezione di strumenti musicali di palazzo d’Arco. Gli ambienti della dimora che li ospitano sono il passetto che collega la Sala degli Antenati con la saletta Neoclassica, la cosiddetta Sala da Musica e la Sala Hofer. È comunque necessario ribadire che nessun esponente della famiglia d’Arco è stato un appassionato e valido musicista: la presenza di questi strumenti si deve pertanto al gusto collezionistico e ad acquisti sporadici.
Nell’insieme delle collezioni della Fondazione d’Arco è custodito anche un gruppo di armi antiche, una sessantina di pezzi in totale, che sono quello che resta di una importante sala d’armi, dispersa nel passato. Il gruppo è costituito da una ventina di armi bianche giapponesi e da una quarantina di armi bianche e da fuoco occidentali di varie epoche. Delle armi giapponesi citiamo alcune armi in asta, tradizionali esemplari delle lance “Yari” del periodo che va dal XVII al XIX secolo, tra le quali tre “Naginata”, che fu detta arma delle donne, due coppie di lance tra le più diffuse del periodo “Tokugawa” le “Magari-Yari” a forma di croce, e due coppie di armi corte “daisho”, costituite da “Katana” e “Wakizashi” complete del classico “Kozuka”, lo stiletto inserito nel fodero. Delle armi occidentali la più antica è una “Ronca” o “Roncone” (primi del secolo XVI). Di circa cento anni più giovane, fine del secolo XVI, è la lama di fabbricazione bresciana che sui due gusci reca inciso “Sandrinus Scaschus”, che era uno degli pseudonimi usati dallo spadaio Giovanni Scacchi Sandri di Brescia. Sempre degli ultimi decenni del secolo XVI sono classificabili le sette pezze difensive: i resti di un elmo, un pettorale, tre pezzi di scarsellone a lame, un mezzo bracciale ed un manichino con manopola a cinque lamine. Interessante è la balestra a pallottole da sala. Solo sei sono le armi da fuoco: una coppia di pistoletti bresciani, due pistole con acciarino a pietra detto “a focile” e da una coppia di pistole del tipo “alla balcanica”.
Sono circa diecimila i volumi della biblioteca d’Arco, più riviste e quotidiani. Tra le pubblicazioni più pregiate ricordiamo incunaboli (15), cinquecentine (500), tutta l’opera scientifica di Ulisse Aldrovandi, manoscritti (15). È presente l’intera Enciclopedie ou dictionnaire raisonnè des sciences, des arts et des metiers di Didierot e D’Alembert (Parigi 1751-1772 in 17 volumi + 11 di tavole, 5 di supplementi nel 1777 e 2 di indici nel 1780), la descrizione dei paesi del Guicciardini e l’erbario del Mattioli (solo per citare i più noti). La maggior parte dei volumi è collocata in Biblioteca e nelle sale attigue; alcuni libri pregiati sono in una vetrinetta nel passetto tra la Sala degli Antenati e la saletta Neoclassica, altri negli ambienti dell’Archivio.
Splendida e nutritissima è la collezione delle stampe. Qui sono conservati circa tremila esemplari di importanti maestri, tra cui Mantegna, Sadeler, Dürer, Marcantonio Raimondi, Agostino ed Annibale Carracci, Guido Reni, Antoine Van Dyck, Rembrandt, Callot, Salvator Rosa, Giandomenico Tiepolo. Notevole pure la collezione di stampe geografiche.
Nella prima sala della palazzina Dalla Valle, Sala di Apollo, troviamo sei vetrine che contengono uccelli imbalsamati (alcuni sono esposti sotto due campane di vetro nella Sala Hofer). Particolare attenzione è data alla fauna locale del mantovano, ma non mancano esemplari alloctoni. Alla destra dell’ingresso è un mobile che contiene parte della collezione malacologica. Negli altri mobili sono collocati gusci di tartarughe, ossa e teschi di animali di piccola taglia.
Gli animali imbalsamati sono stati restaurati nel ’93 da specialisti del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, mentre le altre collezioni sono state riordinate l’anno successivo. Non mancano inoltre strumenti scientifici. Nella sala successiva, Camera di Seth, è conservata la seconda parte della collezione malacologica (riordinata nel ’95) e la collezione di minerali e fossili (di grande interesse i pesci fossili provenienti da Bolca). Soprattutto ricordiamo però il coccodrillo imbalsamato posto al centro dell’ambiente (uno dei quattro conservati a Mantova) e i diversi teschi di animali, in particolar modo i due palchi di corna di Megalocerus giganteus e di Alces alces (quest’ultimo accompagnato da una stampa francese dell’Ottocento che lo ritrae).
Palazzo d’Arco accoglie il più importante dei quattro erbari mantovani (gli altri sono l’erbario ora al liceo classico “Virgilio” composto da Paolo Barbieri, quello all’istituto tecnico commerciale “Pitentino” allestito dal conte Antonio Malaguti e quello di Giuseppe Acerbi).L’erbario d’Arco fu creato dal conte Luigi con l’aiuto del farmacista Giacinto Bianchi. Si suddivide in 28 buste che raccolgono le piante del mantovano e delle vicine province di Cremona, Brescia, Verona e Pavia. Accanto all’erbario mantovano è presente anche l’erbario generale d’Italia, nato per una pubblicazione che non ebbe mai la luce.
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