giovedì 9 luglio 2015

LECCO



Quel Ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto seni e golfi, a seconda dello sporgere e rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa , e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due  monti contigui, l’uno detto di San Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai suoi molti cocuzzoli in fila.

Lecco ha ottenuto nel 2013 il titolo Città alpina dell'anno.

Capoluogo dell'omonima provincia in Lombardia, la città è situata sul lago di Lecco, ramo orientale del lago di Como, e sulla sponda sinistra del fiume Adda, tra i monti della Grigna e dalla cresta del Resegone. Crocevia strategico per la Valtellina, Lecco assunse crescente importanza durante il Medioevo a seguito dell'annessione al Ducato di Milano che le conferì l'attuale impianto urbanistico ma fu sotto il dominio austriaco, nella seconda metà dell'Ottocento, che la città attraversò un periodo particolarmente fiorente ereditando uno stile neoclassico di pregevole bellezza testimoniato dalla presenza di portici coperti ed eleganti palazzi.
Inclusa dal 2007 nell'ente della Regio Insubrica, è celebre per essere il luogo in cui Alessandro Manzoni ambientò il romanzo de I Promessi Sposi, che costituisce la più significativa eredità culturale lecchese, oltre ad affermarsi fra Ottocento e Novecento come uno dei primi centri industriali in Italia.

Nei tempi antichissimi la zona di Lecco, come molte altre, era interamente coperta da enormi strati di ghiaccio. Comparvero allora gli animali preistorici, i mammouth, dinosauri, orsi, cervi che a torme percorrevano le terre disabitate dell'Europa. I grossi lastroni di ghiaccio si sciolsero a poco a poco, lasciando vedere la terra, che cominciò a rivestirsi di fitti boschi. Dai monti cominciarono a scendere i corsi d'acqua, e nella conca lasciata dal ghiaccio, si formò il lago. Attualmente i monti, un tempo assai più alti e coperti da foreste di conifere entro le quali girovagavano il lupo e l'orso, sono quasi nude e solo qua e là crescono alcuni larici e pini. Qualche osso di questi mastodontici animali fu trovato nel "Buco del Piombo" presso Erba, nel "Buco dell'Orso" presso Laglio, nel "Buco Laorca" sopra Lecco. Ben presto la razza umana si estese su tutta la superficie della terra lasciata libera dal ghiaccio ed anche la zona di Lecco, a poco a poco si popolò di gente che, come tutti gli altri uomini primitivi, viveva di caccia e di pesca e si vestiva con pelli di animali catturati. Gli abitanti del nostro territorio si dedicarono alla pastorizia e all'agricoltura, più tardi si dettero  anche al commercio e,  navigando sul lago e sul fiume Adda, scambiarono i loro prodotti con gli abitanti delle terre vicine: specialmente con la Valsassina e la Brianza. Gli storici sostengono che poco prima del 1000 avanti Cristo, giunsero tra noi i Liguri. Questi però non avevano le tradizioni marittime, ma caratteri legati alle pianure, e ai paesi a settentrione delle Alpi. I Liguri, mescolandosi con le genti locali, originarono la civiltà di Golasecca, da noi si sono rinvenuti alcuni oggetti,  anelli e spille a Olate, Ballabbio e Introbio. Poi giunsero i Celti o Galli (alti di statura e rossicci, i popoli locali li chiamarono Orobi che significa provenienti dalle montagne) popolo nomade e barbaro proveniente dalle Alpi, i quali fondarono la città di Barra e Luciniforo in posizione un poco elevata. Barra sorgeva sulle falde del Monte Barro, mentre Luciniforo sorgeva sul colle di Santo Stefano, ai piedi del Monte S.Martino. I Celti sono stati i migliori organizzatori della vita dei villaggi in quel tempo, infatti ad essi sono stati attribuiti molti nomi dei paesi. Così è possibile che Lecco prenda il nome dalla tribù dei celti Leuki, oppure che si riferisca a vocaboli indoeuropei (il celtico a quei tempi era un lingua indoeuropea): Locas, Lucus, Leucos, che equivalgono a campo o paese. Nel 196 a.C. i Romani occuparono Como e molti castelli celtici della zona. Questi tramandarono il ricordo delle principali città che trovarono sul loro cammino: Como, Barra, Liciniforo. Si pensa che Barra corrispondesse alla città che le cronache del medioevo, intorno al 1340 circa, ricordavano come più importante di Milano.

Secondo gli studiosi, tra cui Antonio Stoppani l’iniziatore della geologia e della paleontologia lombarda, prima dell’apparizione dell’uomo, la Valsassina e la conca di Lecco erano occupate da un ghiacciaio. Con lo scioglimento dei ghiacciai, comparvero gli animali, poi i rettili come Lariosauri e Mosasauri, i cui resti si trovano pietrificati nelle rocce del Resegone e della Grigna. Il clima divenne poi più caldo, emersero le terre e nelle vallate correvano rinoceronti, orsi, qualche traccia dei quali si ebbe in varie caverne della zona. Parecchie migliaia di anni dopo vennero gli uomini; le prime testimonianze risalgono a circa 100.000-35.000 di anni fa, nel periodo Paleolitico Medio con ritrovamenti che indicano un sito frequentato da un gruppo di cacciatori neanderthaliani, altri ritrovamenti risalgono al periodo Paleolitico superiore 35.000.10.000 di anni fa. All’inizio del Mesolitico il clima divenne più mite, permettendo all’uomo condizioni di vita migliori, la sopravvivenza era basata sulla caccia, iniziarono la prime scoperte quali l’arco, e le reti per la pesca. Le abitava erano collocate sulle alture e ci sono armi e oggetti vari che ne testimoniano il passaggio. Con l’inizio del Neolitico si diffuse l’agricoltura e l’allevamento, con la produzione della ceramica e degli utensili in pietra levigata. In seguito, alla fine del periodo neolitico e con l’inizio dell’età del bronzo(2200-1650 a.C.), si sviluppa la cosiddetta “civiltà di Polada”, stabilita su villaggi di palafitte, dove sono stati ritrovati rozzi vasi di terracotta, somiglianti ad altri trovati in Jugoslavia e datati intorno al 1500 avanti Cristo.

Poco prima dell’anno 1000 a.C. alcune popolazioni di Galli e Celti emigrarono nel territorio lecchese per motivi di commercio. Ai Celti si richiamano alcuni toponimi locali, vedi il caso della radice bar e della scoperte della città di barra, situata sul monte Barro. Anche lo stesso nome Lecco deriva molto probabilmente dal celtico Leuki, oppure dai vocaboli indoeuropei Locas, che Capo Celtico significa campo, o Locus ,Centurione Romano che significa paese. I Celti furono un popolo evoluto e colto, che conosceva avanzate tecniche agricole, che costruì città e coniò monete, che ebbe una spiritualità molto elevata, legata al mondo della natura e delle forze cosmiche, e un grande senso dell'onore e della libertà, ed anche una civiltà che ci ha lasciato numerose testimonianze di grande abilità artistica: armi gioielli di pregevole fattura.
Dopo la dominazione Celtica fu la volta di quella Romana che avvenne intorno al 196 a.C.: le terre del Lario si arricchirono di ville patrizie. Il nome Lario deriva infatti dagli antichi romani, che lo chiamarono Larios Lacus Comancinus, o anche Lago Giardino. Giulio Cesare, ritornando vittorioso dalla Gallia, si fermò a Lecco e concesse agli abitanti del territorio la “cittadinanza romana”, elevando il borgo di Lecco a “Municipio di Roma”. Lecco era divisa in villaggi raggruppati intorno al borgo principale, però, benchè ciascun villaggio ricevesse un solo nome, al territorio rimase sempre il nome collettivo di “Leucum”, a significare un complesso di abitazioni ordinati sotto un governo comune. Dei Greci dell’Italia meridionale vennero mandati come coloni fra noi e ad essi risalgono alcuni nomi di località del lago, come Dervio o Corenno.
Nell’età imperiale abbiamo molte testimonianze della vita Romana, che conservava però forti tradizioni celtiche. Lecco era probabilmente centro di un distretto militare per la difesa del lago di Como. Da Lecco o dal suo territorio passava una grande strada militare, proveniente da Aquilea e diretta alle Alpi. Essa varcava l’Adda a sud di Lecco sul ponte di Olginate, di cui restano cinque piloni semi sommersi dall’acqua.
Tra il 489 ed il 493 d.C. fu la  volta degli Ostrogoti. Tra il 535 ed il 553 il lecchese venne interessato dalla spaventosa guerra greco – gotica e dalle devastanti orde barbariche.
Dopo un breve periodo di pace, durato solo sedici anni, i Bizantini, vincitori sugli Ostrogoti, vennero attaccati da un nuovo e più forte popolo barbarico: i Longobardi.
Nel maggio del 569 d.C. essi assaltarono il castello di Lecco, chiamato anche castello bianco a causa del pietrame bianco con cui era costruito, i bizantini opposero una forte resistenza, ma nonostante tutto il territorio passò nelle mani dei Longobardi e fu diviso in ducati e iudiciarie. I Longobardi non si occuparono solo di questioni militari, ma col sistema delle corti favorirono lo sviluppo agricolo della campagna.
Un personaggio molto importante di quel periodo fu la regina Teodolinda, che divenne un mitico personaggio benefico a cui attribuire il merito di quasi tutte le buone iniziative dei secoli di dominazione Longobarda.
Tra la fine del V e l’inizio del VI secolo iniziarono a formarsi i primi nuclei cristiani, attestati dai vari ritrovamenti di lapidi a S. Stefano e di capelle a Garlate. Nel secolo seguente i Longobardi ariani giunsero a sconvolgere le appena costituite comunità cristiane di fedeltà romana e, solo verso il VII secolo, si assiste a un ritorno dell’ortodossia, anche in seguito all’invio di missionari del pontefice romano.

Nell’800 il dominio Longobardo declinò con la sconfitta del re Desiderio da parte dei Franchi.
Anche se l’impero Carolingio ebbe breve durata, dall’800 all’887, il sistema feudale che si sviluppò in quegli anni caratterizzerò il periodo del così detto Regno Italico che va dalla deposizione di Carlo il Grosso all’incoronazione di Ottone I° di Savoia.
In questo periodo i Vassalli italiani acquistarono un grande potere, formando il “comitato di Lecco”. Una delle maggiori famiglie feudali fu proprio quella dei Conti di Lecco che, per un certo periodo, furono a capo di tutta la Marca Settentrionale o  Lombardo – Emilia.
Intorno al X secolo, in seguito a una rivolta delle famiglie comitali contro l’imperatore Ottone I a favore del re Berengario, subito soffocate, la corte di Lecco passò nelle mani dell’arcivescovo di Milano.
Nel 1117 scoppiò una guerra che, nei dieci anni della sua durata, coinvolse tutti i paesi del lago di Como e Lugano contro Milano. I Lecchesi presero parte allo scontro nel 1225, con una flotta di 30 navi con la quale assediarono Como e incendiarono parte della città avversaria.

Intorno al 1400 Lecco era al centro di diverse contese tra i signori di Milano, i Visconti, e i signori di Bergamo e Brescia, i Malatesta. Di queste dispute si hanno molte prove, ma la più importante e la più vicina a noi è depositata nell’archivio della parrocchia di Acquate.L’altare era stato spostato in avanti di due braccia e arricchito di molte reliquie, tra le quali un po’ di incenso dei Magi. Fra i testimoni presenti alla cerimonia è indicato Antonius de Capellis de Placentia potestas Leuci quale rappresentante di Pandolfo Malatesta signore di Brescia, Bergamo e Lecco. Questo è forse l’unico documento che si conservi nel quale Malatesta è dichiarato signore di Lecco. Queste contese erano un continuo avvicendarsi di riconquiste e perdite del borgo e della rocca di Lecco, e di continue alleanze soprattutto con la Repubblica Veneta, con assedi che duravano anche parecchi mesi. Il principale contendente di queste dispute nei confronti del Malatesta, era il prode capitano Francesco Carmagnola mandato dai signori Visconti. Un altro documento che riporta la testimonianza del dominio Malatestiano risiede nei 1400 Codici Malatestiani, conservati tuttora negli Archivi di Stato, dove si trova un’annotazione sul ponte di Lecco e il castello sopra di esso, in cui si legge che nel marzo del 1409 questi venivano venduti al comune di Bergamo per la somma di lire mille. Di questo acquisto da parte di Pandolfo Malatesta non si sono trovate spiegazioni, sembra però che l’interesse era soprattutto per il castello sopra il ponte. Molte di queste battaglie avvenivano anche sul lago, infatti si trovano in vari archivi (tra cui i codici malatestiani) molte annotazioni di richieste di materiali e manodopera per riparazioni a costruzioni di nuove imbarcazioni. Uno di questi dice: "Item per spese sostenute da lui fatte per mandato del Magnifico ed eccellentissimo signore il signor nostro su proposta del signor Bartolomeo de Bagarotis nell’anno 1418, e precisamente: a ser Pietro Amelongo per un conto relativo a certe bombarde; per la riparazione di una nave grande; per 39 brente; per chiodi forniti per la suddetta nave".
Numerosi erano allora i tipi di imbarcazione da guerra: brigantini, scorabiesse, barbote, ganzezze. Quest’ultime erano molto veloci nella navigazione, superavano le scorabisce, navi lunghe e rostrate, come pure superavano le barbotte, navi di maggiore capacità. Altri tipi erano le navette, i burchielli, le barchette, le navi grandi, le navi con ponti, i redeguardi, i redeguardi grandi e i galeoni.Alcune navi da guerra portavano fino a 600 uomini. I costruttori Lariani erano molto richiesti per la loro maestria, anche all’estero. Nel 1512 nasce il patto di Teglio, seguito alla pace di Lodi che strappava a Milano la Valtellina, insinuandola nella signoria dei Grigioni.
Il Capitano di ventura Gian Giacomo dé Medici, che riordinò la fortezza di Lecco, s’impadronì del luogo, coniò delle nuove monete con la sua effige con l’inscrizione conte di Lecco. Tutto questo lo fece contro il volere dell’imperatore Carlo V, il quale s’era impegnato a restituire a Francesco Sforza l’antico ducato di Milano. L’accordo che concluse in un primo tempo la contesa fra l’Imperatore e Gian Giacomo, soprannominato il Medeghino, prevedeva che al Medici restassero Lecco, la Valsassina e le tre pievi. Ma nel 1532, in seguito alle guerriglie successive, gli intrighi, le congiure, le alleanze, i tradimenti nella grande lotta di predominio sull’Italia tra Francia e Spagna, gli fu imposta la sua rinuncia ai territori di Lecco.

Passata sotto la dominazione degli Sforza, in seguito alla morte di Francesco II rimasto senza eredi, Lecco fu ridotta in proprietà da Carlo V, salutato vincitore: Lecco, sotto gli Spagnoli, con i forti di Fuentes e di Trezzo, diventa caposaldo della difesa nord-orientale del milanese.
Nel 1609 il conte di Fuentes restaurò il ponte distrutto dal Medeghino su undici archi, per complessivi 131 metri
Poi vi fu l'invasione dei Lanzichenecchi, guidata da Rambaldo di Collalto, avvenuta nel 1628. Erano circa 36.000 e dove passavano distruggevano tutto e rubavano. Si fermarono soprattutto nella zona ora rione di Olate e li lasciarono la terribile malattia della peste, spentasi solo nel 1631. Questa famosa epidemia, che fece orrenda strage, fu descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi . Dei 4.000 abitanti circa del territorio lecchese, dominato allora dagli Spagnoli, ne morirono oltre 500. Gli ammalati di peste venivano curati nel Lazzaretto, un recinto con tante baracche di legna , che si trovava dove ora sorge l'ex caserma dei militari, località che ancora oggi viene chiamata comunemente "Lazzaretto". Più tardi i Francesi occuparono la Valtellina, minacciando Lecco dall’alto lago, ma si opposero concordi Milanesi e Spagnoli.
Nel 1700 ha fine la dominazione spagnola e Lecco, travolta nella contesa austro - francese - russa per il dominio della Lombardia, è coinvolta nelle tre  guerre successive, spagnola, polacca, ed austriaca.
Il 16 aprile 1704 passa da Lecco il marchese Davia, che occupa il castello di Fuentes in nome dei Tedeschi minacciati da Francesi e Spagnoli.
Nel 1746 la dominazione austriaca è ormai definitiva nel territorio lecchese; l’imperatrice Maria Teresa si pone a capo delle pievi di Bellano, Mandello, Varenna, e Valsassina il comune di Lecco.
Fra il 1773 e il 1777, il governo Austriaco fa costruire il canale di Paderno, con grande incremento commerciale tra il Lario e Milano, con il massimo beneficio a Lecco. Pochi anni più tardi, l’imperatore Giuseppe II visita, il 24 giugno 1784, la città di Lecco egli ordina la soppressione del capitolo parrocchiale del convento di San Giacomo in Castello. L’Austria cerca di opporsi all’invasione francese, il governo imperiale regio indice una pubblica sottoscrizione, ma Lecco avrebbe risposto alle sollecitazioni della corte di Vienna.
Con la discesa di Napoleone e la formazione, nel 1797, della Repubblica Cisalpina, la "Riviera di Lecco" viene a far parte del dipartimento della Montagna che comprendeva 170.000 abitanti e godeva del diritto d’inviare dodici rappresentanti al corpo legislativo. Tuttavia anche la dominazione francese non è accolta senza opposizioni: una donna, di notte, sega ed abbate l’albero della libertà che i francesi avevano alzato come loro consuetudine.
Alleatasi alla Russia durante la campagna napoleonica in Egitto, l'Austria batte i Francesi a Trezzo sull'Adda, a Cassago d'Adda e quindi a Verderio. A Lecco viene minato il ponte visconteo e uno scontro tra austro-russi e francesi ha luogo tra il 25 e il 26 aprile 1799, con la vittoria dei francesi.
Ecco come viene descritta la battaglia a Pescarenico:
< Appena il primo reggimento russo si mostrò in vista del ponte di Lecco, i carabinieri francesi dell’eroica decimottava leggera, uscita dai loro trinceramenti, corsero incontro a quei soldati che venivano dipinti come spaventosi colossi invincibili. Piombati su questi con le baionette incrociate, ne fecero un grande sterminio e i russi vennero respinti. Di qual mirabile coraggio non arsero allora i petti dei nostri prodi! Volevano, tale era il loro linguaggio, far pentiti del viaggio quei barbari tracotanti, venuti a frammentarsi in una guerra che non era la lora.>
Lo scontro è ricordato anche da un stampa conservata al museo del Risorgimento di Milano, ma con una datazione erronea e l'episodio è stato tramandato da una lapide posta in una casa a Pescarenico, sui muri della quale, fino a pochi decenni or sono, erano visibili i segni delle granate e dei proiettili francesi.
Lecco è ripresa dai Francesi il 6 giugno 1800. Nella corrispondenza di Napoleone col vicerè d’Italia appare quanta importanza egli annettesse alla posizione a al mantenimento di questa testa di ponte, che raccomandava vivamente, da Parigi, di fortificare.
Nel 1808, quando viene costituito da parte del Regno Italico il Consiglio delle Miniere, la zona del Lario viene terza nell'estrazione e lavorazione del ferro, con una cavatura di 2.000 tonnellate di minerale, otto altiforni e una cinquantina di fabbriche.
Nel 1814 l’esercito austriaco riprende possesso del territori, sopprimendo il tribunale e le giudicature; nel 1815 Lecco è capoluogo d’un distretto austriaco.
Come ad ogni invasione, la miseria e il colera si diffondono per tutto il Lecchese, raggiungendo una punta massima nel 1817. Ma la reazione degli abitanti è degna d'un popolo forte: alla malattia e alle condizioni economiche disastrate essi risposero con l'ampliamento delle loro industrie.

Nel 1847 i Lecchesi danno l'assalto alle imbarcazioni dirette verso l'alto lago a portare, nel Canton dei Grigioni, lo scarso grano raccolto nei territori, grano peraltro insufficiente al bisogno della popolazione. L'esempio viene seguito dagli abitanti di Malgrate e di Parè, nonchè da quelli di Olginate, i quali vedevano nella spedizione del grano oltre confine una manovra speculativa del governo austriaco e, contemporaneamente, un tentativo di sedare con la fame il malcontento contro il governo imperiale. Alla notizia dell'insurrezione di Milano, il 18 Marzo 1848, i cittadini d'ogni classe offrono denaro, vengono raccolte 32.000 lire, si formano schiere di volontari.
Le officine Badoni e Cima di Castello offrono due cannoni alla causa Italiana. Il 20 Marzo il presidio austriaco è disarmato,Cannone con due inservienti italiani nel risorgimento il 21 i Lecchesi partecipano ai combattimenti per la liberazione di Monza e proseguono per Milano, attaccando gli austriaci al Dazio e combattendo le ultime due delle "Cinque giornate di Milano", a fianco dei Milanesi insorti.
Nell'Agosto del 1848, ritornati a Lecco gli austriaci, i Lecchesi seppellirono sotto il letto della fiumicella il tricolore che avevano fatto sventolare combattendo a Monza e Milano, e la bandiera verrà dissotterrata in anni migliori, quando Lecco offrirà, alle successive guerre d'indipendenza, alle spedizioni garibaldine, ai moti mazziniani, i suoi figli più ardimentosi. Di questi i più famosi furono i fratelli Torri Tarelli che combatterono con Garibaldi nelle guerre del 1848 e del 1859: Carlo a Mentana, Battista combattè a Varese- Tommaso nella guerra del 1859, Giovanni morì nelle acque del lago mentre recava armi a Milano e Giuseppe morì a Palermo durante la spedizione dei "Mille" in Sicilia.
Nel 1859, padrone ormai del lago, Garibaldi scese da Como con i vapori verso Lecco. Tutte le insegne austriache erano sparite ed innalzati al loro posto i tricolori. Verso le 10 del mattino del 10 giugno 1859 Garibaldi giungeva all’altezza di Mandello: uno sciame di barche piene di gente festosa si staccò dalle rive e circondarono i battelli dei Garibaldini. Dopo mezz’ora di sosta, la navigazione fu ripresa e verso mezzogiorno i Cacciatori delle Alpi entravano in Lecco. La municipalità Lecchese emise un proclama di cui si conserva il prezioso autografo.

Garibaldi a Lecco dal balcone dell’Albergo Croce di Malta, fece un breve discorso. Alla sera riprese immediatamente la strada incamminandosi verso la terra bergamasca, dopo aver provveduto a far fortificare, con lavori di terra e fascine, il rione di Chiuso, e lasciando un piccolo presidio armato. Tutte le testimonianze sono concordi nell’affermare che il passaggio di Garibaldi a Lecco fu caratterizzato da manifestazioni eccezionali di entusiasmo e gioia.
Garibaldi fece ancora due soste a Lecco, esattamente il 9 giugno 1859 proveniente da Pontida per recarsi a Milano, e il 26 giugno, quando pernottò a Lecco ospite dell’Albergo Croce di Malta. La mattina dopo, coi piroscafi, i Cacciatori delle Alpi raggiunsero Colico, ove incominciarono la marcia verso la Valtellina.

Nel 1784, con il provvedimento dell’Imperatore Giuseppe II D’Austria, che tolse il carattere militare, il borgo ottenne la possibilità di demolire le mura e le fortificazioni uscendo dal territorio ed allargando i propri confini. Il processo di allargamento è comunque lento anche dopo la proclamazione a città nel 1848 ottenuta per meriti patriottici. Agli albori del 1900 viene a delinearsi un comprensorio di comuni con interscambi quotidiani industriali, commerciali, amministrativi e di servizi. I comuni del territorio usufruivano, ad esempio, dello stesso ospedale, delle scuole di avviamento, dei pompieri, della stazione ferroviaria, degli uffici statali, delle banche ecc.. Ragioni che sostengono l’iniziativa di unificare l’amministrazione in un unico comune.Al Ministero dell’Interno venne presentata la richiesta di aggregazione a Lecco di nove comuni e di due frazioni attigue: Castello sopra Lecco, Rancio, San Giovanni alla Castagna, Laorca, Acquate, Germanedo, Maggianico, Malgrate, Pescate e le due frazioni al di là del ponte di Ponte Azzone Visconti e S.Michele del Comune di Galbiate.Nel 1923 un primo provvedimento unì sei comuni, rimasero esclusi Malgrate e Pescate, mentre Maggianico cedette solo una parte del proprio territorio: le due località di S.Ambrogio e Belledo. Non proprio contenti di aver perso la propria autonomia furono i comuni di Castello, Rancio, S. Giovanni e Laorca. Primo sindaco della grande Lecco fu il Dr. Angelo Tubi eletto nel 1926. Il cammino per l’unificazione si conclude nel 1928 quando, l’intero Comune di Maggianico, comprendente anche i paesi di Barco e Chiuso, verrà unito a Lecco configurando gli attuali confini delineati dal lago e dai monti S. Martino, Resegone e Magnodeno sino alla rocca dell’Innominato che, da confine fra la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano nei tempi andati, ora ne determina la provincia di Como e di Bergamo. Nel medesimo anno si inaugurò l’attuale sede municipale alla presenza di Vittorio Emanuele III in visita alla città. La città di Lecco è ora articolata in tredici rioni che si richiamano per lo più appunto agli antichi comuni da cui è sorta e in quattordici parrocchie rette con una Prepositura. Fanno corona ulteriori 22 nuclei secondari: Arlenico, Barco, Bonacina, Bione, Brogno, Cabagaglio, Castione, Cereda, Coltogno, Costa, Falghera, Garabuso,  Gera, Malavedo, Malnago, Missirano, Movedo, Vignola, Prato La Valle, Pometo, Varigione,  Versasio.

La città in seguito si sviluppò di pari passo con il paese, fu centro di aspre lotte sindacali per il miglioramento delle condizioni negli stabilimenti tessili e dovette pagare un enorme tributo di sangue nel corso delle due guerre mondiali, furono molti i caduti ricordati nei numerosi monumenti presenti in città. Tra il settembre del '43 e l'aprile del '45 Lecco si distinse nella resistenza ed è quindi tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stato insignito nel 1976 della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

Il primo piano urbanistico della città si ebbe intorno al 1450 quando il centro storico era racchiuso in una cinta muraria dall'inusuale forma triangolare avente la base rivolta verso il lago e il vertice a monte dove oggi restano gli unici resti della fortificazione nei pressi della biblioteca civica. In prossimità delle mura esisteva un fossato il cui riempimento era assicurato dalle acque del torrente Gerenzone che proprio in corrispondenza del vertice di Porta Nuova esso si divideva in due rami per poi immettersi nel golfo. Le mura iniziavano nei pressi del molo cittadino dove sorgeva la Porta di Santo Stefano per poi proseguire in direzione est verso l'attuale basilica dove sorgeva il Torrione la cui base circolare di questa torre è ancora visibile poiché su di essa si innalza il celebre campanile simbolo della città. Oltrepassata la torre, le mura seguono il percorso dell'attuale Via Bovara per giungere al vertice di Porta Nuova dove era ubicata, oltre ai due ponti levatoi d'ingresso al borgo, anche la casa del comandante della Piazzaforte. Da qui le mura discendevano con andamento regolare verso le odierne Via Cavour e via Mascari dove sorgeva il terzo ingresso al borgo nonché il principale detto Porta di Milano o Porta di San Giacomo. La torre adiacente che si trova fra il lago e l'antica Piazza Grande è tutto ciò che resta del castello la cui area superava i 1000 m².
Nei secoli successivi le mura subirono poche modifiche fino all'arrivo degli spagnoli quando le torri e il castello caddero in rovina o vennero trasformate in abitazioni. Con l'introduzione dell'artiglieria a fuoco infine, l'importanza delle fortificazioni persero efficacia e, fra il 1782 e il 1784, tramite il provvedimento di Giuseppe II d'Austria che ne abolì la Piazzaforte, il borgo ottenne la possibilità di demolire le mura e le fortificazioni esistenti. Il processo di allargamento rimase comunque lento nonostante lo sviluppo dei nuclei di Pescarenico a sud e Castello sopra Lecco a est dopo l'arrivo della ferrovia. Nel 1848, per meriti patriottici, il borgo fu proclamato città e, intorno al 1900, si creò un comprensorio di comuni con interscambi quotidiani industriali, commerciali, amministrativi e di servizi usufruendo, ad esempio, dello stesso ospedale, delle scuole di avviamento, dei pompieri, della stazione ferroviaria, degli uffici statali e delle banche. Queste furono le motivazioni che sostennero l’iniziativa di unificare l’amministrazione in un unico comune così da presentare al Ministero dell'Interno la richiesta di aggregazione a Lecco di nove comuni e di due frazioni attigue. Nel 1923 un primo provvedimento unì sei comuni (rimasero esclusi Malgrate e Pescate) mentre Maggianico cedette solo una parte del proprio territorio: le due località di S.Ambrogio e Belledo. Primo sindaco della grande Lecco fu il Dr. Angelo Tubi eletto nel 1926. Il cammino per l’unificazione si conclude nel 1928 quando, l’intero Comune di Maggianico, comprendente anche i paesi di Barco e Chiuso, verrà unito a Lecco configurando gli attuali confini delineati dal lago e dai monti S. Martino, Resegone e Magnodeno sino alla Rocca dell’Innominato. Nel medesimo anno si inaugurò l’attuale sede municipale alla presenza di Vittorio Emanuele III in visita alla città. I rioni richiamano per lo più appunto agli antichi comuni da cui è sorta e in quattordici parrocchie rette con una Prepositura. Fanno corona ulteriori 22 nuclei secondari: Arlenico, Barco, Bonacina, Bione, Brogno, Cabagaglio, Castione, Cereda, Coltogno, Costa, Falghera, Garabuso, Gera, Malavedo, Malnago, Missirano, Movedo, Vignola, Prato La Valle, Pometo, Varigione e Versasio.
L'aumento considerevole della popolazione e delle industrie ha portato, negli anni settanta, alla pianificazione a livello comunale, affidando la programmazione delle nuove espansioni a strumenti urbanistici (Piano Regolatore Generale). Nel periodo vengono ampliati anche i servizi, con la costruzione del nuovo ospedale e del campus universitario.

La storia economica di Lecco ha attraversato tre fasi ben distinte: quella serica, quella siderurgica e quella edilizia. Oggi, invece, sviluppate sono l'attività commerciale e l'industria, in particolare metalmeccanica, siderurgica ed elettrotecnica. Lo sviluppo altomedievale della città spiega la particolare forma urbana, costituita da una serie di quartieri poco distanti specializzati originariamente in settori completamente differenti l'uno dall'altro. I quartieri addetti alla produzione serica con filatoi e filande posti lungo la valle del Gerenzone accolsero numerose industrie del ferro, i quartieri agricoli ai piedi del Resegone, il quartiere dei pescatori (Pescarenico), il quartiere militare (Castello) e il Borgo, luogo del mercato e degli scambi sulla riva del lago.

Durante la sua prima fase industriale (Settecento - metà Ottocento) Lecco fu caratterizzata dalla presenza di attività di pesca e numerose filande per la produzione serica. Esse rappresentavano praticamente la totalità delle attività industriali di tutto il lecchese. Dopo la metà del XIX secolo si ha un veloce declino della lavorazione della seta. Rimangono a Lecco alcuni edifici ex filande, poi trasformate ad uso residenziale.
Durante la seconda fase industriale (fine Ottocento - metà del Novecento) Lecco diviene una delle prime città industriali d'Italia con il sorgere sul suo territorio di numerose acciaierie ed una quantità elevata di industrie utilizzanti il ferro per i più diversi scopi. Molte aree allora periferiche furono urbanizzate con capannoni di grandi dimensioni, colmando gradualmente il territorio della conca tra il lago ed i monti, storicamente insediata in piccoli paesi isolati intorno alla "Lecco murata".
Nella seconda metà del Novecento le crisi delle grandi industrie italiane causarono l'inizio di un rapido processo di smantellamento delle principali acciaierie cittadine, e con esso l'avvento di una terza fase in cui Lecco trova la sua ricchezza nel settore terziario, nel turismo e nell'esplosione dell'edilizia.
Delle antiche e gloriose fabbriche seriche non ne sopravvive neanche una, delle acciaierie sopravvive solo l'Arlenico (di proprietà del gruppo Lucchini Piombino spa); delle altre attività industriali sono sopravvissute alla fine della Seconda Fase poche fabbriche d'eccellenza, testimoni dell'antica identità industriale della città, non completamente sepolta ma ancora all'avanguardia in alcuni settori.
Una delle più prestigiose industrie lecchesi è stata, dal 1938 al 1992, la Sae (Società anonima elettrificazione); un'azienda leader mondiale nella realizzazione di linee di trasporto ad alta tensione. Fra i lavori attuati durante la sua storia il più celebre fu la costruzione dell'attraversamento a 220 kV dello Stretto di Messina con campata unica da 3,65 km e i due tralicci alti 225 metri in Calabria e Sicilia; impresa che nel 1957 le valse il premio nazionale Aniai per la miglior realizzazione di ingegneria industriale italiana.In ordine di tempo l'ultima grande industria a chiudere nel 1993 è stata la Antonio Badoni Lecco, leader in Italia nelle costruzioni di locomotive da manovra, di carpenterie metalliche e veicoli speciali per il trasporto.
Ad oggi risultano sul territorio circa 1300 attività industriali con oltre 9000 addetti pari a quasi il 40% della forza lavoro occupata. Risultano occupati complessivamente più di 24000 individui, pari al 51,57% del numero complessivo di abitanti del comune.


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