giovedì 23 luglio 2015

VISITANDO ZOGNO



Zogno è posto a 16 chilometri da Bergamo sulla sponda destra del fiume Brembo. Raggruppa intorno alla chiesa e allinea lungo i bordi della strada provinciale i nuclei principali delle sue abitazioni. Il resto è disseminato qua e là sui fianchi dei monti che lo cingono, come un arco di cerchio che comincia ai Ponti di Sedrina e va fin oltre la località di Ambria.

Il Museo di S. Lorenzo viene fondato nel 1985 da Mons. Giulio Gabanelli e da un gruppo di cultori di storia locale. Disposto su tre piani in un edificio di proprietà della Parrocchia, raccoglie materiale relativo alle varie fasi della religiosità popolare zognese nel corso dei secoli. Si tratta di affreschi, quadri, sculture, crocefissi, calici, pissidi, ostensori, candelabri, baldacchini, para¬menti, indumenti sacri, pizzi e ricami, mobili, libretti di preghiere, immaginette e tanti altri oggetti devozionali di grande valore artistico e storico. Nel cortiletto esterno sono esposte sculture e manufatti in pietra.

Nell’anno 2002 il gruppo Alpini di Zogno guidato dal capogruppo Luigi Garofano, tramite una convenzione con l’Amministrazione Comunale, ristrutturava lo stabile e lasciava la vecchia sede in affitto per una più spaziosa e moderna.
Avendo in magazzino del materiale militare molto importante si decideva di esporlo in una apposita sala, chiamandola “Museo dell’Alpino” (Anche se all’inizio poteva sembrare una definizione esagerata).
Col passare del tempo, grazie al lavoro di tante persone, del consiglio direttivo e del segretario Renato Gherardi, con varie ricerche il museo si ampliava con nuovo materiale, non solo alpino ma di tutti i corpi militari.
Nel giro di pochi mesi venne ribattezzato “Museo del Soldato”.
Il materiale è vario, dalle armi alle divise, dai cappelli ai distintivi, alle fotografie e lettere dal fronte. Il fiore all’occhiello –precisa Garofano- sono gli attestati con Croce di guerra dei nostri reduci di tutte le guerre.

Il museo della Valle è un museo etnografico e archeologico fondato nel 1979 dal Comm. Vittorio Polli in collaborazione con un gruppo di amici protagonisti della cultura vallare bergamasca. La sede è la Casa del Cardinal Furietti, disposta su due piani in via Mazzini, e la raccolta è costituita da un lato da reperti archeologici di notevole importanza, preziose testimonianze della vita nella nostra Valle in tempi remotissimi, e dall'altro da oggetti di epoche più recenti. Il ritrovamento di tale materiale risale al 1975, quando Onorato Pesenti scopre nella Buca di S. Andrea, nei pressi delle Grotte delle Meraviglie, numerosi resti di sepolture collettive (veri e propri ossari, corredi funerari, oggetti d'ornamento, ecc.) relativi ad un arco di tempo che partiva dalla metà del III millennio fino al XIX secolo a.C.. Per quanto riguarda i tempi a noi più vicini, invece, il museo raccoglie attrezzi degli antichi mestieri (fabbro, maniscalco, arrotino, tessitrice, fabbricante di zoccoli e di chiodi, contadino ecc....), oggetti d'uso domestico, arredi, indumenti e pizzi, antichi divertimenti (roulette paesana e baracca dei burattini) che permettono al visitatore di ricostruire le immagini di vita dei propri antenati.

Esplorate per la prima volta nel 1932 dal Gruppo di speleologi guidato da Ermenegildo Zanchi, furono in breve tempo fra le prime grotte turistiche d'Italia (1939). Il complesso delle Grotte delle Meraviglie, pur nella sua modesta estensione, presenta spunti di notevole interesse sia per la comprensione delle vicende geologiche legate alla formazione della cavità, sia per i fenomeni carsici che vi sono riccamente rappresentati. Un complesso di gallerie di antica formazione, irregolarmente circolari che confluiscono in stupende grotte. Fra queste, la zona più spettacolare è quella del "Labirinto" (Büs de la Marta), che si sviluppa prevalentemente in una sala di ampie dimensioni e dalla volta altissima arricchita dalle più svariate decorazioni calcaree. Stalagmiti di varie forme e dimensioni vanno ad incontrare le stalattiti, costruendo una serie interessante di colonne. Il contesto ricco di fascino e debitamente illuminato, rende la visita stimolante e piacevole. Da alcuni anni la gestione è affidata al gruppo speleologico "Grotte delle Meraviglie" che, oltre ad un continuo studio dell'interno, ne segue anche il comportamento e ne gestisce le visite.

La villa zognese, che dal 1985 ospita la Biblioteca Comunale "B. Belotti", venne realizzata nel 1906 per il notaio Ulisse Cacciamali dall'architetto bergamasco Giovanni Barboglio, autore a Zogno anche di edifici pubblici e della vecchia scalinata alla parrocchiale, ma più famoso in Lombardia per la costruzione o il restauro di chiese. Nel 1913 la acquistò Bortolo Belotti, che era interessato ad avere un punto d'appoggio per affrontare l'impegnativa campagna elettorale per il seggio parlamentare, che lo vedeva contrapposto al deputato uscente Egildo Carugati, appoggiato dai liberali di Giolitti e dai cattolici. Su richiesta del Belotti, il Barboglio trasfomò l'abitazione da civile in signorile, con il recupero del seminterrato e la costruzione di uno studio esterno e di un portichetto. Contemporaneamente, l'ampio prato a sud dell'abitazione veniva trasformato in giardino con alberi pregiati, vialetti e gradinate. La cura della villa e del giardino accompagnò il successo politico di Bortolo Belotti che, da giovanissimo deputato, divenne sottosegretario, ministro e leader della destra liberale. L'opposizione al fascismo ne determinò l'allontanamento dalla politica attiva e, quasi come compensazione, Belotti iniziò ad intervenire sul giardino e ad arricchirlo di opere d'arte particolarmente significative. Gli interventi si susseguirono in tre fasi principali: 1928 - 29,1931 - 33 e 1937 - 40. Particolarmente ricca è la prima fase con l'ideazione del Convito dei Grandi Brembani, undici busti di uomini di grande fama di famiglia originaria della Val Brembana, eseguiti dallo scultore bergamasco Nino Galizzi. Di questi nove sono raccolti a semicerchio nella parte pianeggiante del parco: sono i grandi vissuti tra il 1500 e il 1700, tra i quali campeggia il busto di Jacopo Palma il Vecchio, che probabilmente è l'autoritratto dello scultore; altri tre (Calvi, Cattaneo e Ruggeri), sono collocati a monte di questi e appaiono rivolti verso di loro. L'insieme è completato dalla stele del Saluto all'ospite, opera sempre del Galizzi e con testo del Belotti. Con questa operazione, il giardino diviene luogo di rifugio adatto all’otium umanistico e specchio di un animo profondamente turbato dalle sorti della nazione. Dello stesso periodo sono il gioco delle bocce (con la caccia, una delle passioni del Belotti) con la famosa sestina S'ha da Tegn ol balì, basata su un'efficace relazione tra sport e vita e che appare anche come un esame di coscienza. Il secondo periodo segue immediatamente la breve ma triste esperienza del confino a Cava dei Tirreni ed è contrassegnato dall'edificazione dell'edicola della Madonna, dalle statue dei leoni e del busto del Gioppino. L'edicola, probabilmente un ex voto, segno della profonda fede del Belotti, racchiude un quadretto in marmo della Natività, interessante opera del giovane scultore cremonese Dante Ruffini; completano la cappellina due terzine tratte dalla Divina Commedia di Dante Alighieri che richiamano la necessità di una fede assoluta nel disegno provvidenziale di un Dio misericordioso. I leoni, opera dell'artista veronese Bragantin, rappresentano gli stemmi di Venezia e di Bortolo Belotti: particolarmente significativo è quello posto accanto alla stele del Saluto dell'ospite con l'emblema della quercia sradicata o il motto Non col vento, così spiegati da un amico: "la bufera non potè schiantare rami né strappare fronde, ma l'albero intero fu divelto dalla furia della tempesta e nel saldo terreno apparvero le forti radici spez-zate come membra ferite e lacerate", in cui la bufera è la violenza del regime fascista e le forti radici nel saldo terreno sono la tempra e la fedeltà di Belotti nei confronti della civiltà millenaria italiana e del popolo brembano. Il Gioppino, infine, opera dell'artista Alfredo Faino e dono degli amici del Ducato di Piazza Pontida, dovrebbe rappresentare il carattere dell'uomo bergamasco, a cui Belotti e i suoi amici aderivano, cioè "un onest'uomo, bonario, leale, pacifico", contrapposto all'ideale di uomo fascista, vendicatore, violento, prevaricatore e ambizioso. Poche, ma sempre interessanti, sono le realizzazioni dell'ultimo periodo: la statua della Fede, l'epigrafe Hyeme et aestate e la lapide tassesca. La prima, che conserva nel basamento una pergamena, è copia tratta da una statua della cattedrale francese di Reims e rappresenta la fede religiosa e la fedeltà alle scelte politiche e di vita, in quanto "simbolo di un ideale che non tramonti e che illumini ogni giorno della tua vita". La parola incisa sul basamento, "Sempre", esprime un concetto, l'assoluta coerenza di vita, che viene ribadito anche in una piccola stele con l'epigrafe Hyeme et aestate. Infine, la lapide tassesca con l'iscrizione "hinc discessit nobilissima tassorum gens…", presentata dal Belotti stesso come lapide settecentesca ritrovata nella sua casa natale zognese (abitata nel Seicento da Maffeo Tasso) e poi collocata nel giardino della villa. Probabilmente, però, si tratta di un'epigrafe dettata dallo stesso Belotti: l'operazione è di difficile interpretazione, forse richiama il senso della stele del Saluto dell’ospite e può essere intesa come sintesi delle realizzazioni artistiche del giardino, con riferimento alla civiltà brembana, bergamasca e italiana nel momento in cui veniva messa in crisi dallo scoppio devastante della Seconda Guerra Mondiale. E' quindi, forse un ultimo messaggio ai posteri di Bortolo Belotti, che nello stesso periodo si accingeva a completare la Storia di Bergamo e la Storia di Zogno e che sarebbe morto poco dopo in esilio, nel 1944, senza vedere la resurrezione della Patria.

La Chiesa di San Lorenzo Martire, costruita sui ruderi dell'antico castello nel 1431, prendeva il posto della vecchia chiesa dell'Annunciazione di S. Maria. Nel 1458 l'edificio è già murato, sebbene non del tutto completato. I decori interni, infatti, oltre al campanile, al cimitero e allo scalone, furono realizzati in un secondo tempo. Il 10 agosto 1472 si procedette all’inaugurazione. Ulteriori trasformazioni e restauri operati nel corso dei secoli la porteranno poi ad assumere l'aspetto attuale. Sul campanile si trova la statua di S. Lorenzo, opera dello scultore Francesco Albera di Milano che eseguì anche le statue dei dodici apostoli poste all'interno. Oltre alle decorazioni neoclassiche, l’interno racchiude numerosi dipinti e opere di nomi famosi, tra cui si ricordano Vincenzo Angelo Orelli, Palma il Vecchio, Enrico Albricci, Cavagna e Rillosi. Di particolare valore anche i quindici Misteri del S. Rosario ritenuti sino ad ora di Francesco Zucco. Una moderna vasca battesimale in bronzo, il leggio del presbiterio e l'altare comunitario sono opere dello scultore con-temporaneo Alberto Meli. Il coro è dell'abilissimo artista zognese Giuseppe Lazzaroni.

Le vicende architettoniche del Palazzo Rimani devono essere ancora chiarite nelle sue principali trasformazioni mentre, al punto attuale della ricerca, si dovrà ampliare la sua denominazione da Palazzo Rimani  a  Palazzo Zambelli Rimani.
Il rilevamento catastale, rappresentato in una mappa del 1812, ci descrive una casa di abitazione con corte intestata a Bernardo Zambelli.
L'edificio, già completato nelle sue parti architettoniche e decorative, prospettava sul tracciato della "via Priula" ed era presumibilmente racchiuso da un muro di cinta che lo delimitava dai campi retrostanti coltivati ad aratorio e a prato con moroni. Di pertinenza al Palazzo, ed accostati da un viale che conduceva alla via allora detta "strada delle   muracche", si estendevano un piccolo orto e il brolo. Il diverso contesto urbano illustrato dalla mappa era costituito, nel sito attualmente occupato dalla piazza, da campi arati e orti e, in prossimità ad essa, da alcune case periferiche al nucleo storico e disposte lungo la Priula. La posizione e il disegno architettonico del palazzo conferivano così importanza e prestigio sia al manufatto che al proprietario.
Fino ad ora non è possibile datare l'edificio anche se si potrebbe supporre la costruzione, o un suo adattamento, nell’ultimo quarto del XVIII  secolo. Alcuni particolari sono riscontrabili con quelli della chiesa parrocchiale, trasformata tra il 1770 ed il 1789 da Giuseppe Damiani. Neanche sulla famiglia promotrice vi sono precise certezze. Il   ritrovamento di un atto di vendita datato 27 Luglio 1800 tra Francesco Maffei (figlio di Carlo) e Bernardino Zambelli di un "corpo di case consistenti in sette fondi terranei in parte cilterati e superiori ... con una pezza di terra broliva cinta di muro attaccata alla suddetta  casa posta in principio della contrada di Foppa e confinante a nord con la Priula, a est con lo Zimbelli, a sud con la strada delle muracche”, suggerisce forse l’esistenza di una certa attività nella stessa proprietà della quale però non vi sono notizie.
In seguito la proprietà venne ereditata da Barnaba Vincenzo, sindaco di Zogno nel 1828 professore all'università di Padova tra gli anni quaranta e cinquanta, e primo deputato del distretto al Parlamento Italiano negli anni 1860 e 1861.

Il paese di Zogno, centro principale della valle inferiore, attivo nell'industria tessile, era già noto nel '600 per la lavorazione della carta da stracci. Alla sinistra della statale, ancora oggi si notano lungo il fiume, oltre a tessiture del primo '900, alcuni edifici a loggiato usati un tempo per asciugare la carta.

Fanno corona al capoluogo, nel verde delle sue alture, numerose frazioni come Poscante, luogo d'origine del bandito Paci' Paciana, Endenna, Stabello, dove nacque il poeta dialettale Pietro Ruggeri, Grumello de' Zanchi, patria degli omonimi pittori, Miragolo e Spino al Brembo.

Molte di queste contrade furono comuni autonomi fino all'inizio di questo secolo e conservano tuttora testimonianze artistiche e architettoniche di notevole importanza. Di rilievo il convento di Romacolo (XV secolo) che mantiene evidenti, nel chiostro e nel campanile a cuspide conica le linee originarie. Da vedere anche la chiesa dell'Assunta a Grumello de' Zanchi, con tele di Antonio Zanchi e un polittico di Francesco Rizzo da Santa Croce.

Rinomato a Zogno e' anche l'aspetto culinario con ristoranti e trattorie che servono piatti locali della tradizione bergamasca.
La sagra del paese di Zogno si svolge ad Agosto (San Lorenzo).

Uno degli elementi più belli e caratteristici del paesaggio in Valle Brembana è quello costituito dai roccoli.

Nati in epoca medievale come fonte integrativa di sostentamento della magra economia rurale, essi rappresentano un importante capitolo dell'architettura spontanea e della cultura rurale della Valle Brembana.
Utilizzati per la cattura degli uccelli, sono il risultato della sinergia tra una secolare passione venatoria, assai diffusa nei nostri paesi, la grande conoscenza dell'avifauna e una raffinata tecnica silvicolturale, proprie delle popolazioni di montagna. Malgrado molti siano andati perduti per abbandono, ve ne sono ancora decine che si stagliano con il loro profili sulle dorsali, sui poggi e sui crinali, lungo le linee migratorie dell'avifauna.
Tutti i roccoli sono infatti posti su punti dominanti, con ampio campo visivo, soprattutto verso est, per poter scorgere tempestivamente gli stormi in avvicinamento.
L'impianto fondamentale consiste in una costruzione realizzata in murature e legno (il casello), a forma di torretta e avvolta da specie rampicanti o da alberi addossati alla parete che mascherano la costruzione.
Sul casello, solitamente dotato di un piccolo ballatoio, si apposta l'uccellatore a sorvegliare l'arrivo dei migratori. Dal casello si sviluppa un doppio filare di alberi a semicerchio (il tondo o il cerchio) con la parte aperta in corrispondenza del casello.
Il tondo costituisce la parte fondamentale per la cattura degli uccelli: le cime degli alberi si fanno congiungere così da formare una galleria all'interno della quale è posta un'intelaiatura che regge delle reti.
La funzione del roccolo è quella appunto di attrarre gli stormi degli uccelli in volo e catturarli mediante le reti. Nel tondo vi sono degli uccelli (richiami) disposti in gabbie che con il loro canto richiamano l'attenzione dello stormo.
Quando lo stormo si posa, l'uccellatore dal casello lancia gli spauracchi, formati da rametti con penne di un rapace, che spingono gli uccelli a infilarsi nel tondo, rimanendo intrappolati nelle reti. Naturalmente oggi esiste una coscienza ecologica che ha portato già da anni al divieto di questa forma di caccia e i roccoli ancora funzionanti sono utilizzati per importanti studi sui flussi migratori dell'avifauna.
Di certo essi rimangono ancora oggi veri e propri monumenti architettonici, rappresentazione di una grande cultura naturalistica che ha permeato per secoli generazioni di montanari. Delle centinaia di roccoli esistenti un tempo sui passi e sulle creste della Valle Brembana, molti sono oggi andati perduti per abbandono e perché ricoperti e ormai nascosti dalla vegetazione. Ne rimangono tuttavia diverse decine che possiamo ancora oggi ammirare in tutta la loro bellezza.
Partendo dalla bassa valle troviamo sul Canto Alto, raggiungibili da Sorisole, Sedrina o Zogno, il Fontanù, o Fontanone, il Prat tònd e il Prati Parini.
Una magnifica zona di passaggio era Miragolo San Marco, sopra Zogno, che conta ancora diversi roccoli: il Colombèr, il Prato Rosso, il roccolo al colle e quello del Flin.



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