domenica 30 agosto 2015

CASTO

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Casto è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia.
L'abitato di Casto posto alla confluenza di torrenti che scendono dalla zona di Comero e da Alone vide già in tempi assai antichi sorgere molte fucine per la lavorazione del ferro.

Accanto all'attività siderurgica il paese era già noto nel medioevo per la lavorazione del panno e della seta alla quale si dedicarono facoltose famiglie come i De Benedictis, successivamente noti come Montini.
Il nome trova probabilmente origine da Casticus, cioè castagno, oppure Castrum, accampamento romano.
Nel 1385 entrò a far parte della Quadra di Valle Sabbia e successivamente, come tutta la Valle del dominio Veneto. Dal punto di vista ecclesiastico le chiese di Casto, Malpaga, Alone e Comero furono sussidiarie dell'antica Pieve di Mura. Progressivamente acquistarono l'autonomia e divennero Parrocchie.

La tradizionale lavorazione dei metalli, la collaudata dedizione al lavoro
hanno lasciato i loro segni. Oggi Casto è uno dei più floridi centri industriali
della Valle Sabbia con numerose maniglierie, fonderie di materiali ferrosi e non ferrosi ed altre collaudate attività.

I pulsanti opifici si accompagnano ad un paesaggio gradevole ed a monumenti d'arte di notevole qualità.

Sui viottoli di campagna si trovano molte "santelle" con buoni affreschi di diverse epoche.

La sintesi tra storia, le opere d'arte ed una pulsante attività caratterizza la comunità di Casto, legata alle sue tradizioni ma volta con fiducia e determinazione al futuro.

Il comune, oltre al centro, comprende anche le frazioni di Malpaga, Briale, Auro, Famea, Comero e Alone.
Le località del comune furono denominate variamente nel corso dei secoli. I nomi più usati sono stati i seguenti: Plano Savalli (secolo XVI); Alò (secolo XVII); Alone (secolo :XVIII); Comero (secoloXVII); Famesia (secolo XVI); Malpa (secolo XVIII).

Alone è una delle più pittoresche frazioni di Casto. 
Deriva probabilmente da Al, Alù, cioè vallone e confina con la Valtrompia.
Una leggenda locale vuole che uno spirito infernale, volando rasente a rupi e burroni, abbia fatto sorgere casolari e verdi prati.
Ma poi il paese fu abitato da persone buone e laboriose. Si distinse per le fucine di chioderie, molto rinomate nei secoli scorsi, che andarono esaurendosi agli inizi del secolo, assieme ad una diminuzione impressionante di popolazione.

Comero è la frazione più alta delle sei che formano la comunità di Casto. 
Si trova a 765 m s.l.m., a 35 km da Brescia, sul versante sinistro della valle del Nozza, affluente di destra del Chiese.
Alcune fonti storiche fanno derivare il nome dal personale romano Comarius, altri ritengono che derivi da Gömer, cioè vomero.
In ottima posizione alpestre si distende su degradanti dossi, con alle spalle il Monte Nasego (m 1437), che costituisce un'ottima passeggiata alpinistica. 
Vi ebbe probabilmente beni il monastero di Nonantola, come denota il culto di S. Silvestro, odierno patrono.
Anticamente il paese, con Mura, Casto, Alone, Malpaga e Posico, formava un solo comune denominato Savallo.

Auro è la più piccola frazione del comune di Casto.
Situato a 650 m s.l.m., ospita il santuario della Madonna della Neve.

Briale deriva da Brol, brolo esposto al sole. È una delle più belle e popolose frazioni del comune.

Malpaga ha sempre fatto parte dell'Università civile e religiosa di Savallo. 
Con Posico (ora comune di Mura), sono stati per lungo tempo comune a sé, fino al tempo del Regno Lombardo Veneto. A tutt'oggi, in centro, esiste ancora l'antica casa comunale nel relativo vicolo.

La chiesa parrocchiale di Casto, dedicata a S. Antonio Abate, è una armonica costruzione in linee neoclassiche, opera dell'architetto Donegani.
All'interno contiene belle tele di Domenico Voltolini. Alcune dimore dimostrano ancora i segni della floridezza di alcune famiglie dedite all'industria ed al commercio.

La chiesa parrocchiale dedicata a S. Lorenzo ha una facciata molto particolare con lesene che sottolineano i movimenti chiaroscurali.
Caso unico in Valle Sabbia è totalmente affrescata.

A Comero, posta su un poggio quasi in colloquio con la sovrastante Corna di Savallo, l'imponente parrocchiale dedicata a S. Silvestro è uno scrigno d'arte.
La chiesa, opera dell'architetto Carlo Corbellini, è un bellissimo esempio di architettura settecentesca.
All'interno si può ammirare una superba tela di Palma il Giovane. Gli affreschi che decorano la volta ed il catino dell'abside sono di Pietro Scalvini.

Il santuario della Madonna della Neve è una chiesa di Auro.
Costruita nella metà del Cinquecento in onore di un'apparizione mariana, è stata poi restaurata e abbellita nel Settecento. Vi si conserva il Sant'Antonio Abate del Moretto, al terzo altare destro, e due organi settecenteschi inseriti in elaborate ancone lignee.
Il santuario viene costruito a partire dal 1527 dopo un'apparizione della Madonna. L'edificio è stato in seguito abbellito con nuove decorazioni, in particolare nel Settecento, quando sono stati eseguiti gli stucchi ancora oggi presenti all'interno. Nello stesso periodo vengono installati i due organi.
Il santuario è ancora oggi funzionante e vi si organizza annualmente una "settimana mariana" con incontri di preghiera e cerimonie.
L'esterno del santuario appare molto semplice, con facciata a capanna. Sul retro si eleva un piccolo campanile. L'interno è a navata unica coperta da volta a botte, con tre cappelle per lato.
La volta è ricoperta da elaborate cornici in stucco contenenti affreschi. Il muro di controfacciata e la seconda cappella destra sono occupate dalle due grandi ancone lignee degli organi, realizzate nel Settecento dalla famiglia Pialorsi.
Al terzo altare destro si trova il Sant'Antonio Abate del Moretto, eseguito dopo il 1530. L'opera, di notevole pregio artistico e collocabile all'apice della produzione del pittore, presenta caratteri molto più liberi rispetto alle opere coeve e la causa, probabilmente, è da ricercare nella committenza di provincia, per la quale il Moretto poteva esprimere con più tranquillità il suo estro artistico. La tela è stata anche definita l'archetipo della pittura seicentesca bresciana, ricca di movimenti, contrasti, volumi poderosi e segni violenti.

Partendo dalla frazione di Comero, è possibile raggiungere il rifugio Nasego, situato proprio sull’omonimo monte, che domina il Savallese.

Il rifugio Nasego è da diversi anni il punto di arrivo della gara omonima che si svolge nel mese di Maggio: il percorso della gara parte dall’abitato di Casto e raggiunge il monte Nasego percorrendo parte del territorio comunale di Casto e passando anche per il comune di Lodrino. La manifestazione ha raggiunto negli anni una certa notorietà fra gli appassionati di corsa in montagna e non solo, valicando anche i limiti della provincia di Brescia.

All’ultima domenica di agosto si celebra la festa del rifugio, ricordo dell’inaugurazione del rifugio stesso e occasione particolarmente piacevole per trascorrere una bella giornata in montagna, gustando la cucina del rifugio.

A poco distanza dal paese di Casto si trova il rifugio Paradiso, in località “Regazzina”. Il sentiero per raggiungerlo è comodo e particolarmente suggestivo, dal punto di vista del paesaggio.

Il rifugio è gestito dal Gruppo Alpini di Casto, è aperto ogni domenica da aprile fino alla metà di settembre: in questi giorni è possibile trovare sempre i volontari del Gruppo Alpini disponibili ad accogliere gli ospiti che vorranno fermarsi al Rifugio.
Il Rifugio Paradiso si trova all’incrocio di alcuni sentieri che percorrono il territorio di Casto: alle spalle del rifugio parte la “Strada degli Alpini”, che sale in Luina e dal quale si possono raggiungere le ferrate. Al di là della pietraia parte invece il sentiero che porta in località “Pile”, al confine con il comune di Bione (segnavia rosa, in parte scolorito); percorrendo ancora la pietraia in direzione est, si può arrivare in “Regazzina”, dove rimangono i ruderi di un vecchio fienile e una cisterna (recuperata dal lavoro di alcuni volontari); proseguendo oltre il prato di “Regazzina”, si può salire nella cosiddetta “Val dei Enferem” (sentiero piuttosto impervio e con qualche difficoltà), dove si trova una sorgente che alimenta in parte il torrente che si è seguito alla partenza del percorso che porta al Rifugio.


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PAITONE



Paitone è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia.

Il paese è, dal punto di vista urbanistico, un aggregato di varie contrade: Paitone capoluogo, Bettola, Risoline, Colombaro, Soina e i nuclei montani di Pospesio, Marguzzo, Sarzena.

Preziosi reperti archeologici, rinvenuti negli anni Sessanta sul monte Paitone, testimoniano l'esistenza di un insediamento umano preistorico, risalente all'età del bronzo.
L'esame di tali reperti, ora conservati nel Museo di Gavardo, e un sopralluogo alla località di rinvenimento, hanno accreditato l'ipotesi che sulla dorsale del monte, verso la valletta di Pospesio, sorgesse l'insediamento, costituito da capanne all'asciutto, sovrastanti uno specchio d'acqua interno che occupava la valletta.
Quest'area e l'area montana, a nord dell'attuale paese, dovette essere fin dall'epoca preromana, per la posizione ospitale e di transito, luogo residenziale favorevole.
Fu successivamente meta di migrazione di popolazioni nordiche e montanare, provenienti dall'Alto Chiese.
Furono queste a costruire i cascinali tozzi, sorretti da pilastri bassi e di enorme grossezza, con portali larghi e bassi tipici della zona: i baitù (VII secolo circa); Paitone potrebbe quindi essere un toponimo che deriva dalla denominazione di questi cascinali.
La storia documentata di Paitone è legata alla presenza dei Benedettini del monastero di S. Pietro in Monte di Serle (secolo XI), che presero possesso dei plessi montani di Pospesio e Marguzzo e procedettero alla bonifica delle terre pedemontane, cui seguì la costruzione dei nuclei abitati di Soina e Colombaro.
Nell'XI secolo fanno la loro comparsa i "Capitani de Paitono", signori di Paitone, vassalli feudatari del monastero benedettino di Serle.
Di essi il più celebre è quel Valerio Paitone, al quale a Brescia è intestata una via, congiurato nel 1512 contro i Francesi, ucciso nel 1516 in un'imboscata tesagli a Nave.
Lo stemma che attualmente orna il vessillo comunale (scudo con tre lune falcate d'argento, sormontato da una corona) era lo stemma di questa famiglia di capitani del popolo.
Le vicende storiche dell'epoca moderna e contemporanea hanno visto i Paitonesi protagonisti discreti, apparentemente ai margini degli eventi più eclatanti, eppure presenti nel loro agire concreto e dignitoso, in una dimensione che li ha caratterizzati e li caratterizza come comunità viva e, al di là di contingenti divergenze, solidale.

Marguzzo e Sarzena sono situati a nord del paese, in zona montana, vi si arriva con una comoda strada panoramica che si inerpica in mezzo ad un bosco di conifere.
Sono i nuclei più antichi di Paitone, sorti nel VII -VIII secolo; sono tuttora visibili, anche se compromesse nelle loro caratteristiche architettoniche, le costruzioni basse con pilastri tozzi e robusti.
A Marguzzo sorge la chiesetta di S. Martino, che risale al VII secolo.
In epoca medioevale questi nuclei avevano regolare collegamento stradale con Gavardo e la Valle Sabbia via Gusciana, e, con Brescia via Serle, S. Gallo e Botticino.

Pospesio è un nucleo abitato sorto intorno ai cascinali: si adagia in un'amena valletta il cui fianco sud, costituito dal monte Paitone, è purtroppo butterato a causa delle numerose cave.

Colombaro e Soina sorsero intorno all'XI secolo ad opera dei Benedettini di S. Pietro in Monte di Serle, in zona pedemontana, a seguito delle bonifiche delle terre acquitrinose.
Delle due contrade, Soina è quella che ha conservato un aspetto suggestivo e austero, per la particolare tipologia delle sue costruzioni, alcune delle quali, risalenti al XVI secolo, sono menzionate da Fausto Lechi nel IV volume de Le dimore bresciane (casa Achille, casa Ghio, casa Ghidinelli).

L'architettura delle case del nucleo centrale (finestrelle ogivali, mura possenti) affacciate su via Moretto, testimonia che questo borgo è di origine medioevale.
Vi sono case che, pur ampiamente rimaneggiate, conservano ancora tratti caratteristici (casa CavalIeri in via S. Giulia, villa Basiletti-Martinengo e villa Sorelli in via Moretto).

Bettola sorse intorno a villa Averoldi, la cui parte centrale risale al XVI secolo, sulla strada che a quel tempo univa Paitone a Goglione di Sotto (Prevalle).

La chiesa di S.Martino, è la più antica chiesa di Paitone, fondata in epoca Longobarda risalente al VII secolo. Di fattura molto semplice. All’interno la navata è tagliata ad arco tondo e il soffitto del presbiterio è a vela. La chiesetta è giunta intatta fino ai nostri giorni ed è ben conservata soprattutto per l’attaccamento degli abitanti delle contrade montane di Marguzzo e Sarzena.
La chiesa di S.Giulia, risalente all’VIII è la seconda chiesa sorta in Paitone.
La chiesa di S.Rocco eretta nel XVI secolo quando tra la popolazione imperversava la peste, venne costruito come lazzaretto per accogliere gli ammalati e come voto per supplicare la liberazione dal flagello. La chiesetta di semplice fattura, l’altare ligneo e la pala che raffigura S.Rocco sono di grezza fattura.
La chiesa Parrocchiale risale al 1742 opera dell’architetto Antonio Corbellino. La chiesa presenta una facciata a curvatura a due ordini di cui il superiore è più leggero e più accuratamente studiato. L’interno con i giochi delle curvature è situato su tre campate di cui la centrale è coronata da una vela a spicchi che riallarga leggera e poggia su un’orlatura di merletto.

Il santuario della Madonna di Paitone fu costruita a partire dal 1534 sul luogo dove era miracolosamente apparsa la Madonna due anni prima, è stata più volte abbellita nel corso dei secoli ma ha mantenuto il suo ruolo di santuario devozionale alla Vergine. Contiene un'importante pala del Moretto, l'Apparizione della Madonna al sordomuto Filippo Viotti, da sempre lodata per il fatto di illustrare l'apparizione con grande concretezza, senza ricorrere ad elementi soprannaturali e miracolistici.

La nascita del santuario è legata all'apparizione della Madonna al giovane Filippo Viotti, avvenuta nell'agosto del 1532, sui monti nei pressi dell'abitato. La Vergine avrebbe chiesto al fanciullo di far costruire una chiesa in quel punto e questi, sordomuto, sarebbe poi miracolosamente guarito. La comunità di Paitone, in onore alla richiesta della Vergine, decide quindi di costruire un nuovo santuario a lei dedicato. L'autorizzazione dalla diocesi di Brescia arriva l'11 maggio 1534, redatta da Mattia Ugoni, ausiliario del vescovo Andrea Corner. Fra le altre cose, si legge appunto che "ricevuta l'umile e devota vostra domanda, or ora a noi presentata, per fondare, per erigere, costruire e fabbricare una chiesa in quel luogo ove è apparsa la Santissima Vergine Maria e ove dicesi operare molti miracoli, noi col tenore della presente lettera, concediamo tale licenza e facoltà".

Il santuario viene arricchito da una tela del Moretto, che il pittore avrebbe dipinto basandosi fermamente sulla testimonianza del giovane Filippo. Il Racconto dell'apparizione miracolosa e di come il Moretto si accinse ad eseguire l'opera ci è stato tramandato da Carlo Ridolfi il quale, comunque molto enfaticamente, nel 1648 scrive: "Raccoglieva un contadinello (Filippo Viotti) more silvestri nel seno di quel monte, a cui apparve Maria Santissima in sembiante di grave Matrona, cinta di bianca veste, commettendogli, che facesse intendere a que' Popoli, che al di lei nome edificassero una Chiesa in quella sommità, che in tal modo cessarebbe certo infortunio di male, che gli opprimeva. Ubbidì il garzoncello, et ottenne anch'egli la sanità: Edificato il Tempio, fu ordinata la pittura al Moretto; il quale con ogni applicatione si diede a compor la figura della Vergine, nella guisa che riferiva il Rustico (cioè tentando di attenersi alla descrizione fatta dal contadino): ma affaticandosi invano, pensò che qualche suo grave peccato gl'impedisse l'effetto, onde riconciliatosi con molta divotione con Dio, prese la Santissima Eucharistia, ed indi ripigliò il lavoro, e gli venne fatta l'Imagine in tutto simigliante a quella che haveva veduto il Contadino, che ritrasse a' piedi, col cesto delle more al braccio, onde viene frequentata da continue visite de' Popoli, mediante la quale ottengono dalla Divina mano gratie e favori". L'apparizione della Vergine, cosa che il Ridolfi non dice, avvenne su una pietra, che viene poi utilizzata come base dell'altare maggiore della chiesa.

Il santuario è costruito in circa due anni e viene costantemente abbellito, costruendo il portico in facciata e aprendo il vasto piazzale antistante. Nel corso dei secoli si sono registrati molti altri miracoli legati al santuario, tutti legati a guarigioni improvvise e inspiegabili.

All'esterno, l'edificio si presenta circondato da un portico regolare ad arcate sorretto da colonne di ordine tuscanico, molto semplice. Sul fronte, il porticato si riduce a tre vani e il coronamento è decorato da un timpano triangolare. Vicino all'abside è posto il campanile, mentre davanti al santuario si apre un vasto piazzale.

Internamente, la chiesa è a navata unica ed è riccamente ornata da stucchi dorati. Sul fondo dell'abside è posto il ricco altare marmoreo poggiante sulla pietra dell'apparizione e contenente la tela del Moretto.

Sulla cantoria in cornu Evangelii posta a metà chiesa si trova un organo costruito da Giovanni Bianchetti di Brescia nel 1908.

Lo strumento, a trasmissione meccanica, presenta un'unica tastiera di 58 tasti e una pedaliera a leggio di 17 pedali.

La tela del Moretto eseguita dal pittore nel 1534 circa, è giudicata dal critico d'arte Gustavo Frizzoni, nel 1893, "una delle sue creazioni più delicate e più intimamente sentite". Lo studioso Valerio Guazzoni, nel 1981, analizza invece il rapporto tra il dipinto e il racconto tramandato dal Ridolfi, concludendo che il Moretto abbia davvero voluto fare un'opera che riproducesse con fedeltà il racconto del fanciullo. "Come altrimenti dar conto della grande libertà d'immagine, veramente senza riscontro nell'iconografia sacra, e della particolarità dei dettagli, dal canestrino di more al velo della Madonna? Il carattere soprannaturale dell'avvenimento, che per la sua semplicità si distingue dalle tante, appassionate visioni e esperienze di mistici contemporanei, viene potenziato, proprio sottolineandone la concretezza e la povertà. Il dipinto di Paitone è il contributo più originale dell'artista a quel nuovo fervore nella devozione alla Vergine caratteristico di questi anni ed al quale forse non fu estranea la volontà di contrastare certi spunti antimariani della propaganda protestante". In uno studio successivo del 1986 il Guazzoni tornerà su questi argomenti, osservando che "l'originalità dell'opera  consiste nella soppressione di ogni elemento miracolistico e nella integrale trasposizione del sacro nel reale, attuata seguendo fedelmente il racconto del protagonista, idea questa del sacro che non si rivela in sé, ma si nasconde nell'umano, sotto apparenze quotidiane e comuni".


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TU GIOCHI....IO LAVORO

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Io sono un bimbo come te...però tu con la palla ci giochi mentre io la palla la costruisco per mangiare e dare da mangiare alla mia famiglia.
Sono almeno 168  milioni i bambini e gli adolescenti nel mondo costretti a lavorare, di cui 85 milioni in lavori altamente rischiosi. L'agricoltura il settore con la più alta presenza di minori - 98 milioni - ma bambine, bambini e adolescenti sono coinvolti anche in attività domestiche, nel lavoro in miniera o nelle fabbriche, spesso in condizioni di estremo pericolo e sfruttamento. L'Africa sub sahariana l'area del mondo con massima incidenza di minori al lavoro. Il lavoro minorile è presente anche in Italia e riguarda  almeno 340.000 minori sotto i 16 anni, di cui 28.000 coinvolti in attività molto pericolose per la loro sicurezza, salute e ai limiti dello sfruttamento. Per questo è urgente l'adozione di un piano nazionale sul lavoro minorile e di contrasto e prevenzione dello sfruttamento lavorativo di bambini e adolescenti nel nostro paese.

Lo chiedono Save the Children e ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), nella Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile del 12 giugno. "Alla vigilia di un anniversario ufficiale - dice Raffaela Milano, direttore programmi Italia-Europa di Save the Children - ci ritroviamo a constatare una mancanza di attenzione al lavoro minorile nel nostro Paese,  sia in termini di monitoraggio del fenomeno, che di azioni specifiche per prevenire e contrastare il fenomeno, anche nelle sue forme peggiori, nonostante si tratti di un problema presente e che rischia di peggiorare,  anche a causa della crisi economica",

Il rischio di compromettere il futuro. "Come emerge dal Rapporto mondiale sul lavoro minorile 2015 dell'Ilo, diffuso ieri, un bambino costretto a lavorare prima del tempo, avrà il doppio delle difficoltà dei suoi coetanei ad accedere ad un lavoro dignitoso in età più adulta - commenta Furio Rosati, dell'ILO e direttore del programma di ricerca ILO-UNICEF-Banca Mondiale Understanding Children's Work (UCW) - correrà molti più rischi di rimanere ai margini della società, in condizioni di sfruttamento. E' cruciale assicurare ai minori - ha aggiunto - una istruzione di qualità almeno fino all'età minima di accesso al mercato del lavoro per garantire l'acquisizione delle conoscenze base e delle competenze adeguate alle necessità del mercato del lavoro. Dobbiamo impedire che il lavoro minorile comprometta il presente e il futuro dei bambini e agire perché ciò non accada, sia nei paesi in via di sviluppo che nei paesi più benestanti,  Italia inclusa".


Secondo la ricerca Game Over di Save the Children, il 7% dei minori nella fascia di età 7-15 anni in Italia è coinvolta nel lavoro minorile. Più di 2 minori su 3 (fra 14 e 15 anni) sono maschi e circa il 7% è un minore straniero. L'11% degli adolescenti che lavorano - pari a circa 28.000 - sono coinvolti nelle forme peggiori di lavoro minorile, con orari notturni o con un impegno continuativo, con il rischio reale di compromettere gli studi, di non avere neanche un spazio minimo per il gioco e  il divertimento o per il necessario riposo. Lavorano  per lo più in attività di famiglia (44,9%) mentre per ciò che riguarda i minori impiegati all'esterno del circuito familiare, i settori principali sono quello della ristorazione (43%), dell'artigianato (20%) e del lavoro in campagna (20%).

E sono stati coinvolti in sfruttamento lavorativo anche molto pesante la gran parte di minori nel circuito della giustizia minorile, come emerge da un'ulteriore indagine di Save the Children. "Il picco di lavoro minorile si registra  fra gli adolescenti, in quell'età di passaggio dalla scuola media alla superiore, che vede in Italia uno dei tassi di dispersione scolastica più elevati d'Europa e pari al 18,2%", spiega Raffaela Milano. "Bisogna intervenire per spezzare il circuito perverso fra dissafezione scolastica e lavoro minorile, rafforzando i progetti contro la dispersione scolastica, gli interventi di sostegno formativo per i ragazzi che hanno prematuramente abbandonato gli studi e favorendo una maggiore continuità fra scuola e lavoro attraverso percorsi  protetti di inserimento lavorativo. Un lavoro dignitoso, a differenza di quello illegale e sfruttato, può essere uno strumento virtuoso per favorire lo sviluppo della personalità del minore, la sua responsabilizzazione e le capacità relazionali ed è quindi cruciale finanziare e potenziare questi percorsi", precisa Raffaela Milano.

In Africa, Asia, America Meridionale, Italia, Ungheria, Svizzera, Mongolia, Cina e Tibet all'inizio degli anni ottanta i piccoli lavoratori erano stimati a oltre 5 milioni. In questo momento sono oltre 150 milioni e secondo alcune stime anche 250 milioni. Il fenomeno del lavoro minorile riguarda non solo i paesi in via di sviluppo ma anche l'occidente industrializzato.

I lavori imposti ai bambini si possono dividere in due categorie: settore produttivo: agricoltura, industria, pesca, e settore urbano. In agricoltura i bambini vengono impiegati nei piccoli orti familiari, oppure dalle multinazionali nelle agricolture di piantagione come braccianti. Nell'industria invece i ragazzi, generalmente fra i 7 e i 15 anni, vengono impiegati per produrre oggetti tessili, ad esempio tappeti; oppure per fare palloni o scarpe.

La responsabilità del lavoro minorile va attribuita in primo luogo alla povertà: nella maggior parte dei casi i bambini devono lavorare per costruire palloni, scarpe o per cucire abiti. Il lavoro infantile o minorile può essere causa, e non solo conseguenza, di povertà sociale e individuale. In alcuni casi svolgendo attività lavorative, un bambino non avrà la possibilità di frequentare in modo completo neppure la scuola elementare, rimanendo in una condizione di analfabetismo, a causa della quale non potrà difendere i propri diritti anche da lavoratore adulto. Infatti molto spesso i lavoratori venivano imbrogliati dai padroni perché erano analfabeti e non potevano sapere che cosa il proprio padrone stava facendo loro firmare, e doveva stare ai suoi ordini magari per anni o addirittura fino alla loro morte.

Sono più di 1 su 20 i minori sotto i 16 anni coinvolti nel lavoro minorile in Italia: il 5,2% della fascia 7-15 anni per un totale di circa 260.000 giovani.

Una prima mappatura del lavoro minorile in Italia ci consegna un Paese fortemente spaccato: al centro e al nord il rischio spazia da "molto basso" a "medio" (a Roma e Milano), mentre al sud e nelle isole diventa "alto" e "molto alto" con i picchi più alti in Sicilia e nelle province di Foggia e Vibo Valentia.

In Italia, lo sfruttamento del lavoro minorile è vietato dalla legge 977 del 17 ottobre 1967.



Nel 1924 la Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni adotta la Convenzione di Ginevra (o Dichiarazione dei diritti del bambino). Il 20 novembre 1989, con l'approvazione da parte dell'ONU della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, vi è un tentativo di arginare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile. Viene infatti stabilito che i bambini hanno il diritto "di essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso".

Per fermare lo sfruttamento minorile sono state promosse iniziative come la promozione di marchi commerciali (Fair Trade) che garantiscano che un determinato prodotto non sia stato fabbricato utilizzando manodopera infantile. Questi programmi, pur essendo mossi da buone intenzioni, non creano alternative ai bambini attualmente occupati, che si ritrovano così costretti a indirizzarsi verso altre attività produttive, nella maggior parte dei casi più pericolose. Nonostante i numerosi provvedimenti attuati, i bambini vittime di schiavitù e privati di una buona infanzia sono ancora molti.

I bambini costretti a lavorare invece di andare a scuola e di giocare sono una realtà ancora largamente diffusa in questo terzo millennio, come se i progressi fatti nel campo dei diritti non fossero ancora riusciti a strappare i più piccoli dalla schiavitù e dallo sfruttamento. E non soltanto nei paesi in via di sviluppo.


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CELLULARI INSANGUINATI

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Il termine "coltan" è usato colloquialmente in Africa per riferirsi ad una columbite-tantalite a relativamente alto tenore di tantalio. La miscela estratta in diversi paesi africani è spesso scambiata con armi e altri beni da organizzazioni paramilitari e guerriglieri africani, in particolare nella regione del fiume Congo.

Columbite e tantalite costituiscono una serie isomorfa a causa della mutua vicarianza fra tantalio e niobio nel reticolo cristallino. I termini della serie non sono equamente diffusi in natura, ma vedono prevalente un tenore medio-elevato di niobio (o ossido di niobio) a causa della maggior rarità del tantalio.

I minerali della serie cristallizzano nel sistema rombico, classe di simmetria bipiramidale. Formano cristalli ad habitus prismatico e tabulare, tozzi, opachi, di colore nero o grigio molto scuro, ma si rinvengono più generalmente in aggregati compatti microcristallini dello stesso colore o in concrezioni con samarskite con cui la columbite-tantalite forma delle associazioni regolari.

La columbo-tantalite pur essendo un minerale duro, è molto fragile e tende facilmente a sfaldarsi e disgregarsi formando una polvere nera-rosso bruna. I minerali della serie cristallizzano in ambiente magmatico ipoabissale per lento raffreddamento da un fuso molto ricco in silice e si ritrovano quindi in pegmatiti granitiche, ma tendono ad accumularsi - essendo minerali ferrosi e a causa della loro durezza - in sedimenti alluvionali (con una granulometria sabbiosa data la facile sfaldabilità) formatisi per degradazione delle rocce che li contengono.

La columbite-tantalite è il minerale di estrazione primario del tantalio di cui fornisce la quasi totalità della produzione mondiale e il minerale di estrazione secondario del niobio (dal 10 al 15% della produzione mondiale).

Il niobio si usa nell'industria metallurgica per la preparazione di leghe metalliche con elevato punto di fusione, per aumentare la resistenza alla corrosione in alcuni tipi di acciai inossidabili e, infine, nella preparazione di superconduttori elettromagnetici.



Il coltan è un minerale molto duro, denso, resistentissimo al calore e alla corrosione, essenziale per la produzione dei condensatori di computer portatili, telefoni cellulari, dispositivi video, dispositivi audio digitali, console giochi e sistemi di localizzazione satellitare. Solo per citare alcune delle sue applicazioni più comuni che coinvolgono l’industria leggera, ma è utilizzato anche nel settore aerospaziale e nella tecnologia militare.

Con l'aumento della richiesta mondiale di tantalio, si è fatta particolarmente accesa la lotta fra gruppi para-militari e guerriglieri per il controllo dei territori congolesi di estrazione. Un'area particolarmente interessata è la regione congolese del Kivu (sul confine centro-orientale della Repubblica Democratica del Congo) e i due stati confinanti, Ruanda e Uganda; gli intermediari che trattano la vendita del coltan in questi due paesi si approvvigionerebbero, infatti, dai giacimenti minerari congolesi.

I proventi del commercio semilegale di coltan (così come di altre risorse naturali pregiate) attuato dai movimenti di guerriglia che controllano le province orientali del Congo, alimentano la guerra civile in questi territori. Tuttavia, il fatto che gruppi armati o comunque non rappresentanti società statali e industrie, si impossessino del minerale e lo vendano con grossi introiti ad acquirenti principalmente occidentali od asiatici non costituisce di per sé un reato in nessuno dei tre stati interessati, rendendo più controversa la situazione. All'acquisto di columbo-tantalite congolese si sarebbero interessate, come intermediarie, anche organizzazioni criminali europee ed asiatiche dedite al traffico illegale di armi, che verrebbero scambiate con il minerale.

La questione dello sfruttamento incontrollato delle risorse congolesi ha raggiunto un livello di gravità tale da interessare l'ONU che ha pubblicato, nell'ottobre 2002, un rapporto che accusava le compagnie impegnate nello sfruttamento delle risorse naturali del paese africano - tra cui il coltan - di favorire indirettamente il prosieguo della guerra civile. Nell'inchiesta in merito all'acquisto di columbite-tantalite venne coinvolta anche la H.C Starck, una sussidiaria della Bayer che si occupa della raffinazione di metalli di transizione quali il molibdeno, niobio, tantalio, tungsteno e renio e della produzione per il mercato dell'elettronica, dei semiconduttori e dei superconduttori, di parti di precisione in leghe speciali e componenti ceramici.



L’aspetto più inquietante della questione è insito nel fatto che il coltan si estrae dalle miniere del nord-est della Repubblica democratica del Congo, dove si sono combattute diverse guerre per il controllo delle risorse minerarie, che negli ultimi quindici anni sono costate circa cinque milioni di morti.

Per porre fine a queste stragi, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il 29 novembre 2010, ha adottato la risoluzione 1952 che richiama gli Stati membri a mettere in atto misure di diligenza ragionevole per conoscere l’origine dei minerali e assicurarsi che il ricavato di quelli importati non vada a beneficio di uomini armati, compresi i militari dell’esercito congolese.

Secondo quanto riporta un rapporto di Global Witness del luglio 2009, i locali percepiscono appena 200 Franchi congolesi (0,18 euro) per ogni chilogrammo di coltan estratto. Sul mercato il prezzo attuale del coltan varia tra i 400 e i 600 dollari al Kg. In alcuni casi, specialmente in quelli in cui vengono impiegati bambini, la paga è giornaliera e comprende un pasto e 100 franchi congolesi (0,09 euro) al giorno.

Uno dei problemi maggiori dello sfruttamento di questo minerale è che contiene una parte di uranio, quindi è radioattivo e spesso viene estratto a mani nude dai minatori congolesi, tra i quali si sono registrati numerosi casi di tumore e impotenza sessuale.

Senza contare che per nutrire questa massa di improvvisati minatori, i cacciatori stanno sterminando la fauna selvatica dei parchi nazionali della zona. In particolare, secondo una denuncia del Wwf, la fauna del Parco nazionale di Kahuzi-Biega e della riserva naturale di Okapi sarebbe a rischio di estinzione a causa dell’estrazione del coltan.

Blood in the Mobile documenta in maniera drammatica come le vittime più numerose del coltan siano proprio i bambini che, grazie alle loro piccole dimensioni, si calano nelle strettissime buche scavate nel terreno ed estraggono le grosse pietre che una volta frantumate daranno il prezioso minerale.

Spesso vengono rapiti dai gestori delle miniere e trasformati in schiavi, in altri casi vengono venduti dalle loro stesse famiglie per pochi dollari, con il medesimo risultato finale.

E’ dunque evidente che quando si parla di coltan insanguinato non si parla solo dei microconflitti regionali per il controllo delle aree minerarie, si parla anche delle migliaia di morti che costa l’estrazione e il trasporto del minerale dalle miniere alle aree di carico.

Infatti anche i portatori, costretti a fare lunghissimi viaggi a piedi in mezzo alla foresta per portare il minerale fino agli aerei cargo, sono spesso vittime di incidenti o semplicemente della stanchezza. Il tutto per la modica cifra di 250 franchi congolesi (0,22 euro) al chilogrammo.

La protesta internazionale ha spinto i principali produttori di telefonini a rassicurare i consumatori che i loro condensatori non contenevano coltan importato dal Congo.

Tuttavia, il rapporto della ong Global Witness testimonia come le multinazionali dell’elettronica non si facciano scrupoli nel comprare il coltan insanguinato per risparmiare qualche dollaro al chilo. Infatti se il mercato ufficiale del prezioso minerale ha prezzi più o meno definiti, quello che si compra sul mercato nero costa circa il 50% in meno.



Senza un serio programma di certificazione delle dichiarazioni dei produttori non c’è modo per i consumatori di sapere da dove arrivi il coltan dei loro telefonini, soprattutto alla luce del fatto che stime attendibili indicano che nel Congo Kinshasa vi siano l’80% delle riserve mondiali.

L’approvazione di un protocollo di controllo della provenienza del coltan, congeniato sulla falsariga di quello di Kimberley per i diamanti, potrebbe contribuire sensibilmente a interrompere la spirale di violenza nella Repubblica democratica del Congo, legata al controllo delle miniere di coltan. Forse, però, anche a causa dell’ostracismo delle potenti lobby dell’elettronica, l’approvazione della proposta continua a slittare di anno in anno.

Si stima che ogni chilo di Coltan che viene estratto costi la vita di due bambini, molti dei quali muoiono a causa di frane. Altre gravi conseguenze sono migliaia di spostamenti forzati, migliaia di civili fuggiti dalle loro case, milioni di rifugiati, violazione dei diritti fondamentali di anziani, donne e ragazze. I lavoratori del Coltan smettono di coltivare la loro terra, lavorano dall’alba al tramonto, e dormono e mangiano nella zona selvagge di montagna. Non sono solo gli uomini a subire le conseguenze dell’estrazione del Coltan. Per estrarre il Coltan del Congo si sono invasi i parchi nazionali. La popolazione degli elefanti è scesa dell’80%. La popolazione di gorilla è diminuita del 90%.

A questo punto dobbiamo chiederci se abbiamo davvero bisogno di un telefono nuovo ogni anno. Abbiamo davvero bisogno di consumare così tanto? Vale la pena finanziare con i nostri consumi la politica dell’usa e getta? Potremmo condividere i telefoni che non usiamo magari lasciandolo nei punti di riciclaggio, o se non esistono nella nostra comunità, creandoli.





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L'AMORE HA ETA'?

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Le relazioni fra uomini più vecchi e donne più giovani sono meno disapprovate dalle famiglie e dalla società di quanto non lo siano quelle fra uomini giovani e donne più vecchie.

I genitori possono pensare che un uomo con più anni rappresenti una ‘sicurezza' per una giovane figlia; potranno però avere da obiettare sul fatto che la figlia sarà obbligata a curare un uomo vecchio mentre lei sarà ancora giovane.
Per un carattere altruista questo non sarà un problema, ma una ragazza vivace e amante del divertimento potrebbe trovarsi in difficoltà. Un'altra obiezione potrebbe essere quella che lei rischia di diventare una giovane vedova e trovarsi con una famiglia da tirar su.

Le reazioni delle altre donne sue coetanee dipenderanno da come queste giudicano la situazione in confronto alla loro. Se la ritengono migliore potrebbero diventare gelose, altrimenti la compatiranno per essersi legata ad un vecchio.

Le donne sposate con dei coetanei del partner della giovane donna potranno prenderla in uggia se i loro mariti si mostreranno entusiasti di lei.

Essa non avrà molte occasioni di trovarsi con i suoi coetanei, e se le capitasse questi potrebbero pensare di averla facilmente a tiro.

Non è certamente più facile trovare la felicità nella relazione con un partner più vecchio o più giovane che in una relazione convenzionale.



Sia la donna matura che sta con un giovane che la donna giovane che sta con un uomo più vecchio, dovranno affrontare dei problemi insoliti.

Siccome la scelta del partner non è solita, la famiglia e gli amici si sentiranno in diritto di sottolineare tutti gli svantaggi cosa che non farebbero con una coppia tradizionale.

I partner saranno quindi ben coscienti delle difficoltà cui vanno incontro.

Ma se questo tipo di coppia riflette seriamente sulle motivazioni e sui bisogni reciproci, e se giunge alla conclusione che essi si completano e si integrano allora la possibilità di essere felici non dovrebbe essere minore di quella di qualsiasi altra coppia.

La teoria trova dimostrazione nelle scelte di uomini intorno ai cinquant’anni con un reddito e posizione sociale alti; parlamentari e industriali, uomini dello spettacolo e liberi professionisti, rarissimi i pensionati, gli impiegati e gli operai. Il bisogno di applicare la legge dell’inversamente proporzionale delle relazioni di coppia, quella per cui più aumenta l’età maschile più diminuisce quella femminile, si spiega con quella crisi di mezza età che fa venire voglia a molti over 50 di dimostrare a se stessi di essere ancora al top, fisicamente e sessualmente, e di rivivere le sensazioni dei 20/30 anni. Per loro hanno trovato un efficace nome: papi-boys, uomini convinti che la giovinezza si trasmetta come un virus attraverso un rapporto sentimentale con una donna nel fiore degli anni. Salvo eccezioni, il più delle volte la ragazza che si fidanza con un uomo âgè (a volte più anziano del padre) non si getta tra le sue braccia per un innamoramento incontrollabile e spontaneo. L’elenco di italiani con compagne giovanissime potrebbe essere lunghissimo, ma il primo posto lo conquista colui cui si deve anche il neologismo papi-boy, l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, seguito dall’onorevole Pierferdinando Casini, e poi da Flavio Briatore marito della giovanissima Elisabetta Gregoraci, e dal cantante Andrea Boccelli fresco di seconde nozze con una donna più giovane di lui di 20 anni. Oltreoceano, fece molto scandalo il matrimonio di Woody Allen con la giovanissima figlia adottiva e molte pagine della cronaca rosa si occuparono del matrimonio “a contratto” tra il brizzolato Michael Douglas e la giovane Catherine Zeta Jones.



Niente di nuovo, dunque, ma qual è la vera ragione per cui molti uomini “attempati” preferiscono le donne giovani? E cosa tiene unite queste coppie?
L’esperta: «Molti uomini hanno uno stile di vita sano, fanno sport, mangiano, viaggiano e si divertono. Si può dire che l’aspetto fisico e la mentalità di un uomo di 50 anni di oggi sia simile a quello di un 30enne di qualche decennio fa. Non stupisce, quindi, che un uomo maturo possa scegliere una compagna molto più giovane, né che una ragazza bella e indipendente possa essere felice con uomo dell’età del padre. A differenza di un trentenne, il compagno maturo non ha paura di un legame stabile, anzi è il momento in cui cerca un rapporto di coppia solido, ha raggiunto una sicurezza economica e un livello di vita che difficilmente un trentenne precario o a partita IVA può dare. La pillola blu ha risolto i problemi della “figuraccia” a letto, in più, grazie all’esperienza raggiunta con l’età, riescono a soddisfare i bisogni delle compagne giovani con più generosità dei trentenni. In questi rapporti la carta vincente è lo scambio di esperienze: l’uomo offre la sua maturità e il suo stato sociale, la ragazza ricambia con la freschezza del suo corpo e l’energia vitale della sua età. Con vantaggi reciproci». spiega Alessandra Graziottin, direttrice del Centro di ginecologia e sessuologia medica dell’ospedale San Raffaele Resnati di Milano.

Sono in aumento anche le coppie in cui  la donna è più grande dell’uomo di 10 e più anni.
Un tempo inaccettabili dal punto di vista culturale al punto tale di essere impensabili, ora si stanno tranquillamente diffondendo : sempre di più di frequente ragazzi scelgono partner più adulte non per l’avventura di una sera ma per una storia importante o addirittura  per la  convivenza o matrimonio.

Contrariamente allo stereotipo, le donne non scelgono un uomo più giovane per realizzare un ruolo materno non vissuto o vissuto solo parzialmente.
Quando una donna si innamora di  ragazzo non vede in lui il sostituto del figlio mai avuto  (o già cresciuto e non più bisognoso di cure materne) e  non  cerca nel partner  qualcuno da proteggere e da accudire.
Al contrario, le relazioni con uomini più giovani hanno spesso un effetto rivitalizzante sulla psiche della donna che le vive e la fanno sentire giovane e viva per la prima volta dopo molto tempo.
Spesso le donne che si innamorano perdutamente di un ragazzo più giovane sono donne molto responsabili che hanno fatto delle scelte nella vita  convenzionali.
Non di rado l’incontro con il giovane amante avviene dopo la fine di un matrimonio o di un rapporto importante che hanno lasciato un vissuto di fatica, pesantezza e delusione e  l’incontro rappresenta  una boccata d’aria fresca.
Nel rapporto con l’uomo più  giovane la donna adulta  entra in contatto con  delle parti di sé più libere e spontanee che non ha vissuto pienamente in precedenza o che ha accantonato crescendo.
Riscopre l’entusiasmo, la capacità di sognare, potenzialità ed interessi che sono stati abbandonati nel corso degli anni per far fronte ai dettami della vita adulta.



Il legame con una persona più giovane hai infatti una componente di spontaneità e giocosità che può  essere difficile da trovare in un rapporto con un coetaneo, specialmente se si hanno superato i quarant’ anni.
Un  ragazzo ha un bagaglio esistenziale ed esperienziale più leggero rispetto a quello di un uomo più adulto e questo fa si che affronti la relazione con maggior entusiasmo e spensieratezza.
Per questo motivo  gli amori con un uomo più giovane cominciano spesso con uno slancio ed una carica di romanticismo  che possono mancare in una relazione tra due adulti , specie  se divorziati con figli che devono scrivere insieme le pagine della loro storia con la fatica di rimettersi in gioco e dovendo superare la diffidenza e la paura di soffrire.
Un’altra tipologia di donna attratta da uomini più giovani è quella della donna bambina.
Si tratta di giovani donne ( per esempio trentenni) che hanno paura di crescere e che tendono a rimandare scelte importanti come il matrimonio e la maternità.
L’attrazione per il ragazzo più giovane con cui non è possibile progettare un futuro ( perchè, per esempio lui è ancora uno studente) consente di rimanere ancora per qualche anno in una condizione adolescenziale.
In genere questo sono coppie paritarie, nonostante la differenza d’età, anzi, spesso è lui che è più maturo dei suoi anni, a sentirsi l’adulto della coppia.
In una minoranza dei casi, invece, la scelta di un partner molto  più giovane nasce da problematiche di tipo narcistico e dalla paura di invecchiare.
In casi come questi , si ha bisogno di un fidanzato giovane e prestante da esibire al mondo per rassicurarsi sulle proprie capacità seduttive.



In molti casi gli uomini che si sentono attratti da una lei più adulta sono più maturi della loro età e hanno una forte spinta verso l’autorealizzazione e un  grande desiderio di autonomia dalla famiglia d’origine.
Nella scelta di una partner più vecchia di parecchi anni c’è l’iniziazione ad un mondo più adulto.
La donna più grande affascina perché ha già conquistato certe tappe ( per esempio abita da sola)  ed  è più indipendente e autonoma rispetto ad una coetanea.
Un’altra delle ragioni per cui un ragazzo sceglie una donna più grande è che questa viene percepita come più rassicurante rispetto ad una ragazza della stessa età.
La donna più adulta generalmente  è più paziente , meno aggressiva ed esigente di una coetanea e capace di essere all’occorrenza un po’ mamma. E’ spesso questo mix di caratteristiche tra indipendenza, senso materno e una sessualità rassicurante  ed esperta a sedurre il cuore di un giovane uomo.

Le statistiche non sono favorevoli alla durata delle unioni in cui tra i due partner c’è molta differenza di età  specialmente se ad essere più grande è la donna.
Ma la vita non è una statistica ed è triste rinunciare ad un grande amore o vivere una storia a metà perchè un giorno potrebbe finire.
Sulla durata di queste coppie incide  molto l’ entità della differenza di età , la maturità personale e la qualità del rapporto che si è costruito insieme.

Lasciare ad un  uomo i suoi spazi è di vitale importanza, tanto più se lui è  giovanissimo. Non poche  donne si sentono inquiete quando  lui esce con i suoi amici ventenni, nessuno dei quali ha l’ombra di un rapporto stabile, a fare bravate per tutta la notte. L’amore, però, si basa sulla fiducia e queste uscite goliardiche non vanno ostacolate perché rappresentano una valvola di sfogo. Se non si consente al partner di vivere la sua età e si pretende da lui una maturità superiore a quella che può avere, si creano le premesse per un futuro pieno di problemi.

Le coppie in cui c’è una differenza di età, a causa del biasimo sociale che riscuotono,  tendono ad isolarsi nel loro mondo fatto di passione e tenerezza.  Ma l’innamoramento prima o poi passa e per durare nel tempo  una coppia ha bisogno di stimoli, di amicizie e di progetti che facciano da collante, soprattutto nei momenti in cui l’intesa è un po’ in crisi

Nelle coppie con differenza di età  gli argomenti sul futuro della coppia vengono spesso evitati, anche dopo anni insieme, per paura di sollevare conflitti insanabili.
Cosi lei , ormai sui 35 anni spera che quando lui avrà  trovato lavoro voglia sposarsi e mettere su famiglia .
Lui, invece, non sente l’esigenza di paternità e per sposarsi vorrebbe aspettare ancora qualche anno per avere una situazione più solida.
Gli argomenti sul futuro insieme andrebbero affrontati in modo approfondito in modo da poter decidere di conseguenza.





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sabato 29 agosto 2015

Bambini Non FUMATE

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Il fumo da tabacco e le sigarette rappresentano oggi "una vera emergenza anche per i minori: si comincia infatti a fumare già ad 11 anni di età ed è per questo che è fondamentale puntare sulla comunicazione in merito ai danni provocati dal fumo". Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in un'intervista all'ANSA, sottolinea l'importanza delle misure previste dal decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue sul tabacco, a partire dalla decisione di pubblicare sui pacchetti di sigarette immagini choc che spingano a smettere di fumare. "Stiamo conducendo una forte battaglia contro il fumo, in Italia e in Europa - spiega il ministro - perché va ricordato che proprio il fumo è la prima causa di morte in Ue ed annienta ogni anno la popolazione di una città grande come Amburgo. Combattere il fumo vuol dire, dunque, innanzitutto salvaguardare ovviamente la salute dei cittadini". Ma fondamentale è anche la motivazione economica: "in gioco - dice Lorenzin - c'è anche la sostenibilità dei servizi sanitari nazionali, poiché il costo sociale legato alle malattie provocate dal fumo di tabacco è enorme".
Da qui la stretta prevista dalla direttiva Ue e recepita con il decreto messo a punto dal ministero della Salute, nel quale emergono, tra le altre, due novità importanti: "vi è innanzitutto - rileva il ministro - il divieto di confezioni di sigarette che tendano ad accattivare e attirare i consumatori, oltre al divieto di vendita di sigarette con aromi che hanno l'effetto di aumentare la dipendenza e di fare passare il messaggio che il fumo possa essere un qualcosa di appetibile". Fondamentale, prosegue, "è poi anche la misura che abbiamo previsto per vietare il fumo in auto in presenza di minori e donne incinte, misura già nel frattempo recepita in altri Paesi". Il concetto, insiste Lorenzin, "è che è necessario far comprendere a tutti i danni che il fumo di sigaretta provoca innanzitutto sui minori; da qui anche la decisione di aumentare le sanzioni nel caso di vendita di questi prodotti agli under 18". Riferendosi quindi all'ipotesi di un eventuale aumento del prezzo finale delle sigarette, Lorenzin sottolinea come l'aumento del costo per i pazienti sia riconosciuto come un deterrente all'abitudine del fumo anche da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ma, precisa, "tale misura non è al momento prevista".
In questo momento, però, "è importante puntare soprattutto alla comunicazione corretta, al fine - dice - di far passare un messaggio chiaro: l'obiettivo, al quale puntano anche le immagini choc che compariranno sui pacchetti, è quello di aumentare la consapevolezza di ciascuno rispetto agli enormi danni del fumo". Dal ministro, quindi, un'apertura rispetto alla posizione espressa dal Codacons, che ha chiesto la classificazione della nicotina tra le sostanze che creano dipendenza: "Bene ha fatto il Codacons - ha osservato Lorenzin - ad osservare tale questione, che merita di essere affrontata e che dovrà maturare in Parlamento". Insomma, ribadisce il ministro, "la battaglia contro il fumo è anche una mia fissazione e va detto che l'Italia ha contribuito a chiudere la direttiva Ue, arrivata a compimento dopo una lunga discussione. C'è stata un'accesa battaglia, ma alla fine - ha concluso Lorenzin - sono state recepite tutte le posizioni sostenute dall'Italia".



Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, ogni sei secondi il tabacco uccide una persona. Una nuova ricerca, condotta dall’associazione I-think, getta una luce ancora più tragica sul fumo e i giovani.Dai dati elaborati risulta che un quindicenne ha una probabilità di morire di cancro tre volte maggiore rispetto a chi inizia dieci anni più tardi e circa l’87% dei fumatori comincia entro i 20 anni. 

La statistica più allarme è che ogni giorno tra gli 80.000 e i 100.000 ragazzi iniziano a fumare. Nonostante la progressiva riduzione nel numero dei fumatori nei Paesi industrializzati resta preoccupante anche in Italia la percentuale di fumatori giovani. Anche l'impennata che negli ultimi anni ha interessato nel nostro Paese la vendita di tabacco sfuso, più economico delle sigarette, secondo i sondaggi testimonia un consumo legato ad abitudini e mode di consumatori più giovani.

La vita di un fumatore abituale è di circa 10 anni inferiore rispetto a quella di un non fumatore e il consumo di sigarette giornaliero medio di un ragazzo non si discosta significativamente da quello di un adulto. I giovani di questo tempo sul tema del fumo sono proiettati nel presente, non vedono la loro salute futura a rischio. Anzi, il rischio diviene valore, il danno cui ci si espone diventa indice di coraggio.

Il fumo che origina dalla combustione incompleta del tabacco e della carta che lo avvolge è costituito da almeno 4.000 sostanze. Tra queste:
sostanze irritanti; catrame; monossido di carbonio; nicotina.
I filtri riducono la quantità di queste sostanze che arriva nelle vie respiratorie, ma NON le eliminano.
Tra le sostanze irritanti presenti nel fumo: acido cianidrico, acroleina, formaldeide, ammoniaca. Causano danni immediati alla mucosa delle vie respiratorie. L'azione irritante provoca inoltre tosse, eccesso di muco, bronchite cronica, enfisema.
Il catrame, facente parte della componente corpuscolata del fumo, comprende diverse sostanze, tra cui le più note sono benzopirene e idrocarburi aromatici è dimostrato che queste sostanze sono cancerogene.
Il catrame, inoltre, irrita le vie respiratorie, ingiallisce i denti, contribuisce all'alito cattivo e alla sensazione di amaro in bocca.
Il monossido di carbonio si lega all'emoglobina, riducendo la sua capacità di trasportare l'ossigeno. Questo comporta un minore nutrimento per i tessuti.
La nicotina è un alcaloide naturale, presente nel tabacco in una percentuale che va dal 2 all'8%. La nicotina contenuta in una sigaretta non è molto tossica ma dà dipendenza!Quando arriva ai polmoni essa passa nel sangue e arriva al cervello in pochi secondi. La nicotina stimola la liberazione di dopamina nel SNC e di adrenalina nel surrene. L'effetto è eccitatorio sia a livello della mente che del corpo. Poco dopo, però, subentra un effetto deprimente che spinge a fumare ancora per provare di nuovo gli effetti positivi. Con ciò si spiega la dipendenza, il cui grado si misura valutando questi parametri:
difficoltà di smetterne l'uso; frequenza delle recidive; percentuale di soggetti dipendenti; "valore" attribuito al fumo, malgrado l'evidenza dei danni.
Oltre alla dipendenza farmacologica da nicotina, nel fumatore si crea anche una dipendenza psicologica.Quando si smette di fumare si manifesta una vera e propria sindrome da astinenza, caratterizzata da:
irritabilità, collera, ansia; voglia irrefrenabile di fumare; difficoltà di concentrazione; insonnia
La nicotina è considerata una droga a tutti gli effetti. Dall'inizio degli anni 90 il contenuto di nicotina delle sigarette è regolamentato e non può superare un certo numero di mg.



La gravità dei danni dipende da questi parametri:
Età di inizio e numero di anni di fumo; Numero di sigarette giornaliere; Modo di fumare (inalazioni più o meno profonde)
Danni del fumo all'apparato respiratorio:
irritazione, aumento del muco, bronchite acuta, poi cronica, enfisema polmonare
Aumenta inoltre l'incidenza di infezioni delle vie respiratorie ed asma.

Il fumo fa aumentare la pressione arteriosa, accelera l'aterosclerosi, ostacolando la circolazione del sangue nei vasi e aumentando il rischio di infarto e di ictus.
I problemi circolatori causati dal fumo possono determinare:
impotenza nell'uomo; declino mentale; invecchiamento precoce della pelle
Il fumo aumenta il rischio di molti tipi di tumore; a rischio sono prima di tutto le vie respiratorie in quanto direttamente esposte al fumo. Nei fumatori il carcinoma polmonare ha una frequenza 20 volte superiore a quella riscontrata nei non fumatori. Alto è anche il rischio di tumore al rene e alla vescica, in quanto le sostanze cancerogene del tabacco sono eliminate attraverso i reni e ristagnano con l'urina nella vescica. Associato all'alcol, il fumo aumenta il rischio di tumori dell'esofago, del colon e del fegato.

Nelle donne è maggiore il rischio di tumori dell'utero. La menopausa è anticipata ed è più alto il rischio di osteoporosi. Il fumo diminuisce la fecondità ed aumenta il rischio di aborti, parti prematuri, neonati sottopeso e morti premature. La nicotina ha inoltre la capacità di nel latte materno.
Il fumo in gravidanza può causare un ritardo di crescita, di sviluppo mentale e polmonare del bambino.

Il fumo riduce notevolmente le prestazioni atletiche, aumenta lo stress ossidativo, aumenta il rischio di gengiviti ed incrementa l'incidenza di ulcere gastro-duodenali.

Il fumo passivo è quello inalato involontariamente dalle persone che vivono o lavorano a contatto con fumatori.
Il fumo di tabacco è uno dei più pericolosi fattori inquinanti dell'aria in ambienti confinati e costituisce un rischio concreto per la salute dei non fumatori.
Causa riduzione della funzionalità respiratoria e una maggiore incidenza di tumore al polmone.
Nei figli di fumatori si riscontra una più alta incidenza di bronchiti, polmoniti e crisi asmatiche.

E se non ti è ancora passata la voglia di fumare..

Un fumatore su due muore di una malattia attribuibile al tabagismo. La speranza di vita di un fumatore è comunque di 8 anni inferiore a quella dei non fumatori.
Smettendo di fumare si hanno benefici immediati (nell'arco di ore) - come una migliore respirazione, ed una maggiore capacità nella percezione di odori e sapori - e benefici a lungo termine:
aumenta la speranza di vita; si riduce il rischio di tumori; scompaiono tosse e catarro; si riducono le affezioni delle vie respiratorie; si evitano bronchiti croniche ed enfisema; migliora la circolazione e si riduce il rischio di infarto e di ictus; migliora l'efficienza fisica e si previene l'impotenza; migliorano i riflessi; diminuiscono gli incidenti stradali e sul lavoro; si riduce il rischio di osteoporosi; le fratture guariscono prima; migliora la qualità del sonno; aumenta la fecondità e migliora lo stato di salute del nascituro; migliora lo stato della pelle e dei capelli; l'alito e la persona perdono l'odore (sgradevole) di fumo.
In Italia ogni anno, per il fumo, muore un numero di persone che corrisponde al numero di vittime che si avrebbe se ogni giorno cadesse un jumbo-jet pieno di passeggeri. Con un tale rischio nessuno accetterebbe più di volare. Perché allora si accetta di fumare?






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ODOLO

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Odolo è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia ed è situato al centro della Valle Sabbia, nella zona denominata Conca d'Oro, anche definita valle del Vrenda, dal nome del fiume che la attraversa.

Il tessuto urbano è caratterizzato dal centro di Botteghe e dall'insieme dei nuclei delle antiche e piccole frazioni (Brete, Cadella, Cagnatico, Casa d'Odolo, Cereto, Cete, Colombaio, Forno, Gnavla, Vico e Pamparane).

Il suo territorio, fra i più piccoli della Val Sabbia, è prevalentemente montagnoso. Il territorio del comune è compreso tra i 306 e i 726 m s.l.m. Complessivamente l'escursione altimetrica risulta essere pari a 420 metri.

Il toponimo Odolo con ogni probabilità prende origine dal termine germanico audo che significherebbe ricchezza, possedimento. Effettivamente nell'inventario dei possedimenti del monastero di Santa Giulia di Brescia viene citata una corte di Audalvico, nel periodo compreso tra l'879 ed il 906. Nell'inventario delle chiese appartenenti alla giurisdizione del Capitolo della Cattedrale di Brescia intorno al 1148 viene citata anche la cappella di San Zenone di Odolo. Le origini del paese sono comunque certamente più antiche, come testimoniato da alcuni rinvenimenti archeologici. Lo storico Theodor Mommsen cita infatti il rinvenimento di una pietra denominata basis magna Oduli. Si tratta di un reperto risalente al periodo romano, ora custodito presso il monastero di S. Giulia. Nel 1969 in località Castello venne invece rinvenuta un'ara funeraria, ora visibile presso il museo di Gavardo. Anche lungo la strada che collega Odolo con il vicino comune di Sabbio Chiese furono rinvenute alcune tombe romane. Per certo il reperto romanico di maggior valore che sia stato rinvenuto è lapide di Marco Ulpio Recepto, con ogni probabilità un veterano della XXX legione romana, lasciato dall'imperatore Augusto a presidio delle tribù sottomesse che avevano occupato la Valle Sabbia. Marco Ulpio Recepto una volta congedato era stato lasciato in loco, forse in qualità di magistrato o colono, conservando il titolo onorifico derivante dall'aver militato e dall'essere uscito vincitore nelle guerre sostenute durante il primo periodo dell'impero. Anche tale reperto è attualmente conservato presso il museo di Gavardo. Odolo nell'alto Medioevo probabilmente dipendeva dalla Pieve di Bione (in quegli anni la Chiesa, dopo aver ottenuto il contado e l'amministrazione civile grazie a privilegi regi e imperiali, esercitava la giurisdizione attraverso le Pievi, i Monasteri e l'autorità del Vescovo). Proprio sul colle di San Zeno, luogo ove attualmente è ubicata la chiesa parrocchiale del paese, le carte militari segnalano l'esistenze di un'antica rocca, detta Rocca di Santa Maria, andata completamente distrutta. Tale rocca in passato doveva avere una rilevante importanza strategica permettendo di controllare l'intera "Conca d'Oro", ovvero le terre di Odolo, Preseglie, Agnosine e Bione. A parere dello storico bresciano Antonio Fappani questa rocca risaliva al periodo longobardo e divenne successivamente proprietà di una nota famiglia del palese, i Belegni. Nella tradizione orale locale si narra che il signore della Rocca di Santa Maria venne un giorno attaccato dal vicino signore della Rocca di Bernardo che riuscì a distruggerne la dimora senza però riuscire a sopprimere il rivale. Quest'ultimo a breve distanza di tempo riunì alcuni audaci con il quale pose l'assedio al castello del rivale riuscendo ad espugnarlo ed a raderlo al suolo. Nel XIV secolo Odolo viene inglobato nel dominio dei Visconti di Milano (1337-1426) e con il nome di Othulo entra a far parte della Quadra di Valle Sabbia. Per la posizione geografica che lo rende la località più vicina al valico di S. Eusebio e la fondamentale posizione strategica nel controllo della strada che porta a Brescia nel 1401 è conferito in feudo dal re di Germania, Roberto di Baviera. In quegli anni il paese segue il destino dell'intera Valle Sabbia e diviene teatro di continui scontri e lotte fra Milano e Venezia, periodicamente saccheggiato a causa del continuo passaggio dei diversi eserciti. Nel 1427 Odolo e la Valle Sabbia entrano stabilmente fra i possedimenti della Repubblica di Venezia, che ne individua la posizione strategica per lo sbocco dei propri commerci verso il Trentino ed oltralpe. Con maggiore liberalità rispetto al precedente dominio dei Visconti, e con l'intento di assicurarsi la fedeltà dei nuovi territori, la Serenissima concede riduzioni di imposte e vantaggi per l'industria ed il commercio. Si trattava di un collaudato "do ut des" che garantiva a Venezia la tranquilla fedeltà dei sudditi, ed agli odolesi e valsabbini l'attaccamento di chi permetteva loro un consistente risparmio sulle imposte. Nel 1440 il territorio del comune (unitamente a quelli di Preseglie, Agnosine, e Abbione (Bione)), a seguito di atto del doge di Venezia Foscari, passa in feudo a Galvano da Nozza, distintosi in battaglia per conto della Serenissima[14]. Fra periodi di benessere e prosperità economica, alternati con momenti di miseria e carestia, Odolo si accompagna al dominio veneto fino al 1630, anno in cui qui come in molti altri paesi della Valle Sabbia esplode l'emergenza della epidemia di peste. Anche a Odolo l'infezione unita alle precarie condizioni di vita provoca centinaia di morti. Secondo la tradizione i cadaveri, al fine di impedire un'ulteriore propagarsi dell'epidemia, vengono gettati in località Vergomàs, a nord della chiesa di San Zeno. Giunge il 1796 e le truppe francesi scendono in Italia. Napoleone Bonaparte in persona le guida e, stando a quanto affermato dal Riccobelli, il 15 agosto scortato da 400 dragoni di cavalleria, pernotta ad Odolo presso l'osteria Cà de Odol. L'indomani riparte tornando a risalire la Valle Sabbia. I valsabbini e gli odolesi sono piuttosto freddi nei confronti degli occupanti, preferendo parteggiare per Venezia contro le scelte dei cittadini bresciani (filo francesi), probabilmente nel disperato tentativo di difendere i propri privilegi fiscali. Nei primi mesi del 1797 in Valle Sabbia la guida della resistenza alle truppe di Bonaparte viene assunta da un combattivo don Andrea Filippi di Barghe. A maggio dello stesso anno l'esercito francese al comando del generale Landrieux risale la Val Sabbia. Il 3 e 4 maggio gli abitati valsabbini vengono devastati e saccheggiati. La casa del Filippi viene totalmente demolita dai francesi Odolo unitamente a Preseglie depone le armi presentandosi agli ufficiali con bandiera bianca e nastro tricolore: evitano così i saccheggi, le vendette e gli incendi che invece si abbattono sugli altri paesi vicini. L'organizzazione amministrativa napoleonica inserisce Odolo nel Distretto XV delle Fucine, con capoluogo a Nozza, Dipartimento del Mella. La successiva organizzazione austriaca vede invece Odolo inserito nel Distretto XVI di Preseglie.

Il paese di Odolo dal punto di vista architettonico non presenta nel suo centro un’impronta omogenea. Restano però alcuni nuclei antichi nelle contrade di Cagnatico, Cereto, Colombaio, Cadella, Forno, in cui le case, costruite un tempo una addossata all’altra per risparmiare materiale, spazio e combustibile, conservano caratteristiche unitarie, armoniose e un sapore antico con strette vie, muri e cortili interni, volti suggestivi e icone affrescate. Alcune imponenti abitazioni signorili tramandano il ricordo della prosperità di alcune famiglie locali, come il palazzo dei Conti Mazini a Cagnatico, dotato di ampio cortile, porticato con affreschi, scala di marmo, scuderia e brolo antistante, il palazzo a Cereto, già Bonibelli, dallo splendido loggiato volto a meridione, il palazzo di Vico, prossima sede municipale, dal caratteristico schema a corte delle case padronali di fine Ottocento, il palazzo Zinelli al Colombaio, recante sul portale d’ingresso la scritta “Federicus Zinelli 1706”, casa Cominotti in via Cete che riporta ancora sulla facciata lo stemma dell’antico casato e “Cà de Odol”, costruzione quadrangolare di solida impronta con alti portici, la stessa forse segnata nelle carte dell’Archivio Vaticano del 1580. I quattro edifici di culto presenti sul territorio, anche se privi di rilevante spessore architettonico e artistico, hanno una valenza storico-affettiva significativa. La chiesa parrocchiale di S. Zenone fu eretta nel 1667 sullo stesso luogo dove preesisteva una costruzione risalente al XIV secolo. La venerazione del santo è probabilmente da attribuirsi all’influenza dell’antico monastero benedettino di S. Zeno di Verona e al fatto che il personaggio assicurava con la sua benevolenza una protezione contro le insidie e i pericoli delle acque, in particolare del Vrenda (secondo il Guerrini la denominazione del torrente deriva dal latino Verenda, cioè “temibile” per i disastri e le rovine che compie ingrossandosi). L’attuale edificio, da poco restaurato esternamente, conserva al suo interno il presbiterio, riccamente decorato a stucchi e pitture, una statua lignea della Madonna col Bambino del 1641, raccolta in una seicentesca cornice dorata e un pregevole affresco del Paglia in sacrestia raffigurante S. Zenone col demonio, oltre che un crocifisso ligneo seicentesco. La chiesa di S. Maria Bambina in Cagnatico compare solo nel 1556 negli atti della visita del vescovo Bollani, anche se il Guerrini la definisce quattrocentesca. La tradizione vuole che sia stata parrocchia con il cimitero annesso e che vi abbia sostato S. Carlo Borromeo nel 1580. Pregevoli opere seicentesche sono le tele dei tre altari: raffigurano la Natività di Maria, S. Antonio da Padova e la processione penitenziale di S. Carlo per la peste, opera del 1617 di Galeazzo Capra, detto il Capretto da Cremona. La chiesa di S. Lorenzo al Forno probabilmente era un’antica diaconia della Pieve di Bione ed era sorta come cappella della vicina fortificazione del "Castel". Sul luogo sorgeva una chiesa quattrocentesca, di cui l’attuale costruzione risalente al Seicento ha conservato il muro meridionale. Oltre alla pala dell’altare con il martirio di S. Lorenzo di G. Camozzono (1645), sono stati ritrovati pregevoli affreschi datati 1504 e 1520 con figure di Santi e della Madonna. La chiesa di S. Bartolomeo che sorge in centro al paese, dove prima vi era una chiesa più piccola con ugual dedica risalente all’anno 1449, è del 1531. Negli Atti della visita di S. Carlo Borromeo del 1580 appare come la chiesa di S.Bartolomeo de Fosina. Completano il patrimonio religioso del paese la piccolissima chiesa di S. Apollonia a Cereto, già segnalata nel 1646 nelle visite pastorali e la santella della Madonnina della strada, posizionata sull’antica strada regale che collegava Brescia al Trentino, senza passare per l'attuale centro del paese.

La fucina di Pamparane (dal nome della contrada), di proprietà comunale in seguito a donazione, risulta essere anteriore al secolo XVIII. Ottimamente conservata, è ubicata nel centro storico di Odolo. Allinterno sono presenti due magli completi di ruote idrauliche, depositi, tromba idroeolica e altre macchine a corredo.

Il progetto museale intende proporre la fucina come museo di se stessa percorrendone interni e livelli, arricchito da un'ampia esposizione ad illustrare la vicenda economico-sociale di Odolo, così legata alla lavorazione del ferro.


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