domenica 16 agosto 2015

GUSSAGO

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Gussago è un comune della provincia di Brescia.

Il territorio è caratterizzato dai rilievi collinari che circondano l'abitato.

Il territorio di Gussago fu interessato fin dai tempi più remoti, come tutte le località con clima favorevole e presenza di acque, da insediamenti di tribù o gruppi di famiglie.
Le popolazioni di cui si presume originariamente la presenza sono quelle dei Liguri, che si stabilirono lungo i percorsi già tracciati in epoca preistorica; in seguito i Galli Cenomani costituirono piccoli nuclei nelle zone lungo il sentiero pedemontano, nelle vallette ricche di sorgenti e nella boscosa pianura. La successiva romanizzazione, oltre a dare una nuova organizzazione amministrativa, strutturò il territorio con il consolidamento del "pagus" e dei "vici", delle ville rustiche e dei villaggi poi piccoli borghi, con la viabilità, la centuriazione dei terreni e le coltivazioni collinari. I reperti romani più interessanti sono stati ritrovati a Sale, a Ronco, in Casaglio, nei terreni verso Piedeldosso; molti sono andati persi, altri sono conservati nei Musei Civici di Brescia.
Decisamente importante fu la presenza dei Longobardi, testimoniata dalle lastre longobarde del "pulpito di Maviorano" conservate nella Pieve, da tombe, arredi , reperti, toponimi e termini rimasti nel dialetto. La diffusione del cristianesimo diede impulso alla vita sociale e religiosa che si sviluppò appunto intorno alla Pieve di S. Maria in frazione Piedeldosso, sorta probabilmente su precedente edificio religioso, e diede a Gussago un ruolo amministrativo centrale; in epoca medievale molti terreni di Gussago, citato già in documenti dal secolo IX, furono donati dai Re Longobardi e dagli imperatori franchi al celebre monastero benedettino di Leno, bonificati e roncati per le colture di vite, cereali, alberi da frutto, con relativi interventi circa l’imbrigliamento dei torrenti e lo sfruttamento delle sorgenti per le ruote dei mulini e dei magli. Anche i monasteri di S.Giulia e di S. Faustino e l’abbazia di Rodengo ebbero fondi nel territorio gussaghese. Per molti secoli la Pieve fu governata da un monaco benedettino "praepositus", preposto dall’abate di Leno, e il titolo di prevosto fu sempre attribuito ai sacerdoti del clero secolare nominati dal vescovo fin dal XVI secolo.

Il progressivo decadimento dei monasteri diede spazio alle famiglie della città o delle località vicine, potenti per meriti militari o politici, che subentrarono ai monasteri nelle proprietà; il fenomeno dell’acquisizione delle terre da parte dei ceti privilegiati si sarebbe definitivamente consolidato tra Quattrocento e Cinquecento, determinando la fisionomia dell’economia rurale, lo spostamento dei rapporti di proprietà e quindi di potere e il progressivo impoverimento delle comunità costrette a cedere i propri beni per far fronte a debiti o tasse.
Le vicende delle borgate di Gussago continuarono ad intrecciarsi inevitabilmente con quelle di Brescia; così Gussago, di simpatie guelfe, fu coinvolto nelle lotte tra le famiglie guelfe e ghibelline, rinforzò il suo castello - rocca sopra Piedeldosso per contrastare l’imperatore Enrico VII e vide la firma della pace tra le due fazioni nel 1313 nella Pieve, alla presenza del Vescovo Federico Maggi (ma a Ronco c’erano famiglie ghibelline vicine ai Visconti).
Gussago visse i contrasti tra Milanesi e Veneziani fino alla congiura del 1426 organizzata dai nobili locali, che favorì il passaggio di Brescia con il suo territorio alla Repubblica di S. Marco.
La vendetta arrivò per mano del Piccinino, che portò tra il 1438 ed il 1439 danni e morte nella zona. Gussago fu confermato centro amministrativo di un territorio comprendente altri comuni, molti dei quali oggi frazioni,(Ronco, Ome, Cellatica,Castegnato, Rodengo, Provaglio, Valenzano, Saiano, Monticelli, Polaveno, Brione, Provezze) e per la sua fedeltà alla Serenissima beneficiò di molti privilegi fiscali da parte del nuovo governo. Nel 1512 anche la terra di Gussago fu danneggiata dalle scorrerie dei francesi di Gastone da Foix, responsabili del sacco di Brescia. Durante il periodo di relativa tranquillità militare sotto Venezia, Gussago continuò la sua vocazione agricola legata alla produzione di "vini e vernacce eccellentissimi" e ai boschi ricchi di legna e di castagni, accanto alla quale si andavano via via sviluppando attività di allevamento e quelle artigianali e commerciali.
L’importante produzione del salnitro per la polvere da sparo per la Serenissima diede qualche reddito a singoli proprietari ma non alla comunità. Non ci fu dunque mai un vero decollo economico e sociale, anche per la sonnacchiosa inerzia o immobilità del governo veneto; Gussago e i suoi borghi conobbero epidemie e carestie, violenze e usurpazioni, la povertà dei molti e la ricchezza nelle mani dei pochi di cui restano le antiche dimore: la casa della Begia già Raccagni Averoldi, il palazzo Averoldi, il castello e la casa della famiglia Sala o de Salis, il palazzo Caprioli. Altri casati importanti quelli dei Bona o de Bonis e di vari possidenti residenti in altre località: Rodenghi, Masperoni, Calini, Cazzago, Quistini.
Nel corso del XVIII secolo la presenza del vescovo Querini e la volontà dei fedeli delle varie contrade porta al restauro delle chiese sparse sul territorio e alla costruzione della nuova Chiesa parrocchiale con conseguente sviluppo della contrada Castelli e la decadenza del vecchio edificio della Pieve.
L’onda lunga delle vicende militari e politiche di quel secolo tocca anche Gussago, all’inizio per la guerra di successione spagnola e a fine secolo per l’arrivo di Napoleone.
Il governo provvisorio della Repubblica bresciana spazza via i rappresentanti del governo veneto, e, tra i vari cambiamenti, adotta la struttura amministrativa francese: non ci sono più le Quadre, Gussago entra a far parte del Dipartimento del Mella, Ronco cessa di essere Comune autonomo e diventa frazione di Gussago con Brione.
Dopo il congresso di Vienna del 1814 il Veneto, Brescia e Bergamo vengono aggregati alla Lombardia austriaca per dar vita al regno Lombardo-Veneto sotto il controllo diretto dell’Austria. Gli abitanti delle campagne, compresi quelli di Gussago, si adeguano al nuovo governo e non si oppongono al regime, troppo presi dai problemi del quotidiano; la vita economica è legata ancora all’agricoltura, condizionata da periodi sfavorevoli per avverse condizioni climatiche o fluttuazione dei prezzi. Le attività artigianali, soprattutto quelle dei bottai, dei mugnai, dei fabbri ferrai, della produzione di tele e fustagni, seguono l’andamento dell’agricoltura.
Si sviluppano le osterie ed il commercio di vini e cereali, e in particolare la gelsicoltura e la bachicoltura, che vedono attive nel 1841 ben otto filande con 119 fornelli; la crisi della seconda metà del secolo porta ad una drastica contrazione di tale settore, costretto a dimensioni domestiche. Il vento delle rivolte liberali del 1848 si diffonde anche a Brescia; e quando la città, nel marzo 1849, insorgerà contro l’Austria, arriveranno da Gussago cinquanta fucili e ottanta "terrazzani" guidati dall’ing. Paolo Moretti, parente dei Chinelli e già attivo protagonista del Risorgimento bresciano.
La sconfitta degli insorti porterà inasprimenti e multe da parte del governo austriaco. La presenza di famiglie nobili o benestanti - Averoldi, Richiedei, Chinelli solo per citarne alcuni- e la vicinanza con la città attirano nei salotti gussaghesi nomi illustri di artisti e uomini di cultura, che contribuiscono ad abbellire dimore, piazze e chiese.
Dopo l’Unità d’Italia viene avviata una nuova amministrazione su modello piemontese, con tutti i suoi lati positivi e negativi. Il comune di Gussago sarà amministrato dagli esponenti della classe liberal-borghese e della nobiltà rurale; la maggior parte della popolazione, non avendo censo e quindi voce in capitolo, rimane estranea alle nuove istituzioni, arrabattandosi tra pellagra e analfabetismo, epidemie di colera e di vaiolo, alluvioni devastanti, crisi agricole per malattie della vite, alti e bassi anche in altre attività produttive e commerciali.

Verso la fine del secolo scorso e nei primi anni del Novecento Gussago vive una decisa ripresa; dal 1882 funziona l’Opera Pia istituita dal nobile Paolo Richiedei per i vecchi malati e poveri del paese, dal 1900 è attivo l’asilo infantile dovuto al lascito di Giovanni Nava; è messa in funzione una linea telefonica, viene costruita la linea elettrica del tram per il collegamento con la città, si costruiscono le scuole elementari a Sale e in Piazza, cominciano ad essere famose le grappe ottenute dalla distillazione delle vinacce, e pari fama conservano i produttori di vini con falegnami, capimastri, maniscalchi, pastai e sellai; contemporaneamente aumentano gli alberghi e le locande; viene portata l’acqua potabile nelle contrade, si costituiscono la Società operaia di mutuo soccorso, di ispirazione zanardelliana, e quella cattolica fra i contadini per il bestiame bovino e suino, insieme ad associazioni sportive e ricreative e a gruppi legati al movimento cattolico.
Cominciano a farsi sentire le opinioni politiche dei mazziniani legati all’ing. Achille Cadeo e in maggior numero quelle dei socialisti riformisti del dott. Anacleto Peracchia e del rag.Angelo Venturelli. La Grande Guerra si porta via quasi un centinaio di giovani gussaghesi; negli anni seguenti la vita democratica sarà contrastata dalla violenza politica, fino all’avvento definitivo del fascismo.
Durante quel periodo viene dato nuovo assetto urbanistico alla zona del centro con l’apertura di strade e la creazione di spazi sportivi, costruite la palestra oggi Sala civica e le scuole elementari di Ronco.
Gussago conosce la durezza della seconda guerra mondiale, molti giovani muoiono sui vari fronti o sono dispersi; dopo l’8 settembre del ‘43 numerosi sono deportati nei campi di sterminio, mentre sul territorio si attiva il movimento resistenziale; un comando tedesco occupa scuole e palestra, il paese con le sue frazioni ospita gli sfollati dalla città e subisce anche un bombardamento.
Le prime elezioni libere, il cui esito sarà atteso da Pietro Nenni in casa di Angelo Venturelli promotore del CNL di Franciacorta, danno la vittoria alle forze democratiche. Gli anni del difficile dopoguerra vedono una costante inarrestabile trasformazione del tessuto sociale ed economico del paese connessa a quella del bresciano e di buona parte d’Italia; la città vicina attira col lavoro delle fabbriche, l’industrializzazione determina l’abbandono delle campagne, le attività artigianali tradizionali scompaiono o si diversificano; negli anni della crisi molti sono costretti ad emigrare all’estero in cerca di lavoro; con il boom economico si sviluppano attività indotte dalle industrie e piccole aziende di produzione e servizio, cresce anche il settore terziario; si aprono nuove strade, si organizzano cooperative per l’edilizia economico-popolare e per gli insediamenti produttivi, aumenta anche l’edilizia residenziale.

Il nucleo abitato di Ronco, formatosi come comunità organizzata vera e propria fin dall’alto medioevo, si è conservato pressoché uguale per secoli come un piccolo agglomerato non fortificato, aperto su alcune strade, privo di un preciso centro e di case sparse, raccolto in una unità urbanistica abbastanza simile ad altre di Franciacorta.
La sua posizione geografica posta sul percorso tra Gussago e Rodengo, a mezzo tra collina e pianura, ha determinato insediamenti di edifici sui lati delle strade, perpendicolari su quelle da nord a sud, con collegamenti verso i terreni; e paralleli alla strada su quella da ovest ad est.

Le case più vetuste di Ronco sono testimonianza di una comunità dedita ad attività produttive rurali, in condizioni di relativa autonomia nell’organizzazione degli spazi e nello sfruttamento del territorio.
Sono in genere tutte abitazioni legate alla coltivazione di cereali, alla viticultura, al piccolo allevamento, con differenziazioni quando la casa era destinata al padrone, ai suoi contadini o ai massari, ma con elementi costitutivi comuni.
Si tratta del modello edilizio della "casa a corte" assai diffuso in molte aree geografiche bresciane e lombarde, costituita da un edificio abitativo esposto a mezzogiorno con portico, loggia, cortile ed altre costruzioni di servizio sul lato opposto.
Nonostante le periodiche trasformazioni subite da queste abitazioni, frazionate fra più proprietari soprattutto dopo la seconda metà dell'800, e riadattamenti per variazioni d’uso - in particolare se era cambiata l'attività di chi le abitava - e per miglioramenti igienici, si può riconoscere la struttura della "casa a corte" in molti edifici di Ronco.

Il territorio di Sale è caratterizzato dalla collina su cui sorge la Chiesa di S. Stefano, dai due nuclei antichi di Croce e Sale e dalle cascine collocate su ben definiti percorsi, legati alle coltivazioni nella pianura.

Poco lontano, sempre sulla dorsale collinare, i feudatari di Sale si erano costruiti, almeno fin dal X secolo, il castro, un vero e proprio castello, ritenuto per anni da alcuni studiosi una casa torre, dalle solide mura larghe un metro e mezzo. Erette in pietre squadrate da abili scalpellini e ben collocate, formavano (e sono visibili ancora oggi) sia la struttura perimetrale che il "volto" delle stanze al pianterreno e le pareti di quelle superiori, poste appunto a torre, con stretta scala interna in pietra; il loggiato a mezzogiorno fu aggiunto in epoca più tarda, quando non era più così pericoloso affacciarsi sull'esterno. n grandioso portale d'ingresso da levante subì un rialzo probabilmente nel '400 e fu decorato, in alto e nel bottato, di bei fregi ancora leggibili.
Il ripristino di questo castello che per anni era stato considerato un rudere e su cui altri erano malamente intervenuti è stato realizzato con paziente ricerca, studio e competenza da parte degli attuali proprietari, che lo hanno recuperato alla sua autentica dimensione storica e ne continuano l'appassionata, amorosa conservazione.
Sul lato occidentale del castello furono edificate nel '500 dai vari discendenti dei Sala nuove ali di tipo padronale - residenziale a monte del cortile, volte a mezzogiorno, con portale d'ingresso dalla strada a pilastri di pietra ad effetto prospettico; è sovrastato dallo stemma dei Sala e da decorazioni monocrome con motivi di corazze, bucrani, scudi e altri ornamenti classicheggianti, simbolo di potere politico e cavalleresco tipici dell'epoca. Anche in questo caso, la sensibilità dei proprietari di oggi ci permette di vedere le tracce autentiche del passato rispettate e spesso valorizzate, malgrado interventi non pertinenti di altre epoche e le esigenze dei tempi moderni.
Sempre sullo stesso lato della via S. Stefano, ancora a ponente, un cortivo con grande aia e abitazioni dei contadini sono probabilmente dello stesso periodo del castello, o comunque del 1300, come le cascine del lato opposto della strada, con stalle e fienili a monte e ampie corti con portici e loggia a mezzogiorno.
La grande casa che alza sull’angolo una struttura a torre con base bugnata e sovralzo divenuto una colombaia, si allunga su via Sale con un corpo più basso sempre in pietra in cui si leggono una monofora e finestre di vario tipo ed epoca: è considerata uno degli edifici più antichi della frazione, di epoca medievale. Un altro corpo più basso aumenta il volume della casa verso nord, con tracce di innumerevoli manomissioni che non ne hanno cancellato la bella struttura. Fu usata sicuramente, almeno nei primi tempi, come abitazione di qualche nucleo familiare dei Caprioli, dato che aveva belle stanze con decorazioni murali - o affreschi - su una parete esterna; poi fu utilizzata dal massaro, che sicuramente riceveva i contadini o faceva i suoi conteggi nella grande stanza a piano terra con un camino demolito quando fu effettuata l'apertura con saracinesca visibile dalla strada; all'interno esistevano il grande torcolo con rullo, contrappesi in pietra e vite in legno d'ulivo, nonché un forno e un pozzo divenuto famoso per la leggenda delle gentildonne fatte misteriosamente sparire durante le feste di certi signori.
Sulla stessa strada verso nord, si riconoscono altri edifici a corte ormai trasformati in moderne abitazioni. Un altro nucleo di antiche case quasi "a schiera", popolarmente definito "il corso", un tempo piccoli "corpi" per brassenti dei grandi proprietari, ha conservato la sua fisionomia ed il suo frazionamento.
Sul lato opposto della strada, al di là del muro ancor oggi sovrastato da pilastrini da vigneto, si intravede una grande villa padronale a corte chiusa sui quattro lati con una torre colombera centra- le, portico a sei campate con pilastri e galleria al primo piano. Oltre la cinta, a occidente e a mezzogiorno, broli e vigneti con acqua del vaso Vaila.
In fondo alla via, di fronte alla casa d'angolo ed esso stesso struttura d'angolo, si alza il palazzo dei Conti Caprioli, affiancato sul lato occidentale dall'oratorio di S. Adriano; la costruzione rigorosa non concede nulla a frivolezze o decori, a parte le due torrette colombaie e passerere simmetriche al corpo centrale che alleggeriscono il tutto.
Verso levante, unita al palazzo, la grande casa a corte chiusa per le attività agricole dei contadini e poi dei fittavoli, fu per secoli parte importante nella gestione delle "possessioni" di questa famiglia, che ospitava il fattore in un'altra casa a corte sul lato opposto, all'inizio di via Casotto.
Ultima, per quanto riguarda il borgo di Sale, ma non per importanza, la cascina un tempo abitata dai fittavoli dei Rovetta e prima ancora proprietà Ettori e Quistini .
Vi si accede da un grande androne acciottolato che conduce a porticati con alte travature di tetti per fienili; sul cortile a corte chiusa si aprono le ali laterali un tempo di servizio, con porticato e fienile anche per i malghesi stagionali, e di abitazione esposte a mezzogiorno; l'edificio prosegue verso est con una struttura di tipo padronale, quattrocentesca, più prestigiosa e con spazi di rappresentanza, dotata di sale più ampie con grandi camini, che si aprono su un portico con armoniosi pilastri del' 400 in pietra bianca.
Della medesima epoca, una scala a chiocciola in pietra, con gradini che fanno corpo unico con la colonna centrale, conduce alla torretta colombaia conservata nella sua aerea luminosità. Un pozzo in fondo al portico, il forno su un lato del cortile nei pressi di porcilaia e pollai, la zona delle scuderie e delle stalle per cavalli e carrozze danno conferma dell'esistenza di un’azienda padronale autosufficiente e ben organizzata intorno alle differenti esigenze di lavoro e di vita di quanti l’abitarono in passato.
Questa parte dell'edificio fu aggiunta ad un corpo più antico posto nella parte nord-est della attuale costruzione, di cui si vedono bene le pietre dei muri perimetrali, massicce ed oblique nella base della struttura d'angolo (poteva essere una torre di controllo sulla strada sottostante), con stanze dal soffitto a volta in pietra, alte finestre più simili a quelle di un posto di guardia che non a quelle di una cucina come vediamo oggi.
La corte ed il brolo della cascina sono stati di nuovo cintati da un muro analogo a quelli del '600, che nel caldo colore del medolo si stempera nelle sfumature della bella campagna circostante, in ogni stagione.
L’attuale edificio, di notevole valenza storica, è stato recuperato ed adattato alla vita di oggi con sensibile attenzione ad ogni struttura preesistente, ad ogni materiale, ad ogni funzione, non solo con estrema competenza e passione di chi ha studiato l’intervento, ma anche con autentico amore per la bellezza e per la storia da parte dei nuovi proprietari.

Mentre il borgo di Sale ha conservato il suo aspetto storico, nella zona del Casotto non sono più leggibili le strutture di due cascine di antica data, in una delle quali fu ritrovato l'affresco della fine del XV secolo. Nella stessa zona, tuttavia, si è mantenuta la cascina con stalle dal volto a vela, sostenute da colonne in pietra e capitelli, grande aia centrale e struttura abitativa sul lato a monte; così come si vedono ancora la bella torre colombaia di una cascina vicina e resti di un edificio contadino analogo.
All’intorno, le costruzioni di questi anni non ci impediscono di immaginare i terreni della Ceresa, del Sonaglio, della Breda di S. Michele, delle Pianette, dei Sorzini, della Breda mala, del Prato lungo, della Pirla, della Madasca...

Le abitazioni della contrada della Croce sono allineate sui due lati della strada nord-sud, sulla quale si affacciano con portoni ad arco o con cancelli sostenuti sempre da pilastri in pietra bianca, con paracarri a semisfera di pietra alla base degli stipiti per la protezione dei mozzi delle ruote di carri e carrozze.
Dall'ingresso, spesso sotto un androne, si accede al cortile interno, con le costruzioni sui due lati: a monte, stanze al piano terra con portico, scala che porta alla loggia del piano superiore, orientate sempre a mezzogiorno, sull'altro lato le zone di servizio; a occidente, l’uscita sul brolo o sull'orto, con il vaso dell'Acquafredda che forniva acqua per irrigare i terreni e per le fontane dentro alcuni cortili. Le case più articolate avevano costruzioni che chiudevano la corte sui quattro lati.
I cortili sul lato orientale della contrada sono più aperti e spaziosi, erano destinati soprattutto alle attività agricole, ospitavano molte famiglie di contadini, avevano porticati per attrezzi, stalle e fienili; il nucleo intorno alla chiesetta è di nuovo più signorile, con case padronali conservate nella loro silenziosa, sobria architettura.
Gli interventi effettuati su alcuni edifici probabilmente agli inizi di questo secolo e la destinazione a caserma dei "löc" più grandi hanno spesso portato manomissioni che impediscono la lettura dei segni più antichi.
Alla fine della contrada, a sud, sulla attuale via Galli un tempo detta dell’Acquafredda, le architetture più interessanti del passato sono una bella casa padronale e qualche edificio rustico ben conservato circondati per secoli solo da prati, broli e frutteti.

Tra i tanti edifici di interesse storico, spiccano le numerose chiese e conventi che popolano il territorio, prima tra tutte la Santissima, antico convento domenicano eretto nel 1479 che domina l'intero paese dall'alto del colle Barbisone e che fu dimora per anni del pittore Angelo Inganni. La chiesa è diventata negli anni il simbolo del paese.

Tra le altre vi è poi la chiesa di San Rocco posta su di un'altura che conduce tramite il Sentiero delle Croci al santuario della Madonna della Stella, che sorge sul confine dei Comuni di Gussago, Concesio e Cellatica.

La chiesa parrocchiale è invece dedicata a Santa Maria Assunta e risale alla seconda metà del Settecento. Essa domina con l'imponente scalinata, Piazza Vittorio Veneto, diventando il cuore sociale della comunità, attorno a cui ruota la manifestazione più importante del paese: la festa dell'uva.

Gussago presenta scenari suggestivi, grazie al gioco tra antichi sentieri e le numerose alture: il punto più alto del paese è Quarone, da cui si snoda un ruscello ed il sentiero recentemente sistemato. Vi è poi anche la vecchia strada chiamata Cùdula che da Casaglio porta in cima al rilievo che fa da confine naturale tra i comuni di Gussago e Cellatica, dove sono presenti numerosi resti di muri e scalcinàcc, ovvero portali antichi costruiti per le proprietà private nei campi; lo stesso sentiero è un'alternativa per raggiungere il Santuario della Stella.

La Santissima è un dismesso convento domenicano posto sulla cima del colle Barbisone, dotato di torri e merlature.

Non esistono attualmente documenti che ci confermino la data di fondazione dell'edificio intitolato alla Santissima Trinità, le ricerche fanno pensare però al tardo Medioevo.
Una prima ipotesi si basa sulla sanzione ufficiale della festa della Santissima Trinità stabilita nel 1331 da papa Giovanni XXII.

La seconda data è il 1423 relativa ad un'importante decorazione dell'interno della chiesa e quindi cronologicamente posteriore alla posa della prima pietra.

L'esistenza di una chiesa rurale "in monte de Barbisono" nel territorio di Gussago è attestata per la prima volta da un'indulgenza emanata nel 1460 da papa Pio II "Pro loco Trinitatis Gussagi".

Nei documenti la chiesa è detta di antico giuspatronato della Comunità di Gussago; si tratta quindi di una "chiesa civica" sorta fuori dai poteri monastici presenti al tempo ma per volere della gente semplice che vi sale a pregare e a chiedere protezione per il vivere quotidiano.

Con bolla di papa Sisto IV, in data 2 maggio 1479, la "ecclesia Sanctissimae Trinitatis de Guzago" è affidata all'ordine dei frati Domenicani che, restaurata la chiesa, costruirono il Convento e i locali per i contadini. Il convento gussaghese aveva la duplice funzione di presenza religiosa e di centro di rifornimento di prodotti agricoli per il grande convento della città di Brescia. Per più di tre secoli questo fu luogo di preghiera e di attività connessa a varie coltivazioni; ospizio di salubre soggiorno contro le pestilenze, in quanto dal 1478 Brescia fu colpita dalla peste chiamata "mal de zuchèt o del mazuch", causando la morte di 30.000 persone.

Nell'anno 1580 vi è la visita apostolica del cardinale Carlo Borromeo da Milano, in cui rimarca la bellezza e la pace del luogo, ideali per pause di ristoro e di riflessione dei frati predicatori.

In seguito all'occupazione del bresciano da parte dell'esercito francese nel 1797, con decreto del Governo Provvisorio del Sovrano Popolo Bresciano il convento fu assegnato all'Ospedale Maggiore di Brescia.

Nel 1823 la Santissima fu messa in vendita ed acquistata dal miniaturista Giovanbattista Gigola che la condise con gli amici Luigi Basiletti e Angelo Inganni.

Il Gigola incaricò Rodolfo Vantini della trasformazione dell'austero convento tramite finestre ogivali in stile gotico, i merli ghibellini posti a ornamento dei cornicioni del tetto, le torrette poste agli angoli della facciata.

Il Gigola nominò erede l'Ateneo di Brescia, lasciandone l'usofrutto alla giovane moglie. La vedova Aurelia Bertera sposò in seconde nozze il pittore bresciano Angelo Inganni e con lui abitò la Santissima come casa di villeggiatura.

Alla morte della Bertera, nell'aprile del 1855, l'Ateneo richiese all'Inganni la restituzione della proprietà o il pagamento di un affitto. Nel settembre dello stesso anno tuttavia Paolo Richiedei, amico del pittore, acquistò la Santissima e la concesse in beneficio all'uomo ed alla sua nuova moglie, l'allieva Amanzia Guérillot. Una sua Deposizione del 1858 è esposta alla chiesa parrocchiale.

Alla morte di Inganni, la Santissima rientrò nella gestione del patrimonio del nobiluomo, il quale con il suo testamento redatto nel 1860, legò il castello all'Opera Pia Richiedei disponendo l'erezione nel comune di Gussago, in contrada Villa, di un "Ospedale per i malati poveri" e di una "Casa di Ricovero per i vecchi poveri".

La stessa Opera Pia ha restaurato l'edificio nel 1991, riparando il tetto e consolidando le strutture murarie. Si restituirono le forme neogotiche che il Vantini aveva conferito alla fabbrica all'inizio del XIX secolo.

Nel 1999 è stato predisposto l'attuale sistema di illuminazione, mentre nel 2010 l'edificio è stato acquistato dal Comune di Gussago.

A fianco dell'ingresso carraio dell'ex convento della Santissima si trova la Santella dell'Inganni, una cappella campestre che presenta una struttura architettonica semplice, ma di armoniche proporzioni. L'affresco con la Deposizione dalla Croce fu eseguito da Angelo Inganni verso il 1860.

La "piazza originale" di Gussago era la piazza di San Lorenzo. Piazza che nel 1810 diede il nome alla contrada principale del paese, Piazza, anticamente Chiamata Castelli, per la presenza di un antichissimo edificio d'epoca romana scoperto nel 1720 durante la ristrutturazione di un'abitazione privata.

Sono Piedeldosso e Casaglio le altre antiche contrade che con la Piazza costituiscono il nucleo centrale dei borghi antichi.

Piedeldosso si snoda tra pianura e collina ai piedi del Santuario della Madonna della Stella, sede di un'antica strada romana, intorno a cui esistevano case sin dal XII secolo; la strada collegava la Franciacorta alla Valtrompia tramite il passo della Forcella. La contrada ospita inoltre l'antica pieve trecentesca dedicata a S. Maria Assunta, eretta dai monaci della Badia di Leno.
Casaglio ospita la chiesetta dedicata a San Giuseppe, in cui era conservata la reliquia del santo donata nel 1728 da Pier Giorgio Rubini.
Navezze era famosa per i mulini a vento, le cui tracce risalenti al X secolo si possono ritrovare negli archivi del Museo di Santa Giulia di Brescia. La chiesa parrocchiale è dedicata a San Vincenzo, festeggiato il 15 giugno. Negli anni del boom economico la frazione contribuì ad affermare Gussago come "Capitale dello Spiedo", con la nascita delle numerose osterie ancora oggi in attività.
Villa, divisa tra le parrocchie della Piazza e di Sale, non ha una sua contrada ed è chiamata anche Pomaro, nome che deriva da quello di una cascina. È forse uno dei luoghi più suggestivi del paese, sorgendo ai piedi della Santissima. Villa è anche sede della nuova piscina Le Gocce, inaugurata il 25 luglio 2009.
Civine è la località più alta del paese, costruita nel 1610 intorno alla chiesa parrocchiale di San Girolamo. A giugno si svolge la Festa delle Ciliegie.

Nel territorio comunale sono presenti numerose imprese soprattutto nella zona sud. Le aziende agricola producono vini, come il Franciacorta DOCG, distillati, come il Grappa di Lombardia IG 6, insaccati.


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