martedì 4 agosto 2015

MARCHENO

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Marcheno è comune montano in media Val Trompia.

Fa parte della Comunità Montana della Val Trompia e del Distretto industriale Val Sabbia-Val Trompia, specializzato nella fabbricazione di prodotti in metallo e, in particolare, nell'antichissimo settore armiero.

Frazioni: Aleno, Brozzo, Caregno, Cesovo, Croce, Madonnina, Piazza, Parte, Rovedolo. Altre frazioni minori sono: Marcheno Sopra, Prevesto, Renat, Marsegne, Pianù, Clos, Cerreto, Lusine. Dalla frazione Caregno, altopiano posto a 1000 m, partono diversi sentieri verso il monte Guglielmo che rientrano, sin quasi verso la cima, all'interno del comune.

Brozzo è collegato a Cesovo anche da un sentiero assai agibile che prosegue poi verso Caregno. Lungo la strada di montagna che collega Cesovo e Cimmo di Tavernole sul Mella vi è la località Perdone (Perdù). Nella zona est del comune si stacca la valle Vandeno (Vandè), percorsa dal torrente omonimo, che porta nella zona Sonclino/Sant'Emiliano.

Marcheno è attraversato dal fiume Mella.

Il territorio di Marcheno fu abitato in tempi antichi.
Lo dimostrano dei reperti individuati nel 1975, in località Rocca (frazione Prevesto), sulla sponda sinistra del fiume Mella tra il capoluogo e Brozzo che risalivano alla prima età del ferro tra l'VIII e il VII secolo a.C.

Gli stessi insediamenti furono abitati anche in epoca romana. Dopo la caduta dell'impero romano, Marcheno si trovò sotto la giurisdizione della Pieve di S. Giorgio di Inzino, da cui ottenne l'autonomia verso la fine del XIV secolo.

In quel secolo e in quello successivo era Aleno il centro del Comune, come testimoniano un estimo delle quadre del territorio bresciano del 1389 e un codice malatestiano del 1418.

Nei decenni successivi la frazione di fondovalle divenne fondamentale sia dal punto di vista amministrativo (Comune), sia religioso (Parrocchia).

L'organizzazione amministrativa napoleonica sancì la fusione del Comune di Cesovo con quello di Brozzo e la separazione di Brozzo e Marcheno in due Distretti diversi.

Nel periodo della dominazione austriaca i due Comuni tornarono a far parte dello stesso Distretto (quello di Gardone), ma furono nuovamente inseriti in mandamenti diversi dopo l'unificazione italiana.

Nel 1927 la definitiva unificazione in uno stesso Comune.

La Chiesa di San Michele è situata nella frazione di Brozzo, la chiesa venne consacrata nel 1522 e ristrutturata nel XVIII secolo. Del 1743 l'Incoronazione della Madonna affrescata nel medaglione che sovrasta la cappella maggiore. Nei due medaglioni della volta della navata sono riprodotti l'Adorazione dei Magi e l'Adorazione dei Pastori. Al di sopra dell'altare marmoreo del '700 è posta una pala seicentesca che riproduce San Michele che lotta contro gli angeli ribelli. Al primo seicento è databile la tela ad olio firmata da Antonio Gambino raffigurante la SS. Trinità, S. Bernardo e S. Antonio.

La Chiesa di San Giacomo sorta al posto di una cappella dedicata a san Giacomo, risulta già citata in atti del '300. Ampliata nel corso del '500 e ricostruita nel '700. La pala maggiore firmata da Grazio Cossali e datata 1622 rappresenta la Trasfigurazione di Cristo. All'altare della Madonna sono presenti 14 telette dei Misteri del Rosario dovute ad un'artista del tardo '700 inizio '800. Della prima metà del '600 la Madonna col Bambino, S. Rocco, S. Sebastiano e S. Pietro Martire, probabile ex-voto della peste del 1629-30. Tra il 1668 e il 1672 è databile la pala della Madonna col Bambino, S. carlo e S. Antonio da Padova. Sempre seicentesche sono le tele della Madonna e Santi e del Battesimo di Gesù. Al secolo XVIII appartengono la teletta della Sacra Famiglia, il quadretto di S. Giuseppe col Bambino e la porticina dipinta ad olio del tabernacolo del S. Cuore che raffigura Gesù nell'orto degli Ulivi confortato da un angelo. L'organo al lato nord del presbiterio fu fabbricato nel '700, restaurato nell'800 dall'organista Zamboni e rifatto nel 1910 da Bianchetti e Facchetti di Brescia.

In origine le sedi del Comune e della Parrocchia si trovavano nella Contrada di Lè, l'attuale contrada di Aleno, a cui facevano riferimento Marcheno, Brozzo e Cesovo, la parrocchia inoltre apparteneva alla Pieve di Inzino fino alla fine del '300. Diventata ben presto inadatta ad ospitare una comunità in costante espansione, nel 1532 la chiesa parrocchiale risulta già trasferita nella sede attuale mantenendo la dedicazione a S. Pietro.
Luciano Anelli attribuisce il progetto dell'edificio al pittore e architetto orceano PIER MARIA BAGNADORE, lo stesso a cui è attribuito il Santuario della Madonnina mentre Sandro Guerrini propende per il cremonese GIOVAN BATTISTA TROTTI DETTO IL MALOSSO, autore della pala dell'altare maggiore della vicina chiesa parrocchiale di Brozzo, eseguita negli ultimi anni del '500, e al quale gli abitanti di Marcheno avrebbero potuto richiedere un progetto in quanto il Malosso risulta accreditato anche come architetto (dai documenti d'archivio risulta infatti che venne pagato nel 1603 per avere presentato numerosi disegni per il duomo nuovo di Brescia).
L'aspetto attuale della chiesa risale comunque all'ultimo quarto del '600 come dimostrano la lapide in pietra entro una cornice in stucco posta all'interno in controfacciata, sopra il portale d'ingresso; nel 1691 fu deliberato l'allungamento del coro, e un atto del 1671 in cui la comunità di Marcheno chise un ingente prestito al Consiglio di Brescia per la costruzione di una nuova parrocchiale. Risalgono allo stesso periodo le scialbature delle pareti laterali del presbiterio, apportate probabilmente per il dilagare della peste in quegli anni. Nel 1691 fu deliberato l'allungamento del coro.

La località Madonnina prende il nome proprio dal santuario che vi sorse nel XVII secolo.
Originariamente nel luogo dove ora sorge il santuario si trovava una santella, anch'essa dedicata a Maria, che ospita tuttora un affresco del tardo '400 e all'origine della quale vi era un capitello votivo eretto a memoria del sanguinoso scontro avvenuto nel 1233 tra i Guelfi della Valtrompia e i Ghibellini di Brescia o della Valle Camonica.
E' possibile che la cappella, collegata al santuario mediante una tettoia, fosse aperta in modo da impedire la possibilità di contagio di epidemie e pestilenze.

Nel 1498, a causa delle frequenti pestilenze, nei pressi dell'edicola venne costruito un lazzaretto.

Nel 1608 fu intrapresa la costruzione del santuario come segno di pacificazione in seguito all'episodio che in quell'anno coinvolse il parroco don Alessandro Baldini poiché a causa del maltempo aveva accorciato la processione del Corpus Domini e venne minacciato dagli abitanti della frazione Parte, che non era stata toccata dal corteo. Per placare gli animi la curia nominò un nuovo parroco che nello stesso anno (1608) promosse la costruzione di un nuovo santuario da erigere di fronte alla cappelletta e da dedicare, come quest'ultima, alla Madonna (anche se non ci furono particolari apparizioni della Vergine, come era accaduto negli stessi anni in altre località, nel 1610 venne comunque avviato un processo riguardante l'immagine della Beata Vergine nel quale si contemplavano numerose grazie ottenute dagli abitanti del luogo per intercessione della Vergine.

Il progetto è attribuito al pittore e architetto orceano PIER MARIA BAGNADORE, sulla base delle seguenti motivazioni:

Confronto con la struttura architettonica della chiesa di S. Maria del Lino a Brescia, progettata dal Bagnatore nel 1605, proprio come santuario mariano, in cui il rapporto proporzionale tra la larghezza della navata e l'altezza è pari a una volta e mezza l'altezza Non è esatto, il rapporto dimensionale è come quello della chiesa di S. Carlo a Brescia progettata nel 1610 dal Bagnadore. S. Maria del Lino ha un rapporto dimensionale totalmente diverso fra larghezza ed altezza.
Uso di fasce dritte in facciata (senza capitello) (che contrastano con i capitelli corinzi che si ritrovano nel presbiterio all'interno, tenendo conto che potrebbero essere stati aggiunti dai Porta quando lavorarono alla decorazione plastica nel 1720) Non è esatto, i capitelli del presbiterio vengono realizzati con lo stesso nella seconda metà del settecento ed infatti esso rientra in un discorso architettonico a parte. Il contrasto è con i capitelli della navata che sono un po' impacciati e potrebbero essere un'aggiunta successiva (appunto fratelli Porta 1720)
Nel 1613 i lavori del santuario erano già a uno stadio avanzato come ricorda la lapide posta sotto il pulpito all'interno, che appunto riporta la data di consacrazione avvenuta l'11 giugno 1613

Tuttavia dopo i progressi nei lavori che interessarono l'edificio dal 1618 al 1625 si registrò una battuta d'arresto tanto che le celebrazioni furono sospese fino alla fine dei lavori. Paradossalmente la peste del 1630 permise alla fabbrica di arricchirsi di nuove offerte che consentirono di portare finalmente a termine i lavori.

L'edificio completato nelle sue parti essenziali già nel 1620 rientra, come anticipato, nella produzione del pittore e architetto orceano PIER MARIA BAGNADORE, nato nel 1550 e molto attivo a Brescia, dove tra l'altro, nel 1596 aveva progettato la fontana a ridosso della Pallata in corso Garibaldi. Cosa molto importante per la storia del nostro santuario è che il Bagnadore vi lavorò nel medesimo periodo in cui era impegnato nella chiesa della Madonna del Lino a Brescia (il cui progetto del Bagnadore è documentato al 1605), anch'esso santuario mariano, che presenta una pianta molto simile a quella che troviamo a Marcheno per quanto riguarda la planimetria e la stessa conformazione della cupola.

In origine il santuario marchenese, a differenza di come appare oggi, era organizzato su una pianta ottagonale e si presentava con una perfetta pianta centrale ossia risultava concepito intorno a un centro che nel nostro caso corrisponde alla cupola (il presbiterio infatti è ritenuto uno spazio a sé stante).
Il 21 gennaio 1643 fu una data molto importante per tutte le chiese della Valle Trompia dedicate a Maria e quindi anche per il santuario di Marcheno, in quanto venne concesso il privilegio del Breve apostolico dell'Indulgenza plenaria, da ottenere il giorno dell'Annunciata (in "Breve" è un documento pontificio usato per regolamentare gli affari di minore importanza). I fedeli della comunità valtrumplina trovarono nuovo vigore nelle loro pratiche devozionali, che manifestarono con l'edificazione di un nuovo altare, oltre a quello maggiore: gli atti della visita compiuta il 14 ottobre 1646 dal vescovo Marco Morosini, testimoniano infatti che la chiesa, tre anni dopo la concessione dell'indulgenza, presentava due altari, di cui quello laterale non ancora ultimato.

Nel 1750: mentre è solo un'ipotesi l'attribuzione al Bagnatore del progetto del santuario, è molto più forte il riferimento a Domenico Corbellini (Como, Pellio Superiore, 1718 – Brescia 1790) per quanto riguarda il progetto di ampliamento del piccolo presbiterio della chiesa, fino a quel momento poco più profondo degli altri tre bracci della croce greca su cui era articolata la fabbrica.
La struttura era ancora in cantiere nel 1760, come risulta da una nota riportata nel registro dell'arciprete Freddi e probabilmente i lavori proseguirono fino al 1765, data entro la quale il conterraneo Paolo Corbellini (Praga, 1711 – Doverio di Corteno, 1769) terminò gli affreschi nell'imbotte dell'arco trionfale e nella cupola del presbiterio con i relativi pennacchi.
L'attribuzione a Domenico è avvalorata dal confronto con la chiesa della Madonna delle Fontane a Caino (attribuita), con il presbiterio nella chiesa di S. Lorenzo a Brescia e con la chiesa dei SS. Faustino e Giovita a Malonnno (entrambe documentate al Corbellini). Cifra stilistica dell'architetto sono inoltre le semi colonne negli incroci delle campate.

L'affresco raffigurante la Madonna in trono, Gesù Bambino e due angeli musicanti è inserito entro una grandiosa soasa lignea della metà del Seicento. Stilisticamente riconducibile all'inizio del secolo precedente, il dipinto si presenta come il frutto della fusione della cultura tardo quattrocentesca con quella rinascimentale, in cui la preziosità nei dettagli delle vesti e l'uso della foglia d'oro – ormai completamente caduta in corrispondenza delle aureole –, legati al permanere del gotico internazionale, convivono con le prime avvisaglie del Rinascimento, che si traducono nel muto colloquio della Madre rivolta al Figlio, ancora in posizione frontale e con la manina alzata in segno di benedizione, nonché nella consistenza dei volumi delle figure e nella complessità architettonica del trono imponente, sul quale tuttavia i due angioletti musicanti appaiono sospesi più che seduti. Non si riconosce certamente il pennello di un sommo artista, anche se si può comunque ammirare il risultato di un'intuizione di qualità alla quale è stata affidata la paternità di un meglio identificato pittore, Faustino Marinelli, già autore nel 1503 della Natività con offerente guarito nel santuario della Madonna della Rocca a Sabbio Chiese.

La cappella si completa con la decorazione settecentesca in stucco che corre sulla volta , dove incornicia tre riquadri con i simboli mariani, pesantemente ridipinti, e con i due angeli abbigliati con panneggi svolazzanti posti su un piedistallo entro nicchie con valve di conchiglia.

Il portale è attribuito all'intagliatore valsabbino Faustino Bonomi che lo realizzò alla fine del XVII secolo sul modello di quello che lo stesso realizzò nel 1696 per la chiesa di S. Maria Assunta a Piano di Bovegno. Entrambe sono infatti costituiti da due battenti inferiori e due superiori separati da una cornice rudentata e decorati con formelle ottagonali e motivi decorativi vegetali stilizzati (la particolarità sta nel fatto che anche la parte superiore, che normalmente resta chiusa, è divisa in due sportelli con cornici ottagonali).

Danno il benvenuto le due statue lignee dei santi Pietro e Paolo, realizzate nel XX secolo.
La cancellata risale alla prima metà del XVII secolo ed è una bella testimonianza dei lavori di "ferrarezza" che da sempre caratterizzano la produzione della Valle.
A destra si osserva invece uno dei capolavori conservati all'interno del santuario, ossia il fastoso pulpito ligneo. Si tratta di un vero e proprio "cocchio da parata" in noce, realizzato nel 1713 da Francesco Pialorsi, considerato l'esponente più dotato della famiglia di intagliatori valsabbini conosciuti come Boscaì, e autore, in Valle Trompia, anche della cantoria e della cassa dell'organo nella chiesa di Piano di Bovegno, nonché del bancone da sagrestia nel santuario della Madonna della Misericordia alla Croce di Savenone. Il pulpito presenta inoltre elementi stilisticamente vicini a quelli della cantoria nella chiesa di S. Marco evangelista a Livemmo e a quella del santuario della Madonna di Auro, entrambe attribuite ai Boscaì. L'opera si impone per la raffinatezza dell'intaglio con cui furono definiti i putti, le cariatidi e le figure che compongono l'Annunciazione nel riquadro frontale. Nelle due formelle laterali sono invece riprodotte la Prudenza (a sx, riconoscibile dal serpente che rimanda al vangelo di Marco: "Siate prudenti come serpenti") e la Fede ( a dx, con il calice in mano).

Nel 1661 venne stipulato un contratto con il quale la Scuola del SS. Sacramento si impegnava a prestare ai "reggenti" della chiesa i soldi necessari per la realizzazione della pala dell'altare maggiore. Deve quindi essere ascritta a quegli anni la tela raffigurante l'Annunciazione, fedele copia "di una stampa uscita dalla bottega dei Carracci all'inizio del Seicento, mentre i due angeli in alto sono chiaramente desunti dal Guercino". La tela, restaurata da Romeo Seccamani nel 1992, è probabilmente da attribuire a un anonimo maestro della fine del XVII secolo, debitore dei modi di Francesco Paglia, attraverso il quale risulta mediata la cultura guercinesca dei lumi, dei panneggi e dei volti.

Introdurre brevemente l'iconografia dell'Annunciazione che si impose nelle opere d'arte italiane dagli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1305), alla tavola di Simone Martini per l'altare di S. Ansano nel Duomo di Siena (1333), fino all'Annunciazione di Caravaggio (1609 ca.), senza tralasciare il ciclo di affreschi parietali eseguito dal Beato Angelico nel convento di S. Marco a Firenze (1438-1446). Durante la Controriforma la Madonna annunciata continuò ad essere raffigurata inginocchiata davanti al libro aperto con l'Arcangelo Gabriele che reca con sé il giglio, simbolo di Purezza e Castità, così come appare nella pala dell'altare maggiore che conferisce il titolo al santuario. Sulla base dell'analisi stilistica è da ritenere coeva al dipinto la soasa monumentale dorata con colonne binate laterali e timpano curvilineo spezzato, che Guerrini attribuisce alla bottega dei Moretti o dei Galluzzi.

Un'altra pregevole opera è costituita dalla mensa in legno dell'altare maggiore, probabilmente pervenuta al santuario per acquisto da una chiesa valsabbina, con il tabernacolo a tempietto che presenta ai lati una decorazione stilizzata tipica dell'ultima produzione della bottega dei Boscaì verso la fine del Settecento, con grappoli d'uva, rosette e due teste di cherubino, e il paliotto (è il fronte della mensa da altare), che Guerrini attribuisce allo stesso autore del tabernacolo dell'altare maggiore nella parrocchiale dei santi Pietro e Paolo a Marcheno.
Risale invece ad epoca recente la cornice centrale nella quale è inserita la tela quadrilobata dipinta a olio con la Sacra Famiglia. Il dipinto e le due telette laterali (queste ultime ora in sagrestia), furono ottenute sezionando il paliotto dipinto a olio su tela dell'antico altare maggiore del santuario, che presentava al centro la Sacra Famiglia e ai lati i Putti  posti su piedistalli addossati a lesene. I due Putti furono in seguito trasferiti nella parrocchiale, e quindi nella sagrestia del santuario. La critica sembra concorde nel ricondurre tutte e tre le telette a DOMENICO VOLTOLINI (Iseo, 1667 – Vestone, 1746), autore anche degli affreschi della cupola e della tela dell'unico altare laterale.
Sulla parete destra del presbiterio fare osservare la tela con Gesù Bambino tra i santi Gaetano da Thiene e Luigi Gonzaga quest'ultimo proclamato patrono della Valle Trompia nel 1750 e databile a quegli anni. Il dipinto presenta i due santi con il volto circonfuso da un alone luminoso aureolato e inginocchiati su nuvole in adorazione del Bambino, sullo sfondo di un cielo terso e luminoso. La composizione, piuttosto convenzionale, raffigura S. Gaetano da Thiene, con la veste talare nera e le mani giunte, e S. Luigi Gonzaga con le braccia spalancate e il viso rivolto verso Gesù Bambino, provvisto dei suoi consueti attributi: il giglio e la corona regale che si intravede lungo il bordo inferiore.
Nel 1721 il pittore iseano DOMENICO VOLTOLINI, "habitante in Gardone" nell'aprile 1706 e nel giugno 1708, datò nel 1721, la tela con Sant'Anna, Maria bambina e i santi Antonio abate, Nicola da Tolentino e Calogero  inserita nella soasa dell'unico altare laterale posto sul fianco occidentale del santuario. Nella tela, l'artista mette in scena quattro santi particolarmente cari alla comunità marchenese: S. Anna, invocata dalle donne partorienti, della quale tuttora si conserva nel santuario una reliquia in un reliquiario settecentesco; S. Antonio abate, durante la cui festa fino a pochi anni fa si benedicevano gli animali davanti all'edificio sacro; S. Nicola da Tolentino (a sx, attributi: abito nero agostiniano, stella sul petto, giglio), che all'epoca della peste di manzoniana memoria aveva ottenuto in tutto il territorio bresciano un culto speciale, testimoniato anche dai numerosi lasciati elargiti al santuario in suo onore, e S. Calogero, titolare dell'altare detto anche di S. Anna.

DOMENICO VOLTOLINI negli stessi anni eseguì in collaborazione con il figlio Pietro, gli affreschi nella cupola e nei pennacchi della navata siglandolo ai piedi della scena sulla controfacciata con Gesù tra i dottori nel Tempio ("D.S V.S F.T" ossia "Domenicus Voltolinus fecit"), che si completa con l'affollata scena intitolata alla Strage degli innocenti sopra l'ingresso laterale, l'Assunzione di Maria al centro della cupola della navata, circondata dalla Natività di Maria , la Visitazione , l'Adorazione dei pastori, la Presentazione di Gesù al tempio, quattro Profeti (non tutti in buone condizioni di conservazione) e altrettante Sibille, per concludersi nei pennacchi con la Presentazione di Maria al tempio, l'Immacolata Concezione, la Fuga in Egitto e il Cammino della Vergine e S. Giuseppe verso Betlemme. Il tono luminoso delle rappresentazioni, ricche di figure e di elementi architettonici, scandisce lo spazio pittorico, nettamente distinto da quello plastico, vero e proprio repertorio di motivi decorativi settecenteschi con cartelle a rilievo mistilinee, ovali e quadrangolari, finte mensole, nastri svolazzanti, bouquets di fiori, foglie accartocciate, valve di conchiglia e angioletti in volo. L'autore degli stucchi fu l'intelvese BENEDETTO PORTA che li eseguì in collaborazione con il fratello Carlo Antonio nel 1720, così come si legge nelle due becche incise alla base del riquadro con Gesù tra i Dottori"HOC/ OPVS/ FECIT/ BENE/ DICTVS/ PORTA/ MDCCXX" – la collaborazione tra Domenico e Benedetto proseguirà nel 1729 nella decorazione del presbiterio e dell'abside nella chiesa parrocchiale di S. Giorgio a Bovegno –. L'effetto d'insieme che ne deriva è quello comune a numerose chiese bresciane dell'epoca, in cui la sapienza degli stuccatori intelvesi si combina con le decorazioni dipinte, come era avvenuto nel 1724 nella chiesa parrocchiale di Marcheno per mano dello stesso Benedetto, autore negli stessi anni di due soase in stucco nella chiesa parrocchiale di Marcheno (altare di S. Alberto e altare delle Sante)
I lavori del presbiterio proseguirono al 1765, data entro la quale Paolo Corbellini (Praga, 1711 – Doverio di Corteno, 1769), conterraneo di Domenico Corbellini, terminò gli affreschi nell'imbotte dell'arco trionfale  e nella cupola del presbiterio con i relativi pennacchi che raffigurano rispettivamente l'incoronazione della Vergine (arco trionfale), l'Adorazione dei Magi (cupola) e i Quattro Profeti (pennacchi). Già attribuiti a Pietro Scalvini, senza dubbio la personalità artistica bresciana più importante attiva in Valle negli anni centrali del Settecento, gli affreschi sono stati recentemente ricondotti all Corbellini, comasco di famiglia anche se nato a Praga nel 1711, definito "insigne" nel registro in cui fu redatto il suo atto di morte. Caratteristiche appaiono le sue figure scorciate da sotto in su, che assumono forme allungate con ampi panneggi e che appaiono un po' rigide.

Il patrimonio pittorico del santuario si completa con le due tele raffiguranti San Domenico di Guzman e Sant'Antonio abate, attribuite al pittore lucchese Pietro Ricchi (Lucca, 1606 – Udine, 1675). I dipinti, ora inseriti entro cornici rettangolari, furono probabilmente concepiti per una collocazione diversa rispetto a quella attuale, come dimostra il profilo ovale che inquadra le due figure.

Appartengono infine a un ambito prettamente devozionale tre tavolette votive del XIX sec. , appartenenti alla serie di ex-voto che ornava le pareti della cappella esterna fino al 1945, a testimonianza delle grazie elargite dalla "Madunina". Tra le tre quella più significativa reca in alto l'iscrizione dipinta "P.G.R. 1805" e raffigura a sinistra la Madonna annunciata con l'Arcangelo Gabriele mentre a destra è ritratto l'anziano uomo miracolato caduto da cavallo con un braccio schiacciato dalle zampe anteriori dell'animale.

L'imponente, massiccio palazzo Trivellini di Brozzo è del secolo XV. Insieme al palazzo Avogadro di zanano - come rileva Gaetano Panazza - è uno degli "esempi tipici di case private quattrocentesche in tutto il bresciano, nelle quali i motivi lombardi e veneti, forme gotiche e rinascimentali, e perfino qualche accenno nordico, confluiscono in ununità degna di nota". Bonafemmina, moglie di Faustino Trivellini, è citata nell'iscrizione dipinta sulla lunetta del portico datata 1503 e raffigurante la Madonna col Bambino e Santi con i due committenti.
Il Rinascimento nondimeno è rappresentato da palazzo Foresti pure a Brozzo. Al secolo XV è da assegnare la cosiddetta casa Robbi, a Marcheno di Sopra, impreziosita da un'elegante loggetta; altrettanto significativa è la massiccia abitazione in località denominata "la Galinazza" in via Madonnina, interessante esempio cinquecentesco di architettura rustica valtrumplina.


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