Sarezzo è un comune della bassa Val Trompia.
Sarezzo comprende tre frazioni: Noboli, Ponte Zanano e Zanano.
I primi insediamenti nella zona risalgono a epoca preistorica, stando al rinvenimento di alcune punte di selce databili al periodo neolitico (4000-3000 a.C.); a questi ne subentrarono altri fino ad arrivare alla colonizzazione dei romani, di cui pure sono pervenute varie testimonianze, che attestano l'esistenza di un nucleo molto attivo. Il toponimo, in passato Sarezio, deriva probabilmente dal termine dialettale "sarezz", che significa 'selce, granito'. Tra le famiglie più illustri, non solo del luogo ma di tutto il Bresciano, vanno ricordati gli Avogadro di Zanano che, nella prima metà del XV secolo, ospitarono il frate Bernardino da Siena, donandogli il terreno su cui sarebbe stata poi costruita la chiesa del convento di Santa Maria degli Angeli di Gardone Val Trompia. Vasti possedimenti vi ebbero anche i Bailo, esponenti della borghesia industriale-mercantile, che nel XVI, XVII e XVIII secolo accumularono ingenti ricchezze, ampliando le loro attività produttive e commerciali. Dal Cinquecento fu spesso in controversia con Brescia e Lumezzane, che tentarono di appropriarsi di parte del suo territorio. Tra i monumenti figurano: la torre campanaria, costruita verso la fine del 1500; la seicentesca chiesa parrocchiale, sorta sul luogo precedentemente occupato dalla vecchia chiesa dei Santi Faustino e Giovita; il palazzo Montini e la casa Bailo.
Il territorio, percorso da più torrenti, presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche più accentuate nella parte settentrionale, e offre un panorama alto-collinare molto suggestivo, con alture coperte di vegetazione boschiva. L'abitato mostra un andamento plano-altimetrico vario.
Il Comune di Sarezzo è sorto in un punto centrale della Valtrompia, dove si stacca la Valle di Lumezzane o Val Gobbia, dall’omonimo torrente che la percorre in tutta la sua lunghezza.
Al centro di ogni abitato, presso la piazzola e il molino, ci doveva essere la chiesa con l’effige e le reliquie del santo patrono: qui i fedeli si radunavano in assemblea per pregare, ma anche per accordarsi sull’uso dei boschi e dei pascoli comuni, per decidere il da farsi in caso di pericolo. La chiesa era la casa comune e il primo segno di appartenenza, il simbolo stesso dell’intero paese e dei suoi abitanti.
Della più antica chiesa, sorta a Sarezzo forse prima dell’anno Mille, abbiamo ben poche notizie.
Mons. Paolo Guerrini scrive che “la chiesa di S. Faustino di Sarezzo venne fondata dal Capitolo della Cattedrale di Brescia verso il secolo XI e su di essa il Capitolo medesimo esercitò il diritto di patronato fino al tempo della rivoluzione francese”.
Si può essere certi che la chiesa, fin dalle sue origini, sia stata dedicata ai SS. Faustino e Giovita. È infatti in questo periodo che si va diffondendo in terra bresciana, ma soprattutto in Valtrompia, il culto dei due santi martiri che, si crede, siano nati, se non a Sarezzo, nelle immediate sue vicinanze. Il titolo della chiesa richiama gli stretti rapporti, anche economici, allora esistenti tra Sarezzo, il Capitolo della Cattedrale ed il Vescovo.
Non è da escludere un determinante influsso dei monasteri benedettini di S. Faustino Maggiore e di S. Giulia che tanta parte ebbero nell’opera di bonifica del nostro territorio.
Poco dopo il Mille Sarezzo poteva contare su una popolazione di circa 600 “anime”, aveva una chiesa decorosa con il fonte battesimale e tutto intorno il sagrato-cimitero; di fatto era una parrocchia.
È sicuramente parrocchia, anche dal punto di vista istituzionale, nel secolo XIII, cioè nel periodo che vede il progressivo declino delle antiche pievi di fronte alla inarrestabile voglia di autonomia civile e religiosa che pervade gli abitanti della città e del contado.
Per avere notizie dettagliate della prima chiesa bisogna giungere alla seconda metà del 1500, allorché, di fronte al propagarsi dell’eresia luterana e dopo il Concilio tridentino, si fanno intense le visite pastorali dei vescovi alle parrocchie.
Le caratteristiche architettoniche della chiesa, lo stemma dei nobili Avogadro rinvenuto nell’attiguo cimitero recante la data 1337 fanno supporre che la chiesa sia sorta nella prima metà del 1300 al posto di una preesistente più antica chiesetta andata in rovina e demolita.
L’edificio era disposto da occidente a oriente con la facciata a sera seminascosta dall’abitazione del rettore.
Era costituito dalla navata maggiore con il tetto a capanna, da una piccola navata laterale (a nord), dal presbiterio, dalla sagrestia e dal piccolo campanile.
Il fatto che ci fosse una sola piccola navata laterale fa ritenere che si trattava di una aggiunta posteriore. Singolare la collocazione delle campane: nell’apposita cella campanaria c’era una sola campana, mentre le altre due erano appese all’esterno sostenute da una travatura in legno.
Addossata alla chiesa c’era anche, nell’angolo sud-est, l’abitazione del cappellano. Nella navata maggiore vi erano due altari: l’altare nel presbiterio e l’altare della S. Croce collocato contro la parete meridionale.
Nella piccola navata c’erano tre altari: al centro della parete nord quello della Madonna sormontato da una pala e da tre statue di legno: la Beata Vergine, S. Rocco, S. Sebastiano.
Nella parte anteriore della piccola navata vi era l’altare di S. Antonio, mentre verso il presbiterio c’era quello dedicato a S. Caterina, descritto come brutto e privo di ogni ornamento. Nella navata minore erano collocati anche cinque sepolcri: due appartenenti alle Confraternite del Corpo del Signore e della Concezione, gli altri tre alle famiglie Perotti e Bailo di Sarezzo, Bombardieri di Noboli.
Il monumento sepolcrale degli Avogadro sorgeva in un angolo del cimitero adiacente.
Il presbiterio con il soffitto a volta, decorato da pregevoli affreschi, prendeva luce da una finestra aperta sulla parete meridionale dove c’era anche l’ingresso principale e aveva l’altare maggiore con un tabernacolo di legno dipinto e dorato.
La bella pala di questo altare con le figure della Vergine, di S. Martino Vescovo, di S. Bernardino e dei SS. Faustino e Giovita è la stessa, attribuita al Moretto, che ora è collocata nella chiesa parrocchiale al centro della stupenda ancona di Pietro Dossena.
Zanano era il centro amministrativo di una vasta corte, denominata Grignano, appartenente al monastero di S. Giulia.
Se questa ipotesi trovasse conferma, potremmo stabilire quando e perché al centro della contrada sorsero tre importanti costruzioni: un molino, un palazzo e una cappella dedicata a S. Martino, il santo più popolare del medioevo.
Un primo sicuro riferimento alla chiesa di S. Martino lo abbiamo alla fine del 400 quando Zanano, da circa due secoli, era feudo degli Avogadro.
Il 31 luglio 1496 i cittadini e i vicini abitanti a Zanano si radunano sulla piazza per stabilire di ricostruire la chiesa di San Martino. Sono presenti come testimoni Francesco Perotti, figlio di Marco Perotti di Sarezzo, e Guadagno, figlio di Bono Bartolomeo Berte di Gandellino abitante a Noboli. I presenti si impegnano a pagare o a lavorare, ognuno per la propria parte, e ad attenersi ad ogni decisione che i deputati alla fabbrica dovevano prendere.
Più ampie notizie le ricaviamo dalle relazioni delle visite pastorali che si susseguono in questo periodo.
Ordinariamente il vescovo che giungeva a Sarezzo, dopo avere visitato la parrocchiale dei SS. Faustino e Giovita si recava anche nelle altre chiese del territorio parrocchiale che, nel Cinquecento, erano la Madonna della Formica, il Santuario di S. Emiliano, la chiesa di S. Martino a Zanano, la chiesa di S. Bernardino a Noboli.
Così il 30 agosto 1567 il vescovo Bollani, dopo aver visitato la parrocchiale di Sarezzo, si reca a Zanano per visitate la chiesa di S. Martino. La trova disadorna e sprovveduta delle necessarie suppellettili. Richiede numerosi ed urgenti interventi:
– rimuovere le tombe all’interno della chiesa;
– dorare il calice e la patena;
– procurare 12 nuovi purificatoi;
– utilizzare per la S. messa vino bianco;
– rimuovere gli altari vicino alla porta maggiore;
– fare una campana, procurare le serrature alle porte della chiesa che di notte deve restare chiusa;
– ridurre la chiesa in forma decente.
Il 1° settembre 1573 Mons. Cristoforo Pilati visita la chiesa di Zanano su incarico del vescovo Domenico Bollani. Egli annota che “la chiesa di S. Martino è consacrata con l’altare maggiore pure esso consacrato; vi celebravano i sacerdoti di Sarezzo due volte la settimana”.
I capifamiglia pagavano un frate che veniva a celebrare la messa ogni giorno festivo.
Il visitatore diede ordine di non costruire più nessun altare al di fuori della chiesa, le celebrazioni dovevano essere tenute all’interno. Era poi necessario distruggere i sepolcri. Si doveva bruciare la croce vecchia collocata a destra dell’altare e distruggere gli altari adiacenti a quello maggiore.
A Zanano il sig. Vincenzo Avogadro e Mastro Vincenzo Avogadro attestano che alcune persone avevano fatto dei livelli per distribuire del sale tra gli abitanti del paese. La distribuzione era effettuata da alcuni cittadini di Zanano che percepivano i livelli medesimi, ma si ignorava con quale diritto erano stati alienati. Fu imposto di ripristinare il tutto, sotto pena di cessazione delle cerimonie religiose nella chiesa di Zanano.
Nel 1580 è la volta di Mons. Vincenzo Antonini inviato dal Cardinale Carlo Borromeo. Dopo aver visitato la chiesa di Sarezzo il visitatore nello stesso giorno (30 marzo) visitò la chiesa consacrata di S. Martino, dipendente dalla chiesa parrocchiale di Sarezzo, costruita anticamente, senza soffitto, nella quale ci sono tre altari, non secondo la forma prescritta, senza legati e dote, ma alcune persone dicono che il Rettore della parrocchia dei SS. Faustino e Giovita è tenuto a celebrare nella predetta chiesa due volte alla settimana per l’accordo fatto tra la chiesa di S. Martino e la chiesa di Sarezzo in vista dei suoi beni. Il Rettore celebra in questa chiesa una volta alla settimana per comodità dei fedeli, ma non per qualche legato certo. C’è una piccola sacrestia senza il necessario, con alcuni paramenti. Il campanile ha una campana. Nella chiesa c’è un monumento funerario, fuori dal pavimento, nel quale ci sono dei morti. Il piccolo cimitero è davanti alla chiesa, convenientemente chiuso, nel quale si trova un altare addossato alla parete della chiesa.
Il visitatore apostolico emana le seguenti disposizioni da attuare per la chiesa di S. Martino: l’altare maggiore sia secondo la forma prescritta e provvisto di pietra sacra entro un mese e lo si richiuda con una cancellata. Si restauri la cappella e sia decentemente decorata con pitture. Gli altri altari siano rimossi entro tre giorni. Il calice non idoneo sia messo a posto.
Il sepolcreto dei Signori Avogadro che c’è nella chiesa sia eliminato a cura degli Avogadri stessi entro dieci giorni pena la scomunica.
Il Rettore di Sarezzo celebrava nella chiesa di Zanano “una volta alla settimana per comodità dei fedeli”. I capifamiglia pagavano un frate del convento di Gardone che veniva a celebrare la messa ogni giorno festivo. Ma questo non bastava agli abitanti di Zanano che volevano avere un sacerdote stabile nella frazione.
Nel 1590 il nobile Fioravante Avogadro ed i capifamiglia inviarono al parroco di Sarezzo ed al vescovo di Brescia una richiesta per ottenere un cappellano che celebrasse la messa ogni giorno “come era avvenuto talora in passato”.
Per ottenere questo, la Curia chiedeva che il mantenimento del sacerdote fosse garantito “da una rendita certa di beni o di legati”. Il 25 gennaio 1615 i capifamiglia di Zanano “si riunirono nella caminata terranea del sig. Giò Maria Nogadro, presenti come testimoni Giò Batta Lorandi di Gardone, Giò Rodengo Bernardino q. Giacomo de Moris di Lumezzane abitante a Zanano. Volendo li vicini et habitanti della Terra di Zenano trovar modo abile et conveniente per vere un sacerdote stabile”, il conte Scipione Avogadro assegnò alla chiesa “tre ezze di terra” con il patto che a lui ed ai suoi eredi fosse riservato il diritto di “giuspatronato”, cioè la possibilità di approvare o non approvare la nomina del cappellano richiesta e Zanano ebbe il sacerdote con l’obbligo di celebrare la messa quotidiana, di amministrare i Sacramenti della Penitenza e della Eucarestia e di tenere la Dottrina cristiana. Nel frattempo cittadini e capifamiglia riuscirono a risolvere un altro problema: quello dell’ampliamento della chiesa. A questo proposito manca una precisa documentazione, ma pare che il prolungamento della navata verso nord sia avvenuto nei primi anni del ‘600. Lo proverebbero innanzitutto la data ed una scritta scolpita sull’architrave dell’ingresso laterale:
1604 – DIVO MARTINO DlCATUM
(1604 – Dedicata a S. Martino).
ed infine l’andamento non rettilineo ma “rientrante” della navata, segno questo di un intervento posteriore che ha prolungato la chiesa fino al vecchio ingresso del palazzo Avogadro.
Nel 1580 la chiesa era ancora “senza soffitto”, la copertura a capanna era costituita soltanto da travi, assi e tegole. È forse nel corso di questi restauri e ampliamenti che viene creato l’attuale soffitto a volta.
Dai documenti d’archivio risulta poi che numerosi abitanti di Zanano, nella prima metà del ‘600, disposero donazioni e lasciti testamentari per dotare la loro chiesa e per avere stabilmente un cappellano.
– 17 agosto 1627. Il Signor Mattia Redolfi nomina erede universale di tutti i suoi beni la “Carità di Brescia” alla quale ingiunge “l’obbligo di mantenere perpetuamente nella chiesa di S. Martino un sacerdote per officiarla”.
Dopo la terribile pestilenza del 1630 le donazioni aumentano ancora.
– Anno 1638. La Signora Domenica Odolini nomina la chiesa di S. Martino di Zanano erede universale di tutti i suoi beni, con obbligo di mantenere un sacerdote per celebrare in essa la messa e i divini uffici in perpetuo.
– 30 giugno 1640. La stessa cosa dispone con suo testamento la signora Cattarina Rodenghi.
– Anno 1648. “Il nobile Signor conte Scipione Avogadro di Brescia che nel tener (territorio) di Zanano ha buona parte della sua entrata” dona alla chiesa di S. Martino “una pezza di terra allora affittata per annue lire 112″. A sua imitazione “un gruppo di Cittadini ivi abitanti assume l’obbligo di una tassa volontaria annua suddivisa fra molti contribuenti, così che viene assicurato un ricavato di lire 162 che in tutto facevano lire 274 all’anno che, unite all’offerta della popolazione, ponevano la chiesa in grado di avere un curato per la celebrazione quotidiana della S. Messa e di permettere le spese del Sacro Altare”.
– Altri legati, “comprovati dai testamenti che ci sono nella filza presentata dal Signor Redolfi”, dotano la chiesa di beni mobili e stabili che poteva contare anche su “un capitale di 220 scudi, denaro proveniente da altri piccoli legati”.
La chiesa venne completamente rinnovata tra il 1852 e il 1860 per iniziativa del curato don Luigi Torri, un uomo dinamico che, spesso e volentieri, dismessa la tonaca di prete, assumeva la veste di muratore-impresario (a lui si deve la ricostruzione della strada da Ponte Zanano a Gombio dopo l’alluvione del 1850). Ristrutturò le pareti e le cappelle laterali, rifece l’intera copertura e innalzò il minuscolo campanile sul quale, nel 1854, fu collocato un nuovo concerto di cinque campane fuse dalla ditta Innocenzo Maggi di Brescia.
Una scritta alla base della volta (a sinistra, sopra il cornicione) ricorda che il soffitto fu dipinto da “Lorandi Aloisio nel 1855, l’anno in cui imperversava il colera”. Un’altra scritta (a sinistra) ed una lapide posta sopra l’ingresso laterale dicono che la chiesa venne ricostruita “mercè l’instancabile e indefesso zelo del curato don Luigi Torri” e che gli zananesi la resero magnifica con il duro lavoro ed a loro spese.
Una prima cappella dedicata a S. Apollonio potrebbe esser sorta a Noboli in epoca carolingia per iniziativa del monastero bresciano di S. Faustino che qui aveva alcune proprietà fondiarie.
“Doveva trattarsi dapprincipio – osserva A. Fappani – di una cappella circoscritta all’attuale presbiterio al quale forse nel secolo sedicesimo venne poi aggiunta la navata”. La primitiva dedicazione a S. Apollonio potrebbe essere confermata dall’affresco che ancora oggi possiamo vedere sulla parete destra dell’arcone del presbiterio che sembra appunto S.Apollonio.
Verso la metà del 1400 accadde un episodio singolare destinato a mutare le vicende della stessa antica cappella. Il 20 aprile 1442 il frate francescano Bernardino da Siena giunge a Zanano per firmare l’atto di donazione del terreno ottenuto dagli Avogadro per costruirvi il convento di S. Maria degli Angeli a Gardone.
In tale circostanza S. Bernardino passò da Noboli per salire a Gardone lungo l’antica strada del Gèlè e forse ebbe modo di osservare la cappella che non doveva essere in ottimo stato. Fatto si è che di lì a pochi anni la cappella venne notevolmente ampliata “su terreno regalato dal comune di Gardone ai frati francescani del locale convento che promossero la costruzione della chiesa e di una annessa casa convento probabilmente aiutati dagli Avogadro”.
Il contributo decisivo dei frati di Gardone nella costruzione della chiesa avrebbe potuto trovare conferma nelle semplici linee architettoniche e nella copertura leggera tipiche delle chiese francescane.
Inoltre anche nella chiesa di Noboli venne dipinta una Madonna degli Angeli le cui tracce sono tuttora visibili sulla parete sinistra dell’arcone del presbiterio.
Bernardino da Siena muore il 20 maggio 1444 e viene proclamato santo nel 1450. Dopo la sua morte la presenza dei frati a Noboli dovette accentuarsi ancora così che, prima della fine del ‘400, la chiesa venne dedicata a S. Bernardino.
Un legame questo, fra gli abitanti della contrada e i frati di Gardone, destinato a durare fino alla fine del ‘700, come documentano anche le visite pastorali.
Prima della chiesa fu deciso di erigere la torre campanaria nell’angolo nord- est del cimitero parrocchiale dove si trovava il sepolcro degli Avogadro.
II contratto tra il comune di Sarezzo ed i costruttori, che prevedeva di “fabbricar la Torre di altezza brassa 70 a lire 100 planete al di sopra della terra al brasso”, fu stipulato il 6 agosto 1583.
La posa della prima pietra avvenne il 12 settembre 1583 con “una festosa e solenne cerimonia che vide la partecipazione del popolo che accompagnava in processione il Rettore della parrocchia, Antonio Tirri, mentre suonavano le campane del vecchio e angusto campanile”.
La torre, alta “70 brassa”, corrispondenti a metri 33,25, fu ultimata nel 1585 e venne a costare complessivamente lire planete 7.000.
Una lapide collocata sulla parete della torre reca questa scritta:
“La Comunità di Sarezzo ha edificato la torre con suo denaro in onore di Dio Onnipotente e della Beata Vergine e dei Santi Faustino e Giovita e a vantaggio di detta comunità. Nell’anno della Natività del Signore 1585″.
Sulla parete della torre rivolta ad oriente appare lo stemma del Comune di Sarezzo nel più antico esemplare che si conosca con intorno la scritta “Castelanie Comunis Saretii, Vallis Trompie”.
Appena sopra lo stemma troviamo una composizione in altorilievo ricavata su due lastre di marmo.
Vi sono scolpite le figure dei Santi Faustino e Giovita vestiti da guerrieri che reggono in una mano la palma del martirio e nell’altra rispettivamente una bandiera ed una spada sguainata.
L’incarico di predisporre il disegno per la nuova chiesa venne affidato all’architetto Giovanni Battista Lantana, lo stesso che nel 1604 aveva progettato il Duomo Nuovo di Brescia.
Il progetto prevedeva un’unica navata che arrivava fin presso la torre da poco costruita senza essere ad essa collegata, ed all’interno sei cappelle laterali in quattro delle quali dovevano essere collocati gli altari, mentre nella prima a sinistra dell’ingresso principale doveva trovare posto il Battistero.
Predisposto il progetto, la costruzione della chiesa venne rinviata ancora per ragioni di carattere economico. Passarono dieci anni ed intanto scoppiò la terribile pestilenza che colpì duramente anche la valle.
Ma è proprio questo flagello, che causò la morte di tanti abitanti, a confermare la volontà di erigere la nuova chiesa contribuendo generosamente con offerte e lasciti.
In data 2 settembre 1630, Bertolino Nido, colpito da male contagioso, “lascia herede il Commune con la condizione che spenda tre delle quattro parti dell’eredità a far edificare la nuova chiesa parrocchiale di Sarezzo”.
Il 22 settembre 1630 Giacomina Crescimbeni del fu Domenico “lascia herede il comune con patto di spendere lire 100 per la fabbrica della nuova chiesa parrocchiale”.
Il 24 ottobre 1630 Giovanni Alzi “lascia l’eredità al comune di Sarezzo con obbligo di consumarla ad edificare la chiesa nuova parrocchiale”.
In una riunione del Consiglio generale del Comune, convocata dal console in carica Francesco Cavalli il 25 maggio 1631, presente anche il Rettore Martino Troncato, venne ribadito “il voto fatto per detto comune di far fabbricar un idoneo tempio conforme al modello proposto”. Nel 1632 furono venduti i beni ereditati da Bertolino Nido ricavando lire 800.
Nel marzo 1633 il Consiglio generale elesse i nuovi deputati alla fabbrica della chiesa nelle persone dei signori Comino Bailo, Alessio Moresco, Benvenuto Salvino, incaricati di riscuotere e pagare i conti della chiesa, e Pietro Maria Bombardieri, e Bertolino Pasinetto.
All’inizio del 1633 sorsero delle discussioni sul come e sul dove costruire la chiesa: ci sono infatti due decisioni contrastanti del consiglio generale, la prima del maggio che dice di costruire la chiesa secondo il primitivo progetto, la seconda del giugno che stabilisce di continuare “la fabbrica dove principiata”.
Nel giugno 1633, quindi, la costruzione è già iniziata. Direttore dei lavori è Bernardino Milanese, affiancato dal figlio Vincenzo. I lavori procedono a rilento anche per le difficoltà finanziarie alle quali il Comune cerca di rimediare con la vendita della legna.
La costruzione viene ultimata nel 1652. Nel frattempo era morto il parroco Martino Troncato, a 64 anni, e gli era succeduto Don Pietro Saleri di Lumezzane.
Il 13 ottobre 1652 Mons. Marco Morosini, Duca Marchese e Conte, titolare della sede episcopale di Brescia giunge a Sarezzo in visita pastorale. È accompagnato da Don Battista Gagliardi, convisitatore, da Mons. Gerolamo Benaglio e da Tomaso Zanetti.
L’indomani il vescovo entra nella chiesa gremita di fedeli, celebra le sacre funzioni, quindi consacra la chiesa e l’altare maggiore a Dio, alla Vergine ed ai Santi Giustino e Giovita.
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