Il Castello di Rovato per oltre mezzo millennio di movimentate vicende storiche ebbe un ruolo cruciale di piazzaforte e godette la rarissima fortuna di serbare così a lungo quasi intatta la sua genuina struttura.
Costruito non su una collina, ma su un rialzo del terreno, dovuto alla terra riportata e alle macerie delle primitive costruzioni, era intersecato da sotterranei e difeso da una grande fossa – ancora oggi visibile – dell’ampiezza di una decina di metri che attingeva l’acqua dal cosiddetto “Pozzo lungo” situato nelle vicinanze.
Proprio alla fine del trecento il Castello Medievale fu ulteriormente munito di difese con tre giri concentrici di mura fortificate.
Nel 1470 Venezia, interessata ad aumentare la resistenza e la potenza del Castello, dispose l’innalzamento di cinque torrioni, con l’aggiunta di casematte e rivellini. Le torri come le mura erano realizzate in corsi ordinati di blocchi squadrati di ceppo del Monte Orfano. Oggi ne rimangono solo tre: quello a nord fu distrutto nel 1796 e quello a sud intorno al 1840, per far posto ai portici del Vantini.
Il Castello di Rovato con le sue mura venete è da collocare tra i più illustri esempi d’architettura castrense italiana, inoltre, in corrispondenza della porta meridionale e di quella settentrionale (demolite nell’Ottocento e in parte conservate nel sottosuolo della Piazza del Mercato ) conserva due bastioni che sono da annoverare tra i primissimi dell’architettura militare italiana.
Il convento dell’Annunciata sorge nel 1449 dalla richiesta di due frati di Brescia, Giuseppe Barisello e Giacomo Inverardi, che ottennero dal comune di Rovato e dal vescovo Pietro Monte, il permesso di poter costruire un convento sul monte Orfano, nel luogo dove anticamente sorgeva una cappella dedicata a S.Maria Annunciata.
Dal 1452 si costituì la prima comunità, composta da undici frati, e nel giro di alcuni decenni il convento crebbe in dimensioni e importanza: nel 1464 terminarono i lavori del chiostro e continuarono le celebrazioni delle principali feste dedicate alla Madonna, che fecero del convento un vero e proprio santuario mariano. Nel 1503 terminarono i lavori della chiesa e nel 1507, data della consacrazione, furono completati tutti gli altri locali.
Negli anni della costruzione e in quelli successivi non mancò mai l’appoggio della comunità civile, testimoniato dalla documentazione di numerosi lasciti di terre o denaro a beneficio del convento. Intorno al 1540 fu commissionato ad un grande artista bresciano, Girolamo Romanino, il grande affresco dell’ Annunciazione per il catino dell’abside.
Con la soppressione della congregazione dell’Osservanza nel 1570, il convento passò sotto la giurisdizione delle Provincia Veneta e vi rimase fino al 1772, anno della soppressione da parte della repubblica di Venezia.
Fino a tale data il convento assunse il ruolo fondamentale di centro formativo, per la cultura, la religione e il lavoro agricolo, ospitando, oltre alla comunità di circa quindici frati, importanti scrittori, matematici e ricercatori bresciani.
Dopo la soppressione, per circa tre secoli il convento non ospitò più alcuna comunità, fino all’opera tenace di mons. Zenucchini che nel 1960 consentì ai servi di Maria di riscattare il convento.
La struttura del convento è ancora quella originaria del 1449: vi si accede attraverso un loggetta in stile quattrocentesco, e si articola su due piani attorno a un chiostro di forma rettangolare. Le celle dei frati sono collegate al loggiato tramite delle porte posizionate sulla parete esterna dell’edificio.
La chiesa, che si trova sul lato settentrionale dell’intero complesso, ha l’accesso principale da un porticato quattrocentesco, che fu modificato nel Seicento.
All’interno presenta diversi affreschi raffiguranti l’Annunciazione e scene della storia dell’Ordine dei Servi di Maria. Nell’area compresa tra il presbiterio e l’abside si alternano opere artistiche di particolare rilevanza: l’ Annunciazione dipinta dal Romanino; un Crocefisso ligneo del XV secolo realizzato da un artista dalla scuola di Donatello e un San Sebastiano da alcuni attribuito al Mantegna. Nel sottarco della prima cappella, residuo gotico quattrocentesco, vi è poi la serie dei Cinque profeti minori attribuiti a Liberale da Verona.
Le origini della chiesa di S.Michele sono molto antiche: gli indizi derivanti dagli affreschi interni della fine del XIV secolo fanno riferimento ai Santi Filastro e Gaudenzio, attivi nel IV secolo e destinatari probabilmente della prima dedicazione della chiesetta.
Testimonianze più sicure provengono dal VI secolo, periodo in cui i Longobardi, arrivati in Franciacorta, si installano sulla cima del monte e dedicano la chiesa, situata sopra una sorgente, al loro patrono S.Michele.
Nel VII secolo la riorganizzazione del territorio spinge a costruire luoghi di culto più accessibili ai fedeli, ma ciò non toglie importanza alla chiesa di S.Michele che continua ad essere un punto di riferimento per i pastori che portano le pecore sul monte Orfano nel periodo della tosatura e della vendita della lana (dettaglio che fa presumere l’esistenza del mercato di Rovato già in quel periodo).
La struttura della chiesa viene leggermente modificata nel IX-X secolo, e acquista l’aspetto attuale: una chiesa di piccole dimensioni, ad una navata rettangolare coperta da capriate a vista e da un abside semicircolare, costruita in muratura di conci irregolari di conglomerato del monte Orfano.
All’interno lo spazio curvo del catino dell’abside presenta degli affreschi del XV secolo che si sono conservati fino ad ora grazie ad una copertura di calce viva risalente al 1500-1600, periodo in cui la chiesa divenne lazzaretto per gli appestati. Gli affreschi riproducono la Natività al centro, due figure dell’arcangelo Michele ai lati e un Cristo pantocratore verso l’alto.
Nel 1927 viene notificato al comune di Rovato che la chiesa di S.Michele è stata dichiarata monumento nazionale. Sottratta ad un lungo periodo di abbandono, la chiesa viene restaurata nel 1981 dall’associazione AVIS di Rovato.
L’attuale chiesa di S. Rocco era da tempi immemorabili dedicata a S. Martino, il vescovo di Tours padre del monachesimo prebenedettino. Questo culto si diffuse probabilmente nel periodo longobardo e resistette fino al XV secolo quando venne sostituito da quello attuale. Le motivazioni di questo cambiamento si trovano da un lato nell’affievolirsi degli influssi monastici e quindi di culti e devozioni proprie, e dall’altro dal continuo ripetersi di epidemie e calamità, in particolare la peste, rispetto alla quale S. Rocco era riconosciuto come protettore e liberatore. Nel 1477 , dieci anni dopo la devastante epidemia di peste del 1467-1468, un’invasione di locuste portò un’altra epidemia per cui, a imitazione della scelta di Brescia di votarsi a S. Rocco, anche Rovato dedicò la sua chiesa al santo.
L’attuale edificio corrisponde all’incirca a quello del XV secolo, periodo in cui iniziano le opere di rifacimento, che proseguono per diversi decenni. Dalla struttura medievale restano invariati alcuni elementi come l’orientamento e l’abside semicircolare suddiviso da lesene e pilastri, mentre viene modificata nel la navata centrale, cui vengono aggiunte quattro arcate, e le pareti in cui furono aperte quattro finestre. All’interno vengono fatti dipingere degli affreschi in stile cinquecentesco, che si sono frammentati nel corso del tempo per via di mutilazioni e cadute.
Nel XVIII secolo si procedette con un ulteriore rifacimento interno per adattare l’edificio al gusto corrente: alla navata centrale fu aggiunta una volta a botte e il presbiterio fu riorganizzato; si modificò la facciata in stile settecentesco e si aggiunsero due altari laterali, il campanile, la sagrestia e , a fine secolo, una cantoria con organo.
Un secolo dopo venne modificata anche la soffittatura, abbassandola e decorandola con stucchi.
In periodo di guerra la chiesa fu utilizzata per farne un accantonamento di soldati e, a fine guerra, venne restaurata.
Al 1975, infine, risale la scoperta di alcuni affreschi rimasti nascosti per secoli.
L’originaria chiesa di S. Stefano, alle pendici del monte Orfano, si presume sia stata costruita dai Longobardi nel 700 d.C. con la funzione di diaconia lungo un’antica via romana che univa Brescia a Milano. Di questa antica origine la chiesa ha mantenuto soltanto l’orientamento lungo l’asse est-ovest, utile alla guardia della strada che conduceva alla chiesa di S.Michele e al soccorso dei viandanti che transitavano sulle vie per Milano e per la Franciacorta. Delle strutture murarie di quel periodo non è rimasto alcun elemento.
Dei secoli successivi sono rimaste invece moltissime tracce visibili: l’abside semicircolare costruita con ciottoli, conci, mattoni e malta è la parte più antica della chiesa e risale almeno all’ XI secolo; il presbiterio al suo interno presenta invece affreschi databili al XIV secolo. La differenza di fattura fra le pareti divisorie interne alla chiesa porta anche a ipotizzare che in origine avesse un’unica navata centrale cui successivamente furono aggiunte due navate laterali, probabilmente per far fronte al progressivo aumento dei fedeli. Nel XIV secolo, sebbene non si potesse parlare di vera e propria “parrocchia”, S.Stefano era certamente la prima sede giuridica della cura delle anime.
Per circa quattro secoli la chiesa non subì ulteriori modifiche. Solo dal 1886 si decise per una serie di restauri che riportarono alla luce la bellezza degli affreschi del XIV e XV secolo e che diedero forma alla chiesa che oggi possiamo ammirare.
All’interno, sull’altare, in un trono marmoreo di stile neogotico, è dipinta secondo i canoni giotteschi la Madonna con il Bambino Gesù, simbolo della devozione mariana della chiesa di S.Stefano.
Sul catino della cappella principale è invece raffigurato il Cristo Pantocratore, seduto su un arcobaleno tra i simboli dei quattro evangelisti. Alla destra del catino vi è raffigurato un paesaggio montuoso che ritrae proprio il monte Orfano , con il Convento dell’Annunciata a mezza costa e la chiesetta di S.Michele in alto.
Il palazzo comunale di Rovato ha origini remote che sembrano precedere quelle del Castello tardo quattrocentesco. Quest’ultimo infatti venne costruito durante il dominio veneto sulla base del castrum romano, in modo da inglobare nelle sue mura una porzione urbana. Attualmente il Palazzo Comunale ha sede in un complesso architettonico articolato in tre blocchi principali, aventi differenti caratteristiche e datazioni: un blocco sito in via Lamarmora presumibilmente tardo-quattrocentesco, un altro sempre in via Lamarmora che risale al quattrocento e l’ultima porzione posta tra vicolo delle Rose e vicolo delle Cantine, costruito tra il duecento e il trecento. La tradizione vuole che in una porzione del Palazzo Comunale, si trovasse anche l’abitazione del celebre artista Alessandro Bonvicino detto il Moretto. Il Palazzo Comunale ha subito una ristrutturazione nel 2003; oltre agli interventi prettamente struttuali, sono stati restaurati anche gli elementi lapidei della facciata, i soffitti decorati a cassettoni e i numerosi affreschi presenti all’interno. Da segnalare l’abbondante utilizzo della pietra di Sarnico, il caratteristico porticato di tre fornici e la luminosa loggia di tre luci architravate, oggi chiuse da vetrate formate da colonne ioniche accoppiate. Le decorazioni dei soffitti lignei appaiono per lo più realizzati a secco con colori a tempera.
I Porcellaga erano una famiglia originaria di Iseo, che si era arricchita attraverso il commercio di bestiame e aveva potuto acquistare delle proprietà a Rovato e a Roncadelle, assieme al titolo nobiliare di conti.
L’idea che guidò la costruzione del palazzo era quella di una cinquecentesca villa di campagna diversa dal solito. Il progetto originario infatti prevedeva un solo piano a terra, con soffitti altissimi, e una specie di ammezzato alto, entrambi protetti da un porticato alto quanto il tetto. I locali che solitamente venivano posizionati al primo piano vennero allocati nella torre che si innalza accanto al palazzo .
All’esterno si presentano una cinta fortificata con delle basse torrette rotonde agli angoli, e una facciata che si innalza verso monte sopra un sperone in muratura che va scemando in altezza. Sulla facciata ci sono sette finestre con inferriate inginocchiate in ferro quadro, interrotte da una porta con cornice in pietra di Sarnico che si apre sopra ad un piccolo cavalcavia conducente al broletto superiore.
All’estremità della facciata si staglia un portale in pietra di Sarnico che costituisce la porta di ingresso all’interno del palazzo. L’entrata veramente imponente si apre sotto all’elevatissimo porticato, sul quale si affacciano finestre e portalini, tutti con cornice di pietra, e sui cui muri si intravedono i resti di affreschi del tempo.
All’interno un salone principale con un grande camino immette nelle altre sale, tutte a volta, attraverso delle porte con stipiti in pietra di Sarnico. In una sola sala si possono ammirare degli affreschi, di periodo settecentesco.
La torre rettangolare presenta all’esterno tre tipi di aperture diverse per tre diversi lati della torre. All’interno vi è una rampa di scala che assieme a un ripostiglio occupa la parte rivolta a sera, mentre tre stanze, una sopra l’altra occupano la parte principale della torre.
Nel XVII secolo il palazzo venne acquistato dalla famiglia Roncalli che vi abitò fino all’arrivo della famiglia Quistini nei primi del Settecento e che abitò il palazzo per i successivi due secoli.
Attualmente la proprietà è divisa fra due famiglie.
L’attuale chiesa di S.Maria assunta è una ricostruzione di fine Cinquecento di una chiesa già esistente almeno dal 1395, data di una pergamena in cui compare il nome del castello di Rovato e della chiesa di S.Maria.
Nel 1585 iniziarono i lavori di ricostruzione della chiesa per opera dell’architetto Giulio Todeschini e si conclusero intorno al 1592. La chiesa fu poi consacrata nel 1625. La ricostruzione fu possibile grazie all’opera di rinnovamento intrapresa da S.Carlo Borromeo che sostò a lungo a Rovato durante il periodo delle visite alle parrocchie della Franciacorta.
Nel secolo successivo la chiesa subì degli altri restauri per essere adattata ai gusti del tempo: nella metà del XIX secolo il prevosto don carlo Angelini convocò l’illustre Rodolfo Vantini, che già aveva progettato la piazza del mercato di Rovato, per intraprendere una massiccia opera di restauro.
Attualmente all’esterno la chiesa presenta ancora gli antichi volumi massicci della prima ricostruzione tardo rinascimentale: la facciata mostra un massiccio portale in legno, inserito in uno stipite in pietra di Sarnico arricchito da un protiro ispirato allo stile del Bramante. I fianchi della chiesa sono intervallati dai volumi sporgenti delle cappelle e mostrano ancora gli intonaci originali a calce che recano tracce di un antico decoro ad affresco che ricopriva l’intera superficie.
L’interno della parrocchia ha conservato gli elementi planimetrici ed estetici antichi, pur lasciando spazio ai restauri ottocenteschi che hanno arricchito notevolmente le decorazioni.
Un elemento caratteristico è il campanile, ricavato da una vicina torre del XVI secolo.
Piazza Cavour altrimenti detta piazza Vantini, dal nome del celebre architetto Rodolfo Vantini che la progettò su richiesta del prevosto Angelini nell’Ottocento, è ora il cuore di Rovato e la seconda piazza semicircolare in pendenza più grande d’Italia.
Fu ideata come piazza destinata alle attività commerciali, vocazione testimoniata dal maestoso portico che in origine ospitava una serie di negozi delimitati dalle arcate che lo compongono; al piano superiore di ogni negozio era annesso un appartamento con una soffitta per la stiva delle merci. Ancora oggi il porticato ospita diverse attività commerciali al piano terra e appartamenti ai piani superiori.
Al centro del porticato, all’imbocco di via Castello, si erge un grande arco che sotto i suoi piedi nasconde i resti dell’antico rivellino (la fortificazione difensiva aggiunta alle mure venete) demolito proprio per consentire la costruzione della nuova piazza del mercato.
Fino a circa un decennio fa piazza Cavour, assieme alle vicine piazza Palestro e piazza Montebello, è stata infatti il luogo di svolgimento dello storico mercato merceologico del Lunedì, secondo la volontà del prevosto Angelini che ai tempi decise di individuare un luogo per lo svolgimento del mercato che fosse allo stesso tempo dignitoso e decoroso.
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