venerdì 18 settembre 2015

CARCERE e COSTI



A detta di chi nel carcere ci lavora, le priorità per l’agenda governativa sono tre. La prima, spiega il presidente della Cooperativa Giotto, è «un reale principio di accoglienza, ragion per cui non può esserci solo un bancomat che ti dà il numero di cella, i vestiti, il vassoio e il numero di matricola. Devono esserci persone che accolgono altre persone secondo lo scopo del vigilare e redimere». La seconda urgenza è di carattere sanitario: «Il carcere è pluriperiferia in cui ci sono extracomunitari provenienti da decine di paesi, invalidi, persone con problemi psichiatrici, tossicodipendenti, disagiati sociali. L’aspetto sanitario non può ridursi a distribuzione di psicofarmaci». Il terzo punto risiede nel lavoro dei detenuti. E qui scatta l’obiezione popolare: perché in tempi di crisi, quando padri e figli sono disoccupati, bisogna dare lavoro ai delinquenti? Risponde il presidente: «Innanzitutto c’è un vantaggio economico. Per ogni milione di euro investito nella rieducazione se ne risparmiano nove. Con gli 800 detenuti che lavorano la recidiva passa dal 70-90% all’1 o 2%. Senza contare che tra costi diretti e indiretti lo Stato sborsa 250 euro al giorno per ciascun detenuto, parliamo di miliardi di euro che si ripetono come spesa ordinaria ogni anno. Un dato su tutti: per ogni detenuto recuperato si risparmierebbero 100mila euro annui».
La rieducazione del condannato, sancita dall’articolo 27 della Costituzione, coniuga recupero della persona, sicurezza sociale ed economicità. Altrimenti l’esempio di scuola è quello del detenuto che esce di galera e torna a scippare la vecchietta, che a sua volta cade e si rompe il femore. Intervengono le spese sanitarie per l’ospedale, le spese della sicurezza per la polizia che arresta il delinquente oltre a quelle giudiziarie una volta compiuto il passaggio in tribunale, infine al conto si aggiunge il costo del carcere. La filiera sembra banale, ma comporta l’esborso fior di quattrini per le tasche pubbliche, ragion per cui il lavoro in carcere conviene all’uomo e allo Stato. Produce ricchezza anche fuori dalle mura del penitenziario. A Padova, ad esempio, per i 130 detenuti che lavorano, ce ne sono almeno altri 30 che hanno trovato occupazione fornendo know-how, macchinari, supporto amministrativo. Un vero e proprio indotto che si quantifica così: «Il rapporto tra lavoratori liberi e detenuti è circa di 1 a 5. Se le 800 persone detenute oggi smettessero di lavorare, altre 200 o giù di lì perderebbero il lavoro».

Alla fine della fiera i reclusi che hanno intrapreso un percorso lavorativo sono troppo pochi. Una minoranza privilegiata, che può contare su una seconda possibilità. Gli insider lamentano mancanza di fondi, assenza di progettualità di medio-lungo periodo, troppa burocrazia che scoraggia le aziende. Attacca il presidente: «Ci metti un anno a entrare in carcere e poi quando sei dentro ti dicono che non sanno se puoi restare perché non si sa se ci sono i finanziamenti. Che poi non sono semplici finanziamenti, ma investimenti. Perché ci si guadagna». Il presidente della Cooperativa Giotto cita l’esempio del febbraio 2013, quando il ministro Severino dispose un finanziamento straordinario di 16 milioni di euro per incentivare il lavoro penitenziario. «Oggi di quel decreto la burocrazia ha fatto di tutto perché il finanziamento si possa usare il meno possibile e il più tardi possibile. Nessuno ha voluto recepire ciò che arrivava nella forma di suggerimento da società civile, imprese sociali e da chi opera nel carcere da decine di anni».



Di governo in governo. Il ministro Cancellieri ha incrementato il budget della legge Smuraglia, quella che favorisce il lavoro dei detenuti. Circa 5,5 milioni in più. «Però a questo non corrisponde una spinta istituzionale centrale per fare in modo che gli 800 detenuti sui 54mila che oggi lavorano all’interno delle carceri diventino di più, anzi rischiamo seriamente che diminuiscano». Da Padova all’Italia, da una parte i panettoni dei pasticceri carcerati, dall’altra l’ozio h24 al chiuso delle celle. I due mondi corrono paralleli, non s’incontrano nemmeno per sbaglio. L’esperienza di Giotto, come quella delle cooperative che operano nei penitenziari d’Italia, ha dimostrato che la ricetta funziona. E basta poco. «Non ha vinto il carcere, ma la professionalità». Il presidente evoca un cambio di passo culturale «che renda obbligatorio per lo Stato utilizzare il lavoro come trattamento di rieducazione». I risultati fanno la differenza. Soprattutto perché «la cosa più bella è vedere un altro uomo cambiare e noi di questi spettacoli in carcere ne abbiamo visti parecchi».

Secondo le analisi del dipartimento di Polizia Penitenziaria in Italia un carcerato costa mediamente 3.511 euro al mese. Di questi soldi però solo 255 euro vengono spesi per le esigenze del detenuto. Il resto serve ad alimentare il sistema penitenziario. E la pena di morte non fa risparmiare, anzi. Quanto costa un detenuto nelle carceri italiane? Lo Stato quanto paga ogni mese per mantenere un galeotto nelle patrie galere? È una domanda che torna ciclica ma che spesso non riesce ad ottenere una risposta chiara e definita, ovvero 3.511 euro e 80 centesimi.

L’analisi è stata sviluppata dopo la decisione di Papa Francesco di abolire l’ergastolo e la nascita di un certo dibattito legato ai costi della detenzione a carico della popolazione. La dimostrazione della confusione sui numeri è data dal numero di risultati sempre diversi che compaiono su Google appena si pone la questione. Vengono proposte cifre di ogni genere, che vanno dai 70 mila euro l’anno ai 7500 euro al mese, per 225 euro al giorno. Per Pianeta Carcere a Rimini un detenuto costa 3.384 euro al mese. Per l’Osapp, sindacato autonomo polizia penitenziaria, ripreso dal Consap Lucca, un carcerato costa quanto un deputato, ovvero 12 mila euro al mese. È evidente che questi numeri contrastano tra di loro ed impediscono all’opinione pubblica di rendersi conto di quanto effettivamente costa il carcere. A questo punto abbiamo provato a fare chiarezza avvalendoci dello studio prodotto dal Dap, il dipartimento di polizia penitenziaria che ha pubblicato dati e cifre sul numero di ottobre 2012 della sua rivista “le due città”.

La cifra ricopre anche lo stipendio delle guardie, la manutenzione delle utenze, la spesa dei veicoli, il costo del personale civile e della mensa.

Questo significa che la somma complessiva per detenuto spesa dall’amministrazione penitenziaria nel 2012 è stata di 3.511 euro al mese. Di questi soldi, 3.104 sono serviti al pagamento del personale di polizia e civile, mentre il resto copre il vitto e la gestione delle strutture. Dividiamo bene la cifra e spieghiamo meglio cosa c’è nei 3.104 euro a detenuto. 2.638,92 euro servono per pagare la Polizia Penitenziaria. Il personale civile assorbe 393,58 euro. Per il vestiario e l’armamento si usano 21,97 euro, per la mensa ed i buoni pasto 39,27 euro, per le missioni ed i trasferimenti 9,03 euro. 0,57 euro servono per la formazione del personale, 0,56 euro per l’asilo nido dei figli dei dipendenti e 0,41 euro servono per gli accertamenti sanitari.

Per quanto riguarda invece i detenuti, la spesa media è di 255,14 euro mensili. Oltre la metà di questi soldi, ovvero 137,84 euro, serve a pagare vitto e materiale igienico. 67,71 euro servono a pagare il lavoro dietro le sbarre, 6,83 euro sono per le attività trattamentali, 41 centesimi servono agli asili nido per i figli mentre il servizio sanitario per i detenuti assorbe a persona 22,81 euro, con il trasporto che costa 19,81 euro. Dei 3.511 euro spesi al mese, 150,24 vengono impiegati per mantenere la struttura. 110,28 euro servono per le utenze. La manutenzione ordinaria invece costa 8,18 euro con la straordinaria che ne richiede 12,53. Le locazioni valgono 4 euro e 50 mentre le manutenzioni di automezzi 2,51 con l’esercizio che costa 2,52 euro per detenuto. Il sistema informativo costa 2,28 euro, il laboratorio Dna 2,86 e le altre spese d’ufficio invece valgono 4,38 euro. Per le assicurazioni si spendono 49 centesimi per detenuto al mese, per gli esborsi da contenzioso 1,25 e per le altre spese 2,11. Le commissioni di concorso costano 2 centesimi a detenuto, le cerimonie 3, i servizi cinofili ed a cavallo 14 centesimi mentre i sussidi al personale valgono 17 centesimi. Ed il totale fa appunto 3.511,80 centesimi. Lo stanziamento complessivo del governo per il 2012, come dimostrato dal ministero della Giustizia, è di 2.802.417.287 euro, in discesa rispetto al 2011 ma più di quanto non stanziato nel 2010.

Per il 2013 invece, come spiega il Senato, lo stanziamento è rimasto pressoché invariato, a 2.802.7 miliardi di euro. Questi numeri ci fanno capire quale sia la realtà della vita carceraria. La maggior parte dei soldi spesi serve a tenere in vita l’amministrazione mentre in sé, il detenuto, non influenza molto i costi. Parliamo, come spiega Redattore Sociale che riprende dati del Dap secondo i quali, ad agosto 2012, i detenuti nelle 206 carceri nazionali erano 66.271, comprensivi dei detenuti in regime di semilibertà. E le loro condizioni non sono poi da “Grand Hotel”. Urla dal silenzio ci propone una testimonianza di un uomo detenuto nel carcere milanese di Opera, al momento della lettera scritta il 20 novembre 2012.

L’uomo si chiama G. L. ed in poche righe ha cercato di spiegare quale sia la vita al di là della finestra sbarrata. Per mangiare ogni giorno lo stato spende 3 euro per detenuto, comprensivo di colazione, pranzo e cena. Calcolando 1.000 persone recluse ad Opera, si capisce che al giorno si spendono 3.000 euro. Ogni mese si sale a 90.000 ed in un anno lo Stato, solo ad Opera, spende 1.080.000 euro per dare da mangiare a 1.000 persone. Moltiplicando questa media per 66,271, aggiungiamo noi, esce fuori che solo di pasti in Italia ogni anno vengono spesi 71.572.680 euro. Un numero che può impressionare ma che in effetti non sembra poi così alto se pensiamo che con questi soldi si dà da mangiare a più di 66 mila persone l’anno.



Segno che forse in Italia, nonostante le accuse e la voglia di giustizialismo che ogni tanto fa capolino dai palazzi del potere, la spesa per detenuto non è poi così alta. Per farci capire meglio quale sia il nostro confronto con il resto d’Europa, il Dap ha analizzato il costo medio per detenuto in alcuni stati del vecchio continente. La Norvegia stanzia ogni anno circa 2 miliardi di euro - cifra inferiore alla nostra - che vengono divisi per i vari istituti di pena. La ridotta popolazione ed il numero esiguo dei carcerati fa sì che ogni mese si spendano, a recluso, 12.118 euro, cifra che rappresenta la media dell’istituto di pena di Halden, dov’è rinchiuso l’attentatore di Utoya, Anders Breivik.

Al secondo posto nella classifica europea c’è il Regno Unito con una media di 4.600 euro mensili per ogni detenuto. Poco sotto l’Italia c’è la Francia, che spende 3.100 euro al mese per carcerato. Il ministero della Giustizia dell’Esagono ha calcolato che per i detenuti rinchiusi nei 190 istituti di pena del Paese ogni francese versi 40 euro l’anno. In Italia invece ogni cittadino nel 2012 ha “donato” alla causa 46,95 euro. Basta dividere la popolazione per lo stanziamento. In Spagna lo Stato spende 1650 euro al mese per detenuto, una cifra che appare superiore a quella impiegata dagli Usa, dove per ogni galeotto viene speso in media ogni mese 1433 euro.

Gli Usa hanno la popolazione penitenziaria più numerosa del pianeta, con oltre 2 milioni di detenuti. La somma degli stanziamenti previsti dai governi dei 50 Stati e da Washington è di 75 miliardi di dollari l’anno. Solo che la maggior parte di questi soldi serve per mantenere alti gli standard di sicurezza. Ai detenuti restano quindi le briciole.
Nel caso di carcerati condannati alla prigione a vita senza possibilità di godere della libertà vigilata, si va a spendere poco più di un milione di euro. In Italia invece l’ergastolo, con queste cifre, viene a costare allo Stato 1.236.960 euro, calcolando una reclusione di 30 anni. Negli Usa però le cose cambiano a seconda degli Stati.

In California, ad esempio, lo Stato spende a detenuto 3.000 euro al mese, ma di questi soldi molti vengono impiegati nel pagamento delle assicurazioni mediche, che costano 10.000 euro l’anno per 40.000 detenuti. A New York un detenuto costa annualmente 40.000 dollari. In Canada una persona in galera costa 7000 dollari al mese mentre in Argentina la cifra precipita a 1.036 euro ogni 30 giorni. Qui però ci sono 9 mila detenuti e 9.800 agenti. Ci sono più guardie che ladri, quindi. Ed a proposito di casi particolari, segnaliamo Guantánamo dove ogni carcerato costa 30 euro al giorno. Le spese sono quindi tante e forse eccessive ad un occhio poco attento.

Sono in molti a considerare il mantenimento dei carcerati uno spreco e specialmente negli Stati Uniti, nel caso di pene particolarmente gravi, la pena di morte viene vista sia come una punizione adeguata sia come un modo per evitare che il malfattore pesi sulle casse della società. È pur vero che, numeri alla mano, i singoli detenuti non fanno differenza visto il costo della macchina carceraria, ma se analizzassimo i dati relativi ai costi sostenuti dall’amministrazione Usa in caso di pena di morte ci renderemmo conto che l’assioma “boia - risparmio” non sta in piedi. Anzi, un condannato alla pena capitale costa allo stato americano mediamente due terzi in più rispetto all’uomo condannato al carcere a vita senza “parole”.
In una lettera inviata nel 2009 al New York Times da Natasha Minsker, “policy director” della pena capitale nel nord della California, i residenti per ogni esecuzione pagano in tasse più di 137 milioni di dollari. Un processo che si conclude con la pena capitale costa più di 10 milioni di dollari e 20 mila ore di dibattito in aula. Uno studio dell’università di Duke ha invece dimostrato che gli Usa spendono per ogni detenuto ucciso 2.160.000 dollari in più di quanto non verrebbe speso per una carcerazione a vita. Inoltre essendo i condannati a morte per lo più poveri e nullatenenti, lo Stato si fa carico anche delle loro spese consistenti in due avvocati per il processo. Poi ci sono tutti i soggetti implicati nel processo, gli esperti di pene sostitutive, psicologi, stenografi, costi maggiorati per via delle celle singole. Insomma, ecco molte più voci di quante non si possa sospettare.
In California, dal 1982 al 2000, sono stati spesi 200 milioni di dollari. In Florida ogni esecuzione costa 24 milioni. L’avvocato della difesa per ogni processo che contempla la pena capitale riceve 360 mila dollari, 200 mila in più di quanto non otterrebbe in un processo normale. Le indagini della difesa costano tra le 5000 ed i 48 mila dollari. Il procuratore invece è pagato dai 320 mila ai 772 mila dollari, il doppio della difesa. La Corte invece costa 506.000 dollari, mentre normalmente varrebbe 82 mila. Un condannato a morte costa 137 mila dollari l’anno mentre un detenuto condannato normale arriva fino a 55 mila. E non dimentichiamo poi che le cifre del processo vanno moltiplicate per il numero di dibattimenti. Se i processi sono tre, moltiplicate tutto per tre.

Papa Francesco ha abolito il carcere perché lo riteneva inumano mentre sono molti i critici che pensano come la reclusione rappresenti un atto di comodità. Ma se questo fosse vero un detenuto che vita può passare quando con tre euro si paga colazione, pranzo e cena, mentre la vita in cella costa mensilmente 140 euro? La situazione difficile delle carceri di tutto il mondo passa anche dalle condizioni di vita. Certo, 3.511 euro a persona al mese sembra una cifra importante. Se la si spoglia si capisce la gravità della situazione e quanto effettivamente non si spenda per i detenuti, non solo in Italia. Peggio ancora va negli Usa con una spesa risibile gravata dal costo delle assicurazioni sanitarie. Nel caso di pena di morte, poi, gli unici a guadagnare sono avvocati, periti e giudici, con il condannato derubricato a “costo maggiorato” per via della sua permanenza in una cella singola. Il carcere è miseria e visti questi numeri la definizione appare fin troppo azzeccata.

L’inserimento lavorativo dei detenuti è una gallina dalle uova d’oro. Sia esso interno o esterno al perimetro carcerario, l’impiego professionale di chi sta scontando una pena garantisce notevoli vantaggi finanziari allo Stato, agevolazioni alle imprese e contribuisce ad abbattere il problema sociale della recidiva.
Di norma, il 70% degli ex galeotti torna infatti a delinquere dopo il periodo di detenzione. Ma la percentuale crolla sotto il 20% se nel frattempo essi hanno svolto un’occupazione vera per conto di imprese o cooperative sociali.
I penitenziari italiani ospitano 66 mila persone e abbattere di un punto la recidiva significa tenerne fuori quasi 700 persone. Se si considera che il costo giornaliero di un detenuto si aggira sui 150 euro, lo Stato risparmia in modo diretto circa 35-36 milioni di euro.
Senza contare tutti i benefici sociali ed economici di un malvivente in meno per strada che minaccia, ferisce, uccide, ruba, rapina e impegna risorse dello Stato sul fronte repressivo.
Del resto, oltre il 50% della popolazione carceraria italiana ha tra i 21 e i 39 anni. Dunque rappresenta un’ottima forza lavoro potenziale e, in epoca di cuneo fiscale altissimo, garantisce vantaggi competitivi alle imprese.
Il datore di lavoro beneficia di 516 euro di credito d'imposta per ogni detenuto impiegato. Nel caso di addetti assunti a tempo parziale l’agevolazione spetta in misura proporzionale alle ore prestate. E il regime di favore vale per ulteriori sei mesi successivi alla fine della detenzione.
In più ci sono sgravi contributivi che oscillano tra il 50% e il 100%. La percentuale più bassa è per le imprese, nel caso di reclusi disoccupati da oltre 24 mesi. Ma la quota sale al 100% per gli artigiani. L’agevolazione è prevista per 36 mesi in caso di assunzione a tempo determinato e permane naturalmente anche oltre il «fine pena».
C’è invece una riduzione contributiva del 100% per le cooperative sociali che impieghino persone ammesse alle misure alternative. E uno sgravio dell’80% per le cooperative che si avvalgano di detenuti ammessi al lavoro esterno. Pure in questo caso le agevolazioni si protraggono per 6 mesi oltre la fine della detenzione.

La norma che sostiene il lavoro dei reclusi è la legge Smuraglia (193/2000), che dall’inizio viene finanziata ogni anno con 4,6 milioni di euro: ammontare via via sempre più esiguo per colpa dell’inflazione (quest’anno i fondi sono già finiti in agosto) e di cui beneficiano oggi poco più di 2 mila detenuti tra quelli impiegati nell’intramurario e i cosiddetti «articoli 21» (ammessi al lavoro esterno in base all’art.21 dell'ordinamento penitenziario). Il budget è diviso grossomodo a metà tra credito d’imposta e sgravio contributivo.

Coloro che stanno scontando una pena e che lavorano (dentro e fuori il carcere) sono oggi 14 mila e producono una ricchezza pari a circa 300 milioni di euro, secondo i dati della Camera di commercio di Monza e Brianza. Numeri non indifferenti che pure potrebbero essere di molto incrementati.
Gino Gelmi, di Carcere e territorio spiega: «La Smuraglia ha una dotazione limitata e soprattutto riguarda solo gli “articoli 21”, non i beneficiari di misure alternative. Le risorse puntalmente finiscono a metà anno e le imprese, soprattutto le coop sociali, vanno in difficoltà».



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