martedì 1 settembre 2015

PERTICA BASSA



Pertica Bassa è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia.

L'origine del nome è da ricercarsi nell'usanza longobarda di erigere dai famigliari di un guerriero caduto o disperso in battaglia, lontano da casa, una pertica sormontata da un simulacro di colomba rivolta verso il luogo dell'accaduto.

I nuclei urbani di Pertica Bassa sono: Avenone e Spessio, Levrange, Forno d'Ono, Ono Degno e Beata Vergine.

Pertica Bassa, comune sorto nel 1928 dall'accorpamento dei tre comunelli di Avenone, Levrange ed Ono Degno, suscita da sempre curiosità nel turista di passaggio per la singolarità della sua storia e delle sue tradizioni, per la ricchezza e l'amenità dei suoi paesaggi.

I Romani dovettero mostrare non poco interesse per la Pertica, assegnandone il territorio ai veterani e ai reduci degli eserciti imperiali.
Il nome stesso dato al territorio sembra ricordare questo fatto.
Al tardo periodo romano, IV-V secolo d.C., sembrano attribuibili numerosi frammenti di embrici, venuti alla luce poco lontano dall'abitato di Avenone in seguito agli smottamenti provocati dalle eccessive piogge del maggio 1981, ulteriore dimostrazione dell'antichità degli alpestri insediamenti.
Il Cristianesimo faticò non poco a prendere piede presso gli orgogliosi montanari fedeli alla tradizione romana e quindi pagana.
Solo nell'VIII-IX secolo si verificò la costruzione dei primi centri di diffusione della nuova religione: le pievi e tra queste quella di Savallo, dalla quale la Pertica dipese religiosamente fino al XIV secolo, quando i singoli paesi cominciarono a mostrare velleità autonomistiche.
Fu infatti in questo periodo, e forse anche prima, che ad Avenone, Levrange ed Ono Degno sorsero piccoli ospizi per il ricovero dei viandanti o cappelle votive soggette alla pieve e dedicate rispettivamente a S. Bartolomeo, S. Lorenzo e S. Martino.
Nello stesso periodo si andava inoltre delineando una più precisa organizzazione amministrativa ed economica di questi borghi, nel quadro del generale rinnovamento verificatosi dopo l'anno 1000.
La grande novità fu la nascita del comune come entità politica autonoma e formata dai capifamiglia.
Fù così che agli inizi del XIV secolo anche i suddetti borghi costituirono, unitamente a quelli dell'odierna Pertica Alta, una stabile struttura politico-amininistrativa che prese il nome di Universitas Comunis Pertichae Vallis Sabii.
Questa nel 1382 si diede propri Statuti tesi a regolamentare le attività politiche ed economiche.
Proprio in campo economico si assistette, in quello stesso XIV secolo, al sorgere e all'affermarsi di un'attività che contribuì non poco ad accrescere il benessere dei montanari, da sempre legati ad un'economia agricolo-pastorale:
verso il 1320, infatti, Lanfranco Alberghini, figlio di quel Nicolò di parte guelfa che anni prima, fuggito da Brescia durante l'assedio dell'imperatore Federico II, aveva trovato rifugio a Marmentino, decise la costruzione di un forno fusorio nella valle percorsa dal torrente Degnone, avvalendosi della collaborazione di alcuni abitanti del vicino Ono Degno.
Il progetto fu però portato a termine solo nel 1335 dal figlio Bertolino.
Ben presto, attorno al forno, sorsero le prime case per le maestranze e nel 1338 si avviò la costruzione di una piccola chiesa.
Il nuovo borgo prese il nome di Forno d'Ono.
La famiglia Alberghini, tra alterne vicende, prosperò grazie ai commerci, tanto che, nel 1401 Alberghino, nipote di Bertolino, fu investito del feudo comprendente le Pertiche, il Savallese e altri territori della Valle Sabbia, nonché della confinante Valle Trompia.
Pochi anni più tardi, nel 1427, anche la Pertica, come tutta la Valle ed il territorio bresciano, entrò a far parte della Repubblica veneta. Iniziò così un lungo periodo di pace e di benessere favorito dai numerosi privilegi economici ed amministrativi volentieri concessi in cambio di aiuti, ma anche caratterizzato dalle catastrofi che da sempre accompagnano il corso dell'umanità, non ultima la terribile pestilenza che nel 1630 decimò anche gli abitanti della Pertica, risparmiando, in tutta la Valle Sabbia, solo l'abitato di Ono Degno.
Conclusasi nel 1797, sotto i colpi degli eserciti napoleonici, anche la dominazione veneta, i quattro paesi della Pertica entrarono a far parte della Repubblica Cisalpina, sostituita nel 1802 da quella Italiana e dal Regno d'Italia nel 1805, per essere assegnati al Dipartimento del Mella e quindi al Distretto delle Fucine con capoluogo a Nozza.
Trascorsero solo pochi anni travagliati, quando nel 1814, a seguito della disfatta di Napoleone, una nuova dominazione straniera si insediò nell'Italia Settentrionale: quella austriaca.
Se dura e insopportabile si era dimostrata la dominazione francese per i montanari, che rimpiangevano le autonomie e i privilegi concessi da Venezia, ancor più soffocante si mostrò quella austriaca, oberando i già stremati paesi della Pertica, inglobati nel Distretto XVII di Vestone, con tasse sempre più esose e continue restrizioni economiche e politiche.
Per questo i perticaroli non poterono non accogliere con un certo sollievo la nascita del Regno d'Italia (17 marzo 1861).
Da quel momento la Pertica seguì le sorti di tutto il Paese fino ai giorni nostri, affrontando dure prove, quali le due guerre mondiali alle quali le popolazioni montane contribuirono con un pesante tributo di sangue.
Ancor più dolorosa fu la calamità che nel 1959 colpì Levrange. Le incessanti piogge di quell'autunno provocarono infatti un grave smottamento del terreno sul quale sorgeva l'antico abitato.
Le prime avvisaglie della catastrofe si manifestarono durante una fredda e piovosa domenica di dicembre ed in pochi giorni molte abitazioni furono distrutte.
La tenacia tipicamente montanara consentì ai Levrangesi, decisi a non lasciare l'amato paese, di vedere le loro case risorgere in un luogo geologicamente più sicuro.

La Chiesa si San Bartolomeo, consacrata nel 1625, è stata costruita su una precedente cappella pure dedicata a S. Bartolomeo.
Le semplici forme architettoniche dell’esterno non lasciano intuire il ricco patrimonio artistico in essa contenuto.
Varcato l’ingresso, il primo sguardo cade inevitabilmente sulla superba ancona lignea dell’altare maggiore, realizzata fra il 1686 e l’anno successivo dallo scultore Baldassar Vecchi di Ala di Trento, con la collaborazione di Giovan Pietro Bonomi intagliatore di Avenone. L’attenzione del visitatore si concentra sulle due splendide coppie di cariatidi maschili chiamate i Mori, una delle quali venne invano richiesta da Gabriele D’Annunzio per abbellire la sua residenza di Gardone Riviera.
La soasa racchiude la pala raffigurante il martirio del Santo, realizzata nel 1670 da G. Battista Bonomino e poi adattata alla nuova ancona.
Altri tre altari non sono certo meno importanti. Quello dedicato al Santo Rosario presenta un’ancona barocca scolpita dai Pialorsi Boscaì di Levrange verso il 1705, anno in cui gli stessi scultori realizzarono la cantoria dell’organo in legno di noce, come il coro. La pala di questo altare raffigura la Vergine con i SS. Caterina e Domenico, opera del XVI secolo attribuita a Grazio Cossali.
Gli altari dedicati a S. Pietro e alla Crocifissione sono arricchiti da due ancone lignee realizzate rispettivamente agli inizi del ‘700 e nel tardo ‘500, ritenuta quest’ultima essere l’ancona dell’altare maggiore della primitiva cappella.
Importanti anche le tele in esse racchiuse, soprattutto quella dell’altare di S. Pietro, anche se di entrambe risulta sconosciuto l’autore.

La chiesa dei SS. Antonio da Padova e Gaetano costruita per volontà degli abitanti verso la fine del ‘600, racchiusa e quasi custodita dalle case circostanti, tanto che il piccolo campanile non le supera che di poco in altezza.
La facciata, di un barocco armonioso, è impreziosita da uno splendido portale in pietra nera locale che costituisce il principale oggetto di interesse.
L’interno presenta l’altare maggiore, con ancona intagliata e pala di autore sconosciuto, e un semplice altare laterale dedicato alla Madonna del Carmine.
La volta della navata e quella del presbiterio, oltre a finissime decorazioni in stucco, presentano affreschi del Corbellino che illustrano episodi della vita dei due Santi ai quali è dedicato il piccolo edificio di culto.

La Chiesa di S. Maria Assunta, costruita una prima volta nel 1338, fu riedificata verso la metà del ‘600 e consacrata nel 1652.
Della primitiva chiesetta si conserva all’interno uno splendido polittico a affresco raffigurante la Madonna in trono con il Bambino con tre figure di Santi a grandezza naturale non identificati che rivolgono lo sguardo verso le figure centrali.
Campeggia la figura di Maria con il manto blu scuro, colore dominante in tutto l’affresco insieme al rosso, seduta su un tronetto tardogotico. Il capo è reclinato un poco verso la testina di Gesù, quasi a sfiorarla, mentre questi solleva la mano destra come a carezzare il volto della madre.
Considerato il più antico affresco della Valle Sabbia, viene attribuito ai primi decenni della seconda metà del ‘300 ed è stato riportato alla luce solo nel 1983 durante i lavori di restauro.
La facciata della chiesa attuale è di un barocco elegante.
All’interno, l’altare maggiore è impreziosito dal ciborio opera dei Boscaì e dalla pala, datata 1652, raffigurante l’Assunta.
Il recente recupero della soasa lignea, ha decretato la definitiva copertura dell’importante affresco, mediante la ricollocazione della pala nella sua sede originaria.
I due altari laterali sono dedicati rispettivamente alla Madonna del Rosario e a S. Filippo Neri, con ancone lignee interessanti, ma non di particolare pregio.
Le figure ad affresco dei quattro Evangelisti, forse realizzate da Andrea Celesti, completano la volta della navata, mentre il presbiterio è impreziosito dalla figura della Vergine.

La Chiesa dedicata a Dio e a San Rocco fu ricostruita dopo lo smottamento del 1959, benché la precedente, risalente al 1686, fosse rimasta illesa, ma ormai isolata rispetto al nuovo abitato. La nuova chiesa ospita tutti gli altari e gli arredi di quella vecchia.
L’altare maggiore, con paliotto e balaustre in marmo intarsiato, è sormontato dalla ricca ancona lignea realizzata da Francesco e Antonio Pialorsi Boscaì fra il 1732 e il 1734. Come a Avenone l’impianto scenico è sorretto da due cariatidi, qui però laccate di bianco. Importante la pala, ritenuta della scuola del Correggio.
I due altari laterali di destra ospitano le pale raffiguranti la Vergine con S. Giuseppe, attribuita al Romanino, e la Vergine con Santi, attribuita al Mombello.
I due altari di sinistra sono invece dedicati alla Madonna del Rosario e alla Madonna di Fatima.
Da ricordare, quale testimonianza ulteriore della devozione dei fedeli di Levrange verso la Vergine, va ricordata anche la chiesetta eretta nel XVIII secolo sul Monte Zovo, in una posizione di interesse naturalistico e paesaggistico.

Discosta alcune centinaia di metri dal vecchio abitato, su un pianoro al riparo dai venti, sorge la chiesa di San Martino di antichissima origine, ma ricostruita dopo il 1530.
L’altare maggiore è dedicato alla Madonna Ausiliatrice, quello di sinistra al SS. Crocifisso e quello di destra alla Vergine.
Nel 1983 sono stati riportati alla luce due importanti affreschi che decoravano la primitiva cappella. Il primo, datato 29 luglio 1529, raffigura la maternità di Maria; l’altro ritrae S. Martino con le insegne pontificali.

La Chiesa di San Zenone è la chiesa parrocchiale della frazione e la più interessante dal punto di vista architettonico.
Già presente nel XV secolo, fu ampliata e abbellita fra la fine del XVII secolo e gli inizi del successivo.
L’esterno, benché mai ultimato, colpisce per la perfezione delle proporzioni e delle forme barocche.
L’interno, pure barocco, è arricchito da importanti opere a affresco e a olio. Sull’altare maggiore campeggia la pala raffigurante la Madonna in gloria con S. Zenone attribuita a Antonio Paglia. Dello stesso, o di Angelo Paglia, è anche la pala del primo altare di destra raffigurante S. Antonio da Padova con i Santi Angelo Custode e Gaetano da Tiene. Il secondo altare di destra presenta una tela raffigurante la Madonna con alcuni Santi, dipinta nel 1731 da Domenico Voltolini, che realizzò anche la pala dell’altare dell’Immacolata Concezione. L’ultimo altare è impreziosito da una tela raffigurante la gloria di S. Giuseppe, forse del Voltolini o di Antonio Paglia. Le belle prospettive ad affresco delle soase degli altari laterali sono attribuite a Pietro Scalvini.
Importanti gli affreschi della volta realizzati nel 1748 dal Corbellino e raffiguranti episodi della vita di S. Zenone. Antonio Paglia dovette invece realizzare qualche anno prima gli affreschi della volta del presbiterio in cui appare la gloria di S. Zenone con i quattro Evangelisti.

Il Santuario della Beata Vergine fu costruito a ricordo del miracolo compiuto dalla Madonna nel 1601, quando la piccola Caterina Dusi vide scendere della lacrime dagli occhi della Vergine dipinta su una piccola tavoletta del XV secolo portata da Venezia dal padre Antonio.
Iniziata nel 1610, la costruzione del nuovo tempio fu portata a termine nel 1615. L’opera è il risultato del contributo di importanti ingegni. Furono infatti gli architetti G. Battista lantana e G. Antonio Biasio, che avevano lavorato alla edificazione del Duomo di Brescia, a realizzare la costruzione, mentre artisti quali Camillo Rama, Andrea Celesti e Antonio Paglia ne impreziosirono l’interno.
L’altare maggiore venne realizzato in marmo dallo stesso Lantana. Nel 1728 Antonio Paglia dipinse la pala con la nascita della Vergine.
Importanti anche le tele che impreziosiscono i due altari laterali. Quella di destra venne dipinta nel 1631 dal pittore cremasco G. Giacomo Barbello e raffigura la Crocifissione. Quella di destra, variamente attribuita, raffigura la circoncisione.
Già nel 1615 Camillo Rama aveva affrescato la volta della navata e del presbiterio.

La Chiesa di San Lorenzo è molto antica e dalle linee semplici, ha al suo interno il polo d’interesse: alcuni affreschi cinquecenteschi di recente recuperati.

La chiesa della Madonna dei Triboli risale al XVII secolo. Presenta al suo interno sull’unico altare una tela raffigurante la Vergine trafitta.

L’origine del Museo è la diretta conseguenza di un atto di riconoscenza del professore slavo Dimitrije Paramendic, insegnante, pittore, e scultore.
Il Museo possiede una ricca donazione di quadri (in tutto 120) che ritraggono i protagonisti più significativi della Resistenza Valsabbina e che si ispirano a diversi momenti della vita partigiana.

Il settore Folklore si richiama invece agli aspetti più salienti della civiltà contadina, a quel faticoso rapporto uomo – natura reso meno pesante dall’ingegno e dalla fertile inventiva degli umili montanari.

Avenone è la frazione che nel corso del secolo scorso ha risentito più delle altre del fenomeno dello spopolamento. L’abitato conserva quasi intatto il proprio patrimonio architettonico, offrendo al visitatore scorci di una certa bellezza, perché risparmiati d interventi troppo devastanti.

All’interno della frazione di Avenone si può ammirare Spessio, un piccolo borgo medievale, con le strette stradine ancora lastricate e le case secolari dagli ampi loggiati e dall’architettura pressoché intatta, strette attorno alla seicentesca chiesetta dedicata ai SS. Gaetano e Antonio, dall’artistico portale in pietra locale.

Forno d'Ono frazione di fondovalle, sorge alla confluenza del torrente Degnone con il suo affluente Glera. E’ sede del Municipio e del Museo della Resistenza e del Folklore valsabbino. La sua storia è più recente rispetto a quella delle altre frazioni, poiché sorta nel 1300 quando la famiglia Alberghino, il cui stemma nobiliare è tuttora leggibile sulla facciata di un’abitazione, decise di sfruttare le acque dei due torrenti per la lavorazione del minerale di ferro.

Il borgo medioevale di Ono Degno è un nucleo urbano certamente già fiorente nel XIV secolo e arricchitosi di molti elementi durante il successivo.
Lo dimostra la tipologia degli edifici, squadrati con pietre locali, quasi a fortilizio, e ingentiliti poi con ampie pareti a affresco raffiguranti quasi sempre elementi decorativi monocromi con elementi floreali e del mondo animale, frammisti a molti stemmi.
Non si tratta di architettura contadina, ma di dimore della piccola nobiltà rurale e del ceto commerciale, trasformate poi lentamente, a partire dal XVII secolo, in abitazioni contadine con il decadere o il trasferimento altrove delle antiche famiglie. Doveva trattarsi di una nobiltà basata su un retaggio feudale che seppe dedicarsi a partire dalla metà del 1300 alla lavorazione del ferro nella vicina Forno, appositamente creata dalla famiglia Alberghini.
Attorniate da dimore minori, quasi naturale coronamento, si ergono alte due antiche dimore signorili, chiamate “Le Torri”.
Una di queste, la più leggiadra, appariscente, meglio conservata e restituita al primitivo splendore da un recente, scrupoloso intervento di recupero, viene indicata come la prima dimora della nobile famiglia dei Torriani, giunta a Ono con Pagano nel 1235.
Questa famiglia si trasformò poi in quella dei Butturini, che secondo una tradizione comunemente accettata, assunsero il nome da un certo Boturino de Benadusi, vissuto nella seconda metà del 1300. Il nome di Antonio “de Benaduzis de Hono” compare invece in una iscrizione proveniente dalla Casa Torre più severa e ampia, di poco discosta dalla prima. L’iscrizione reca la data del 2 luglio 1373.
Del resto, su una vicina e bella dimora del 1300 due stemmi sintetizzano la storia di questa famiglia che ebbe prima come emblema la torre, per ricordare l’antica origine, e poi quello più recente dei sei monti a piramide con una croce al vertice, usato dai Butturini a partire dal XV secolo e presente anche sulla facciata con decorazioni affrescate di un’altra abitazione posta fra le due torri.
La torre acquisita dal Comune e restaurata si dice sia stata iniziata insieme a altre dimore da Benadusio Torriani nel XIV secolo.
Alta e snella, è architettonicamente semplice, ma con elementi molto significativi. Sulla facciata principale che guarda a valle vi erano in origine sei finestre sovrapposte a due a due, con una sola finestra più piccola al centro all’ultimo piano.
Interessanti le prime quattro: gotiche nella forma, con decorazioni in cotto sotto il davanzale, modulati in bellissimi piccoli archi, molto snelli e gentili, con un motivo che si ripete poi a affresco sotto i cornicioni in cotto leggermente sporgenti, all’altezza del tetto.
Le altre finestre, più piccole, in stile romanico, erano in origine, come pure quelle sottostanti, contornate da una decorazione a affresco a fasce gialle e rosse.
Infatti, la vasta superficie, con spigoli in pietra locale lavorata, venne successivamente intonacata e affrescata, probabilmente nel XV secolo.
Alla base, pur deturpata da due aperture settecentesche per dare luce ai locali del seminterrato a volta, compare una leggiadra loggia a archetti, dove domina il rosso misto all’avorio. Essa fa da supporto alla soprastante decorazione geometrica, molto lineare, ma elegante.
Sugli spigoli e su un arcone ora otturato, compaiono, come pure nel sottotetto dell’altra torre, alcuni “mascheroni” con sembianze di mitici animali o di creature fra l’umano e l’animalesco che rimandano agli elementi decorativi simbolici delle cattedrali gotiche e che, nel loro significato ignoto, costituiscono forse l’elemento distintivo più interessante dei due edifici.
All’interno, prima manomesso, i vasti ambienti originari sono stati restituiti alla loro funzione, benché nulla rimanga delle primitive decorazioni a affresco e dei soffitti lignei decorati. Di questi ultimi sono state recuperate e restaurate otto tavolette lignee ascrivibili alla fine del XIV secolo.

Se quasi ogni nucleo abitato delle Pertiche vanta la tradizione di essere sorto originariamente in un luogo diverso da quello attuale e di essersi dovuto spostare in seguito a qualche calamità, per Levrange ciò costituisce un evento della storia recente. Nel 1959, infatti, un autunno di intense piogge causò gravi smottamenti tanto che il paese antico dovette essere completamente abbandonato.
Le vecchie case furono smantellate per costruire quelle nuove e dopo un paio d'anni, in posizione più sicura, non troppo distante dal sito precedente, era già pronto il nuovo paese. Quel che rimane di quello vecchio merita però una visita: salendo dal fondovalle, le uniche poche case non smantellate si parano davanti inaspettatamente, di pietra, grandi, le ante di legno consumato, i finestroni dei solai, le ringhiere intagliate.
L’attuale stradina che si infila nel nucleo era un tempo la via principale del paese; seguendola, dopo il primo gruppetto di case si possono scorgere le fondamenta delle antiche costruzioni, dove oggi sono sistemati orti ben regolati e tenuti.
Proseguendo, si raggiunge la chiesa, rimanenza del paese vecchio, costruita su una muraglia aggettante sul torrente che passa li sotto. Andando avanti, in prossimità del torrente si incontra una grande santella tutta decorata, ma più interessante risulta l’altro lato della valletta, fino alla più antica chiesa, dopo il 1530 ricostruita su una precedente cappella che si dice associata alla presenza in loco dei frati benedettini.
Un ultimo tratto degno di nota è la salita sul dosso soprastante, allo scopo di godere di una veduta della zona nel suo insieme, del paese vecchio e di quello nuovo.
Degna di lode inoltre, una puntata al nuovo abitato offre un paio di opportunità: sulla piazza della chiesa intitolata ai Pialorsi Boscaì, i famosi intagliatori originari di qui, possiamo vedere il monumento ai caduti realizzato da Silvestro Cappa, artista recentemente scomparso, originario di Vestone ma molto presente anche alle Pertiche; inoltre, volgendoci verso nord, possiamo godere di una bella veduta del Monte Tigaldine, coi suoi ghiaioni e il Monte Ario sullo sfondo.


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