domenica 8 novembre 2015

MEDE



Mede è un comune situato nella Lomellina sudoccidentale, nella pianura tra il Po, l'Agogna e il Sesia.

Era un importante centro economico in epoca romana; il Museo Civico di Novara ne raccoglie alcuni reperti archeologici.

Nell'alto medioevo fece parte del Comitato di Lomello; nel 1157 venne confermato da Federico I ai Conti Palatini di Lomello, che peraltro erano stati sottomessi da Pavia, cui lo stesso imperatore assegnò ufficialmente la supremazia della Lomellina nel 1164. Tra i numerosi rami in cui si erano divisi i Conti palatini, uno dei più importanti fu quello dei Conti di Mede; a loro volta si divisero in moltissimi rami, ma ebbero la saggezza di mantenersi tra loro solidali, con patti che escludevano la vendita di quote feudali a famiglie estranee alla parentela; in tal modo ebbero sempre la conferma del feudo di Mede, dagli Imperatori e dai duchi di Milano (cui Mede appartenne fino al 1535), dagli Spagnoli (1535-1706), e dai Savoia (Mede venne conquistato nel 1706 da Eugenio di Savoia per conto degli austriaci. L'Austria lo consegnò nel 1707 ai Savoia, assieme a tutta la Lomellina). Attorno al 1500 le varie linee dei conti di Mede assunsero cognomi propri, derivati probabilmente dai loro capostipiti: Giovannoli, Enriotti, Biasoni, Alessandri, Guizzardi, Isnardi, Genselmi, Brizio, e inoltre Luneri, Biscossa e Zaccaria, entrati nella casata per matrimonio. Nel 1707, all'avvento dei Savoia, sono ancora confeudatari i Giovannoli, i Gorrani (che avevano acquistato delle quote nel 1652), gli Zaccaria, i Guizzardi e gli Isnardi.

In quest'epoca Mede fu sede della Congregazione della Lomellina.

Nel 1806 furono uniti al comune di Mede i soppressi comuni di Tortorolo e Parzano, mentre in precedenza lo era stata la Cascina Ragnera. Nel 1928 fu aggregato a Mede il comune di Goido.

Ragnera è nota fin dal 1250, nell'elenco delle terre pavesi, come Turris Raynerii, torre del visconte Rainerio; nel 1707 ne è feudatario il sig. Corri di Milano; il comune viene soppresso nel 1759.
Parzano appare nell'elenco del 1250 come Purcanum; feudalmente seguì le sorti di Sartirana, appartenente dal 1522 agli Arborio di Gattinara.
Tortorolo, noto nell'elenco del 1250 come Turturolum, fu parte invece del feudo di Frascarolo e Castellaro de' Giorgi, passando dai Birago ai Varesini, di nuovo ai Birago, agli Arborio di Gattinara (1522) e ancora ai Varesini. Nel 1707 sembra non fosse più infeudato.
Goido (CC E077), come suggerisce il nome, fu probabilmente un insediamento di Goti nell'alto medioevo. Nel 1250 appare come Goyve nell'elenco delle terre pavesi. Appartenne alla Contea di Mede, e fu feudo probabilmente dei Giovannoli, ramo dei Conti di Mede, da cui pervenne ai Gorrani di Milano. Il comune fu soppresso nel 1928.

Mede, secondo alcuni studiosi, deriverebbe il suo nome da "Mediamnes", cioè terra in mezzo ai fiumi. E' situata, infatti, tra l'Agogna ed il Sesia, che getta le sue acque nel Po, non molto lontano da Mezzana Bigli.

Altri, invece, fanno derivare il nome da Medo, il nome del capitano dei Galli Insubri, o dal celtico Med, equivalente a fertile, oppure ancora dalla voce lombarda "meda", che indica un dosso.

Mede oggi è un industrioso centro che affianca le antiche attività legate all'agricoltura (a Mede si trova, ancora in funzione, una delle più antiche e note riserie lomelline) a quella più recente dell'artigianato orafo che, con oltre un centinaio di laboratori e più di seicento addetti, ha fatto della cittadina una vera e propria "capitale dell'oro".

Solo un Castello (XIV-XV sec.), dei tre di cui parlano le antiche cronache locali, sopravvive oggi nel centro della cittadina, quasi a ridosso della chiesa parrocchiale, con pianta quadrilatera e sembra costituire il maschio centrale di un complesso fortificato di maggior ampiezza. La rilevante parte avuta da Mede nelle vicende politiche e belliche della regione, il ragguardevole numero di casate nobili che vi ebbero sede e il ruolo svolto anticamente dalla parrocchia non può che avvalorare tale ipotesi. Permangono tratti di mura autentiche verso i lati nord e ovest, che lasciano presumere una costruzione viscontea, come evidenziato dalla classica cornice perimetrale a "denti di sega", qui nella versione a tripla cornice sovrapposta, le finestre strombate a sesto acuto e i mattoni nudi a vista. Non è originale, per contro, la torre merlata, ricostruita nei primi anni del nostro secolo sulla base di una preesistente, abbattuta perché pericolante. Gli altri lati del castello Sangiuliani - su tutti sopravvive l'originaria scarpatura di base - sono stati trasformati per l'uso civile.

La Chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Marziano e Martino, era già collegiata prima dell'anno 1000, ma anteriori sono le fondamenta di una piccola chiesa, forse un tempietto pagano, trovate durante il rifacimento del pavimento, nel 1875. In quell'epoca vengono scoperti tre affreschi rappresentanti San Marziano, San Sebastiano e San Cristoforo. Nel 1300 la chiesa ha già la forma e l'ampiezza attuali. L'attuale struttura della facciata, elegante ed armoniosa, in stile gotico-lombardo, incoronata da pinnacoli in cotto, è del 1884-1885. Nell'interno le volte e l'abside sono ornati da affreschi del medese fernando Bialetti (199). A fianco della chiesa si alza il campanile, progettato dall'ing. Crescentino Caselli e costruito nel periodo 1902-1904. A suo tempo fu chiesa matrice, e dominò spiritualmente un vasto territorio, secondo la regola di San Benedetto, contribuendo, per larga parte, alla bonifica dei territori limitrofi.

Della Chiesa di San Rocco non se ne conosce esattamente la data di fondazione; venne ricostruita nel XVIII secolo. Ha forma squadrata con davanti un piccolo atrio.
La Chiesa della Madonna di Loreto anticamente consisteva in una piccola cappelletta senza altari. Nel 1868 fu trasformata in una piccola chiesetta.
La Chiesa della ss. Trinità risale probabilmente al XVI secolo e venne ampliata nel 1864. Ai lati dell'altare vi sono due grandi tele dipinte ad olio: una Crocifissione, firmata dal pittore veneziano Domenico Buonvicino (sec. XVII) e una Pietà di scuola fiamminga, del 1616. La volta dell'abside presenta affreschi del medese Giuseppe Amisani. E' conosciuta anche come chiesa "dei Batù", dalla consuetudine penitenziale dei confratelli che si flagellavano prima di partecipare alle funzioni.
Lo stile della facciata della Chiesa degli Angeli, semplice e lineare, ne rivele l'origine cinquecentesca. La navata è piuttosto ampia e fiancheggiata da tre cappelle per lato.
Vi sono anche due caratteristici monumenti: il Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1922, in bronzo, raffigurante un milite, con un bassirilievo bronzeo sulla facciata del basamento; il Monumento agli Alpini, inaugurato nel 1998, che sintetizza i simboli che caratterizzano il corpo degli alpini: sbarre di ferro, corda, penna, raggi di luce.

Da segnalare la Raccolta Naturalistica "Ugo Fantelli", un museo in cui sono conservate varie specie di minerali, conchiglie, fossili e strumenti litici.

Il Museo, nel nuovo allestimento realizzato da Alberto Ghinzani, ospita le opere di Regina donate dal marito, Luigi Bracchi,alla città natale dell''Artista.

Cinquantadue sculture e cinquecento tra disegni, tempere e collages costituiscono l'importante lascito e permettono di ricostruire quasi per intero il percorso di questa scultrice, che ha attraversato, con rara coerenza e singolare capacità di sintesi, le esperienze più significative dell'arte del XX secolo.

Pur aderendo a movimenti e gruppi d'avanguardia - il Futurismo negli anni Trenta ed il MAC (Movimento Arte Concreta) nel 1951 - Regina non ha mai smarrito il filo di una sua personale ricerca di linguaggio e di sperimentazione di nuovi materiali: dai bassorilievi in gesso, all'Autoritratto degli anni Venti, già svincolati dalla tradizione, alle opere eseguite in lamiera (La signora provinciale, Sofà) degli anni Trenta, alle composizioni più vicine al secondo Futurismo, quali L'amante dell'aviatore o Aerosensibilità, per giungere, nel dopoguerra, ad una semplificazione formale che la porterà ad essere protagonista della stagione astratto e precorritrice delle istanze plastiche più attuali. D'indubbia rilevanza, per la complessità dei riferimenti e delle indicazioni sul metodo di lavoro dell'artista, l'opera grafica conservata nel museo: gli studi della natura - i fiori soprattutto - i collages, i pastelli sui temi del suono delle campane ed una esemplare fase pittorica che si accosta ai modi dell'informale.

La raccolta, che si compone di circa 1000 reperti, si articola in due sezioni distinte:

la sezione naturalistica
la sezione archeologico-etnografica.

La prima si compone:
di una collezione mineralogica che fornisce informazioni basilari su minerali e rocce, la loro formazione e la loro struttura;
di una collezione zoologica contenente reperti eterogenei per provenienza e campionatura;
di una collezione paleontologica assai significativa i cui reperti sono divisi in tre gruppi: vegetali, invertebrati e vertebrati.

La sezione archeologica raccoglie 780 manufatti litici risalenti al periodo preistorico e riferibili quasi esclusivamente all'area sahariana. La completezza dei reperti ha consentito di offrire un'immagine abbastanza cornpleta dello svolgimento della storia del Sahara da un punto di vista cronologico.

I manufatti moderni presenti hanno consentito anche la creazione di una piccola sezione etnogratica, che segnala la continuità di alcuni aspetti della cultura materiale nell'ambiente sahariano.

L'intera collezione si avvale di pannelli interni ed esterni alle vetrine che intendono fornire sia informazioni di carattere generale - rispondenti fondamentalmente ad un intento didattico - sia un'adeguata contestualizzazione dei materiali esposti, oltre a fornire dettagliate descrizioni dei singoli pezzi.

La Raccolta di memorie e cose del tempo di P. Boccalari è un museo privato, posto in un grande magazzino di una ditta di trasporti attiva sin al 1990.
Sono raccolti circa duemila pezzi che testimoniano il lavoro agricolo, l'artigianato, l'ambiente domestico del territorio, attraverso mobili, utensili, vestiti, oggetti dell'uso quotidiano. Ci sono le stanze di una casa dei primi anni del 1900, organizzate nei più piccoli dettagli con oggetti d'epoca perfettamente conservati:
il banco del ciclista
la bottega del fabbro e maniscalco
del norcino
dell'idraulico
gli arnesi dei ramai, calderai, stagnini, del muratore, del falegname, del mugnaio dei sarti;
Nell'angolo del museo fuori, in uno spazio coperto, è riprodotta la vita della stalla e dei campi dell'agricoltore, del taglialegna, il banco di un ortotrutta itinerante, diversi carri agricoli, un buon esemplare di un torchio da uva.
Ogni pezzo è stato catalogato, la scheda riporta anche il nome del donatore.
La raccolta dispone:
di una ricca biblioteca di 1300 volumi, in massima parte relativi alla storia locale,
di una mostra fotografica permanente riguardante l'opera di bonifica del territorio,
di 1500 diapositive,
di materiale documentario, lettere, fatture, carta intestata di ditte artigiane locali,
di 2000 immaginette religiose.


La seconda domenica di settembre si tiene il "Palio d'la ciaramela", manifestazione storico-folcloristica che fa rivivere i valori e le tradizioni della civiltà contadina; in ogni quartiere, infatti, si ricostruiscono angoli caratteristici e scene di vita tipici del periodo cui la festa si richiama: gli anni tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. Una grandiosa sfilata dei personaggi in costume tra le vie addobbate dai colori tipici dei vari rioni prelude alla sfida a "ciaramela" (questo gioco viene più comunemente chiamato in vernacolo lomellino "lippa"), uno dei giochi più antichi della Lomellina, tenuto in vita grazie proprio a questo palio. Per giocare bastano soltanto due bastoni, il bac, più lungo, che serve per battere e colpire la ciaramela, più corta e smussata alle punte, ed un cappello, il capè, per ricevere. Il primo lancio permette, all'avversario che riceve, di conquistare la battuta se prende al volo la lippa; in caso diverso deve rilanciarla il più vicino possibile alla base. A questo punto il battitore effettua tre lanci ed alla fine chiede i punti all'avversario: il punteggio si calcola contando il numero di volte che la lunghezza del bastone di battuta sta dal punto finale alla base. Vince il Palio la contrada che raggiunge il massimo punteggio.


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