giovedì 2 giugno 2016

MORIRE BRUCIATI

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È verosimile che questa forma di condanna a morte fosse presente nelle culture più antiche, ma le prime testimonianze di condanne al rogo sono di epoca romana e ci vengono fornite dai Martirologi e dalle Vite dei Santi, in cui vengono descritti i supplizi dei martiri del cristianesimo.

Secondo leggende cristiane, la condanna al rogo di questi da parte del Senato e degli imperatori romani non era molto frequente e si concludeva sempre con la salvezza del Santo a cui, poiché le fiamme non riuscivano a lambirlo, veniva staccata la testa. Nei primi anni dell'impero bizantino il rogo fu utilizzato come punizione per gli zoroastriani, come pena di contrappasso alla loro adorazione del fuoco sacro.

Nei territori conquistati dai Vandali nell'Africa settentrionale, durante il Regno di Unerico la morte sul rogo fu dispensata a molti vescovi cattolici che si erano rifiutati di convertirsi all'arianesimo. Nella Bibbia la punizione del fuoco (Serefa) non era invece riferita al rogo come oggi lo intendiamo: ai condannati veniva fatto ingerire piombo fuso provocando la morte istantanea del reo dovuta alla distruzione delle vene e delle arterie del collo. La Serifa fu una delle quattro pene di morte prescritte dal libro sacro e, come le rimanenti (lapidazione, decapitazione e impiccagione) raramente fu praticata dagli ebrei.

Al di fuori dell'area mediterranea il rogo è stato praticato da alcune civiltà precolombiane per cerimonie sacrificali e in India, dove nel passato, ma in alcune regioni la tradizione persiste ancor oggi, le donne sposate venivano sacrificate sulla pira ove ardevano i corpi dei mariti morti. Il rogo era usato anche da alcune tribù di Indiani d'America, in alternativa alla trafittura con frecce, per uccidere i nemici catturati.

Nel mondo cristiano, il rogo venne utilizzato per punire l'eresia. Tra le personalità di spicco giustiziate tramite questo supplizio possiamo ricordare Jacques de Molay (1314), Jan Hus (1415), Giovanna D'Arco (1431) e Giordano Bruno (1600). Dopo l'affermarsi della riforma luterana e di quella calvinista la condanna a morte per rogo venne applicata da tutte le correnti religiose.

Gli ultimi roghi per stregoneria in Europa avvennero tra il 1782 e il 1793 in Svizzera e in Polonia.

Fin dal Medioevo, in Gran Bretagna, il rogo fu la pena capitale decretata per le donne condannate per tradimento: questo poteva essere high treason quando si trattava di crimini commessi contro i sovrani o petty treason per l'uccisione di coloro che erano superiori per legge a chi commetteva il reato, come nel caso della moglie che uccideva il marito. Nel 1790, Sir Benjamin Hammett, riuscì a far approvare una legge al Parlamento inglese che pose fine sull'isola all'esecuzione capitale sul rogo.

Seppure nella nostra società questa forma di condanna a morte sia cessata da alcuni secoli, nel mondo sono ancora frequenti le condanne a morte e i linciaggi che hanno come mezzo di esecuzione il rogo. Nel 1916 in Texas, Jesse Washington, un diciassettenne afroamericano, poco dopo aver subito una condanna a morte per aver stuprato e ucciso una donna, fu trascinato da una folla su un rogo, e fu torturato e ucciso. Nel corso del XX secolo, in tutto il Sud degli Stati Uniti, furono numerosissimi i casi di persone di colore o cattoliche bruciate su roghi improvvisati o bruciate nelle proprie case dai membri del Ku Klux Klan.



Durante la seconda guerra mondiale il fuoco era poi spesso utilizzato dalle truppe nazifasciste sia per far scomparire i corpi delle vittime delle rappresaglie contro la popolazione civile, fossero queste già morte o agonizzanti, come è avvenuto, ad esempio, a Sant'Anna di Stazzema, sia come vero e proprio mezzo di esecuzione capitale, come verificatosi a Lipa. Nell'Africa animista coinvolgono le persone accusate di stregoneria ma, seppur per fini differenti, sono praticate anche in India.

Chiudere gli occhi e provare a immaginare quel dolore replicato all'infinito. Quel dolore che parte dai piedi, si arrampica veloce su per i vestiti imbevuti di un accelerante qualsiasi, che avvolge le gambe. Iniziando dalle caviglie si insinua fino alle cosce e poi su agli organi genitali. Brucia i peli, uno dopo l'altro ma senza distinguere la sequenza temporale. Sentire quel male infame e la puzza che lo accompagna. Se la fortuna viene in soccorso i neurorecettori del dolore mandano tutto a quel paese e regalano il sollievo dello stato di shock. Se invece la soglia di sopportazione del dolore è drammaticamente alta, si avrà modo di sentire il fuoco che trapassa la carne, la strappa via un lembo dopo l'altro e continua a salire arrivando alla pancia, alla schiena, al petto, al collo. Le mani le ha già prese:le ha prese quasi subito perché quel poco di istinto di sopravvivenza che rimane, dopo essersi piegati sulle ginocchia, spinge a cercare di fermare il dolore delle fiamme premendo le mani sulle parti del corpo che bruciano. L'istinto di sopravvivenza si arrende all'evidenza: le mani sono infuocate. Provare a rotolarsi a terra, meglio se sabbiosa, ma quella terra sarà imbevuta di quello stesso liquido accelerante che si ha addosso e così anche l'ultimo tentativo di sopravvivere al fuoco si spegnerà.

Che riposino in pace quelle donne bruciate per pareggiare una contabilità diabolica.



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