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mercoledì 20 maggio 2015

LA CHIESA DI SANT' ANTONIO A SARONNO

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La chiesa di Sant’Antonio abate è un edificio religioso di Saronno. Le prime notizie documentate del tempio risalgono al 1385. Nel 1576, in occasione dell’epidemia di peste, fu costruito un lazzaretto attiguo.

La Chiesa di Sant'Antonio abate in origine fu un semplice oratorio ed il suo nome appare per la prima volta in un rogito notarile del 1385 per l'affitto di un terreno ad essa contiguo: "petia una terre campi jacentis in territorio burghi de Serono ubi dicitur ad Sanctum Antonium".
La costruzione della Chiesetta fu attribuita ad Antonio Zerbi verso la metà del 1400.

Nel 1506, cent'anni più tardi, i figli di Antonio ridisegnarono e sistemarono la chiesa nell'impianto sostanzialmente giunto fino a noi e a ricordo del padre fecero murare all'esterno di essa una lapide ancora ivi esistente.

Nel corso degli anni, la chiesetta diventa testimone di numerose epidemie di peste: se ne contano 11, quella più famosa del 1630 detta del Manzoni, avendone lo scrittore diffusamente trattato nei Promessi Sposi.
Non è escluso che in questo periodo, anche nella chiesa come nelle stanze della casa del massaro (annessa alla chiesa stessa) siano stati ricoverati gli infetti di peste; è certo comunque che attorno sorgeva capanne protette da assiti e che in questo luogo furono sepolte più di duemila persone morte nei contagi.

In settecento anni di storia numerose sono state le visite pastorali di Monsignori e Cardinali alla piccola chiesa (con tutta probabilità consacrata da S.Carlo Borromeo) e molti sono stati anche i segni materiali ad essi lasciati, purtroppo quasi tutti cancellati nel tempo.

A testimonianza di questo passato restano due statue risalenti ai primi del 1500: una in legno raffiguranti San Rocco e l'altra in cotto raffiguranti Sant'Antonio; la prima collocata in una nicchia nella parete destra della chiesa sopra una teca contenente alcune ossa di appestati e l'altra insieme ad una statua in marmo di S.Giovanni, collocata nella parte terminale dell'abside sopra un altare consumato dal tempo ma sempre di suggestiva bellezza. Un riquadro ligneo nel pavimento con richiami dello stesso ai suoi quattro lati, fa bella mostra di sé ai piedi della mensa che nel giorno di festa del Santo si arricchisce di quattro reliquiari in argento del 1700: S.Illuminato, S.Prospero, S.Valentini e S.Candido.

Sempre in una nicchia sulla parete sinistra all'interno della chiesetta che presenta una struttura semplice: un rettangolo unico di circa 5m. di altezza per 7 di profondità ed abside poligonale, si trova in una scultura in marmo della Madonna d'autore anonimo.

In corrispondenza della porta secondaria che si apre verso centro del paese e sulla facciata in basso e a nord del campanile, che funge da parete interna nel locale sopra alla sacrestia, sono state scoperte delle decorazioni in pittura povera.
Tutto questo fa supporre che anche le pareti interni della chiesetta fossero state un tempo decorate e che le numerose ristrutturazioni e la calce che durante le epidemie di peste veniva posata per disinfettare, le abbiano irrimediabilmente cancellate.
La conferma ci viene rivisitando gli atti delle visite pastorali del 1583 dove S. Carlo Borromeo, in una delle sue visite alla chiesa, fece delle prescrizioni di riforma: ordinò di ripulire tutte le pareti con intonaco bianco e di ornarle con pitture (P.M. Sevesi). Altre notizie sono di un certo Pasetti che nei primi anni del 1900 affrescò l'abside e dipinse le figure di San Carlo e San Mauro.

La facciata è decorata con un mosaico che rappresenta Sant’Antonio, posato durante i restauri eseguiti tra il 1966 ed il 1967.

Oggi anche se la chiesetta si presenta spoglia, priva di valori artistici e architettonici, merita ugualmente attenzione se non altro per memoria popolare; per 700 anni è stata centro di fede e di devozione instancabile al Santo del freddo.

Migliaia sono ancora oggi le persone che accorrono per il bacio della reliquia e per una preghiera di intercessione.

Ogni anno, il 17 gennaio, nei suoi pressi si tiene l'antichissima Sagra di Sant'Antonio, con la benedizione degli animali.

La piccola Chiesa fu trasformata in lazzaretto e i sopravvissuti dell'ultima epidemia fecero un solenne voto alla Vergine Maria, promettendo che ogni anno, nel mese di marzo, (periodo in cui l'epidemia finì di mietere vittime) si sarebbero recati in processione al Santuario offrendo candele votive. La tradizionale processione, che inizia poco dopo il sorgere del sole, si perpetua ancora oggi in ricordo del voto fatto quattro secoli or sono. Nella sacrestia ci sono ancora due quadri legati al periodo degli Zerbi. Uno è il ritratto di Carlo Francesco Zerbi, morto nel 1775 e l'altro di Giovanni Battista Zerbi morto nel 1841. La storia racconta che Antonio, nobile di origine e nato "nelle contrade d'Egitto" ancora ragazzo fu ispirato da Dio, lasciò tutti gli agi e le ricchezze della famiglia e fuggì: " … non potendo più sostenere d'abitare colle genti del secolo, acceso d'un santo desiderio, fuggì in solitudine e incominciò a fare asprissima e santissima vita". Aveva poco più di 20 anni e la sua biografia racconta di terribili tentazioni per opera del demonio. Una volta gli apparve il diavolo sotto le spoglie di un fanciullo, un'altra fu flagellato da una schiera di demoni, ma il più delle volte veniva tentato da laidi pensieri: "… lo nemico gli facea apparire di notte forme di bellissime e impudiche femmine…" Antonio resistette alle tentazioni pregando e digiunando e alcuni vedono un collegamento tra le tentazioni di Antonio e la figura del porcello che il Santo porta con sé, dopo averlo ammaestrato. Morì, così dicono gli storici, un gelido 17 gennaio di un anno imprecisato, alla veneranda età di 105 anni, sotto l'impero di Costantino.

Nel giorno di S. Antonio, viene esposta la reliquia del Santo, e una interminabile processione di fedeli entra nella Chiesetta per baciare la reliquia. Anche la tradizionale benedizione degli animali non si è perduta, e durante il pomeriggio del giorno 17, alle 15, com'era nelle antiche tradizioni, i saronnesi portano le loro bestie, che oggi sono cani, gatti, criceti ecc. a far benedire. Una volta erano i cavalli il mezzo abituale di trasporto ed erano benedetti nel nome di S. Antonio. Oggi i cavalli sono stati sostituiti dalle quattro ruote e quindi, un po' paganamente, si benedicono le macchine.



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sabato 28 marzo 2015

DOMENICA DELLE PALME

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Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”».
Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!».
(Mc 11,1-10)


Nel calendario liturgico cattolico la Domenica delle palme è celebrata la domenica precedente alla festività della Pasqua. Con essa ha inizio la settimana santa ma non termina la quaresima, che finirà solo con la celebrazione dell'ora nona del giovedì santo, giorno in cui, con la celebrazione vespertina si darà inizio al sacro triduo pasquale.

Nella forma ordinaria del rito romano essa è detta anche domenica De Passione Domini (della passione del Signore). Nella forma straordinaria la domenica di Passione si celebra una settimana prima, perciò la Domenica delle palme è detta anche "seconda domenica di passione".

Questa festività è osservata non solo dai cattolici, ma anche dagli ortodossi e dai protestanti.

In questo giorno la Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino, osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma (cfr. Gv 12,12-15). La folla, radunata dalle voci dell'arrivo di Gesù, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi intorno, e agitandoli festosamente gli rendevano onore.

In ricordo di questo, la liturgia della Domenica delle palme, si svolge iniziando da un luogo al di fuori della chiesa dove si radunano i fedeli e il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma che sono portati dai fedeli, quindi si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa. Qui giunti continua la celebrazione della messa con la lunga lettura della Passione di Gesù. Il racconto della Passione viene letto da tre persone che rivestono la parte di Cristo (letta dal sacerdote), dello storico e del popolo. In questa Domenica il sacerdote, al contrario di tutte le altre di quaresima (tranne la quarta in cui può indossare paramenti rosa) è vestito di rosso.

Generalmente i fedeli portano a casa i rametti di ulivo e di palma benedetti, per conservarli quali simbolo di pace, scambiandone parte con parenti e persone amiche. In alcune regioni, si usa che il capofamiglia utilizzi un rametto, intinto nell’acqua benedetta durante la veglia pasquale, per benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua.

In molte zone d'Italia, con le foglie di palma intrecciate vengono realizzate piccole e grandi confezioni addobbate (come i parmureli di Bordighera e Sanremo in Liguria), che vengono scambiate fra i fedeli in segno di pace. Queste palme intrecciate, in genere di colore giallo, sono vendute ai fedeli vicino alle chiese.

Nel vangelo di Giovanni: 12,12-15, si narra che la popolazione abbia usato solo rami di palma che, a detta di molti commentari, sono simbolo di trionfo, acclamazione e regalità. Sembra che i rami di ulivo, di cui nei vangeli non si parla, siano stati introdotti nella tradizione popolare, a causa della scarsità di piante di palma presenti, specialmente in Italia. Un'antica antifona gregoriana canta: «Pueri Hebraeorum portantes ramos olivarum obviaverunt Domino» ("Giovani ebrei andarono incontro al Signore portando rami d'ulivo").

Nelle zone in cui non cresce l'ulivo, come l'Europa settentrionale, i rametti sono sostituiti da fiori e foglie intrecciate.

Si hanno notizie della benedizione delle palme a partire del VII secolo in concomitanza con la crescente importanza data alla processione. Questa è testimoniata a Gerusalemme dalla fine del IV secolo e quasi subito fu introdotta nella liturgia della Siria e dell'Egitto.

In Occidente questa domenica era riservata a cerimonie prebattesimali, infatti, il battesimo era amministrato a Pasqua; e all'inizio solenne della Settimana Santa, quindi benedizione e processione delle palme entrarono in uso molto più tardi: dapprima in Gallia (secolo VII-VIII) dove Teodulfo d'Orléans compose l'inno “Gloria, laus et honor” e poi a Roma dalla fine dell'XI secolo.

Il primo raduno mondiale che ha originato le Giornate mondiali della gioventù si è svolto nel 1984 in occasione della Domenica delle palme al termine del Giubileo dei giovani.

L’ulivo  fin dai tempi più remoti è considerato  simbolo di pace.  Ma non è per questo che l’ulivo è simbolo delle Pasqua.

L’ulivo compare in molti racconti biblici: è tra il becco della colomba che ritornò da Noè dopo il diluvio; è nell’Orto del Getsemani dove Gesù si recò a pregare la notte del suo arresto e, ramoscelli di ulivo, erano tra le mani della folla festante che osannava Gesù al momento del suo ingresso nella città di Gerusalemme, pochi giorni prima che fosse Crocefisso. Ed è per questo che durante la festa delle Palme, giorno in cui  si ricorda l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, si benedicono i rami d’ulivo.

L’olivo è anche la pianta da cui si ricava l’olio, indispensabile per i riti religiosi: sacerdoti e vescovi vengono consacrati ungendoli con l’olio, si impartisce la Cresima e si usa per l’Estrema Unzione o l’Unzione degli infermi.

Anche in Magia ci si avvale dell’uso dell’olio, come per esempio per stabilire se vi siano delle fatture. Non a caso Cristo, Christhòs, in greco, significa “unto”.

Gli Egizi avevano un culto per la palma. La stessa dea Iside è dipinta tra una corona e una palma che rappresenta l’anno solare, perchè è l’unico albero a cui, mensilmente, spunta una foglia e quindi i dodici rami indicano l’anno.
Era anche considerata pianta sacra e i suoi rami venivamo deposti sulle mummie e sui sarcofaghi in segno di augurio per l’aldilà.
La dea celeste, Hathor, era chiamata “La Signora della palma da dattero”.

Per i popoli del Medio Oriente era Assur (supremo dio degli Assiri, re del cielo e della terra e padre degli dei), che adagiavano sulla chioma di una palma per indicare la sua immortalità.

I “Signori della palma” erano legati anche ad Ishtar, o Istar (dea assiro-babilonese, dell’amore e della guerra; Astarte (dea fenicia, poi divenne greco-romana. E’ la terra madre che creò tutti gli esseri viventi), e al dio Baal (per i Canadei era il dio della pioggia e della vegetazione, divenne poi dio del cielo e del Sole).

Per gli arabi era l’albero della vita e proveniva dal Paradiso terrestre.

I Precolombiani la usavano per ricoprire i tetti, per loro era il simbolo della protezione.

Per gli Ariani del territorio che si estende dall’Indo al Caspio, la palma era un simbolo di divinità perchè “immortale”: sempreverde, non teme le tempeste marine, né i venti caldi del deserto e dona i datteri di cui si cibano gli uomini.

Per i cinesi è simbolo femminile di fecondità, proprio perché dona cibo.

Gli Ebrei gli dedicavano un particolare giorno dell’anno.

In greco, la palma è chiamata Phoinix, cioè fenice, il favoloso uccello che si cibava di perle e incenso e rinasceva dalle proprie ceneri: chiaro esempio legato alla rinascita e alla resurrezione.

Nella mitologia greco-romana il culto era praticato sull’isola di Delo, perchè Latona aveva partorito Diana e Apollo all’ombra di una palma.
Eros, figlio di Marte e di Venere soffriva per la mancanza di un fratello, finché nacque Antero. Antero ed Eros sono raffigurati come fanciulli alati che si contendono un ramo di palma in segno di reciproca amicizia.
Astrea, dea della giustizia è raffigurata con in mano un ramo di palma e una spada.
Resistente e tenace, l’iconografia cristiana ne fa il simbolo del martirio, della spiritualità e dell’immortalità ed è paragonata alla Fenice che vince sulla morte.

Nella Domenica delle Palme viene benedetta durante una solenne ricorrenza cristiana, in ricordo dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, sul dorso di un asino, mentre la folla lo applaude agitando rami di palma e chiamandolo “Messia”, “Re d’Israele”.
Per avere ristorato Maria sotto le foglie di un palmizio nel deserto, è considerata l’albero benedetto da Dio.
Iconograficamente posta tra l’alfa e l’omega è il simbolo di Cristo e nelle catacombe se era collocata accanto all’orante significava che questi aveva raggiunto la beatitudine.

E’ anche l’emblema di molti Santi, tra cui Pietro, Battista, Girolamo, Bruno, Filomena e la stessa Vergine Maria Assunta.
E’ anche la dea Nike o Vittoria. Per questo i guerrieri vincitori, e i più audaci dei gladiatori romani, venivano incoronati con dei rami di palma.
Diana abbracciava una palma perchè ramificava ad ogni rinnovarsi della Luna.
Simbolo di lunga vita e di vittoria per i Romani.

Le foglie di palma, opportunamente trattate avevano lo stesso uso dei fogli di papiro: erano dei fogli su cui scrivere.

I rami venivano attaccati alle porte degli avvocati, come simbolo di vittoria. Per la giustizia era il simbolo dell’uguaglianza perchè produceva frutti e foglie di uguale peso, quindi incorruttibile come doveva essere un magistrato.

Era considerata una pianta bisessuale e per questo si incrociavano i suoi rami per le nozze, ad indicare l’amore coniugale. In Liguria è tutt’ora tradizione benedire rami di palma intrecciati per poi donarli.

Indica longevità, poiché da frutti anche quando è vecchia.



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