mercoledì 17 giugno 2015

LA CHIESA DEI SANTI FERMO E RUSTICO A CARAVAGGIO



Concepita in stile romanico e dunque dal disegno trecentesco si presenta lombardo-gotica a seguito delle successive trasformazioni. L'edificazione durò comunque, come avveniva spesso, parecchio: il portale, per esempio, non può essere anteriore al 1450 poiché in esso vi figura, a destra di chi guarda, l'immagine di San Bernardino con l'aureola (la canonizzazione è di quell'anno).
Nella seconda metà del XVIII secolo viene trasformato l'interno, che, già manomesso, vede le sue strutture antiche ricoperte, in stridente contrasto con la facciata. La chiesa fu restaurata nel 1932. La facciata fu ulteriormente 'ripulita' nel 1990. In essa si possono notare le tre nicchie del frontone con le statue della Vergine, di S. Fermo e S. Rustico, e, nella lunetta del portale, la Vergine col Bambino e i Ss. Fermo e Rustico, affresco di Giovanni Moriggia.

Secondo la leggenda, nel 306, i due Santi Fermo e Rustico transitarono per la città e resuscitarono un morto. L'elemento leggendario si scontra però con la mancanza di rilievi archeologici che permettano di accertare l'esistenza di insediamenti stabili nel territorio comunale in un'epoca tanto remota.

Seppure la chiesa parrocchiale sorga in territorio bergamasco, appartiene a livello ecclesiastico alla diocesi di Cremona della quale ne è il centro più espanso.

Attualmente la parrocchia è retta dall'Arciprete parroco Mons. Angelo Lanzeni.

I primi documenti che fanno riferimento esplicito alla chiesa risalgono al 1196 e al 1218; è certo, tuttavia, che le sue origini siano anteriori, e che probabilmente un primo edificio sacro fu eretto contestualmente alla nascita stessa del paese, ancora prima dell'anno 1000.

Le stesse navate laterali (e di conseguenza l'alzata centrale) furono aggiunte nel 1429, alterando l'originaria forma a capanna. Si procedette contestualmente alla realizzazione delle cappelle laterali, le quali, nonostante numerose modifiche successive, presentano tuttora numerose dedicazioni e (nella terza a sinistra) decorazioni murali del periodo medievale. Fino all'inizio del XX secolo le cappelle ospitavano anche lunghe lapidi tombali intestate a illustri famiglie locali.

L'interno dell'edificio di culto fu fortemente trasformato fra il 1777 ed il 1798; nonostante l'opposizione della cittadinanza si volle procedere ad un notevole rimaneggiamento della struttura interna della chiesa in favore di uno stile più marcatamente barocco. I lavori furono guidati dal pittore scenografo piemontese Fabrizio Galliari, cui venne anche affidata la ristrutturazione del presbiterio e del coro. Fra i principali interventi di rinnovamento architettonico disposti da Galliari si evidenziano la chiusura dei pilastri mediante paraste a capitello corinzio e la collocazione di grandi medaglie da istoriare sulle volte, che vennero foderate. Precedentemente austero, l'aspetto della chiesa divenne in questo modo spiccatamente barocco, seguendo vicende analoghe a quelle del duomo di Crema; al contrario di quest'ultimo, tuttavia, la Chiesa di San Fermo e Rustico conserva tuttora inalterate le forti correzioni settecentesche.

Un importante restauro avvenne nel 1932; nel 1990 fu operata una nuova opera di ripulitura della facciata.

La facciata della chiesa appare tripartita fra due pilastri quadrati, posti agli estremi, e due colonne interne semicircolari, che salendo passano a quadrate per sostenere l'alto frontone; l'aspetto slanciato è accentuato dalle cinque guglie ottagonali. La parte centrale è caratterizzata da un portale in marmo, sovrastato da un grande rosone a dieci raggi.

Il frontone della facciata è dominato da tre nicchie con le statue della Madonna, di san Fermo e di san Rustico; nella lunetta del portale figura un affresco di Giovanni Moriggia raffigurante la Vergine col Bambino e i santi Fermo e Rustico.

La colorazione diseguale del cotto della facciata, unitamente alla presenza di alcune finestre mai aperte, porta a pensare a numerose modifiche intervenute in corso d'opera rispetto al progetto originario.

La cappella del Santissimo Sacramento, costruita tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, si affacciava originariamente sull'antico cimitero cittadino, collocato nelle sue adiacenze; solo in un secondo momento venne incorporata alla chiesa. Chiaramente amadeesca, è stata attribuita al suo seguace Giovanni Battagio, autore dell'Incoronata di Lodi.

La struttura interna della parrocchiale. Le lettere indicano le medaglie di Federico e Carlo Ferrario, realizzate sul finire del XVIII secolo; i numeri corrispondono alle altre opere.
Sul finire del XVIII secolo, appena terminato il rivestimento delle volte disposto da Fabrizio Galliari, si decise di commissionare gli affreschi delle sedici medaglie che sovrastano le campate, in modo da approfittare dei ponteggi già presenti. Ricevettero l'incarico i pittori milanesi Federico e Carlo Ferrario, padre e figlio.

Rispetto alle altre opere dei Ferrario, i medaglioni della chiesa di san Fermo e Rustico, ispirati a fatti biblici, sono caratterizzati da colori meno accesi e più ponderati, forse sintomo di influenze del praghese Reiner.

Danneggiate dall'incuria, dall'umidità e dal pulviscolo, le medaglie vennero pulite nel 1931 da Luigi Pastro, che venne criticato per le tonalità troppo scure di verde utilizzate per le vele circostanti.

La Cappella di san Rocco e san Sebastiano era originariamente dedicata a san Gottardo, poi ricordato e raffigurato anche nella cappella di Sant'Ambrogio. L'opera principale è la "Madonna col Bambino tra san Francesco, san Rocco e san Sebastiano", riconducibile (malgrado oggettive difficoltà di raffronto che portarono in passato a diverse attribuzioni) a Fermo Ghisoni, contaminato da influenze mantovane. San Francesco rappresenta forse allegoricamente il donatore del dipinto, e san Rocco raffigura l'autore stesso. L'opera è racchiusa in una ancona lignea della fine del XVI secolo; il suo attuale paliotto apparteneva tuttavia all'altare della cappella del Santissimo Sacramento.

Ai lati della cappella si trovano due piccole tele centinate raffiguranti a sinistra Santo Stefano, e a destra San Lorenzo. Le due tele risalgono ai primi anni del Seicento, e potrebbero essere ricondotte, per affinità di stile, al caravaggino Giambattista Secco.

Le pareti laterali e la volta della cappella ospitano inoltre cinque storie della vita di sant'Antonio: Sant'Antonio fra gli appestati, Sant'Antonio presentato al papa, Sant'Antonio in carcere, Sant'Antonio liberato dal carcere e Tre putti con la corona. Di queste, le ultime tre, collocate alla volta della cappella, sono state sottoposte ad un intervento di restauro sul finire del XX secolo.

Sino al 1674 l'altare situato nella cappella di sant'Antonio di Padova ospitava una tela con l'effigie del santo; da quell'anno è al contrario presente l'attuale nicchia con una statua del santo.

Gli originari stucchi decorativi che adornavano la volta furono rimossi nel 1923, quando il pittore Mario Albertella vi affrescò Ezzelino da Romano davanti a sant'Antonio, Sant'Antonio benedice con l'ostensorio, Gloria di sant'Antonio. Lo stesso Albertella raffigurò, nella vetrata del lunettone, Sant'Antonio tra gli indigeni africani.

Ai lati, la cappella ospita due dipinti risalenti alla seconda metà del XVII secolo raffiguranti miracoli del santo: il Miracolo del piede riattaccato e Sant'Antonio risuscita un morto.

La Cappella della Beata Vergine del Rosario era originariamente dedicata a san Giovanni evangelista, e fu intitolata alla Madonna del Rosario solamente attorno al 1650. Per l'occasione venne decorata con numerosi stucchi e tele, che sono rimasti inalterati sino ad oggi, con la sola eccezione del simulacro della Vergine nella nicchia centrale, sostituito nel 1937 con una statua lignea dello scultore gardenese Moroder, e dello smantellamento degli stucchi seicenteschi, terminato nel 1923 ma avviato già sul finire del XVIII secolo.

La lesena d'ingresso e il sottarco ospitano una fascia dipinta dell'Albertella.

I dipinti sono riconducibili ad Andrea Asper; ai lati e nella volta si trovano quindici pannelli con i Misteri del Rosario risalenti al XVII secolo; di fronte a sinistra, San Gerolamo; a destra, San Domenico e la Madonna (datati 1655 e firmati da Asper).

La cappella di san Bernardino, undique depicta (interamente dipinta), era originariamente intitolata al solo san Bernardino da Siena, di cui ospitava un'immagine sopra all'altare. Successivamente vi fu collocato anche un dipinto con il Crocifisso tra san Bernardino e l'Angelo custode.

Nel 1709 la cappella si arricchì del paliotto dell'altare, con un finto intarsio marmoreo in scagliola a rabeschi recante la figura centrale di San Bernardino, a firma di Pietro Solari; in seguito si aggiunsero l'ancona (con la pala) e la balaustrata. Il quadro posto sopra l'altare, raffigurante San Bernardino e santa Maria del Suffragio, è circondato da una cornice adorata ed è opera di Francesco Bradella (prima metà del XVIII secolo).

Ai lati si trovano due piccole tele del Seicento, raffiguranti San Pietro martire (a sinistra) e Santa Caterina da Siena (a destra). Le pareti laterali ospitano altre due tele del medesimo periodo, raffiguranti Santa Teresa d'Avila e San Mauro, ritoccate nel 1931.

La cura e la decorazione della cappella furono amministrate dal Monte dei Morti, con sede all'imbocco di porta Folcero, il quale raccoglieva offerte per il culto dei defunti.

A differenza delle precedenti quattro, la cappella dell'Apparizione è collocata al termine del transetto laterale che dà ingresso alla cappella del Santissimo Sacramento; è dedicata alla Madonna di Caravaggio, e fu costruita solo nel 1841. In precedenza al culto dell'Apparizione era riservata l'attuale cappella di San Pietro e Sant'Andrea, il cui altare, viceversa, era collocato a chiusura del transetto, prima dell'edificazione della nuova cappella.

La cappella ospita L'Apparizione della Madonna a Giannetta, di Giovanni Moriggia, risalente al 1844. Incorniciata da un'ancona bianca, la tela rappresenta il miracolo dell'apparizione mariana conferendovi un'atmosfera monumentale.

Ai quattro angoli della cupola neoclassica sono affrescati altrettanti angeli, recanti invocazioni della Salve Regina.

Il sarcofago di Fermo Secco, morto nel 1401, è in parte murato nella parete del transetto di fronte alla cappella del Santissimo Sacramento; vi fu trasportato dalla cappella di Sant'Ambrogio, fondata dalla stessa famiglia Secco.

Il bassorilievo sul lato del sarcofago raffigura la Vergine col Bambino tra sant'Antonio abate e san Marco, i quali le affidano simbolicamente la famiglia Secco; sulla sinistra sono raffigurati il padre Fermo e i tre figli Gianluigi, Marco ed Emanuele, mentre sulla destra compaiono la madre, Florida dei conti d'Arco, e la figlia Antonia. Ai due lati sono rappresentati gli stemmi dei rispettivi casati.

Il fastigio soprastante ospita un epitaffio in distici latini, che narra le imprese di Fermo, tessendone un elogio. La grafia è gotica, come lo è il resto del sarcofago. Fermo Secco vi è descritto come signore di Calcio e castellano di Angera, di Dertona e di Novara, oltre che valoroso condottiero presso i confini di Trento.

Al sarcofago di Fermo Secco faceva anticamente da contraltare un monumento alla famiglia Sforza, che sorgeva nella navata centrale della chiesa, davanti all'altare maggiore; i resoconti storici lo descrivono come un complesso marmoreo rotondo, con diversi stemmi scolpiti delle famiglie Sforza Bentivoglio (il ramo caravaggino degli Sforza era stato infatti iniziato da Giampaolo Sforza, figlio di Ludovico il Moro, e dalla moglie Violante Bentivoglio). In un secondo momento il monumento fu ricollocato all'esterno della chiesa, all'entrata del cimitero che ne occupava il lato sud, dietro al campanile.

Sul fianco destro della chiesa il Campanile, merita una storia a parte. La prima pietra di questa grande torre fu posta il 29 giugno del 1500 da Giovanni Dandolo, a quella data prefetto veneto del borgo da soli dieci mesi, il quale intendeva dare al paese un degno campanile che sostituisse quello esistente, modesto, collocato secondo alcuni presso il tetto della navata laterale sinistra, fra la cappella di Sant'Ambrogio e la sagrestia, secondo altri dove si trova quello attuale. La costruzione, edificata secondo schemi architettonici bramanteschi, si interruppe all'altezza di quarantotto metri (lo si può notare dal colore diverso dei mattoni). I lavori ripresero dopo il 1515 ma giunti al piano delle campane, si interruppero nuovamente. Solo nel XIX secolo l'architetto Lewis Gruner fece coprire (a quota 54 metri) la torre con un tetto e quattro semplici spioventi pensando di interpretare il pensiero dell'antico costruttore. Nel 1894 il prof. Angelo Bedolini, caravaggino, progettò sopra la cella campanaria un cornicione classico con una balaustra, e sulla terrazza disegnò una cupola ottagonale sormontata da un capolino e dalla croce. Il progetto restò tale per molti anni; nel 1912 ebbe parziale attuazione, e solo nel 1932 la costruzione venne definitivamente portata a termine. Il campanile raggiunse così l'altezza di settantuno metri.


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