sabato 20 giugno 2015

L'ABBAZIA DI LENO



L'abbazia di Leno, o Badia leonense, era un antico complesso monastico benedettino fondato nel 758 dal re longobardo Desiderio nel territorio dell'attuale comune di Leno, nella Bassa Bresciana. Abbattuta per volere della Repubblica di Venezia nel 1783, oggi dell'antica abbazia rimangono solo frammenti lapidei, conservati in larga parte nel museo bresciano di Santa Giulia, mentre in loco sono stati rinvenuti dei tumuli grazie agli scavi archeologici tenutisi nel 2003 dalla Sovrintendenza per i beni archeologici della Lombardia.

Il cenobio sorse nell'VIII secolo, in un'epoca di fioritura del monachesimo italiano. I monaci che vi abitavano erano stati fatti arrivare appositamente da Montecassino affinché diffondessero anche in quell'area la regola benedettina. Agli abati furono elargite numerose concessioni regie e papali che accrebbero, nel corso del Medioevo, il prestigio del cenobio lenese e lo resero un importante centro culturale, economico, religioso e, per i comuni dei dintorni, anche politico. L'abbazia raggiunse l'apice del suo sviluppo nell'XI secolo, cui fece seguito un progressivo decadimento del complesso monastico e del suo prestigio.

Con l'introduzione della commenda nel 1479 si può far iniziare un secondo periodo dell'esistenza del monastero, caratterizzato dal nuovo tipo di giurisdizione degli abati commendatari ma che vide comunque la continuazione di quella parabola discendente che si arresterà solamente nel 1783, anno dell'abbattimento del complesso monastico.
Nel corso dei secoli la chiesa abbaziale così come lo stesso convento furono più volte ricostruiti a seguito di incendi e altri gravi danni subiti, con il risultato di allontanarne sempre più la struttura architettonica da quella originale desideriana.

Gli anni che precedettero la fondazione del monastero di Leno furono caratterizzati dalla lotta per il trono longobardo, scatenatasi in seguito alla morte di Astolfo, tra Desiderio duca di Tuscia e Rachis, fratello di Astolfo. Il duca, dapprima in svantaggio, cercò il sostegno dei Franchi e del papato promettendo a quest'ultimo territori in Emilia e nelle Marche. Per accattivarsi ancor più lo Stato Pontificio promosse importanti iniziative monastiche, specialmente nel Settentrione, stanziando a favore dei vari ordini monastici ingenti quantità di denaro e fondando anche nuovi edifici religiosi, come nel caso dell'abbazia di San Benedetto di Leno e del monastero di Santa Giulia a Brescia.
Desiderio ottenne dal Papa Paolo I e dall`abate Petronace - bresciano a capo dell`abbazia di Montecassino - che una colonia di dodici monaci, sotto la guida di Ermoaldo, fosse mandata a Leno per diffondere la "Regola" benedettina.
Prima di partire per Leno, i frati domandarono e ottennero di portare con sè una reliqua del loro santo fondatore. Così le ossa di un braccio di San Benedetto vennero portate a Leno assieme ai resti dei martiri Marziale e Vitale, che i dodici benedettini avevano avuto dal Papa.
Anzi in quell`occasione, Paolo I consacrò Ermoaldo, primo abate di Leno, e questo singolare privilegio rimase per molto tempo agli abati lenesi.

Le relique dei due santi furono usate per la consacrazione del nuovo monastero, il 10 luglio dell`anno 760, alla cerimonia presenziarono 12 vescovi, re Desiderio, la moglie Ansa e il figlio Adelchi.
L`abbazia ebbe un tale sviluppo che la venuta a Leno dei monaci benettini segna la rinascita cristiana, economica e culturale della Bassa Bresciana, ma il suo dominio si stendeva oltre i confini della provincia. I documenti pervenutici citano tra i possedimenti dell`abbazia di Leno alcuni paesi posti sulla sponda occidentale del lago di Garda e cioè Salò, Maderno e Toscolano.
Si ricordano - soggette all`abate lenese - località in provincia di Cremona, Mantova, Bergamo, Milano, Torino e più oltre nell`Emilia e nella Toscana.

Si sa per certo che l`abbazia disponeva di case a Brescia, Verona e Pavia.
E` opportuno sottolineare l`importanza dei possedimenti che l`abate aveva nella zona di Comacchio, da dove faceva venire il sale, fonte non trascurabile di gettito fiscale e preziosissima materia di scambio.
In Toscana, l`abate esercitava il dominio sulla zona di Pontremoli dove controllava una importante via di transito, percependone il pedaggio, corrispondente all`attuale passo della Cisa. Inoltre l`abbazia aveva possedimenti sparsi un pò dovunque, perchè molti di coloro che si facevano frati cedevano le loro terre all`abate.
Le numerose donazioni a favore del cenobio lenese permisero all`abate di estendere la propria giurisdizione su un ingente patrimonio fondiario.

Per i privilegi concessi da imperatori, re e papi, il territorio del monastero divenne esente dalla riscossione delle imposte e non soggetto ai tribunali regi. Anzi, nel periodo di maggior splendore dell`abbazia, l`abate esercitava lui stesso atti sovrani, come l`amministrazione della bassa giustizia, che si interessava delle cause minori e comportava solo pene pecuniarie. Altro diritto esercitato dall`abate, fin dalla fondazione del monastero, era la riscossione delle cime: l`abate chiedeva solitamente una parte di tutto ciò che si produceva entro i confini dell`abbazia.
Per tutelare i possedimenti dell`abbazia, l`abate dovette istituire una propria milizia; ad essa, ad esempio, fu affidata la difesa della nostra zona durante le incursioni degli Ungari.

E` questo il periodo di maggior splendore del monastero di Leno: vengono avviati importanti lavori di bonifica, aperti ospizi per l`assistenza dei coloni e dei viandanti, costruite nuove chiese.
Nel cenobio operava un fiorente centro scrittoio, come testimonia un documento dell`800 ca. conservato nella Biblioteca Antoniana di Padova e da molti studiosi attribuito ad un monaco lenese.
Lo splendore dell`Abbazia lenese cominciò a declinare ben presto: ed i primi ad approfittarne furono alcuni signorotti, che a più riprese assalirono e saccheggiarono territori dell`abate; anzi un tale Raimondo s`impadronì della stessa abbazia.
A più riprese papi e imperatori interverranno a favore della Badia per contenerne il rapido e progressivo moto di disgregazione.

Con un suo privilegio, il pontefice Papa Gregorio VII, oltre a confermare i possessi e i diritti immunitari e giurisdizionali del monastero, riconosce all`abate la facoltà di disporre mercati, di costruire castelli, di istituire nuove chiese e di riscuotere le decime. Confermava poi al cenobio l`esenzione dal vescovo di Brescia e concedeva all`abate il diritto di rivolgersi a qualsiasi vescovo per la consacrazione degli oli sacri e del crisma, per l`ordinazione di nuovi monaci e per la consacrazione delle chiese.
Al vescovo di Brescia veniva negato di celebrare senza il beneplacito dell`abate ,nelle chiese poste entro il territorio abbaziale.
Per questi motivi, vi furono molti contrasti tra i due potenti signori ecclesiastici: il vescovo temeva infatti che intorno alla badia si potesse costituire una diocesi separata da Brescia.

Ad accelerare la rapida decadenza concorse l`incendio dell`abbazia nel 1135. Ricostruita - venne consacrata dal Papa Eugenio III nel 1148- l`abbazia venne di nuovo saccheggiata ed incendiata nel 1158, quando all`epoca della lotta tra i Comuni e il Barbarossa, le truppe imperiali invasero il territorio bresciano non risparmiando Leno.
Non valsero a ridare il perduto splendore all`abbazia la munificenza del Barbarossa, ospite a Leno da dove emanò sentenze per ripagarla della precedente distruzione e farle vincere le annose questioni giurisdizionali con il vescovo di Brescia, nè l`opera dell`abate Gonterio, che portò a termine la ricostruzione del complesso abbaziale. Anzi, tanto era diminuito il prestigio dell`abbazia, che agli inizi del XIII secolo (1205) Leno si ribellò e l`abate Onesto lo riconquistò con le armi. Col passar degli anni l`abbazia continuò a perdere l`importanza avuta nel passato.

L`esteso territorio venne sempre più riducendosi per le continue guerre e scorrerie che si susseguirono e partirono dal XII secolo.
Agli inizi del 1300 gli abati erano in lotta con gli uomini di Leno, che chiedevano all`autorità monastica maggiori autonomie; e un documento, di poco successivo, ci informa che il territorio e gli uomini di Leno sono sottomessi a Brescia, "non opponendosi gli abati".

L`abate Ottobono conte di Mirabello cercò di risollevare le sorti della Badia ottenendo da Venezia la giurisdizione sulla terra e sugli uomini di Leno, in cambio dell`aiuto fornitole nella lotta contro il Ducato di Milano (anno 1441).
Per l`abbazia era però arrivato il momento della fine ingloriosa. Bartolomeo Averoldi, ultimo abate lenese, cedette l`abbazia in commenda al cardinal Pietro Foscari, in cambio della sede vescovile di Spalato.
Gli abati commendatari non vennero mai ad abitare a Leno, nè cercarono di far rivivere la comunità monastica; lasciarono cadere i chiostri, le case coloniche e perfino la basilica monastica.
San Carlo Borromeo, nella visita da lui compiuta come legato apostolico, nel 1580, dispone che fossero rifatti la cappella maggiore e il soffitto della Chiesa, che fosse dipinta e che venisse livellato il pavimento.
Così per il disinteresse dei Commendatari, la celebre abbazia finì nello squallore più desolante; poiché tutto l`edificio, compresa la chiesa, minacciava di crollare, la Repubblica Veneta autorizzò la famiglia Dossi, che aveva acquistato il monastero e le terre, a demolirlo.

I monaci benedettini, da sempre considerati grandi bonificatori di aree paludose, quando giunsero a Leno non ebbero bisogno di intraprendere grandi opere di drenaggio. Infatti gran parte dell'area della Bassa Bresciana era già stata bonificata dai Romani, sicché si limitarono a prosciugare solamente esigue zone paludose.
L'enorme quantità dei terreni di proprietà del monastero di San Benedetto veniva ridistribuita ai contadini, che li lavoravano per conto degli abati, dando loro parte del raccolto (decima) che consisteva essenzialmente nel frumento; i fondi abbaziali erano organizzati in curtes, amministrate per conto di delegati laici oppure dai monaci stessi. Si praticava intensamente anche l'allevamento e la viticoltura, con la realizzazione di canali ad uso agricolo. Il disboscamento rese Leno un punto focale per il commercio del legname in tutto il circondario; le terre ottenute con il taglio dei boschi divennero nuovi campi coltivabili oppure pascoli per ovini e bovini, ma consistenti aree boschive vennero mantenute dal momento che queste rivestivano un'enorme importanza economica per attività come la caccia o l'allevamento dei suini, che necessitava di grandi quantità di ghiande. I lavori manuali e agricoli erano considerati attività per i servi, mentre i monaci si dedicavano per lo più a mansioni manageriali, culturali, assistenziali, religiose e al più artigianali. Vi erano infatti monaci che si dedicavano alla trascrizione dei codici nello scriptorium, all'istruzione degli oblati, alla cura dei malati e dei forestieri nello xenodochio e nell'ospedale, e frati artigiani come fabbri, calzolai, falegnami o cuochi.
Come monastero imperiale gli abati avevano importanti compiti nell'ambito dell'ordinamento pubblico per conto del sovrano, impegno ricompensato dall'imperatore stesso che garantiva la sicurezza e la quiete del complesso monastico.
Cospicuo, almeno fino a tutto il IX secolo, era il numero dei confratelli, superiori a un centinaio. Di questi almeno un terzo doveva essere costituito da fanciulli, i cosiddetti pueri oblati, affidati dai genitori all'abate affinché ne curasse l'istruzione e il sostentamento promettendo in cambio la presa dei voti minori del piccolo. Sembra confermata l'esistenza nel monastero di San Benedetto di Leno di una scuola per l'istruzione di questi fanciulli, ma dall'inizio del XII secolo l'oblazione dei fanciulli venne moderata e regolamentata e ciò si tradusse in un drastico calo del numero dei monaci lenesi.
I monaci ebbero a carico anche la cura pastorale dei loro possedimenti, come ben testimonia la lite per Gambara. Essi somministravano i sacramenti nelle chiese esterne di loro giurisdizione come quella lenese di San Giovanni o ad Ostiano e forse anche nella chiesa abbaziale. La comunità monastica di Leno e le sue dipendenze offrivano ricovero ai poveri e ai pellegrini, dato che trova riscontro nell'esistenza di un hospitale su due piani e di grandi dimensioni che ospitò, peraltro, un'assemblea giudiziaria presieduta da Federico Barbarossa nel 1185. Nel 1209 venne inoltre iniziata la costruzione di un ospedale per l'assistenza ai malati.


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