venerdì 26 giugno 2015

VIGGIU'

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Viggiù è un comune della provincia di Varese famoso per i suoi pompieri.
Le indagini storiografiche su Viggiù fanno pensare a due ipotesi circa la sua origine. L'una lo vedrebbe affondare le proprie radici nelle popolazioni orobiche dell'età protostorica, l'altra riterrebbe il paese fondato, probabilmente, da Giulio Cesare, da cui il nome romano Vicus Juli (vale a dire paese di Giulio), trasformatosi, con il passare del tempo, in Vicluvium, quindi Vigloeno, Vigue e alla fine Viggiù.

A sostegno della seconda tesi vi sono alcuni reperti archeologici, tra cui alcune lapidi ed un coperchio di sarcofago risalenti all'epoca romana, ritrovati sul colle San Martino, ed una tradizione orale, secondo la quale, la località Cascina Vidisello sarebbe stata costruita attorno alle rovine di un accampamento romano.

A caratterizzare la storia del paese, è stato soprattutto la presenza sul territorio di giacimenti di pietre e marmi di estrema facilità di lavorazione. La famosa "Pietra di Viggiù" era una delle tante pietre estratte dalle colline limitrofe. Essa veniva utilizzata come materiale da costruzione e da decorazione ed in passato portò il territorio ad essere un luogo di grande importanza artistica. Sullo sfruttamento delle cave si organizzò l'intera economia locale, fin dal Medioevo. Alcune conseguenze sarebbero state, in estrema sintesi, da un punto di vista sociale la formazione su base familiare di maestranze specializzate nell'estrazione e nella lavorazione dei materiali lapidei e, sotto il profilo geografico, la strutturazione del territorio in terrazzamenti, onde conciliare l'attività estrattiva con quella agricola.

Artigiani prima, poi anche abili artisti e creatori, i viggiutesi, anche utilizzando la loro pietra locale, si fecero presto conoscere in tuta la penisola. Si pensi che già dal XII secolo, gli artisti viggiutesi facevano parte della Confraternita dei Maestri Comacini. Dal 1500 sino alla metà del Seicento, vere e proprie colonie di "artieri" viggiutesi erano presenti a Roma per pregevoli esecuzioni artistiche ed architettoniche.

Fra i principali artisti si ricordano i Butti, i Giudici, i Longhi, i Piatti, gli Argenti ed i Galli. Una vera e propria schiera di personaggi che diedero fama a Viggiù come Paese degli Artisti. Il primo Consiglio comunale fu eletto nel 1823. I borghi di Clivio e Saltrio gli furono temporaneamente annessi da Napoleone e Mussolini.

Numerosi sono i tesori di Viggiù. Fra essi da ricordare il centro storico, unico nel suo genere, caratterizzato dalle tipiche case a corte, con ingressi ornati da artistici portali in pietra, in cui trovavano spazio i laboratori degli scalpellini.
All’ingresso del paese, il museo Enrico Butti che raccoglie le opere dell’insigne scultore viggiutese, uno tra i massimi protagonisti della scultura italiana tra ‘800 e ‘900. Posta su una collina, all’interno di uno splendido parco la gipsoteca fu voluta dallo stesso Butti. Nel medesimo contesto si trovano oltre alla Casa-Studio dello scultore, il Museo degli Artisti viggiutesi del Novecento.
Nel cuore del paese c’è, in una graziosa cornice di verde, Villa Borromeo, elegante edificio tardo-neoclassico, meta ideale per escursioni quotidiane. Nel giardino hanno collocazione sia la scuderia, oggi sede del museo dei Picasass che l’orangerie, adibita a sede del Museo della scultura viggiutese dell’Ottocento.

Il centro storico è caratterizzato da numerosissimi portali realizzati in pietra di Viggiù, i quali davano accesso alle caratteristiche corti, in cui si svolgeva la vita e l’attività della comunità viggiutese. Di particolare rilievo è il portale seicentesco della casa che fu della famiglia Marinoni.,al n. 23 di via Roma. Portale di forma semplice, ma allo stesso tempo, ricchissima. L’arco, appoggiato su due piedritti d’imposta è dolcemente curvato e serpeggiante nel tipico stile barocco. Ove spicca la chiave di volta, ornata da fogliame, in cui viene riprodotto il monogramma di Cristo associato all’iniziale del cognome della nobile famiglia. Nel fregio dell’arco, con arte finissima, sono raffigurate scene di caccia al cervo con cacciatori a cavallo che seguono i guida cani. Oltre alla caccia descritta si vede, nascosta tra le foglie dell’arco, una  vipera che insidia un usignolo, un topolino che rosicchia una castagna ed una cinciallegra che becca una ciliegia.
Percorrendo le vie del paese, si possono visitare: la Chiesa di San Martino, con l’elegante portale e la semplice struttura, la Chiesa del Rosario, arricchita da dipinti del pittore viggiutese Carlo Maria Giudici, la Chiesa parrocchiale di Santo Stefano Protomartire, con l’imponente campanile di Martino Longhi il Vecchio e decorata da opere di Luigi Bottinelli, Guido Butti, Elia Vincenzo Buzzi ed altri, ed ancora, la Chiesa di Santa Maria Nascente detta “della Madonnina”, edificata nel 1718, la Chiesa della Madonna della Croce, con la facciata in stile bramantesco, al cui interno si trovano opere di diversi artisti viggiutesi. Fuori dall’abitato, sulla sommità di un colle, la Chiesa dedicata a Sant’Elia.
Nella frazione di Baraggia è possibile visitare la Chiesa San Giuseppe, con dipinti di Antonio Piatti e la Chiesa di San Siro nel cui coro si possono ammirare affreschi cinquecenteschi.

Numerose sono le chiese arricchite dalle opere degli artisti locali. Nel cuore del paese, in una graziosa cornice di verde, Villa Borromeo (di proprietà comunale), elegante edificio tardo-neoclassico, meta ideale per le escursioni quotidiane dei viggiutesi. La villa, con pianta a "C" è aperta con un cortile rivolto verso via Roma; tale delimitazione è ottenuta mediante un leggero colonnato che, nella parte centrale, rientra, formando una specie di esedra, così da facilitare la veduta e la sosta. La parte dell'edificio prospettante verso il parco ha un disegno molto lineare; l'ingresso principale è arricchito da un austero porticato, sorretto da pesanti colonne tuscaniche. Nel giardino ha collocazione la scuderia, dalla pianta circolare, decorata lungo le pareti da teste equine in terracotta (oggi sede del Museo dei Picasass); oltre a questo edificio, sono visibili le testimonianze dell'antica orangerie, dal 2007 sede del Museo della Scultura viggiutese dell'Ottocento che espone opere di: Angelo Bottinelli, Antonio Bottinelli, Luigi Buzzi Leone, Giuseppe Buzzi Leone, Antonio Argenti, Giosuè Argenti. La villa attualmente è utilizzata per esposizioni artistiche estemporanee, organizzate nel periodo estivo.

Sicuramente da visitare anche il complesso del Museo Enrico Butti che è composto da diverse collezioni di opere dei famosi scultori viggiutesi quali Enrico Butti, Giacomo Buzzi Reschini, Nando Conti, Luigi Bottinelli, Vincenzo Cattò, Gottardo Freschetti ed Ettore Cedraschi.

Infine merita una visita la Cascina Vidisello, che si trova sulla sommità di un piccolo rilievo e che è caratterizzata da terrazzamenti coltivati. Sembra che tale struttura sia sorta sopra i resti di un antico accampamento romano e risulta censita nel Catasto di Maria Teresa d'Austria. Di proprietà della famiglia Buzzi, l'attuale struttura presenta una tipologia ad "U", con corte interna, dove dominano alcuni porticati e loggiati che sono a testimonianza del suo specifico legame con le attività agricole. Belli gli affreschi decorativi sulle pareti del porticato inferiore.

La pietra di Viggiù è una fine arenaria (pietra calcarea) di colore grigio paglierino estratta dalle cave della Val Ceresio in provincia di Varese, nei pressi del paese. La pietra è stata indicata in passato con numerose e diverse definizioni dai geologi, ma era comunemente suddivisa dai viggiutesi in pietra piombina, la più resistente e adatta all'edilizia, pietra grigia e rossetta, per ornati, e pietra gentile, per rivestimenti. Questo materiale era preferito dagli scultori perché gelivo, duttile allo scalpello e resistente nel corso degli anni, e ben si prestava a fini esecuzioni decorative.

Le cave della Val Ceresio fornivano ai lapicidi locali molte altre varietà di pietra rustica: a Saltrio ad esempio era reperibile la pietra bianco bigia, per vasche da bagno, esportata in tutta l’Italia settentrionale, la pietra cinerina, per decorazioni, e la pietra nera, per monumenti sepolcrali; ad Arzo il pregiato marmo omonimo, rosso o bel ghiaccio, per la realizzazione di arredi di interno; a Brenno la pietra grigia omonima sfruttata nel corso dell’intero Ottocento per la decorazione di prestigiosi sedi pubbliche private milanesi e piemontesi, “che si presta tanto per gli usi più umili della vita, come per effigiarvi il Garibaldino del Monumento dei Cacciatori delle Alpi, a Varese, ed il cavallo marino di Vincenzo Vela, che si ammira alla Veneria, presso Torino” (Zanzi, 1891).

L'estrazione della pietra rappresenta il primo momento dell'attività dei picasass.
La pietra estratta nel territorio viggiutese è di varie qualità: appartengono al Lias inferiore la Calcarenite Oolitica a grana fine bigia e rosetta e la Calcarenite a grana grossa con l'Arenaria. Le predette si trovano in tutte le cave, mentre, la gentile, Calcarenite finissima e la Piombina, calcare compatto, si trovano solo nelle cave di Piamo.
Il Fior di Sant'Elia, calcare marnoso dalle tonalità molto delicate e di pregio, è simile al Calcare roseo d'Arzo, sulle pendici a Sud-Est del monte stesso.
Sotto il paese, verso Ovest, nelle zone denominate Val di Borgo, Valera, Piamo, Tassera vi è questa imponente massa di arenaria che fornì la ricchezza del borgo, alimentando l'antica industria.
Sono territori di bellezza bizzarra e pittoresca: i viggiutesi vi hanno lasciato in piedi massi, tagliati in forma di gran pilastri quadrati, i quali hanno l'aspetto di un grande porticato. All'interno di tali formazioni, gli scalpellini lavoravano protetti dalle intemperie.

Il Colle di S. Elia è la meta preferita sia dai locali sia dai villeggianti, con l'omonima chiesetta.
Si possono visitare le trincee del massiccio Orsa-Pravello che furono costruite per  esigenze di difesa del territorio nazionale da un possibile attacco tedesco, che avrebbe potuto esser messo in atto attraversando il territorio della Confederazione Elvetica, negli anni del primo conflitto mondiale, venne realizzata una fitta serie di camminamenti, cunicoli e postazioni per batterie di mitragliatrici e cannoni lungo il versante Nord del massiccio Orsa-Pravello.
Oggi queste posizioni di difesa sono utile contributo per il gitante domenicale o l'appassionato camminatore che, seguendone i percorsi, può avere un interessante colpo d'occhio verso la Svizzera ed il lago Ceresio.
Seguendo l'andamento sinuoso del sistema difensivo si può percorrere un tragitto lungo il crinale del massiccio, partendo dalla cima del monte Orsa per arrivare sino alla cima del monte Pravello. A tal scopo, si consiglia di percorrere l'itinerario N.2 della Valceresio.
Dal 2010, il massiccio Orsa-Pravello, per la rilevanza dei giacimenti fossiliferi e paleontologici, fa parte del patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
Altre escursioni nel territorio viggiutese sono dirette verso la valle della Bevera, una vera "fetta di mondo perduto", per gli alti valori naturalistici di questo lembo di territorio del Varesotto ancora integro.
Le cave di pietra di Viggiù, attualmente non più attive, presenti un po' ovunque nel cuore delle circostanti colline, sono uno splendido esempio di architettura industriale, per la loro audace composizione a trincea interrata.

Tra le manifestazioni più caratteristiche ritroviamo il Palio dei Rioni che si svolge nel mese di giugno. Il palio vive ormai da diversi decenni e continua ad essere parte integrante della tradizione di Viggiù, Saltrio e Clivio. La celebrazione della Festa patronale di Santo Stefano, con bancarelle nelle vie del centro storico e spettacolo pirotecnico nella cornice della Valceresio generalmente si tiene la seconda domenica del mese di luglio, anche se la cadenza da considerare sarebbe quella del 3 agosto. Il 3 agosto, infatti, è il giorno nel quale si ricorda il ritrovamento delle ossa di Santo Stefano che normalmente viene festeggiato il 26 dicembre. La quarta domenica di settembre si svolge la manifestazione “Pittori e scultori nei cortili” che trasforma i cortili del centro storico in vere e proprie gallerie d’arte all’aperto.
A Baraggia, il 17 gennaio, si svolge la tradizionale Festa patronale di S. Antonio Abate. In tale occasione si allestiscono bancarelle lungo via Indipendenza e vengono sfornati i tradizionali pani benedetti di S. Antonio. Immancabile il tradizionale falò.

Il Palio dei rioni, nato per iniziativa delle associazioni sportive locali e dei fondatori dei vari rioni tra cui ricordiamo il cliviese Dott. Amerigo Monti, comunemente chiamato "Meco", milanese d'origine e cliviese di adozione che svolse la sua attività di medico condotto sino a metà degli anni '70.

Il Dott. Monti, appassionato vernacoliere, alla fine degli anni' 60 fu uno tra i sostenitori dell'idea di creare un torneo di gare che, nel periodo estivo unisse agonisticamente i paesi di Viggiù, Saltrio e Clivio. La manifestazione si svolgeva sotto l'egida e con il patrocinio dell’Azienda Autonoma di Soggiorno di Viggiù Saltrio e Clivio e la collaborazione delle società sportive locali.            

La prima edizione del 1969 vide scendere in campo 8 rioni, che traevano i loro nomi dagli antichi toponimi che caratterizzavano le diverse località e suddividevano i consensi dei tre paesi: Viggiù era suddivisa in 4 rioni: Brusolino (colori sociali verde e nero), Cantonaccio (colori sociali: giallo e blu), Carobi (colori sociali: bianco e rosso) e Corgnana (colori sociali: bianco e azzurro);  a Baraggia c'era il rione San Siro (colori sociali rosso e nero), Saltrio era suddivisa tra il rioni Val da Gromm (colori sociali: nero e bianco) e Valmegia (colori sociali: bianco e nero) mentre Clivio era formata da un solo rione denominato Stalett (colore sociale: giallo).

La competizione estiva generalmente veniva iniziava con una serata d'apertura ricca di eventi che, all’inizio, si svolgeva lungo le vie di Viggiù per concludersi nella vecchia piazza mercato, oggi denominata piazza Artisti Viggiutesi.

Mentre i componenti vestivano e sfilavano con i colori che contraddistinguevano i rioni, un piccolo gruppo vestiva i panni di antiche dame e cavalieri. La sfilata era allietata da rinomati gruppi di animazione tra cui ricordiamo gli sbandieratori astigiani "Gli amìs de la pera", trampolieri di Bergamo, la fanfara dei Bersaglieri in congedo di Varese, le Majorettes di Oleggio e molte altre animazioni d'eccezione.

La kermesse era animata dagli indimenticabili Pierino Fontana, Giacomo Lagravinese e Gottardo Ortelli, Presidente dell'Azienda Autonoma, che a questa manifestazione hanno donato il loro cuore. In alcune occasioni venivano convocate attrazioni d'eccezione: Ettore Andenna, Nanni Svampa, il sassofonista Viggitese Fausto Papetti, Orietta Berti e Little Tony che facevano di questa manifestazione un evento veramente unico.

Le gare si svolgevano nei tre paesi: a Viggiù, nel vecchio campo sportivo di via Turconi, venivano disputate le gare d'atletica che a partire dalla metà degli anni '70 si svolsero nel campo sportivo di Clivio. La corsa ciclistica femminile si dipanava lungo un circuito che abbracciava le strade del centro, animate da un folto pubblico di sfegatati spettatori. Oltre a queste gare si svolgeva anche la tradizionale staffetta di S. Elia che, ancora oggi, rappresenta il cuore della manifestazione.

A Saltrio, si svolgeva l'animato torneo di calcio che tra tifosi sfegatati vedeva contrapporsi le squadre degli otto rioni.

La manifestazione si concludeva la domenica pomeriggio con la tradizionale corsa degli asini che vedeva contrapporsi i vari rioni lungo un percorso che si dipanava tra le vie del cuore di Viggiù; la sera dello stesso giorno aveva luogo anche la sfilata finale con la consegna del palio al rione vincitore.

La manifestazione proseguì ininterrottamente sino al 1981 quando la magia della kermesse, per varie incomprensioni, si interruppe.

A fine degli anni 80 il Palio rinacque con il nome Walzer dei rioni ma vide il numero dei rioni parzialmente ridotto: Viggiù si divideva in due sole parti i Crusitt (colori sociali blu e rosso) e i Madunit (Colori sociali bianco e verde) e traevano i loro nomi dalle due chiese del paese.

Bisogna arrivare all’anno 2000 affinché si ritorni all’originale denominazione  della rassegna: Palio dei Rioni e, in quest’occasione,  anche i rioni di Saltrio, vennero raggruppati per formare il nuovo rione San Giorgio (colori sociali bianco e nero) che trae il suo nome dall'antica chiesa di San Giorgio.

Il palio conserva e ripropone le sue gare tradizionali e arricchisce l'offerta sempre di nuove competizioni tra cui ricordiamo la camminata dei rioni che vede partecipare, ad ogni edizione 2-3000 cittadini che con la loro folta presenza fanno vincere il rione che annovera il più alto numero di partecipanti. Ogni anno il Comitato Palio di Rioni cura la stampa di un libretto, realizzato grazie al contributo degli sponsor locali, che illustra le varie discipline del palio e racconta, attraverso le immagini d’archivio, le storie delle precedenti edizioni.

Tra i personaggi da ricordare: Rosetta del Bosco presidente del rione Carobi che portò per ben due volte alla vittoria dell’ambito gagliardetto, Ughetto Roncoroni instancabile animatore del rione Brusolino e del Viggiù Calcio, Giovanni Sodano, presidente del rione Cantonaccio e Franco Danzi del rione Corganana, nel cui ricordo viene ancora oggi disputata la staffetta di Sant’Elia e tra le atlete, la mitica “Pallino” protagonista di tutte le competizioni ciclistiche femminili e tantissimi altri che hanno reso indimenticabile questa manifestazione.



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