mercoledì 8 luglio 2015

GLI SCALPELLINI DI BRAONE



La pietra preminente da lavorazione  è il granito dell’Adamello sia perché più resistente e compatta sia perché più abbondante sul territorio.
Infatti nella storia di Braone due sono stati i luoghi che hanno fornito in abbondanza la materia prima:l’alveo del torrente Palobbia e la località di Piazze.
Agli abitanti del piccolo villaggio di origine basso-medioevale,sorto vicino al torrente per ovvie ragioni legate all’agricoltura e all’artigianato(mulini e fucine),il depositarsi continuo sull’alveo di grandi e piccoli sassi di granito  diede l’opportunità,sia pur nella disgrazia delle alluvioni, di aver a disposizione abbondante materia prima che portava lavoro e benessere. Infatti,non a caso,  proprio durante il Rinascimento quando l’economia  era fiorente in tutte le regioni italiane anche Braone usufruì del momento favorevole e ne sono testimoni i  numerosi e pregevoli portali per le corti.

Fino al XX° secolo le numerose alluvioni del torrente, pur terribili e devastanti,  hanno procurato la fonte rinnovabile di materia prima per gli scalpellini facendo rotolare a valle enormi massi di granito provenienti dal monte Listino e dalla Val Paghera di Ceto e dalle Foppe di Braone.
All’inizio del ‘900 vuoi per la crescente richiesta del mercato vuoi per la mancanza di forti alluvioni, gli spaccapietre si trasferirono nella località di Piazze dove vi erano numerosi trovanti e una grande parete di granito che poi diventerà cava. Quindi tra l’inizio del secolo scorso e gli anni 70 gli scalpellini ebbero lavoro soprattutto considerando le grosse commissioni della prima metà del secolo quando furono ordinati numerosi blocchi e copertine per i muri e i ponti della linea ferroviaria,per il canale  e le briglie e le centrali delle società elettriche,per lastricare piazza Vittoria di Brescia,per costruire le fontane commemorative del paese ecc. Basti ricordare  i cordoli,i pilastri,le mensole, i paracarri, i gradini, i caminetti,i pali della vite ecc.
Negli anni in cui l’economia italiana è passata da agricola-artigianale ad industriale (anni ’60-70) la domanda di manufatti di pietra crollò perché subentrarono,soprattutto nell’edilizia,nuovi e meno costosi materiali(laterizi, ferro,plastica ecc.).Per questo motivo,come in  vari altri settori produttivi, anche nell’artigianato della pietra non ci fu il ricambio generazionale perché i giovani apprendisti preferirono la condizione più sicura  e remunerativa delle fabbriche.
Tuttavia ancora oggi a Braone, a Ceto e a  Niardo sono ancora attive quattro ditte  con una decina di addetti anche giovani,che producono soprattutto blocchi lavorati per l’edilizia anche se alcuni non disdegnano, su commissione, di creare opere di un certo pregio artistico ricavando, da grosse pietre, fontane, caminetti, statue e sculture varie per monumenti ecc.
Se il lavoro dello scalpellino, visto superficialmente,può sembrare sì faticoso ma di facile apprendimento, è tuttavia necessario convenire che vi sono dei passaggi che prevedono l’uso del cervello e dell’esperienza. Infatti basti pensare all’abilità nel muovere pietre anche di alcuni quintali con semplici strumenti come la leva,allo studio della pietra per la ricerca della vena per tagliarla con facilità e in modo appropriato al suo utilizzo, all’intuizione nello scorgere dentro un masso l’oggetto di una scultura o semplicemente all’intelligenza nel costruire i manufatti progettati.
Ovviamente,oltre agli strumenti tradizionali come il mazzotto e lo scalpello, oggi per sgrossare, per spaccare e rifinire il granito si utilizzano mezzi moderni come trapani,scalpelli pneumatici, trance ecc. che riducono notevolmente  la fatica e i tempi di lavoro.

Non sono stati trovati documenti che possano informarci circa l’inizio del lavoro degli scalpellini nel territorio di Braone e nemmeno quando può risalire la loro presenza nella località di Piazze, luogo appunto dove vi è abbondanza di granito dell’Adamello.
Se in paese sono ancora ben visibili numerosi portali, molte fontane e pietre d’angolo di granito ben lavorato che testimoniano con le loro date rinascimentali la presenza in loco di scalpellini (pica préde) almeno 600 anni or sono, in Piazze, sebbene si possa ipotizzare che le cascine colà costruite possono risalire all’800, le uniche date scolpite nella pietra sono quelle della “Villa Gheza” che presenta numerosi e pregevoli manufatti in granito (spallette, cappelli, gradini, colonne ecc.).
Probabilmente la lontananza di Piazze, le difficoltà del trasporto, la modesta richiesta del mercato e soprattutto l’abbondanza di massi portati a valle dalle frequenti alluvioni del torrente Pallobia non hanno mai lusingato gli scalpellini a sfruttare i trovanti e la cava della località montana.Infatti, anche quando, durante la costruzione della ferrovia valligiana, vi fu la richiesta di molti blocchi di pietra lavorata(sassi squadrati e copertine per muri), questi furono ricavati dai massi reperiti nel torrente in località Vibio .
Pertanto si può ipotizzare che l’attività vera e propria del “picaprede” sia cominciata all’inizio del’900 con il taglio e la lavorazione dei trovanti staccatisi naturalmente dalla cava (roccia verticale ancora visibile nel bosco sopra Piazze a est-sud-est. Questa supposizione si basa sul fatto che tutto il territorio di detta località è costellato di massi che presentano i segni ben visibili lasciati dalle punte di ferro che indicano il loro utilizzo in parte o il loro abbandono.

Tra il 1923 e il 1940 dalla cava fu staccata l’”anca”, che era una grossa fetta di roccia appena appiccicata alla parete verticale.Il rotolamento dell’anca giù per la costa provocò un notevole danno perché al suo passaggio oltre all’abetaia sottostante distrusse diverse pietre già lavorate. Questa finì sul piano dove ora c’è la strada di accesso al “ bàit del gòp” e dove si vedono ancora i resti del “barachi’ dela forgia”,casello in cui si  lavoravano le punte; (dentro vi erano: la forgia per arroventare gli scalpelli spuntati, l’incudine per rifare le punte e la vaschetta in granito per temprarle).

Le pietre lavorate venivano trasportate con i carri, utilizzando la strada montana di Braone, fino ai luoghi di destinazione, mentre quelle grezze erano portate al Badetto: alcune al piazzale dell’osteria altre al piano caricatore della ferrovia per essere lavorate e quindi caricate sul treno.(I carri vuoti, al ritorno in Piazze, percorrevano la strada della Valpaghera perché meno ripida e più comoda e,all’altezza di Faét,prendevano il Biàl Nof passando il torrente Pallobia su un ponticello di legno.
In questo periodo l’attività fu intensa e si ricorda che,con le pietre di Piazze, sono stati costruiti i pezzi di pregevole fattura che compongono le quattro fontane commemorative(datate 1923) ancora presenti nel centro storico di Braone .La loro realizzazione fu possibile in quanto il fiduciario della allora frazione del comune di Breno Prandini Pietro, capo della squadra di scalpellini che lavoravano nella località montana,ottenne il contributo dal podestà. Si suppone che i massi delle fontane, essendo di notevoli dimensioni , fossero trasportate in paese già lavorate ovviamente perché meno pesanti.
Inoltre sempre in quegli anni il Fascismo a Brescia stava costruendo Piazza Vittoria per cui anche agli scalpellini di Braone furono commissionati blocchi di cm 50 di larghezza e di cm 14 di spessore(la lunghezza non aveva misura).Inoltre si tramanda che con le pietre di Braone fu costruito pure un monumento a Coccaglio.
 
Dopo la seconda guerra mondiale e precisamente nel 1955 in Piazze fu ripreso il lavoro nella zona della cava, però più a monte , e fu allestita ,con 5-6 grandi tralicci di legno, una lunga e robusta teleferica che collegava il sito della cava con la strada della Valpaghera di Ceto. Inoltre si posizionarono due rotaie di trenta-quaranta metri sulle quali scorrevano due vagoncini(piattine) per portare i blocchi fino alla piazzuola della teleferica per poi farli scendere alla strada percorsa dal camion di Pippo,che trasportava i manufatti al Badetto.L’attività durò fino al 1968.

Negli anni 70 si smantellò la teleferica e si interruppe il lavoro.

In questi ultimi anni tuttavia il lavoro dello scalpellino,anche se con mezzi più moderni,sembra in ripresa e si contano almeno dieci addetti a Braone, Ceto e a Niardo.



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