sabato 25 luglio 2015

IL SACRO MONTE DI CERVENO



Cerveno è una località della Val Camonica, ai piedi del massiccio montuoso di natura dolomitica della Concarena. La parte più antica del paese ha mantenuto un aspetto tipicamente medioevale con i suoi stretti vicoli, gli ampi archivolti di accesso alle corti, i due mulini ad acqua, le numerose fontane. In questo scenario, ogni dieci anni, prende vita la Sacra rappresentazione della Santa Crus.
L'intera popolazione di Cerveno celebra la memoria della passione di Cristo con un corteo di personaggi in costume ispirati ai riti processionali ed alle sculture di Beniamino Simoni raffigurati nelle cappelle del Santuario della Via Crucis. E' come se i personaggi raffigurati nel percorso devozionale interno alla chiesa, improvvisamente si animassero per lasciare il santuario e percorrere tutto il paese insieme ad una moltitudine di pellegrini.
La particolare data di svolgimento della manifestazione, che non avviene durante la Settimana Santa ma nel mese di maggio, è legata alla festa dell'Invenzione della Croce" che cadeva il 3 maggio prima della Riforma liturgica. La prima edizione documentata della Santa Crus risale al 1894; interrotta nel 1933 fu ripresa dopo la guerra e, dal 1972, si svolge con regolarità rispettando la cadenza decennale.

La preparazione dell'avvenimento comporta mesi e mesi di lavoro per gli abitanti di Cerveno, impegnati oltre che come figuranti, nella realizzazione artigianale dei costumi e dei particolari addobbi ottenuti con rami di abete ed innumerevoli fiori di carta di incredibile varietà e perfezione che abbelliscono ogni portone e finestra del paese. Numerosissime le persone che, per curiosità o pratica devozionale, si radunano nei luoghi delle diverse stazioni della Via Crucis e si uniscono al corteo fino a raggiungere, in alto, sul pendio della montagna , la radura in cui avviene la Crocifissione. Il momento è molto intenso: le tre croci si stagliano all'orizzonte dominato dalla sagoma irregolare della Concarena. La mestizia dei canti ed il profondo silenzio degli astanti sottolineano la tragicità dell'evento.
Dopo la deposizione di Gesù, l'urna con la scultura del Cristo deposto, dal Cimitero viene riportata in processione all'interno della chiesa parrocchiale in cui è normalmente custodita.
Il Cristo deposto è una pregevole opera scultorea di Andrea Fantoni di cui la Parrocchiale, dedicata a S. Martino di Tours, conserva numerose opere realizzate dall'artista stesso e dalla sua bottega tra il 1700 e il 1729. Oltre che alla loro presenza, l'eccezionale valore artistico e devozionale di questa chiesa deriva dal fatto di costituire un unico complesso monumentale che comprende l'Oratorio della Madonna del Carmine, ornata da affreschi del XV e XVI secolo, ed il Santuario della Via Crucis.
Quest'ultimo, meta continua di pellegrinaggio, è un singolare esempio di Sacro Monte interamente dedicato alla Passione di Cristo. Il percorso devozionale, articolato in quattordici stazioni che ripercorrono il viaggio di Gesù dal pretorio di Pilato al Monte Calvario, si snoda ai lati di una Scala Santa che sembra trovare ideale collocazione tra le cime delle montagne circostanti. Da una lato la Concarena, dall'altro il Pizzo Badile con il quale l'edificio del Santuario è disposto perfettamente in asse.

Il meno conosciuto, ma forse il più straziante dei Sacri Monti alpini. Con le sue 14 cappelle animate da quasi 200 statue a dimensione naturale che rievocano gli episodi della Via Crucis come su un palcoscenico dove il pubblico è libero di muoversi e commuoversi, quello di Cerveno, in Val Camonica, è un santuario dove l'arte fa davvero miracoli. Merito dello scultore bresciano Beniamino Simoni (1712-1787) che a metà del Settecento completò il suo capolavoro di intaglio dedicato alle stazioni del Calvario, inno alla fede ma anche al realismo della rappresentazione. Tanto da aver messo in ginocchio Giovanni Testori che lo scoprì fra i primi nella sua caccia appassionata ai "gran teatri montani", come definì le succursali alpine dei luoghi sacri della Terra Santa, e celebrò Cerveno in un testo storico lodandone «l'urto e la concretezza» in quel «accumulo di teste e di "crape" che sporgon giù, come sassi e pietre, dal balcone dell'Incoronazione di spine».

Molto è stato detto e da critici d’arte famosi, sulle 198 statue, scolpite in legno, ricoperte di stucco e dipinte, che costarono una fortuna ai poveri abitanti di Cerveno. Di certo non si esce dal santuario senza aver provato forti emozioni sia spirituali che artistiche. Il Cristo è al centro d’ogni stazione: il suo volto è del tutto spirituale, lontano, quasi non fosse partecipe della violenza e della ferocia che si scatenano tutt’intorno. È come se accettasse ciò che inevitabilmente gli deve succedere. Il suo corpo, di contrasto, è forte e giovane, richiama la vita non la morte. I volti delle donne sono di pena sgomenta, d’angoscia intima e profonda, con urla nella gola. Le facce dei carnefici e dei soldati romani esprimono crudeltà e rancore: l’atteggiamento dei loro corpi si adegua perfettamente ai sentimenti espressi dal loro viso. Ma occorre capire da soli perché i sentimenti e le emozioni cambiano secondo il tuo stato d’animo. È difficile in questo caso mantenersi equilibrati nel giudizio estetico.

Il Santuario della Via Crucis è notissimo in tutta la zona e meta di pellegrinaggi da ogni parte della valle; consiste in una sorta di galleria a gradoni in salita, eretta a lato della parrocchiale, sui due fianchi della quale si aprono quattordici cappelle-stazioni, capolavoro dell'intaglio ligneo nel '700. Le cappelle, raccolte ai lati di una scalinata, custodiscono un unico edificio la cui facciata dà sulla piccola piazza di Cerveno.

Le stazioni VIII -IX - X sono state completate dai nipoti del Fantoni, mentre la XIV è dell'artista milanese Selleroni (quella originale del Simoni è conservata nel Duomo di Breno). Gli affreschi alle pareti sono dello Scotti e dei fratelli Corbellini. L'entrata abituale al Santuario avviene attraverso la porta principale della chiesa parrocchiale, che si apre di fronte alla prima cappella; la altre stazioni seguono sul muro settentrionale in discesa e poi risalgono sul lato opposto fino alla grande cappella della Deposizione, situata sul fondo dell'edificio stesso. La quattordicesima stazione finì in una cappella privata di Breno e si trova oggi in Duomo, quella che occupa il suo posto nel santuario fu realizzata nel 1869 dal milanese Selleroni. Gli affreschi alle pareti sono dello Scotti e del Corbellini.

La prima stazione della Via Crucis non si trova accanto alla porta d'ingresso del Santuario ma nella parte alta della Scala, vicina all'ingresso interno della chiesa parrocchiale. Discesi fino alla VII stazione dove Gesù cade per la seconda volta, si incomincia a salire verso l'ultima cappella in cui è rappresentato Gesù posto nel sepolcro.
Ideatore di questa monumentale Via Crucis fu don Pietro Bellotti da Villa d'Allegno, parroco di Cerveno dal 1692 al 1732 che fu anche promotore delle principali opere d'arte della Parrocchiale.
Il suo progetto, condiviso dalla popolazione, prevedeva la realizzazione di tutte le Cappelle presso la chiesa parrocchiale contrariamente a quanto proposto da Andrea Fantoni a cui, pare, ci si fosse rivolti in un primo tempo per la realizzazione dell'opera. Dopo la morte del Fantoni, il nuovo parroco, don Andrea Boldini di Saviore si affidò al bresciano Beniamino Simoni , eccellente artista del legno e dello stucco che, per realizzare l'incarico assegnato, soggiornò a Cerveno per circa undici anni.
La fabbrica delle cappelle della Via Crucis iniziò il 1 gennaio 1752 essendo parroco don Giovanni Gualeni da Lovere che vide completata l'opera dal suo successore don Bartolomeo Bressanelli di Sellero.
A Beniamino Simoni sono da attribuire la maggior parte delle 198 statue a grandezza naturale in legno e stucco che popolano le cappelle, figure che ricordano visi e costumi della popolazione locale. L'VIII, la IX e la X stazione sono invece da attribuire alla scuola di Andrea Fantoni mentre la XIV venne realizzata nel secolo successivo.
Per la costruzione delle cappelle furono chiamati tre capimastri e numerosi operai; per le decorazioni delle architravi, dell'interno delle cappelle e della galleria di accesso prestarono la poro opera i pittori Bernardino Albrici di Scalve, Paolo Corbellini di Laino della Val d'Intelvi e Giosuè Scotti.
L'ingente impegno economico per la realizzazione della Via Crucis fu sostenuto dalle generose offerte della popolazione di Cerveno, della Valcamonica, della Valtellina e del Bergamasco. Per regolarizzare la raccolta delle offerte fu anche nominata una persona addetta a questo compito chiamata " romito de le capele de Servè".
Nel 1763 il parroco don Bressanelli si rivolse ai Fratelli Fantoni perché completassero le parti non ultimate dal Simoni; la nota dettagliata delle spese di completamento dell'opera è minuziosamente descritta nel registro dei conti della Parrocchia di Cerveno.
L'inaugurazione della Via Crucis avvenne nel 1783; nella XIV cappella, non completata, venne collocato il "Cristo Deposto" realizzato nel 1709 da Andrea Fantoni per la Parrocchiale. Circa cento anni dopo, nel 1869, fu scolpito dal milanese Giovanni Selleroni il gruppo di statue che rappresentano Gesù posto nel sepolcro. La realizzazione della nuova cappella comportò la trasformazione dello spazio originario e la perdita dell'affresco di Corbellini raffigurante la Resurrezione.
Alcuni studiosi ipotizzano che il gruppo del Compianto di Beniamino Simoni, collocato nella chiesa di S. Maurizio di Breno, possa considerarsi la conclusione ideale ed artistica della Via Crucis di Cerveno. Forse l'artista realizzò quest'opera proprio per la XIV cappella.

Alla scelta dell’artista non è forse estranea una possibile ascendenza ebraica, ascendenza che comunque si può solo intuire dal nome e dal cognome-patronimico: Beniamino figlio - o discendente di Simone. Dunque il messaggio è chiarissimo: coloro che hanno crocifisso Cristo, che lo crocifiggono ogni giorno sono i contadini stessi che guardano le cappelle. Sono loro, con la loro fisionomia e i loro strumenti che crocifiggono un uomo “con quella professionale attenzione necessaria per la perfetta esecuzione del lavoro, senza turbarsi troppo, come se quello fosse un lavoro di tutti i giorni” (Frandi - Cagnoni, 1969, p. 144). Dunque il contadino-spettatore deve interiorizzare la colpa e sperare nella salvezza seguendo i dettami dell’autorità costituita (religiosa e politica), quella stessa che ha fatto erigere la monumentale via crucis. Il carattere persuasorio dell’insieme dell’opera è dimostrato anche dal fatto che le cappelle sono disposte in maniera tale che esiste un punto di osservazione privilegiato e in qualche modo obbligato come, secondo le indicazioni di Eugenio Battisti (Battisti, 1983, p. 14) accade anche nei vari sacri monti: bisogna passivamente osservare quello che i committenti vogliono che lo spettatore osservi e nel modo in cui essi hanno deciso che lo si osservi così: “la passione, suggerita dall’imitazione di Cristo, è prosaico e quotidiano consenso, entro un noioso quadro catechistico. Il realismo è un’arma dolce di persuasione silenziosa” (Battisti, 1983, p. 15). La lettura in chiave populistica della via crucis di Cerveno, quella lettura proposta con grande enfasi da Giovanni Testori nel 1966 e ripresa dieci anni dopo (Testori, 1976), una lettura “di opposizione collettiva, muovendo dal basso, e di recupero delle proprie tradizioni arcaiche” (Battisti, 1983, p. 10) va dunque abbandonata. Né si può leggere in Simoni un artista in ritardo, tutt’altro. Dalle opere emerge “la complessità dei linguaggi e della cultura artistica del suo autore, molto più vasta, molto al di là di quella che venne definita caratteristica della ‘gran falegnameria camuna’ (Testori), cioè di quella dei Ramus, del Piccini, degli Zotti eccetera. Si tratta di una cultura che è anche molto al di là della pura pittorica, come ha visto lo stesso Testori: così Simoni non si limita al Romanino di Breno e di Bienno - che pure rimane uno dei suoi referenti continui , né a tutta la tradizione che risale al Savoldo; la sua cultura tocca le epoche più lontane e più varie, dal romanico al gotico italiano al gotico franco-borgognone a cui si ispira moltissimo, al gotico tedesco al ‘400 toscano, fino all’area dei Compianti lombardo-emiliana  della fine del ‘400” (Minervino, 1992, pp. 29-30). Simoni a Cerveno usa gli strumenti tipici del linguaggio controriformista di un secolo prima. Ma altre sue opere sono ben diverse, soprattutto quelle bresciane scolpite dopo il 1761, cioè quando Simoni interrompe le cappelle. Ma anche restando in Valle, ben diverso dalle sculture di Cerveno è il Compianto recentemente ricollocato nella sua sede naturale della chiesa di san Maurizio di Breno “che rivela una sintassi ‘colta’, per esplorare dell’animo umano i recessi più intimi e dolenti, quelle profondità dove solamente può avvenire ‘la compartecipazione totale del credente alla passione di Cristo’. Un comunicare sommesso, carica di affetti e di dolore trattenuto, di silenziosa disperazione e intima solidarietà, unisce il gruppo della Vergine, delle pie donne, della Maddalena e di Giovanni intorno al corpo di Cristo morto” (Ferri Piccaluga, 1989 -1-, pp. 79-80). Il   Compianto di san Maurizio è di composta e contenuta teatralità, i gesti sono equilibrati; la categoria di “classico” che domina nel secondo settecento si può applicare a quest’opera e proprio per i caratteri formali così diversi da quelli cervenesi è da escludere che questa sia la quattordicesima cappella di Cerveno, come vuole la “leggenda popolare”. Gabriella Ferri Piccaluga (1989 – 1- e 1980), indagando il significato storico e politico della chiesa di san Maurizio come santuario della via crucis e, quindi, della funzione in essa del Compianto di Simoni, giunge proprio a tale conclusione. Dunque Simoni è perfettamente in grado di utilizzare un linguaggio moderno e non “dialettale”. Se a Cerveno ricorre al realismo barocco di un secolo prima, piegando la sua innegabile capacità ottica e prospettica, la scienza anatomica e l’abilità di rappresentare l’espressione dei moti dell’animo e del corpo in una vera e propria estetica del bello a rovescio, è evidente che si tratta di una scelta. E, per essere sintetici fino alla brutalità, si tratta di una scelta funzionale alla persuasione voluta dalla committenza. A Cerveno c’è l’evidente anomalia di un “sacro monte” non costituito da cappelle sparse su un pendio, ma al coperto, anomalia che, evidenzia la Minervino , “Cerveno condivide solo con quello di Valperga Canavese, anch’esso svolgentesi su una grande scala santa, e anch’esso settecentesco” (Minervino, 1992, p. 29). In effetto “La via crucis cervenese non è un prodotto atipico nelle intenzioni della committenza. Attorno alla metà del ‘700 si assiste, infatti, a una consistente ripresa del culto della via crucis. Nel 1741 - undici anni avanti che il Simoni ponesse mani alla commessa cervenese - san Leonardo da Porto Maurizio ne erige una imponente in Roma, su diretto invito di Benedetto XIV; ma già dieci anni prima un altro papa, Clemente XII,  aveva accordato ai Minori Osservanti la facoltà di erigere via crucis in qualunque luogo, facoltà poi estesa ai Minori Riformati, mantenendo gli stessi privilegi indulgenziali. È questa ripresa del culto cristologico che giustifica storicamente anche la via crucis cervenese e la quasi contemporanea - sebbene assai più modesta via crucis della chiesa di san Maurizio in Breno” (Lorenzi, 1983 -1-, p. 154 ). Il santuario di Cerveno, anche se promosso dai parroci, è di sicura ispirazione francescana e si pone come il nucleo centrale del culto cristologico in un luogo relativamente avanzato della Valle Camonica verso il “confine del nord” (per riprendere il bel titolo del testo della Piccaluga) cioè verso le terre protestanti. La funzione suasoria di far interiorizzare la colpa ai villici refrattari si unisce alla funzione di difesa dell’ortodossia contro il pericolo dell’infezione luterana “todesca”. Per completezza è bene aggiungere che neppure all’interno della chiesa e del clero questa proposta di spettacolarizione delle manifestazioni religiose con intenti persuasivi e colpevolizzanti era universalmente condivisa. Questa è la tesi vincente, delle gerarchie ecclesiastiche rappresentate dal vescovo di Brescia Giovanni Nani, filogesuita, e dei francescani, ma avversata in loco dal vicario foraneo e parroco di Cividate Camuno Giovan Battista Guadagnini, uno dei più rappresentativi giansenisti italiani, più attento ad una religiosità meno esteriorizzata e che non rifiuta l’analisi razionale di credenze e di pratiche. Fra queste ultime proprio il “pio esercizio” della via crucis pare al dotto arciprete scritturalmente poco fondato (Cfr. Signorotto, 1983, pp. 121-142) e quindi, di fatto, rispondente ad altre esigenze rispetto a quelle di vera religiosità. Del tutto diverse da quelle simoniane sono le tre cappelle (VIII, IX, X) di Francesco Donato e Grazioso Fantoni, nipoti del più celebre Andrea, alla cui scuola risalgono le altre opere lignee conservate nella chiesa. Ritorna in queste cappelle la tipicizzazione somatica dell’Ebreo e la rappresentazione delle figure popolari torna ai canoni del grottesco che Simoni aveva abbandonato per scelte più realistiche; anche la stessa figura del Cristo è meno “bella”. In tal modo la finalità di costringere i contadini spettatori ad immedesimarsi nelle figure dei persecutori di Cristo, che è tipico dell’operazione simoniana, viene ad essere del tutto abbandonata: il coro degli aguzzini è costituito da “altri” come Ebrei, Romani, personaggi stereotipati secondo i canoni del grottesco, non più dai Cervenesi realisticamente rappresentati con le loro espressioni e  i loro attrezzi. Insomma la bottega di Rovetta sforna un’opera assai più tradizionale, certo di abile mestiere ma nulla più.


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