lunedì 14 dicembre 2015

BAMBINI SOLDATI

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In diversi momenti della storia e in molte culture, i minori sono stati coinvolti in campagne militari anche quando la morale comune lo riteneva riprovevole. A partire dagli anni settanta sono state firmate numerose convenzioni internazionali allo scopo di limitare la partecipazione dei bambini ai conflitti; nonostante questo, sembra che l'utilizzo dei bambini soldato negli ultimi decenni sia in aumento.
In alcuni paesi africani, sudamericani o asiatici, i bambini soldato sono spesso soggetti a questo tipo di sfruttamento. A questi bambini, in alcuni casi, vengono somministrati degli stupefacenti, per poter interagire durante uno scontro senza che essi si arrendano mentre le bambine vengono spesso usate per scopi sessuali ma anche per cucinare, piazzare esplosivi, aprire la strada all'esercito sul campo minato perché possono essere rimpiazzate più facilmente, non devono essere pagate e non si ribellano.

In Afghanistan nonostante i progressi compiuti per porre fine al reclutamento e all'impiego di bambini nelle forze nazionali di sicurezza, i bambini continuano ad essere reclutati dalle parti in conflitto, quali la Haqqani Network e i talebani. Nei casi più estremi, i bambini sono stati usati come attentatori suicidi, per la fabbricazione di armi e per il trasporto di esplosivi.

Nella Repubblica Centrafricana ragazzi e ragazze di appena otto anni sono stati reclutati e utilizzati da tutte le parti coinvolte nel conflitto per prendere parte direttamente alle violenze inter-etniche e religiose.

Nella Repubblica Democratica del Congo le Nazioni Unite hanno documentato nuovi casi di reclutamento di bambini da parte di più gruppi armati che operano nella parte orientale del paese. I bambini, in alcuni casi, anche di 10 anni di età, sono stati reclutati e utilizzati come combattenti, o in funzioni di supporto, come facchini e cuochi. Le ragazze sono state usate come schiave sessuali o sono stati vittime di altre forme di violenza sessuale.

In Iraq e Siria gli avanzamenti dell'IS e la proliferazione di gruppi armati hanno reso i bambini ancora più vulnerabili al reclutamento. Bambini di 12 anni sono in fase di addestramento militare e sono stati usati come informatori, per presidiare i posti di blocco e per sorvegliare punti strategici. In alcuni casi, sono stati utilizzati come attentatori suicidi e per effettuare esecuzioni.

Sono più di 300.000 i minori di 18 anni attualmente impegnati in conflitti nel mondo.
Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati.

Il problema è più grave in Africa e in Asia ma anche in America e Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate.

Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come "portatori" di munizioni, vettovaglie ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei primi.
Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze armate del loro stato, altri fanno parte di armate di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria.
Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a violenze sessuali. In Etiopia, per esempio, si stima che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze di opposizione armata.

Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. I "signori della guerra" che le combattono non si curano delle Convenzioni di Ginevra e spesso considerano anche i bambini come nemici. Secondo uno studio UNICEF, i civili rappresentavano all'inizio del secolo il 5 per cento delle vittime di guerra. Oggi costituiscono il 90 per cento.



L'uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l'arruolamento dei minori; oggi un bambino di 10 anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie).

Inoltre la lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di età inferiore a quanto stabilito dalla legge o perché non si seguono le procedure normali di reclutamento o perché essi non hanno documenti che dimostrino la loro vera età.

Si dice che alcuni ragazzi aderiscono come volontari: in questo caso le cause possono essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c’è di mezzo la fame o il bisogno di protezione. Nella Rep. Democratica del Congo, per esempio, nel '97 da 4.000 a 5.000 adolescenti hanno aderito all'invito, fatto attraverso la radio, di arruolarsi: erano per la maggior parte "ragazzi della strada".

Un altro motivo può essere dato da una certa cultura della violenza o dal desiderio di vendicare atrocità commesse contro i loro parenti o la loro comunità. Una ricerca condotta dall'ufficio dei Quaccheri di Ginevra mostra come la maggioranza dei ragazzi che va volontario nelle truppe di opposizione lo fa come risultato di una esperienza di violenze subite personalmente o viste infliggere ai propri familiari da parte delle truppe governative.

Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS.

Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute.

L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri.

Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile".

Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni.
Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace.
La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie:

ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single)
provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati)
ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto.
Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati.

Un crimine ripugnante. Su tutto questo, che rappresenta una gravissima violazione dei diritti umani e un ripugnante crimine di guerra, è impegnata INTERSOS, l'organizzazione umanitaria che opera a favore delle popolazioni in pericolo, vittime di calamità naturali e di conflitti armati. L'Ong è stata fondata nel 1992 con il sostegno delle Confederazioni sindacali italiane, e fonda la sua azione sui valori della solidarietà, della giustizia, della dignità della persona, dell'uguaglianza dei diritti e delle opportunità per tutti i popoli, del rispetto delle diversità, della convivenza, dell'attenzione ai più deboli e indifesi.
   
Nonostante gli sforzi a livello internazionale, il problema dei bambini soldato è ancora vivo e drammaticamente in aumento. La Convenzione Internazionale dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, è il primo strumento internazionale che enuncia i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo, insieme con gli obblighi degli Stati e della comunità internazionale nei confronti dell'infanzia. Nel 2002 entrò in vigore il Protocollo Opzionale alla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che tratta il coinvolgimento dei minori nei conflitti armati: il Protocollo stabilisce che nessun minore di 18 anni può essere reclutato forzatamente o utilizzato direttamente nelle ostilità, né dalle forze armate di uno Stato né da gruppi armati. L'Italia ratifica il Protocollo Opzionale con la Legge n. 148 del 9 maggio 2002. Sebbene il Protocollo rappresenti un passo importante, non è ancora uno strumento giuridico completo e sufficiente. Infatti, per il reclutamento volontario negli eserciti regolari, non è imposto il limite minimo di 18 anni.
Con gli Impegni di Parigi del 2007, i rappresentanti di 58 paesi si impegnano a porre fine al reclutamento illegale di minori e ad assicurare che le procedure di arruolamento nelle forze armate siano conformi al diritto internazionale. Durante la conferenza vengono rivelati i Principi di Parigi (Paris Principles), una raccolta dettagliata di linee guida per la protezione dei minori dall'arruolamento, la riabilitazione fisica e psicologica di quelli vittime dei conflitti armati. A seguito dell'entrata in vigore del Protocollo Opzionale si sono registrati notevoli progressi per quanto riguarda l'arruolamento di minori, tuttavia il problema non è affatto superato.
Esistono alcuni strumenti normativi internazionali che nel tempo sono stati adottati per tutelare e proteggere i bambini coinvolti nei conflitti e associati ai gruppi armati.

* La Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia del 1989, che mette al bando l'uso di minori di 15 anni nei conflitti armati e che impone agli Stati coinvolti di prendersi cura della riabilitazione psicologica e sociale dei minori coinvolti nelle guerre.

* La Carta Africana sui diritti e il benessere del bambino del 1990, rafforza la protezione prevista nella Convenzione dell'89. Nella Carta è previsto il rispetto da parte degli Stati contraenti delle leggi del diritto internazionale umanitario applicabile ai conflitti armati in cui sono coinvolti i minori, e che gli Stati prendano misure necessarie perché bambini non prendano parte diretta alle ostilità.

* Il Protocollo Opzionale sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati alla Convenzione sui diritti dell'infanzia del 2002, che porta a 18 anni l'età minima per l'arruolamento nelle forze armate.

* E ben 6 Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite (1999-2005), che richiamano gli Stati all'osservazione delle norme di diritto internazionale sulla protezione dei bambini nei conflitti, richiedono al Segretario Generale dell'ONU l'iscrizione nella black list degli Stati parti che usano minori per la guerra, riaffermano l'urgenza di programmi di smobilitazione e disarmo, di percorsi di reinserimento e riabilitazione.


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