domenica 3 gennaio 2016

IL LUTTO IN BACHECA

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Tradizionalmente, l'idea di affrontare la morte era legata al mondo reale. Si programmavano i funerali, si dava l’addio al defunto e si era pronti a volare in cielo. Al giorno d’oggi molti di noi hanno un alter ego digitale che sopravviverà alla fisicità terrena. Al momento ci sono più di trenta milioni di deceduti i cui account sono tuttora su Facebook. I loro profili sono la fotografia del lutto del ventunesimo secolo.

La cultura del cordoglio online è uno degli effetti collaterali più interessanti dei social media, poiché permette (anche se limitatamente) di interagire con una persona anche quando questa smette di esistere fisicamente. Oltre a spostare l’attenzione su quello che vogliamo far vedere delle nostre vite e su ciò che si potrebbe definire una sorta di eredità online, la mania della vita digitale ha generato una nuova industria che ruota intorno al discorso della morte su Internet.
Il modo in cui affrontiamo il lutto è influenzato dalle nostre vite, e non c'è dubbio che Internet e i social media abbiano il loro peso. Il modo in cui piangiamo la morte di qualcuno sia molto influenzato da questi nuovi mezzi; d'altra parte, si tratta di un evento che ha sempre avuto una dimensione spazio-temporale specifica. Oggi i social network ci consentono di condividere le memorie di chiunque; ogni pagina può diventare un luogo in cui parenti e amici pubblicano i loro ricordi. È un'interessante variante del tipico forum pubblico, slegato dal tempo e dallo spazio. Chiunque, senza restrizioni di luogo, potrà ricordare questa persona e avere uno spazio virtuale dove farlo. È affascinante che il deceduto possa continuare a fare da ponte tra altre persone anche dopo la morte, continuando ad avere un impatto sul mondo reale.

Con strumenti come il profilo Facebook assistiamo alla nascita di un nuovo spazio per vivere il lutto. I commenti diventano un nuovo modo di ricordare e, in un certo senso, costituiscono una nuova tradizione.

In paesi come il Giappone o la Cina, è che non c’è più spazio per le sepolture. Hanno costruito cimiteri online dove si possono creare tombe virtuali. Hanno creato un servizio gratuito che offre una barca virtuale per spargere le ceneri in mare, usando il memoriale digitale come mezzo alternativo per onorare la tradizione e prendersi cura degli avi defunti. È un modo interessante di affrontare il problema dello spazio, nel momento in cui le masse sono sempre più numerose e c’è sempre meno spazio per seppellire i morti.

Saremo ricordati diversamente già solo per il fatto che l’avvento dei social media ha portato con sé l’idea che sia giusto condividere tutto. Vent’anni fa non avremmo mai messo un annuncio sul giornale per raccontare la serata. Ma con Facebook e Twitter si può dire a tutti ciò che si ha fatto e queste informazioni vivranno più a lungo di noi. È un cambiamento drastico. In tutto questo c'è una buona parte di effimero, certo, ma se al posto di un profilo dovessimo gestire gli oggetti di un morto probabilmente butteremmo via molte delle sue cose, mentre sui social ciò che è stato condiviso resterà comunque.

Ciò rappresenta un’enorme opportunità per tutti, tanto di essere ricordati quanto di avere una storia molto più ricca. Tra centinaia di anni potrebbe esistere un'intera branca dell’archeologia dedicata all’indagine sui resti digitali della nostra generazione. La Library of Congress, negli Stati Uniti, sta già tenendo un archivio Twitter. Si avrebbe una visione molto più completa della vita quotidiana delle persone.
Ed è importantissimo assicurarsi di proteggere le nostre informazioni digitali, perché anche se attualmente potrebbero sembrare insignificanti e senza futuro, ci sono buone possibilità che un giorno tutti i nostri tweet su iniziative politiche o azioni militari possano essere rilevanti tanto quanto le lettere dal fronte di quattrocento o cinquecento anni fa.

Non ci si rende conto di creare un’eredità a lungo termine quando è sui social. Gli utenti sanno che ciò che condividono può arrivare molto lontano. Però questo non significa che abbiano capito che questa diffusione potrà costituire la storia della loro vita. Tutto ciò ci riporta al problema di fondo dell’essere umano, cioè il rifiuto della mortalità. Pensare a ciò che si lascia equivale ad accettare la propria morte.



I becchini di facebook sono quelli che scrivono post in cui si annuncia la morte di una persona vicino a loro. Si dividono in tante categorie spesso differenziate da meri criteri cronologici.

Ci sono i becchini-lampo: si gettano a capofitto su facebook per essere i primi a dare la novella. In breve tempo i becchini-lampo vengono sopraffatti dai becchini-sul-pezzo. I becchini-sul-pezzo sono l'evoluzione dei precedenti. Non vanno subito su facebook a dare la notizia perché prima vogliono approfondire la questione. Desiderano, come i primi, far rimbalzare la notizia, ma l'arricchiscono con un minimo di informazione in più. Esempio:
"E' morto XXXXX YYYYYYYY" (becchino lampo)
"E' morto XXXXX YYYYYYYY , è andato fuoristrada mentre tornava a casa" (becchino sul pezzo)

A questo punto la notizia è già diffusa e viene a galla la necessità di far vedere di essere scioccati. Il problema è che su facebook è ancora troppo presto per piangere perché non è ancora matura l'onda emotiva. Si affacciano timidamente i becchini-sentenziosi. Quelli che pubblicano una foto del personaggio scomparso accompagnata da una frase concisa ma emotivamente pregna.
"Ciao XXXXX, riposa in pace"
"Addio XXXXX, ci mancherai"
"E' morto XXXXX, nessuno come lui"

In brevissimo tempo facebook si riempie di emotività ed anche i più timidi, ossia quelli che aspettavano che si commuovessero tutti prima di addolorarsi in prima persona, scendono in campo per dire la loro. Ne consegue un'epica lotta all'ultimo sangue in cui si abusa di sentimenti in offerta 3x2, frasi fatte e citazioni terrificanti. Il terreno è pronto per i becchini-addolorati. Ovvero, coloro che scrivono cose agghiaccianti tirando in ballo angeli, fiori e paradisi.
"Gli angeli in cielo..."
"è stato strappato il fiore più bello..."
"dal Paradiso ci starai guardando e starai dicendo... "
Il culmine si raggiunge quando i produttori di link professionali, sfruttando l'ondata emotiva, sono costretti a pensare per la prima volta una frase con la loro testa senza poterla scopiazzare da qualche autore classico. Ne derivano sgrammaticature urticanti che però tutti i sottoscrittori compulsivi condividono istantaneamente:
"Oggi moriva XXXXX, i suoi performans ci anno insegnato a vivere la vita con pienutidine"

Ultimi in ordine cronologico, ma possibilmente tra i peggiori in assoluto, arrivano i becchini-citazionisti, ovvero coloro che non avendo partecipato pienamente al rimbalzo della notizia desiderano evidenziarsi incollando una frase epica attribuita allo scomparso. Appaiono così frasi che nessuno conosceva ma che tutti, appena lette, sono pronti a diffondere senza minimamente preoccuparsi di verificarle. "fate questo in memoria di me" (il morto del giorno)

Nei commenti appaiono puntuali:
"sarai nella memoria di tutti"
"era un grande, ci mancherà"
"ha vissuto la vita fino all'ultimo secondo"
"sarai sempre nei nostri cuori"

Ecco... "sarai sempre nei nostri cuori"... un must.
Nessuno scrive "sarai sempre nel MIO cuore". No! Casomai nei NOSTRI cuori. Il becchino addolorato di facebook non si emoziona se non in condivisione. Non può scrivere che lui è addolorato, deve sentirsi parte di un gruppo di addolorati ed in tal caso lotta fino allo stremo per dimostrare che è il più addolorato di tutti.

Tempo 24 ore ed il dolore si placa fino scomparire del tutto. I becchini di ogni specie tornano a pubblicare video di gatti, canzoni di Jovanotti e citazioni di Camorra&Love.

È più coerente con un punto di vista psicologico chiedersi per esempio quanto le manifestazioni di cordoglio siano il corrispettivo di un proprio vissuto emotivo o quanto sia un contagio virale a cui sembra brutto sottrarsi nella piazza virtuale dei social network (così come sembra male in una piazza reale ignorare la presenza di un funerale comportandosi in modo “irrispettoso”).

Quel che da un punto di vista psicologico è interessante notare è che il tam tam mediatico e la gara alla manifestazione luttuosa più sentita o originale ha come effetto paradossale una sorta di allontanamento dall’emozione dolorosa che un lutto comporta: è una sorta di difesa mediatica, un modo con cui si esorcizza la notizia postandola in bacheca come si fa con i selfie con gli amici, le foto delle vacanze e altri file di varia natura.

Sembra che Facebook (e altri social network) diano l’illusione di  poter elaborare un lutto in modo diverso, una sorta di auto mutuo aiuto condiviso con gli altri utenti e rendendo “immortale” la persona scomparsa.



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