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Teglio è un comune situato nella media Valtellina.
Gli insediamenti umani nel territorio dell’attuale Teglio furono di molto precedenti ai primi secoli dell’era cristiana, favoriti, senza dubbio, dall’eccezionale mitezza e felicità dei luoghi. I ritrovamenti delle stele di Caven, di Valgella, di Cornal e di Vangione, oltre che delle asce bronzee del Bondone e di Tresenda, attestano la presenza di insediamenti umani in età preistoriche. È assai probabile che il territorio tellino abbia ospitato, in tali epoche, più castellieri, cioè luoghi fortificati che sfruttavano posizioni naturali già di per sé propizie per la difesa. Un castelliere è, in un certo senso, l'antenato del castello: si tratta di un piccolo villaggio fortificato, costituito da una torre centrale e da una cerchia di mura, di cui sono rimaste tracce, che rimandano ad epoche preistoriche, nell'Istria e nella Venezia Giulia. In epoca romana queste strutture furono utilizzate come fortilizi, spesso trasformati, infine, in epoca medievale, nei più conosciuti castelli. Prima dell’epoca romana, entrarono in Valtellina popolazioni di orogine ligure ed etrusca (la stirpe dei Reti, così chiamati dal mitico condottiero Reto, che li guidò nella colonizzazione dell’attuale Rezia, è nord- etrusca); solo marginalmente, invece, vi misero piede i Celti. Solo con la spedizione di Druso (16-15 a.C.), in età augustea, i Romani penetrarono in Valtellina, estendendovi il proprio imperium, anche se la valle rimase decisamente periferica rispetto alla vicina Valchiavenna, nodo dei transiti fra mondo latino e territori a nord delle Alpi: l’Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana, infatti, citano la seconda, ignorando la prima. I castellieri tellini divennero, con tutta probabilità, castelli romani, in virtù della centralità di Teglio e della sua posizione decisamente strategica.
La disgregazione dell’Impero Romano d’occidente portò alle invasioni (o migrazioni, a seconda dei punti di vista) delle popolazioni germaniche e probabilmente Chiavenna fu inglobata, dopo il 489, nel regno ostrogoto di Teodorico, in quel medesimo tardo V secolo nel quale, come abbiamo visto, per la prima volta è attestato il nome della valle e, fatto decisamente più importante, vi inizia la penetrazione del cristianesimo. Furono gettate le basi della divisione di Valtellina e Valchiavenna in pievi. “La divisione delle pievi”, scrive il Besta, “appare fatta per bacini… aventi da epoche remote propri nomi, come è infatti accertato per i Bergalei, i Clavennates, gli Aneuniates”. Esse, dopo il mille, erano San Lorenzo a Chiavenna, S. Fedele presso Samolaco, S. Lorenzo in Ardenno e Villa, S. Stefano in Olonio e Mazzo, S. Eufemia o S. Pietro in Teglio, dei martiri Gervasio e Protasio in Bormio e Sondrio e S. Pietro in Berbenno e Tresivio; costituirono uno dei poli fondamentali dell'irradiazione della fede cristiana.
La chiesa dedicata alle vergini martiri Eufemia, Agnese e Cecilia, anche se è attestata per la prima volta in un documento datato 8 novembre 1117, venne fondata fra il V ed il VII secolo d.C. La scelta di santa Eufemia ha un'evidente connessione con Bisanzio: nella basilica di Calcedonia a lei dedicata (sul Bosforo, non lontano da Bisanzio), si tenne, nel 451, quel Concilio di Calcedonia che sancì il dogma della duplice natura, umana e divina, di Cristo. Al concilio partecipò anche il vescovo di Como Abbondio, cui è legata la cristianizzazione della Valtellina. E' quindi probabile che si debba a lui l'iniziativa di fondare la chiesa di Teglio e di dedicarla alla santa venerata con particolare devozione a Costantinopoli. E' anche possibile che il legame con Bisanzio sia dovuto alla presenza di una roccaforte bizantina insediatasi a Teglio dopo l’offensiva che riconquistò alla “romanità” la valle della Mera e dell’Adda, strappandole ai Goti. I bizantini tennero le valli anche dopo l'irruzione e la conquista dei Longobardi (568), ed il “castrum tellinum” fu il centro del sistema difensivo che si opponeva a questi ultimi; solo nell'VIII secolo, con il re Liutprando (o forse prima, nel 701, con Ariberto II), il confine dei domini longobardi raggiunse il displuvio alpino e quindi divenne effettivo in tutta la valle. La presenza longobarda si concretizzò nell’istituzione del sistema della “curtis”, cellula tendenzialmente autosufficiente, costituita da una parte centrale, direttamente controllata dal signore (dominus) e da terreni circostanti coltivati (mansi), che dovevano conferire parte dei prodotti nella corte. La presenza militare fu rappresentata da contingenti di arimanni (uomini liberi e guerrieri) chiamati a presidiare le frontiere del regno e le più importanti fortezze, fra le quali prima era sempre quella di Teglio. Diverse tracce della presenza longobarda sono rimaste nella toponomastica; la più chiara è probabilmente quella della contrada Faraoni di Boalzo, che deriva da “fara”, la cellula di base del tessuto sociale di questo popolo germanico. Con i successori di Liutprando, Rachis ed Astolfo, nel medesimo VIII secolo, Valtellina e Valchiavenna risultano donate alla chiesa di Como: inizia così (se non risale già all’epoca romana) quel forte legame fra Valtellina e Como che ancora oggi permane nell’ambito religioso (Valtellina e Valchiavenna appartengono alla Diocesi di Como).
Il dominio longobardo fu però durò solo pochi decenni: i Longobardi furono sconfitti, nel 774, Carlo Magno, e Valchiavenna e Valtellina, rimasti parte del Regno d’Italia, furono sottoposte alla nuova dominazione franca. La frammentazione dell’Impero di Carlo portò all’annessione del Regno d’Italia al sacro Romano Impero. Ottone I di Sassonia, re d’Italia nel 951 ed imperatore nel 962, donò le castellanze di Teglio e Mazzo all’arcivescovo di Milano Valperto, che lo aveva appoggiato: così a Teglio si insediò il suo capitaneo, della famiglia dei Lazzaroni. Il 3 settembre 1024 l’imperatore Corrado succedette ad Enrico II, inaugurando la dinastia di Franconia, e confermò al vescovo di Como i diritti feudali su Valtellina e Valchiavenna; nel medesimo periodo un altro potente vescovo, quello di Coira, estendeva i suoi diritti feudali su Bormio e Poschiavo. A Teglio venne così confermato il singolare intreccio di poteri legati alla castellania, per i quali il borgo dipendeva dall’arcivescovo di Milano, e poteri legati alla pieve, per i quali dipendeva dal vescovo di Como. Agli inizi del XII le due città si scontrarono in una guerra decennale, che durò dal 1118 al 1127 e vide la sconfitta di Como. La guerra ebbe anche conseguenze sulla Valtellina, nella quale vennero molte famiglie esuli dalla sconfitta Como. Peraltro, forse il legame feudale fra la castellania di Teglio e Milano deriva proprio dall’esito di questa guerra. Gli arcivescovi di Milano investirono nel tempo diverse famiglie locali, in particolare i Lazzaroni e i Besta, dei loro diritti. Si trattava dei poteri di “districtio”, che comprendevano i diritti d’imporre tributi, di percepire pedaggi e di fare concessioni finanziarie, e di “iurisdictio”, cioè il potere giudiziario, facoltà che l’arcivescovo milanese detenne anche dopo l’incorporamento della valle nel dominio visconteo.
Il territorio della castellania, o castellanza di Teglio era delimitato sul versante retico dalla Val Rogna al confine con Chiuro e dalla Valle del Rio di Bianzone, sul versante orobico dalla Val Malgina fino al confine con Castello dell’Acqua e dalla Valle del Rio della Motta inclusa la Valle d’Aprica fino all’omonimo passo: l’area complessiva copriva circa la dodicesima parte dell’intera Valtellina, come attesta lo storico settecentesco Francesco Saverio Quadrio.
Sulla dipendenza feudale di Teglio da Milano leggiamo, nella II edizione della Guida alla Valtellina edita a cura del CAI nel 1884: “Federico Barbarossa assegna Teglio, insieme ad altri comuni della valle, alla città di Como. Ma non risulta che Como abbia potuto esercitare vera signoria sulla borgata. Invece è accertato che gli arcivescovi di Milano esercitarono su Teglio, più o meno efficacemente, insieme alla giurisdizione ecclesiastica, taluni diritti feudali fino al principio dei secolo decimo sesto. Di ciò si hanno non dubbie prove. L'Arcivescovo di Milano manda a Teglio ad amministrarvi la chiesa, gli Umiliati che fissano lor sede in un convento accanto alla chiesa di S. Orsola, ora distrutta e di cui parliamo più sotto. In un privilegio in data 26 agosto 1444, l'arcivescovo Enrico conferma a Mastino de Beata un antico feudo “paternum avitum et proavitum”, il qual feudo comprendeva tre peschiere nell'Adda, il villaggio di Nigola e i beni fondi circostanti. E in un documento di vendita colla data 3 marzo 1343 trovasi riserbato il jus di feudo e vassallaggio all'arcivescovo di Milano. Finalmente con istrumento in data 4 Agosto 1534 Ippollito II d'Este arcivescovo di Milano cede ad Andrea Guicciardi e ad Azzo Basta per quattro mila scudi d'oro ogni diritto feudale su quel di Teglio e moltissimi beni ivi situati “in quibus etiam compreensum est castrum seu dirupati castri Tillij cum casamenti…” Al fatto che la chiesa di Teglio appartenne alla diocesi di Milano accennano il Quadrio e il Cantù, ma nessun storico narra di diritti feudali che quell'arcivescovo esercitò su Teglio, forse in seguito a donazioni avute dal re franchi o dagli imperatori.”
Nel 1335 Como, e con essa Valtellina e Valchiavenna, vennero inglobate nella signoria milanese di Azzone Visconti.
Durante il dominio visconteo-sforzesco, il terziere superiore della Valtellina venne ripartito in baliaggi, uno dei quali era Teglio, con un proprio podestà, affiancato da un vicario. Dopo il 1381, anno in cui Giangaleazzo Visconti stabilì un governatore per la Valtellina (che svolgeva le funzioni di giudice universale di valle), coadiuvato da luogotenenti, podestà e vicari nei singoli terzieri, Teglio fu sede di una pretura.
Alla fine di quel medesimo secolo risalgono, probabilmente, gli Statuti Comunali: l’organizzazione comunale, infatti, si era già affermata nei secoli precedenti accanto a quella della castellanza, senza cancellarla, ma, anzi, riconoscendone la formale supremazia. Dunque, era il podestà, di nomina signorile, ad esercitare le forme più alte del potere: “La massima carica nella castellanza di Teglio era quella del podestà, non elettiva, ma di nomina spettante all’arcivescovo di Milano fino al XIV secolo, in seguito al duca di Milano. In essa si compendiavano i compiti onorifici di rappresentanza e l’effettivo disbrigo degli affari più delicati, tra cui l’esercizio della giustizia su tutti gli abitanti. Il podestà doveva prestare giuramento di fedeltà al signore e agli statuti di Teglio, che egli si impegnava ad applicare, rispettare e difendere. Il podestà aveva funzione di giudice unico di primo grado in campo civile e criminale, aveva potere di controllo sugli altri ufficiali e competenze in campo amministrativo; dirigeva e presiedeva i lavori dei consigli; era sua spettanza, con largo margine di discrezionalità, avviare le indagini e le inchieste su crimini presenti e passati, su richiesta o denuncia di parte ovvero d’ufficio. La carica era biennale o annuale, con possibilità di rinnovo. Il podestà aveva l’obbligo della residenza e di farsi rappresentare da un vicario o rettore in caso di assenza; doveva infine essere un estraneo che non avesse nella castellanza nè parentele nè interessi. Il podestà doveva pronunciarsi nel rispetto degli statuti comunitari, ai quali doveva giurare fedeltà all’atto del suo ingresso in carica”.
Di fatto, però, il territorio era governato nelle forme sancite dagli statuti e quindi gran peso avevano i consigli maggiore e di credenza. “Organo supremo del comune era il consiglio generale, o assemblea plenaria dei cittadini di maggiore età, cioè con più di 25 anni, cui si affiancava il consiglio maggiore e il consiglio di credenza, o giunta esecutiva, con 12 componenti; completavano il quadro delle cariche istituzionali quattro accoladri, consoli, canepari, e gli ufficiali del comune… A capo dell’amministrazione comunale c’erano due decani, eletti dal consiglio generale, che dovevano, in base all’antico costume e agli ordini di comunità, essere eletti uno tra i nobili e l’altro tra i contadini. Il rappresentante di Teglio al consiglio di valle era invece eletto dal consiglio minore… Tra gli incaricati del comune di Teglio c’erano gli ambasciatori o inviati della comunità, con avevano compiti e ricompense predeterminate e che dovevavo fornire una relazione scritta circa l’attività svolta; il procuratore del comune e i consoli erano eletti annualmente, dovevano rendere giuramento di retto esercizio delle funzioni nell’assumere l’incarico: i consoli delle vicinie avevano il compito di denunciare i crimini e le contravvenzioni compiuti nelle rispettive vicinanze; il notaio, eletto annualmente e con possibilità di rinnovo, dai consoli e procuratori, doveva stendere gli atti e le scritture della comunità, intervenendo ai consigli.
Ufficiali in senso stretto del comune erano i banditori o servitori, cioè i messi, con compiti di notificare, dare informazione degli ordini e di farli eseguire; i canepari; i saltari, con funzioni di controllo sulle campagne ed esecuzione delle relative cotravvenzioni; i pesatori del pane; i consiglieri eletti in rappresentanza delle singole contrade. Gli stimatori, in numero di quattro, determinavano in modo ufficiale il valore dei beni, sia mobili che immobili, in particolare nei casi di espropriazione forzata, in occasione di stime di valore elevato le decisioni dovevano essere collegiali. Gli accoladri di Teglio, in numero di quattro, si occupavano della riparazione e riattamento delle chiese, delle strade e dei ponti; definivano le controversie in materia di confini e di deflusso delle acque; recuperavano i beni di spettanza della comunità o di chiese e i tributi dovuti al comune e all’arcivescovo sui beni di proprietà privata: a Teglio infatti c’era l’obbligo di versare al comune e alla curia arcivescovile di Milano un corrispettivo nel caso di alienazione di beni, oltre alle periodiche onoranze o tributi che venivano trasferiti, in caso di vendita, in capo al nuovo proprietario. Gli accoladri soprintendevano inoltre all’apposizione dei termini (pietre di confine); avevano competenze in materia tributaria e giudiziaria: prendevano atto delle assegnazioni di ogni forestiero che venisse a stabilirsi nella comunità di Teglio, divenendo vicino di una delle due parti del comune (Verida o Pertinasca); spettava poi agli accoladri definire ogni controversia tra l’arcivescovo o i suoi rappresentanti da una parte e il comune o privati dall’altra; agli accoladri spettava la pronuncia in appello contro le sentenze del podestà in materia civile; avevano competenza nelle indagini sulle sottrazioni di legname dai ponti sull’Adda di San Giacomo e di Tresenda. Accanto agli accoladri esistevano altri magistrati in sottordine (temporanei o in esperimento) detti accoladroli.”
Il Quattrocento fu il secolo nel quale si ebbe una svolta decisiva che segnò l’inizio della decadenza della castellania di Teglio. Tutto ebbe inizio per le mire di espansione della Repubblica di Venezia sulla Valtellina, nodo strategico il cui possesso le avrebbe permesso di tenere saldamente nelle proprie mani le chiavi del commercio con i territori germanici d’oltralpe. La contesa fra Venezia e Milano ebbe come episodio decisivo la battaglia di Delebio, del 18-19 novembre 1432, che vedeva contrapposte le milizie ducali comandate da Nicolò Piccinino a quelle veneziane del provveditore Giorgio Corner. Le truppe venete stavano per avere la meglio, quand’ecco che Stefano Quadrio piombò alle loro spalle, con truppe ghibelline raccolte a Chiuro ed in altri comuni, capovolgendo le sorti della battaglia ed operando una vera e propria strage dei nemici.
La battaglia di Delebio ebbe una conseguenza rovinose: essa si era, infatti, schierata dalla parte di Venezia, consentendo il passaggio di truppe venete, che venivano dalla Valcamonica, per gli zappelli dell’Aprica. Il Quadrio mise, dunque, in atto una spedizione punitiva, assediò, prese e distrusse il castello di Teglio.
Quel medesimo 1432 vide, probabilmente, nelle vie di Teglio l'austera e santa figura di Bernardino da Siena, predicatore di pace e di composizione delle divisioni fra i Cristiani. Il suo simbolo si vede ancora su alcuni portali ed in alcune chiese.
Quindici anni dopo la battaglia di Delebio si estinsero i Visconti; terminata la breve esperienza della repubblica milanese (1447), i Milanesi accolsero come loro signore Francesco Sforza. Ma già cominciavano ad affacciarsi quelli che sarebbero stati, dal 1512, i nuovi signori delle valli dell’Adda e della Mera, le Tre Leghe Grigie (Lega Grigia, Lega Caddea e Lega delle Dieci Giurisdizioni, che si erano unite nel 1471 a Vazerol), che miravano ad inglobarle nei loro territori per avere pieno controllo dei traffici commerciali che di lì passavano, assicurando lauti profitti. In particolare, fra il febbraio ed il marzo del 1487 le milizie grigione, accogliendo l’invito del pontefice Innocenzo VIII, in urto con il duca di Milano, invasero il bormiese e scesero lungo la valle, saccheggiando sistematicamente i paesi da Bormio a Sondrio. A Teglio si vissero giorni di terrore: il podestà ducale venne assassinato ed il paese venno incendiato e saccheggiato. Le truppe ducali si mossero per fermarne l’avanzata e, dopo alcuni episodi sfavorevoli, riuscirono a sconfiggerle nella piana di Caiolo. Non si trattò, però, di una vittoria decisiva e netta, come dimostra il fatto che le milizie grigione si disposero a lasciare la valle solo dopo la pace di Ardenno (1487), che prevedeva il cospicuo esborso, da parte di Ludovico il Moro, di 12.000 ducati a titolo di risarcimento per i danni di guerra. Di lì a poco, nel 1500, Ludovico il Moro con la sconfitta di Novara, perse il ducato di Milano ad opera del re francese Luigi XII. Per dodici anni i Francesi furono padroni di Valtellina e Valchiavenna; il loro dominio, però, per dispotismo ed arroganza, lasciò ovunque un pessimo ricordo.
Dopo il rovescio della Francia, eserciti grigioni si riaffacciarono in Valtellina ed iniziò la dominazione delle Tre Leghe Grigie (1512), questa venne salutata se non con entusiasmo, almeno con un certo sollievo. Teglio, nonostante l’abbattimento della rocca, non aveva perso il suo valore, almeno simbolico, di centro della Valtellina, e fu scelta come luogo nel quale avvenne la firma dei patti che dovevano sancire la perpetua amicizia fra grigioni e valtellinesi: “In Teglio nel giugno del 1512 si segnarono i famosi cinque capitoli che dovevano regolare le relazioni tra le tre Leghe e la Valtellina, e se ne giurò dai delegati di entrambi le parti l'adempimento.”.
I nuovi signori proclamavano di voler esercitare un dominio non capace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz (o Jante) il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); Valtellina e Valchiavenna figuravano come paesi confederati, con diritto perciò di essere rappresentati da deputati alle diete; le Tre Leghe promisero, inoltre,di conservare i nostri privilegi e le consuetudini locali, e di non pretendere se non ciò che fosse lecito e giusto. Ma, per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna, anche perché non li potevano presidiare ed avevano dovuto subire, l'anno precedente, il tentativo, fallito, di riconquista della Valtellina messo in atto da un famoso avventuriero, Gian Giacomo Medici detto il Medeghino. Se i Grigioni abbatterono le torri, l'epidemia di peste di quel medesimo 1526 abbattè, nella sola Teglio, 1500 cristiani.
Le Tre Leghe concessero, comunque, a Valtellina e Valchiavenna, pur nella subordinazione, un alto grado di autonomia. La Valle, sempre divisa in tre Terzieri, era amministrata da un consiglio detto di valle, con deputati nominati da ciascuna delle giurisdizioni, gli agenti di valle. Ogni deputato era nominato dal consiglio di una singola giurisdizione (a Sondrio ne erano riservati 3). I due contadi di Bormio e Chiavenna si amministravano autonomamente, ma, per le questioni di comune interesse, mandavano il loro voto per iscritto, o deputati delegati a rappresentarne gli interessi. Avevano propri codici e statuti Chiavenna, la valle S. Giacomo, Piuro, le singole giurisdizioni della Valtellina, e la contea di Bormio.
Nel 1531 i Valtellinesi stesero un progetto di fusione delle leggi o statuti, e lo presentarono alla dieta o governo delle Tre Leghe Grigie, per l'approvazione col nome di Statuti di Valtellina, ove erano raccolte le disposizioni in materia civile e criminale e le discipline nel ramo acque e strade. Ogni comune, poi, aveva propri ordinamenti, chiamati Ordini comunali, approvati però dal governatore, come lo erano tutte le gride comunali, che ne portavano la firma, limitata però al nome di battesimo.
Il dominio dell’arcivescovo di Milano su Teglio cessò definitivamente nel 1531, dal momento questi statuti trovarono applicazione anche a Teglio. Tuttavia, fin dall’inizio della dominazione delle Tre Leghe Grigie venne riconosciuta l’autonomia della propria giurisdizione, e il consiglio minore del comune eleggeva un rappresentante che partecipava con un proprio voto alle sedute del consiglio di valle.
Teglio, infatti, vide riconosciuta dai nuovi dominatori la sua condizione del tutto peculiare rispetto agli altri centri della valle, per cui conservò il suo status di giurisdizione staccata dai terzieri valtellinesi, sebbene fossero in vigore anche a Teglio 1531 gli statuti di Valtellina. La giurisdizione di Teglio ebbe quattro consoli di giustizia e un magistrato onorario indipendente, con compito di soprintendere alla destinazione delle tutele e cure dei minori, amministrazione dei loro patrimoni, approvazione dei pubblici notai, il calcolo delle spese e l’approvazione annuale dell’estimo e dell’esborso. Il governo delle Tre Leghe Grigie stabilì in Teglio un podestà, o pretore, che rimaneva in carica un biennio, da giugno a giugno
I grigioni sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Furono così stesi gli Estimi generali del 1531, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle; 103 pertiche di orti sono stimate 603 lire; i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di poco più di 38856 pertiche e sono valutati 10750 lire; boschi e terreni comuni sono stimati 168 lire; campi e selve, estesi 12497 pertiche, sono valutati 9300 lire; 4299 pertiche di vigneti sono stimate 5791 lire; gli alpeggi, che caricano 675 mucche, vengono valutati 135 lire; due segherie, le fucine ed un forno fusorio sono valutati 148 lire; il valore complessivo dei beni è valutato 22297 lire (sempre a titolo comparativo per Tresivio è di 4259, per Chiuro di 13670, per Ponte di 13924 e per Montagna 13400), e conferma Teglio come terra particolarmente ricca. Nonostante ciò, nel 1534 l’arcivescovo di Milano cedette tutti i diritti feudali che aveva in Teglio, oltre che proprietà costituite da oltre seicento tra appezzamenti, terreni ed edifici al medico Andrea Guicciardi e ad Azzo II Besta per 4.000 scudi. Con questo atto appare evidente come fosse ormai venuto meno per lui ogni interesse sostanziale a conservare possedimenti che non dovevano apparirgli molto redditizi.
Non fu, in generale, il Cinquecento secolo clemente, almeno nella sua prima metà: la natura si mostrò più volte piuttosto matrigna che madre. Nel 1513 la peste infierì in molti paesi della valle, Bormio, Sondalo, Tiolo, Mazzo, Lovero, Tovo, Tresivio, Piateda, Sondrio, Fusine, Buglio, Sacco, e Morbegno, portandosi via diverse migliaia di vittime. Dal primo agosto 1513 al marzo del 1514, poi, non piovve né nevicò mai, e nel gennaio del 1514 le temperature scesero tanto sotto lo zero che ghiacciò perfino il Mallero. L’eccezionale ondata di gelo, durata 25 giorni, fece morire quasi tutte le viti, tanto che la successiva vendemmia bastò appena a produrre il vino sufficiente ai consumi delle famiglie contadine (ricordiamo che il commercio del vino oltralpe fu l’elemento di maggior forza dell’economia della Valtellina, fino al secolo XIX). Le cose andarono peggio, se possibile, l’anno seguente, perché nell’aprile del 1515 nevicò per diversi giorni e vi fu gran freddo, il che arrecò il colpo di grazia alle già duramente colpite viti della valle. Nel comune di Sondrio, annota il Merlo, cronista del tempo, vi furono in tutto solo un centinaio di brente di vino. Nel 1526 la peste tornò a colpire nel terziere di Mezzo, e ne seguì una dura carestia, come da almeno un secolo non si aveva memoria, annota sempre il Merlo. L’anno successivo un’ondata di freddo e di neve nel mese di marzo danneggiò di nuovo seriamente le viti. Dalle calende d’ottobre del 1539, infine, fino al 15 aprile del 1540 non piovve né nevicò mai, tanto che, scrive il Merlo, “per tutto l’inverno si saria potuto passar la Montagna dell’Oro (cioè il passo del Muretto, dall’alta Valmalenco alla Val Bregaglia) per andar verso Bregaglia, che forse non accadè mai tal cosa”. La seconda metà del secolo, infine, fu caratterizzata da una grande abbondanza di inverni rigidi e nevosi ed estati tiepide, nel contesto di quel tendenziale abbassamento generale delle temperature, con decisa avanzata dei ghiacciai, che viene denominato Piccola Età Glaciale (e che interessò l’Europa fino agli inizi dell’Ottocento). C’è davvero di che far meditare quelli che (e non son pochi) sogliono lamentarsi perché non ci sono più le stagioni di una volta…
Il cinquecento tellino fu, però, caratterizzato da un florilegio e da una vivacità culturali davvero degne della migliore tradizione dei Rinascimento italiano.
Nel Seicento la tensione fra protestanti, favoriti dalle autorità grigioni, e cattolici cresceva da diversi decenni, soprattutto per le conseguenze del decreto del 1557, nel quale Antonio Planta stabilì che, dove vifossero più chiese, una venisse assegnata ai protestanti per il loro culto, e dove ve ne fosse una sola venisse usata a turno da questi e dai cattolici.
Nel territorio di Teglio la tensione maggiore si determinò a Boalzo, perché la chiesa di S. Abbondio avrebbe dovuto essere utilizzata sia dai cattolici che dai protestanti, il che determinò, nel 1618 tumulti che vennero sedato con energia dalle autorità; il nobile tellino Biagio Piatti, accusato di aver sobillato i cattolici, venne condannato a morte dal tribunale speciale di Thusis. In quel medesimo anno e presso quel medesimo tribunale avvenne un tragico processo di ben maggiore rilievo storico. A Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture; la medesima sera della sua morte, il 5 settembre 1618, dopo venti giorni di pioggia torrenziale, al levarsi della luna, venne giù buona parte del monte Conto, seppellendo le 125 case della ricca e nobile Piuro e le 78 case della contrada Scilano, un evento che suscitò enorme scalpore e commozione in tutta Europa.
Due anni dopo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra.
Teglio non fu immune dalla strage, ed anzi fu teatro di uno degli episodi più raccapriccianti: Carlo II a Azzo IV Besta si erano posti alla testa degli armati decisi a sterminare i protestanti e li avevano assaliti nella chiesa di S. Orsola, a pochi passi dal palazzo Besta, mentre ascoltavano il sermone domenicale. La scena fu orripilante: i rivoltosi trucidarono ad archibugiate i presenti. Venne poi appiccato il fuoco alla chiesa ed al campanile, e fra le fiamme morirono i pochi scampati ai colpi d’archibugio, fra cui anche alcuni bambini che avevano cercato scampo proprio sul campanile. Le vittime furono forse 72; della chiesetta di Sant'Orsola non restò traccia.
La battaglia di Tirano liberò provvisoriamente la Valtellina dalla loro signoria, ma un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece nuovamente della valle un teatro di battaglia. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni.
Ma la valle godette solo per breve periodo della riguadagnata pace: il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636).
Anche Teglio, nonostante la sua posizione appartata, venne colpita dall’epidemia e la sua popolazione fu probabilmente dimezzata.
Neppure il tempo per riaversi dalla peste, e la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali. Il duca, penetrato d'improvviso in Valtellina nella primavera del 1635, con in una serie di battaglie, a Livigno, Mazzo, S. Giacomo di Fraele e Morbegno, sconfisse spagnoli e imperiali venuti a contrastargli il passo. Ma il suo ricordo nelle genti di Valtellina è legato al peso, che molto gravò anche su Ponte, dell’alloggiamento delle sue truppe, vero e proprio salasso per comunità già stremate economicamente e prostrate moralmente dal flagello della peste. Chi poteva, si rifugiava nei paesini arroccati sui versanti retico ed orobico. A rendere ancora più fosco il quadro, ci si mise anche una seconda ondata dell’epidemia di peste, che, a partire dal 1636 colpì di nuovo duramente le popolazioni.
Lo sgombero dei Francesi fu determinato dalla svolta del 1637, un inatteso rovesciamento delle allenze: i Grigioni, che pretendevano la restituzione di Valtellina e Valchiavenna (mentre i Francesi miravano a farne una base per future operazioni contro il Ducato di Milano), si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, con un commissario a Chiavenna, un podestà a Morbegno, Traona, Teglio, Piuro, Tirano e Bormio, ed infine un governatore ed un vicario a Sondrio.
Teglio, in questi anni così duri, venne però meno colpita rispetto ad altre comunità, ed a riprova di ciò si può osservare che fu uno dei pochissimi paesi della valle a non essere interessato da un significativo flusso migratorio. “Nei secoli XVII e XVIII ancora florida era la sua economia, basata essenzialmente su una coltivazione differenziata della terra con prodotti ricercati, tra cui per primo il vino, esportato anche al di là delle Alpi; non mancavano frumento, segale, miglio ed orzo, cui si era aggiunto, trovando il suo terreno ideale, il grano saraceno, ricercato in tutta la valle. Numerosi erano quindi i mulini (ben 38 ancora alla fine dell’Ottocento) e non meno importanti l’allevamento dei bovini e degli ovini e lo sfruttamento dei boschi e delle miniere di ferro della Val Belviso, che occupavano maestranze residenti nelle contrade telline di Aprica, Bondone e Carona.”.
Il settecento fu secolo di generale ripresa, ma non privo di note chiaroscurali, legati soprattutto ad alcuni inverni eccezionalmente rigidi, primo fra tutti quello memorabile del 1709, quando, ad una serie di abbondanti nevicate ad inizio d’anno, seguì, dal giorno dell’Epifania, un massiccio afflusso di aria polare dall’est, che in una notte gelò il Mallero e parte dell’Adda. Ed ancora, nel 1738 si registrò una nevicata il 2 maggio, nel 1739 nevicò il 27 ed il 30 marzo con freddo intenso, nel 1740 nevicò il 3 maggio, con freddo intenso e nel 1741 nevicò a fine aprile, sempre con clima molto rigido e conseguenze disastrose per le colture e le viti.
Alla metà del Settecento, secondo la testimonianza dello storico Francesco Saverio Quadrio, la comunità di Teglio era complessivamente suddivisa in trentasei contrade, delle quali le principali erano Piazza, Besta, Bellamira, Silvestri, San Martino, Ligone di Sotto, Ligone di Sopra, San Giovanni, Frigerio, Sommi Sassi (tutte sulla destra dell’Adda); Boalzo, Succi, Tresenda, San Giacomo, Nuvola (nel piano); Grania, Poschiavini, Val Malgina (in parte), Pondono, Carona, Alliceto, Val di Belviso, Aprica (alla sinistra dell’Adda). “Le contrade erano raggruppate in vicinie: Aprica con Ganda, Carona con Bordone, comprendente forse anche Grania, Verignia (probabilmente l’odierna San Paolo, con il resto della Val Belviso), Boalzo, che eleggevano democraticamente come propri rappresentanti dei consoli e detenevano prerogative per l’utilizzo dei boschi e dei pascoli. La terra mastra della castellanza e del comune di Teglio, coincidente all’incirca con i confini della parrocchia di Santa Eufemia (per la quale la comunità godeva del diritto di nomina del rettore), era composta dalle parti di Verida e di Pertinasca, o Teglio di sopra e di sotto; entrambe avevano pertinenze sul fondovalle e sul versante orobico e compiti specifici per il mantenimento dei ponti sull’Adda”.
Nel Settecento il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie nelle due valli crebbe progressivamente, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi. Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi (cui si unirono i Valchiavennaschi, ad eccezione del comune di S. Giacomo) lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno. Per meglio comprendere l’insofferenza di valtellinesi e valchiavennaschi, si tenga presente che la popolazione delleTre Leghe, come risulta dal memoriale 1789 al conte di Cobeltzen per la Corte di Vienna, contava circa 75.000 abitanti, mentre la Valtellina, con le contee, superava i 100.000. Fu la bufera napoleonica a risolvere la situazione, con il congedo dei funzionari Grigioni e la fine del loro dominio, nel 1797.
Teglio aveva allora circa 8000 abitanti. Si trattò di una svolta importante, sulla quale il giudizio degli storici è controverso. La dominazione francese rappresentò l’inizio di una crisi senza ritorno, legata alla cancellazione di quei margini di autonomia ed autogoverno riconosciuti durante i tre secoli di pur discutibile e discussa signoria delle Tre Leghe Grigie.
Per alcuni mesi, dopo il 1797, comunque, rimase in piedi l'ipotesi di un'aggregazione di Valtellina e Valchiavenna come Quarta Lega alla federazione grigiona, cui non erano contrari né Napoleone né Diego Guicciardi, cancelliere di Valle del libero popolo valtellinese. Il sorprendente voto nei comuni delle Tre Leghe Grigie, di cui giunse notizia il primo settembre 1797, chiuse, però, definitivamente questa prospettiva: 24 si espressero contro, 21 a favore, 14 si dichiararono incerti e 4 si astennero. Di conseguenza il 10 ottobre 1797 Napoleone dichiarò Valtellinesi e Valchiavennaschi liberi di unirsi alla Repubblica Cisalpina. Seguì, il 22 ottobre, l'unione della Valtellina e dei Contadi di Bormio e Chiavenna alla Repubblica Cisalpina ed il 28 ottobre la confisca delle proprietà dei Grigioni in Valtellina. Il comune di Teglio e sue vicinanze venne collocato, nel 1802, nel VI distretto dell’ex Valtellina, con capoluogo Ponte, e vi fu confermato, come comune di II classe con 4.500 abitanti, nel 1803. Stupisce che un comune considerato per molti aspetti il più illustre di Valtellina fosse subordinato alla vicina Ponte, anch'essa illustre, ma probabilmente non del medesimo rango; probabilmente la decisione venne presa non avendo riguardo alla storia, ma alla prospettiva, che venne più volte presa in considerazione, di uno smembramento di Teglio, costituito da frazioni troppo lontane, alcune anche piuttosto riottose rispetto al vincolo centrale (prima fra tutte Aprica). Alla Repubblica Cisalpina seguì, nel 1805, il Regno d’Italia, nel quale il comune di Teglio venne ad appartenere al III cantone di Tirano, come comune di II classe, che contava 5.540 abitanti. Nel 1807 il comune di Teglio, con 5.100 abitanti totali figurava composto da Teglio in senso stretto (3000 abitanti) e dalle frazioni di Aprica (500), Carona (800), Grania (600), Boalzo (150), Motta (50).
Cadde anche Napoleone, lasciando ai posteri il problema di formulare l'ardua sentenza sulla sua vera gloria; il Congresso di Vienna, nel 1815, anche grazie all'operato della delegazione costituita dal chiavennasco Gerolamo Stampa e dal valtellinese Diego Guicciardi, sancì l'aggregazione del dipartimento dell’Adda al Regno Lombardo-Veneto, sotto il dominio della casa d’Austria. Teglio in un primo tempo subì il distacco, poi si vide riconosciuta, nel 1824, la riaggregazione degli antichi territori di Boalzo, San Giacomo, Carona ed Aprica. Nel 1853 Teglio con le frazioni di Boalzo, Carona con Aprica, San Giacomo, Tresenda e Motta, era comune con consiglio senza ufficio proprio e con una popolazione di 5.667 abitanti, nel II distretto di Tirano.
Il dominio asburgico fu severo ma attento alle esigenze della buona amministrazione e di un’ordinata vita economica, garantita da un importante piano di interventi infrastutturali. Venne tracciata la carozzabile da Colico a Chiavenna, e, fra il 1818 ed il 1822, la strada dello Spluga. Tra il 1820 e il 1825 anche Bormio fu allacciata alla valle dell'Adige con l’ardita strada dello Stelvio progettata dall’ingegner Carlo Donegani, che già aveva progettato la via dello Spluga. Nel 1831, infine, fu inaugurata la strada lungo la sponda orientale lariana, da Colico a Lecco, che consentì alla provincia di Sondrio di superare lo storico isolamento rispetto a Milano ed alla pianura lombarda.
Il periodo asburgico fu anche segnato anche da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame.
Ci si misero, poi, anche le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855), mietendo vittime anche a Teglio. Si aggiunse, infine, per soprammercato, l'epidemia della crittogama, negli anni cinquanta, che mise in ginocchio la vitivinicoltura valtellinese, con grave danno anche per la zona del pregiato Valgella, di cui Teglio andava fiera. Queste furono le premesse del movimento migratorio che interessò una parte consistente della popolazione nella seconda metà del secolo: “solo nella seconda metà dell’Ottocento, mutate le condizioni socio-economiche, anche nel territorio di Teglio fece la sua comparsa il fenomeno dell’emigrazione, senza però mai toccare le elevate punte registrate in altre località.”
Successivamente la Valtellina segue le vicende della Lombardia.
Nel 1983 una frana a Tresenda causa 18 morti.
Notevole edificio è la parrocchiale, dedicata a S. Eufemia, che sembra essere stata cominciata sul principio del XV secolo o verso la fine del XIV. Il campanile, di maschio aspetto e non ultimato, è costruzione alquanto posteriore. L'interno della chiesa è a tre navate, i cui archi cono sorretti da colonne a fusto ottagonale. Vi corrisponde la facciata a tre compartimenti, di cui quello di mezzo finisce a forma cuspidale. La porta è a forma archi-acuta con colonnette spirali che ne seguono la curva sino all'incontro. I capitelli o gli stipiti a fregi sono di stile gotico. La porta è preceduta da un piccolo pronao di stile diverso, con colonne accerchiate a metà del fusto. Nella lunetta sovrastante alla porta v'è una Pietà in marmo ad alto rilievo, con fondo e putti dipinti a fresco. Questa scultura sembra della prima metà del secolo XV e porta traccie di colori. Sulla parte laterale a tramontana, pure lavorata a intagli ornamentali, si legge la data 1406. La chiesa è stata restaurata nel 1655 per cura e a spese di Ascanio Guicciardi e di altri devoti; fu poi tosto nuovamente dipinta.
Prima che fosse contratta l'attuale chiesa di S. Eufemia, nel luogo istesso, ve n'era un'altra. Infatti si ha memoria che nel 1117 Guido vescovo di Como consacrò la chiesa di Teglio dedicata a S. Eufemia, S. Agnese e S. Cecilia. Tale notizia trovammo in una nota manoscritta aggiunta alla storia del Lavizzari a pag. 28, di Giuseppe Vincenzo Besta, il quale dichiara di averla tratta da una memoria In caratteri gotici, che egli possedeva e che pur troppo andò smarrita. La chiesa di Sant'Eufemia fino al 1570 fu retta da un curato soggetto al proposito degli Umiliati di S. Orsola. Ma poi, soppressi gli Umiliati, Pio V dichiara proposito Corrado Pianta rettore di quella chiesa. Urbano VIII, con bolla 19 Settembre 1625, erige nuovamente e solennemente la chiesa di S. Eufemia in prepositura.
Rimpetto alla chiesa v'è l'Oratorio della Confraternita del Bianchi, sulla cui facciata ai trovano vari dipinti del XV secolo, fra i quali una Madonna, col Bambino in trono, e la data 1491. Sono quegli affreschi di merito assai modesto, ma ve n'è uno notevole pel soggetto, perché figura la morte che coglie nelle sue reti ogni ceto di persone, uno degli episodi della danza macabra, di cui erano a que’ tempi in molta voga lo rappresentazioni.
A mezzo giorno trovasi l'oratorio di un'altra confraternita e ivi accanto il vecchio ossario. La confraternita fu istituita nel 1432 quando S. Bernardino da Siena venne a Teglio a predicarvi pace tra i guelfi e i ghibellini.
L'altura che si trova a mezzodì sulla quale sorgeva l'antico castello di Teglio, per antonomasia si chiama ancora castello. Il panorama che si gode dalla sua sommità è superbo: esso si estende dalle vette della catena dell'Ortler e dell'Adamello a quelle delle montagne del lago di Como, e nel piano della valle, da Mazzo ai pie' del Colmo di Dazio. Bella è la veduta di Tirano; bella eziandio quella della strada d'Aprica e delle sue gallerie. Di Sondrio si scorge il campanile e quella parte che si estende a mezzogiorno. Pittoresco poi è l'aspetto dei vari gruppi di case onde si compone la borgata di Teglio, sparse, fra campi, e prati e selve.
Ai piedi della collina del Castello, a occidente, sorge la chiesuola di S. Lorenzo; lì vicino sta il palazzo ricostrutto nella prima metà del cinquecento da Azzo Besta, secondo di questo nome, e dal quale Agnese, sposa di lui, datava le belle lettere per cui il Lando e il Quadrio la pongono fra le donne illustri. Più a sera trovasi un vasto fabbricato, che appartenne a un altro ramo della famiglia Besta, e poi un secondo, forse più vasto, e meglio conservato che fu già dei Guicciardi.
La piccola e vecchia chiesa di S. Lorenzo era un oratorio della famiglia Besta, una fra le antiche di cui la storia valtellinese faccia menzione. Questa chiesetta ha il coro decorato di buone pitture a fresco di mano di Fermo Stella da Caravaggio, uno dei migliori discepoli di Gaudenzio Ferrari, Nella parte centrale è figurata la Crocifissione Sulla parete laterale a destra è rappresentato un fatto della vita del santo titolare; in quella di sinistra il dipinto è stato nel principio di questo secolo barbaramente ricoperto di una tinta a calce, che doveva estendersi anche al resto, se non interveniva il poeta Besta che minacciò di morte, qualora continuasse, il vandalo imbiancatore. Sulla parete a sinistra, in alto, vicino all'arco del presbitero, vedesi il sarcofago di Andrea Guicciardi, il medico illustre ricordato più su. Sulla parete a destra stanno quelli di Azzo II Besta, e di Carlo suo figlio. Nella chiesa erano le tombe per tutti i membri delle famiglie Besta e Guicciardi. La facciata, che era caduta, venne ricostruita nel 1874; i pochi fondi, avuti in parte dal Ministero dell'Istruzione pubblica, e raccolti in parte maggiore per vie di offerte private, non bastarono a condurre a fine il ristauro, e se non si troverà modo di proseguire nell'opera solamente incominciata i preziosi affreschi del Fermo Stella andranno presto perduti.
Il palazzotto Besta è un interessante modello delle dimore signorili del XVI secolo. La porta d'ingresso è fregiata di un bel dipinto e di sculture figurate ed ornamentali. Il cortile a porticati presenta dipinti a chiaroscuro personaggi e fatti tolti dall'Eneide. Il pozzo marmoreo nel cortile, di forma ottagona, porta l'iscrizione: Azzua arcundus 1539. E caratteristico dell'epoca il modo della decorazione delle sale e delle varie camere, in alcune delle quali si vedono tuttora bellissimi soffitti a lacunari lavorati e intagliati con finissimo magistero. Sono pur notevoli per l'industre artificio le ferriate poste ad alcune finestre della facciata. Tutto i quel fabbricato respira il cinquecento e ne fa gustare il carattere. È un modello tanto più prezioso in quanto gli analoghi si fanno sempre più rari. Il palazzo, dopo che nel 1639 Azzo Besta, che n'era proprietario, si ritirò, in seguito al capitolato di Milano il quale rifaceva serva la Valtellina, ad Erbanno, venne posto all'incanto. Lo acquistò Pietro Morelli. Estintosi al principio di questo secolo la famiglia di lui, esso palazzo passò ai Parravicini di Balzo. …
Sul promontorio che trovasi di fronte al Castello e a sera delle contrade di Dosso Grifone e dei Valli sorgeva il ricco convento degli Umiliati e la loro chiesa dedicata a S. Orsola.
Soppresso il convento, la ricca chiesa era stata, sullo scorcio del secolo XVI, assegnata airiformati. Quivi il 13 luglio 1620, essendo giorno di domenica. erano raccolti i protestanti e ascoltavano la predica del loro ministro, ignari della rivolta già scoppiata a Tirano. I cattolici sollevati accorsero in armi e ne fecero scempio. Alcuni infelici si erano ritirati sul campanile, e vi perirono consunti dal fuoco appiccatovi. La chiesa venne tosto rasa al suolo. Ora non si vede nessuna traccia di essa; là dove sorgeva son campi; però fino al 1770 rimase in piedi parte del campanile.”
L'Astel A.S.D. Tellina (Basket Teglio) è una squadra di pallacanestro maschile, fondata nel 2007, che al momento milita nel campionato di Promozione di Bergamo. Gioca le partite casalinghe nel Palsport Comunale di Teglio: ristrutturato tra il 2011 e il 2014, può contenere fino a 500 persone.
Dalla stagione invernale 2012-2013 Teglio ha nuovamente la sua stazione sciistica, situata in località Prato Valentino tra i 1690 ad 2340 metri di quota, con le piste principali servite da una seggiovia ed uno skilift.
Esiste anche la squadra di calcio Astel Teglio che milita nel campionato CSI provinciale e gioca le sue partite al campo sportivo di San Giovanni.
Il comune si sviluppa dalle Alpi Retiche a quelle Orobiche. Nel passato anche Aprica, un paese situato a sud-est di Teglio, era parte del comune, mentre ora è un comune indipendente.
Il territorio del comune di Teglio è composto da molti blocchi:
Il centro di Teglio si sviluppa lungo le Alpi Retiche ad una quota media di 900 m s.l.m. ed è la zona maggiormente esposta al sole e panoramica. Per questo fu di grande importanza strategica nel passato.
San Giovanni è la frazione a ovest del comune sul versante retico a 650 m s.l.m.
La zona di Tresenda si trova a sud-est del centro e si sviluppa principalmente sul fondovalle (circa 300 m s.l.m.) in prossimità della SS38 e del fiume Adda. Da Tresenda inoltre parte la strada per raggiungere il paese di Aprica, la SS. 39 dell'Aprica.
La zona di San Giacomo si trova a sud-ovest del centro e si estende tra il fondovalle (circa 300 m s.l.m.), in prossimità della SS38 e del fiume Adda, e le Alpi Orobiche
Prato Valentino è una frazione che conta case e rifugi; è una importante località sciistica.
Castelvetro conta diversi ristoranti, case, bar e appartamenti. È posta prima di Teglio (intendendo la parte alta).
Posseggia è una piccola frazione, ospita solo case.
Vangione Superiore ospita diverse case e appartamenti.
Vangione Inferiore conta diverse abitazioni.
Sant' Antonio di Teglio conta una chiesa e molte case.
Pila è una frazione, posta poco prima del vero centro storico di Teglio, in alto, ospita diverse case.
Arboledo ospita diverse case e un agriturismo.
Boalzo è una frazione che conta poche case ed è posta sopra Tresenda.
A Canali è stato trovato un frammento stelico nel 1985 da Don Mario Giovanni Simonelli.
Bondone conta meno di dieci case, ma è presente una chiesetta.
Branchi/Cà Branchi conta diverse case e diversi Bed and Breakfast.
Villanova conta solo case.
Caprinale-Luscio conta poche case ed una cappella.
Piali-Codurelli conta molte case e appartamenti.
Carona è posta esattamente sopra la frazione San Giacomo di Teglio.
Corna dà il nome a un ristorante; è posta nella parte bassa.
Crespinedo è posta nella parte alta, questa frazione conta solo case.
San Rocco di Teglio è una piccola frazione è posta nella parte alta e fronteggia Teglio.
Ligone conta diverse abitazioni ed una chiesa: la Chiesa di Santa Maria di Ligone, che dà il nome alla frazione: Ligone-(Santa Maria).
San Sebastiano conta diverse case, ristoranti e bar.
Caselli/Caseli conta diverse case ed è posta sopra San Sebastiano; è presente anche una società di allevamento bestiame e importazione.
Gianoli conta solo case ed un bilocale.
Franchesi è una piccola frazione posta sulla strada bassa principale, conta solo abitazioni.
Frigeri conta una chiesa e diverse abitazioni.
Margattoni conta solo case e ville; vi è anche un luogo di preghiera.
Moia conta solo abitazioni.
Somasassa dà il nome al lago; vi sono abitazioni e una chiesa (Chiesa di San Gottardo a Somasassa); la frazione è anche chiamata Somasassa-San Gottardo, nome dato dalla chiesa.
Valgella conta diverse abitazioni e dei vigneti.
Panaggia conta meno di dieci abitazioni ed è piccola, ma vi sono delle fortificazioni medievali.
San Gervasio conta abitazioni ed una chiesa.
Nigola conta diverse abitazioni.
Teglio è stato nel passato un paese con un'economia quasi esclusivamente rivolta all'agricoltura e l'allevamento. La coltivazione di grano saraceno denominato "furmentùn", "fraina" o "farina negra" era molto rappresentativa tanto da diventare presidio slow food. La farina di grano saraceno veniva e viene utilizzata per Pizzoccheri, Sciatt e molti altri piatti.
Attualmente il settore con maggiore crescita è il terziario favorito dall'affluenza di molti turisti durante il periodo estivo e invernale.
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