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venerdì 22 maggio 2015

I MOLINI MARZOLI MASSARI A BUSTO ARSIZIO



Il complesso dei Molini Marzoli Massari venne edificato, nel periodo tra il 1906-1907 ad opera dell'ingegner Guazzoni, con successivi interventi liberty, fino al 1926, dell'architetto bustese Silvio Gambini. Il progetto iniziale, del 1906, riguardava i fabbricati del molino, dei sili, della sede amministrativa, della officina con parti di servizio, della cabina elettrica e delle scuderie, progettate dall’ingegner Guglielmo Guazzoni, presso il quale Silvio Gambini lavorava. Successivamente, Gambini, dopo aver lasciato nel 1915 lo studio del Guazzoni (che morirà due anni dopo), si occupò della realizzazione dei magazzini del grano e le autorimesse, demolendo le scuderie e gli alloggi per i carrettieri; alcuni reparti di magazzinaggio e pulitura; l’edificio per l’insacco e la saccheria; i serbatoi e la cabina della pompa. Lo stabilimento Marzoli è l’unico per la lavorazione del grano sul territorio bustese. Al piano seminterrato erano posizionati i macchinari elevatori, al piano rialzato i laminatoi, al primo piano i filtri e gli aspiratori e al secondo piano i buratti per il setacciamento del grano. Il complesso era collegato alla linea ferroviaria che occupava l’attuale sedime del viale Cadorna (detto “della Gloria”) prima di essere spostata più a est, nella posizione attuale. L’area dei Molini ha un’estensione di poco più di 9000 m² e al suo interno sono ancora visibili i binari che collegavano il complesso edilizio alla rete ferroviaria. In linea orizzontale, la scansione ritmica delle superfici, il volume bloccato, la composizione centrale, il rigore logico distributivo delle piante dei fabbricati, la simmetria prospettica, uno stile spoglio che attinge la sua espressione dai principi costruttivi e dall’uso onesto dei materiali, uno spiccato senso della monumentalità, sono tra i caratteri dell’architettura di Otto Wagner; caratteri che si posso ritrovare nel complesso dei Molini Marzoli Massari. Tutti i corpi di fabbrica presentano volumi geometrici semplici (grandi parallelepipedi sviluppati in orizzontale o verticale) con lineari superfici di prospetto a mattoni a vista e intonaci bianchi, scandite da modanature a poco rilievo ripetute in sequenza continua, che racchiudono aperture vetrate rettangolari, arricchite da eleganti profilature a motivi sinuosi nel corpo di fabbrica del molino vero e proprio e marcature in rilievo in cotto nel silos-tramogge; nella palazzina, destinata a rappresentanza, il gioco decorativo si fa più ricco con elementi floreali in cemento e ferri battuti di complesso raffinato disegno. L’aspetto decorativo peculiare degli edifici del Molino appare più materico e coloristico che floreale, quindi più vicino alla severità compositiva, ma colorita, di Otto Wagner e all’Art Nouveau austriaca, piuttosto che a quella belga e francese. Il complesso fu abbandonato negli anni sessanta, e acquistato dal Comune di Busto Arsizio nel 1985. Oggi, rinominato Tecnocity, è sede di:

il Centro Tessile Cotoniero sui tre piani (rialzato, primo e secondo) dell’edificio Molino;
una Sala convegni (Sala Tramogge) per 221 posti al piano rialzato e rialzato dell’edificio Tramogge;
la mensa nell’edificio sud su due piani (ex stalla e fienile);
il Polo Scientifico Tecnologico lombardo nell’edificio Tramogge e il relativo incubatore nel seminterrato degli edifici Molino ed Insacco, oltre che nell’ex deposito;
il Centro di Formazione/Diploma Universitario in Biologia, indirizzo Farmacologico e Tossicologico dell’Università dell’Insubria: nella palazzina, con la segreteria, la presidenza, gli studi per docenti e le sale riunioni; nell’edificio Insacco con tutte le aule normali e speciali e la biblioteca; nell’edificio a un piano su via Alberto da Giussano a disposizione di corsisti e studenti;
l’ufficio Relazioni con il Pubblico del Comune di Busto Arsizio.

Il processo lavorativo seguiva il seguente iter: i cereali in arrivo venivano versati in apposite tramogge (recipienti aventi pareti inclinate) poste ai piedi dei sili e comunicanti con il piano seminterrato. Da qui venivano trasportati attraverso appositi condotti ed elevati sino all'ultimo piano dell'edificio dove, mediante una coclea (meccanismo di trasporto costituito da un lungo canale che si sviluppa a spirale), venivano distribuiti nei 17 sili di cemento armato, capaci di contenere 25 quintali di grano.

A livello intermedio del percorso di elevazione, i cereali passavano attraverso una particolare bilancia e qui pesati: bilancia, impianto di elevazione e coclea di distribuzione sono ancora oggi installati.

Nelle diverse celle dei silos i cereali venivano tenuti separati e successivamente trasportati nell'attiguo edificio avente funzioni di molino dove erano concentrati gli impianti per la macinazione.

Nel molino il grano veniva controllato, pulito, separato, battuto, lavato e fatto passare negli essiccatori ad aria calda che permettevano di dosare l'umidità presente nei cereali, in funzione della macinazione.

I cereali così lavorati venivano successivamente trasferiti nell'edificio adibito all'insacco. Quest'ultimo consta di un corpo isolato a sé stante ed è ancor oggi collegato all'ex molino per mezzo di un tunnel sotterraneo che collega i locali seminterrati dei due edifici.

L'utilità del tunnel era quella di impedire che il trasporto del grano macinato avvenisse allo scoperto; cosa che, durante le giornate umide o di pioggia, avrebbe arrecato danno al prodotto lavorato.

Dall'edificio avente funzione di centrale elettrica, si diramava l'impianto che distribuiva corrente ai motori elettrici che azionavano il movimento dell'intero molino. I motori principali erano tre: uno per gli impianti di sollevamento e distribuzione dei sili, uno per gli impianti di pulitura del grano ed uno per il molino.

Un insieme di motori di minor potenza azionavano altrettanti meccanismi ed impianti minori per i lavori complementari al processo produttivo principale.

I cereali cosi lavorati ed insaccati, trovavano posto nei magazzini adiacenti prima di essere spediti. Quest'ultima operazione veniva fatta, inizialmente, tramite ferrovia, a cui l'opificio era collegato direttamente per mezzo di un tracciato interno e con i carri trainati dai cavalli.

Questo particolare ci ricollega e spiega la presenza di un edificio avente funzione di scuderia, rimessa ed alloggio per i carrettieri.

Altre funzioni specifiche venivano assolte nella palazzina ad uso uffici amministrativi e direzionali.

Quello dei Molini Marzoli Massari è il più importante complesso industriale della città di Busto Arsizio, oggi adibito ad altre funzioni, diverse da quella produttiva.

Il 17 maggio 1897 nacque, per iniziativa del ragioniere Pietro Marzoli, del fratello Giovanni e del ragioniere Giovanni Massari, la Società in Accomandita Marzoli, Massari & C. a Varese, con lo scopo di realizzare un impianto per la macinazione del frumento. Venne costruito così il molino di Varese, l'unico operante nel nord milanese, che entrò in funzione nel 1898, con una potenzialità di macinazione di 150 quintali di frumento in una giornata. Questa potenzialità aumentò grazie al favore del mercato, raggiungendo i 300 quintali giornalieri, con un conseguente ampliamento degli stabili per la lavorazione del cereale. Intanto, nel 1901, per iniziativa di Pietro Marzoli e per opera del fratello Attilio e di Cesare Besozzi, venne costituita la Società in Accomandita Besozzi, Marzoli & C. per la macinazione del granone, che pose il proprio impianto (con capacità di 120 quintali giornalieri e oleificio annesso) poco distante da quello per la macinazione del frumento di Varese. Nel 1906 Pietro Marzoli pensò alla costruzione di uno stabilimento che potesse soddisfare le esigenze della vastissima zona industriale comprendente Gallarate, Legnano e Busto Arsizio. Per realizzare questo progetto, l'accomandita Marzoli & C. venne trasformata in Società Anonima Molini Marzoli Massari, la quale comprese il molino di Varese e assorbì il molino per il granone e l'oleificio della Besozzi, Marzoli & C. e iniziò la costruzione di un grande impianto a Busto Arsizio che avesse un capacità di 500 quintali giornalieri di frumento. Gli edifici comprendevano: il molino e pulitura, un silo per il grano con una capacità di 2500 tonnellate, una palazzina per abitazione, uffici, le scuderie e i servizi. Tra il 1908 e il 1914 venne perfezionata e accresciuta la capacità degli stabilimenti. Durante la prima guerra mondiale questi stabilimenti svolsero un grande lavoro per conto dei Consorzi Granari Provinciali e delle Autorità Militari. Nel 1919, quando tornò la libertà nella produzione e nel commercio dopo la guerra, la società diede il via ad un ammodernamento e riordino degli impianti. Così, aumentarono le capacità degli stabilimenti di Varese, così come quello di Busto Arsizio, che raggiunse i 1000 quintali nelle 24 ore. I lavori vennero completati nel 1926. Dopo un'espansione nel napoletano, nel secondo dopoguerra vennero ulteriormente aumentate le capacità degli stabilimenti di Varese (ai quali venne aggiunto un pastificio) e di Busto Arsizio, dove la capacità venne aumentata a 1200 quintali per poi arrivare a 1400 quintali giornalieri. Negli anni sessanta la Molini Marzoli Massari acquistò un ampio terreno a Mornago con l'intenzione di costruire un nuovo molino unificando gli impianti di Varese e Busto Arsizio posti in zone centrali delle due città; venne anche avviata un'attività di produzione di pane su scala industriale. Nel 1974 i terreni e i macchinari di Mornago furono venduti dalla nuova gestione che subentrò al vecchio nucleo familiare. Negli anni settanta venne demolito il complesso di Varese, mentre nel 1975 lo stabilimento di Busto Arsizio cessò la sua attività, per poi essere acquistato dal Comune di Busto Arsizio nel 1985. Il 15 aprile 2000 vennero inaugurati gli immobili della ex Molini Marzoli Massari che avevano subito lavori di restauro voluti dallo stesso Comune.




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domenica 5 aprile 2015

BUONA PASQUA A TUTTI

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Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
(Gv 20,1-9)

La principale domenica di tutto l'anno liturgico celebra un evento straordinario e decisivo nella Storia dell'umanità: la risurrezione di Gesù Cristo. "Questo è il giorno di Cristo Signore, alleluia".
I testi biblici indicati per la liturgia eucaristica del giorno costituiscono testimonianze certe sulla presenza del Risorto. Gli Atti degli Apostoli trasmettono la predicazione di Pietro che ricorda la testimonianza dei profeti: "Chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo Nome". Davvero la salvezza è stata attuata grazie al sacrificio del Signore. Ai Colossesi, Paolo indica una strada: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra". Il cambiamento di impostazione di vita è totale e definitivo. Ai cristiani di Corinto, l'apostolo canta: "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato... Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità". L'invito è categorico: riflettendo sulla propria fragilità, il battezzato avverte l'urgenza della conversione, e ringrazia Dio per il dono della liberazione. Con l'antica sequenza "Victimae paschali laudes", si propone: Alla vittima pasquale s'immoli oggi il sacrificio di lode. L'agnello ha redento il suo gregge, l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre. I brani del vangelo riferiscono l'avvenuto miracolo: il sepolcro è vuoto; Gesù è risorto. La buona notizia si trasmette rapidamente. La fede della Chiesa non si stanca mai di contemplare in adorazione l'attuazione del progetto di salvezza. Ogni battezzato è davvero un uomo nuovo, che partecipa al dono della risurrezione con una adesione libera e cosciente, con un impegno di vita nuova, nello Spirito santo. I numerosi testi biblici proclamati nella Veglia pasquale sono un riassunto delle principali tappe della Storia sacra, che è orientata verso la nascita del nuovo Popolo di Dio.

La Pasqua ebraica, chiamata Pesach (pasa', in aramaico), celebra la liberazione degli Ebrei dall'Egitto grazie a Mosè e riunisce due riti: l'immolazione dell'agnello e il pane azzimo.
La parola ebraica pesach significa "passare oltre", "tralasciare", e deriva dal racconto della Decima Piaga, nella quale il Signore vide il sangue dell'agnello sulle porte delle case di Israele e "passò oltre", colpendo solo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). La Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù sotto gli egiziani e l'inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa. Gli ebrei che vivono entro i confini dell'antica Palestina celebrano la Pasqua in sette giorni. Durante la festa un ebreo ortodosso deve astenersi dal consumare pane lievitato e sostituirlo con il pane azzimo, come quello che consumò il popolo ebraico durante la fuga dall'Egitto; per questo motivo la Pasqua ebraica è detta anche 'festa degli azzimi'. La tradizione ebraica ortodossa prescrive inoltre che, durante la Pasqua, i pasti siano preparati e serviti usando stoviglie riservate strettamente a questa ricorrenza.
La Pasqua con il Cristianesimo ha acquisito un nuovo significato, indicando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal peccato con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana è quindi la chiave interpretativa della nuova alleanza, concentrando in sé il significato del mistero messianico di Gesù e collegandolo alla Pesach dell'Esodo.
Perciò, la Pasqua cristiana è detta Pasqua di risurrezione, mentre quella ebraica è Pasqua di liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Quest'ultimo significato si ricava leggendo uno dei più importanti pensatori ebraici: Filone d'Alessandria scrive che la Pasqua è il ricordo e il ringraziamento a Dio per il passaggio del Mar Rosso, ma che ha anche il significato allegorico di purificazione dell'anima. La Pasqua ebraica può essere intesa anche come attesa per il Messia, come ad esempio attesta il Targum Exodi, che descrive la notte di Pasqua come il ricordo delle quattro notti iscritte nel libro delle memorie: la Creazione, il Sacrificio di Isacco il Passaggio del Mar Rosso ed infine la venuta del Messia e la fine del mondo.
Quindi anche per noi cristiani la Pasqua è un passaggio, un passaggio dalla morte causata dal peccato alla nuova vita da risorti insieme con Cristo, una nuova simbologia ad immagine del passaggio dalla schiavitù alla libertà del popolo ebraico: loro attraverso le acque del mar Rosso, noi attraverso le acque del battesimo; loro vedendo morti i loro nemici alla chiusura delle acque, noi vedendo distrutti i nostri peccati sul legno della Croce di Cristo simboleggiato anche dalle acque del battesimo dove siamo stati immersi insieme con Lui; loro risalendo sani e salvi sulla sponda opposta del mar Rosso, noi risorgendo insieme con Cristo ad una vita nuova nella quale siamo stati liberati gratuitamente dalle nostre colpe grazie a Lui e nella quale possiamo finalmente amare il nostro prossimo.
La nostra Pasqua è quindi strettamente connessa alla Pasqua Ebraica senza della quale non si può comprenderla affondo

La data della Pasqua viene stabilita con un calcolo che deve tenere conto della luna piena del mese di marzo, perché la notte in cui gli ebrei fuggirono dall’egitto era una notte di luna piena.
La Pasqua cristiana viene celebrata la domenica seguente il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, giorno che coincide con l’inizio dei festeggiamenti della Pasqua ebraica che dura per 8 giorni. Quindi, se il 21 marzo è luna piena e cade di sabato, la Pasqua sarà celebrata il giorno seguente, ovvero il 22 di marzo. Se invece il primo plenilunio è di domenica la Pasqua sarà festeggiata la domenica successiva.
Ecco i criteri in base ai quali si calcola il giorno di celebrazione della Pasqua:
la Pasqua deve cadere la prima domenica seguente il primo plenilunio di primavera;
per determinare la data, in occasione del Concilio di Nicea, venne adottato il ciclo astronomico del greco Metone, vissuto nel V secolo avanti Cristo;
come base per il computo, si usa il meridiano di Gerusalemme, luogo della morte e della risurrezione di Gesù.

Nelle celebrazioni liturgiche di Pasqua, tre elementi sorgono a simbolo di questa festività: il fuoco, il cero e l'acqua. Ma facendo un piccolo passo indietro, nel periodo che precede le festività pasquali, la Quaresima, un elemento è fra tutti il protagonista, la cenere.
La cenere è l’elemento che contraddistingue il primo giorno di Quaresima, periodo di penitenza, digiuno e carità, in preparazione della Pasqua. La cenere che viene sparsa sul capo dei fedeli nelle celebrazioni del mercoledì dopo martedì grasso, vuole ricordare la transitorietà della vita terrena. È un monito che prepara alla penitenza per ricordare che "polvere tu sei e in polvere tornerai" come recita il libro della Genesi (3,19). Secondo la tradizione, la cenere usata nelle celebrazioni del primo mercoledì di Quaresima, è ricavata dalla combustione dei rami di ulivo benedetti nella Domenica delle Palme dell’anno precedente.

Simbolo fondamentale nella liturgia cristiana, il fuoco è la somma espressione del trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo e della vita sulla morte. Durante la ricorrenza pasquale, questo simbolo raggiunge la massima celebrazione attraverso il rito del fuoco nuovo e dell’accensione del cero. Nella notte di Pasqua, un fuoco viene acceso fuori dalla chiesa, intorno ad esso si raccolgono i fedeli e proprio da questo fuoco viene acceso il cero pasquale.
Il cero pasquale è il simbolo di Cristo, vera luce che illumina ogni uomo. La sua accensione rappresenta la resurrezione di Cristo, la nuova vita che ogni fedele riceve da Cristo e che, strappandolo alle tenebre, lo porta nel regno della luce assieme agli angeli. Dopo l'accensione del cero con il fuoco nuovo, una processione lo accompagna all’interno della Chiesa. Questa processione di fedeli simboleggia il nuovo popolo di Dio, che segue Cristo risorto, luce del mondo.
L'Acqua è l’elemento che purifica ed il mezzo attraverso il quale si compie il Battesimo. La notte di Pasqua è la notte battesimale per eccellenza, il momento in cui il fedele viene incorporato alla Pasqua di Cristo, che rappresenta il passaggio dalla morte alla vita. Nelle altre domeniche in cui si compie questo sacramento, è come se si prolungasse e rinnovasse settimanalmente la domenica per eccellenza, la Festa di Pasqua.

"Omne vivum ex ovo", cioè "tutti i viventi nascono da un uovo", è il motto che per secoli ha spiegato il principio che la vita non può avere origine dal nulla. Da esso capiamo quale importanza abbia sempre avuto l'uovo, con la sua forma perfetta nel nostro immaginario; la sua forma ovale è infatti una linea senza inizio e senza fine (infinita) che richiama l’eternità.
In tutto il mondo, l’uovo è il simbolo della Pasqua. Dipinto o intagliato, di cioccolato o di zucchero, di terracotta o di cartapesta, l’uovo è parte integrante della ricorrenza pasquale e nessuno vi rinuncerebbe.
Le uova di cioccolato o di cartapesta hanno un’origine recente, le uova vere colorate e decorate hanno una storia antichissima, che affonda le sue radici nella tradizione pagana. Simbolo della vita che nasce, l’uovo cosmico è all’origine del mondo: al suo interno avrebbe contenuto il germe degli esseri. Presso i greci, i cinesi e i persiani, l’uovo era anche il dono che veniva scambiato in occasione delle feste primaverili, quale simbolo della fertilità e dell’eterno ritorno della vita. Gli antichi romani usavano seppellire un uovo dipinto di rosso nei loro campi, per propiziarsi un buon raccolto.
Con l’avvento del Cristianesimo, molti riti pagani vengono recepiti dalla nuova religione. La stessa festività pasquale, d’altro canto, risente di lontani influssi: cade, infatti, tra il 25 marzo e il 25 aprile, ovvero nella prima domenica successiva al plenilunio che segue l’equinozio di primavera. La Pasqua, insomma, si festeggia proprio nel giorno in cui si compie il passaggio dalla stagione del riposo dei campi a quella della nuova semina e quindi della nuova vita per la natura.
Anche in occasione della Pasqua cristiana, dunque, è presente l’uovo, quale dono augurale, che ancora una volta è simbolo di rinascita, ma questa volta non della natura bensì dell’uomo stesso, della resurrezione di Cristo: il guscio è la tomba dalla quale Cristo uscì vivo.
Nella tradizione cristiana a Pasqua si mangia l’agnello, perché nella sua simbologia ci ricorda il sacrificio di Gesù in croce, la sua passione, perché fu “immolato come un’agnello”.
L’agnello è un animale mansueto e la sua immagine ci ricorda appunto l’innocenza e simboleggia perfettamente la pazienza, la mansuetudine e l’innocenza di Cristo che viene “condotto al macello” e immolato per noi sul legno della Croce, al posto nostro, in obbedienza al Padre per la salvezza di tutta l’umanità.

Ma la simbologia affonda le sue radici nella tradizione Ebraica perchè ci ricorda, nell’antico testamento, il sacrificio di Isacco, che per noi è immagine di Cristo, da parte di Abramo, sacrificio che grazie alla sua fede non fù consumato (al suo posto venne ucciso un ariete); inoltre ci ricorda anche l’esodo, perché nell’ultima piaga il Signore dà ordine a Mosè di spargere il sangue  di un agnello sugli spipiti delle porte della case degli ebrei, di modo che l’angelo della morte vedendolo non sarebbe entrato.
La Pastiera è un dolce di pastafrolla, ricotta, uova e grano, nato ufficialmente a Napoli  nell’antichissimo monastero di San Gregorio Armeno dove le monache vollero celebrare la Risurrezione creando un dolce che fosse carico di simboli. Un dolce che unisse il profumo dei fiori dell’arancio del giardino conventuale con la bianca ricotta ed il grano e le uova simbolo di nuova vita, l’acqua di mille fiori odorosa come la primavera, col cedro e con le spezie asiatiche.
Negli simbologia degli ingredienti quindi, compare oltre all’uovo, un altro elemento comune a tutti i preparati di questo periodo, il grano.  Il grano è simbolo di vita; dal grano si ricava la farina con la quale si prepara il pane che è il cibo per eccellenza e che ci richiama l’eucarestia. Ma c’è un’altra cosa da considerare; per ottenere la farina, il grano deve subire un processo di battitura e deve passare per una macina per essere ridotto quasi in polvere; questo ci ricorda in simbolo la passione di Cristo che è stato umiliato e battuto prima di andare in Croce (gli schiaffi, gli sputi, le frustate, ecc.). La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo per poi consumarla il lunedì in Albis.

Il tortano e il casatiello si fanno con la farina che, come abbiamo già detto, simboleggia qualsiasi forma di sostentamento e di alimento. Prima di diventare il Simbolo del Re dei Re, cioè di Cristo nell’ostia consacrata, il Pane era ed è il Re dei Cibi.
Poi ci sono le uova. L’Uovo come abbiamo giò detto è il simbolo del seme primordiale dal quale in seguito nasce il mondo. Come totalità racchiusa in un guscio, indica la Creazione già prefigurata fin dall’inizio.
Oltre alla sostanza, tortano e casatiello hanno in comune  la forma a ciambella, vuota al centro. Questa forma ha un significato ben preciso, la forma della corona di spine di Gesù Cristo. E’ così che, mangiandola, ci si ricorda, senza averne consapevolezza, ma a livello profondo, del calvario del Salvatore: e si lenisce la (sua e nostra) sofferenza  “distruggendo”, col mangiarla, una delle sue cause: la terribile corona di spine, appunto. Ma benché uguali per contenuto (l’impasto è sostanzialmente il medesimo), e per forma (ciambella),  tortano e casatiello non sono sinonimi.
ll casatiello ha qualcosa in più rispetto al tortano. Oltre ad avere le uova sode dentro l’impasto, ce le ha pure fuori: quattro o più, complete di guscio, incastonate nella ciambella. Ma non completamente affondate in essa, in modo che la loro parte superiore rimanga visibile.
Il tortano (in cui le uova sode, tagliate a spicchi, si trovano solo nell’impasto) è in realtà più antico del casatiello. Che ne rappresenta un’evoluzione.
Nel  casatiello, al di sopra di ciascun uovo inserito nella ciambella vengono sistemate due striscioline di pasta perpendicolari tra loro. Le due strisce ortogonali di pasta che non sono altro che la rappresentazione della Croce.
Sulla nostra tavola oltre a quanto citato sopra, compaiono anche dei piatti a base di erbe amare, perché fanno riferimento alla pasqua ebraica dove si ricorda l’amarezza della schiavitù d’egitto; mentre per noi ricordano l’amarezza del peccato, raffigurata anche dal fiele offerto a Gesù, da parte di un soldato, quando era in Croce ed aveva sete.



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