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domenica 5 aprile 2015

BUONA PASQUA A TUTTI

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Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
(Gv 20,1-9)

La principale domenica di tutto l'anno liturgico celebra un evento straordinario e decisivo nella Storia dell'umanità: la risurrezione di Gesù Cristo. "Questo è il giorno di Cristo Signore, alleluia".
I testi biblici indicati per la liturgia eucaristica del giorno costituiscono testimonianze certe sulla presenza del Risorto. Gli Atti degli Apostoli trasmettono la predicazione di Pietro che ricorda la testimonianza dei profeti: "Chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo Nome". Davvero la salvezza è stata attuata grazie al sacrificio del Signore. Ai Colossesi, Paolo indica una strada: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra". Il cambiamento di impostazione di vita è totale e definitivo. Ai cristiani di Corinto, l'apostolo canta: "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato... Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità". L'invito è categorico: riflettendo sulla propria fragilità, il battezzato avverte l'urgenza della conversione, e ringrazia Dio per il dono della liberazione. Con l'antica sequenza "Victimae paschali laudes", si propone: Alla vittima pasquale s'immoli oggi il sacrificio di lode. L'agnello ha redento il suo gregge, l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre. I brani del vangelo riferiscono l'avvenuto miracolo: il sepolcro è vuoto; Gesù è risorto. La buona notizia si trasmette rapidamente. La fede della Chiesa non si stanca mai di contemplare in adorazione l'attuazione del progetto di salvezza. Ogni battezzato è davvero un uomo nuovo, che partecipa al dono della risurrezione con una adesione libera e cosciente, con un impegno di vita nuova, nello Spirito santo. I numerosi testi biblici proclamati nella Veglia pasquale sono un riassunto delle principali tappe della Storia sacra, che è orientata verso la nascita del nuovo Popolo di Dio.

La Pasqua ebraica, chiamata Pesach (pasa', in aramaico), celebra la liberazione degli Ebrei dall'Egitto grazie a Mosè e riunisce due riti: l'immolazione dell'agnello e il pane azzimo.
La parola ebraica pesach significa "passare oltre", "tralasciare", e deriva dal racconto della Decima Piaga, nella quale il Signore vide il sangue dell'agnello sulle porte delle case di Israele e "passò oltre", colpendo solo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). La Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù sotto gli egiziani e l'inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa. Gli ebrei che vivono entro i confini dell'antica Palestina celebrano la Pasqua in sette giorni. Durante la festa un ebreo ortodosso deve astenersi dal consumare pane lievitato e sostituirlo con il pane azzimo, come quello che consumò il popolo ebraico durante la fuga dall'Egitto; per questo motivo la Pasqua ebraica è detta anche 'festa degli azzimi'. La tradizione ebraica ortodossa prescrive inoltre che, durante la Pasqua, i pasti siano preparati e serviti usando stoviglie riservate strettamente a questa ricorrenza.
La Pasqua con il Cristianesimo ha acquisito un nuovo significato, indicando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal peccato con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana è quindi la chiave interpretativa della nuova alleanza, concentrando in sé il significato del mistero messianico di Gesù e collegandolo alla Pesach dell'Esodo.
Perciò, la Pasqua cristiana è detta Pasqua di risurrezione, mentre quella ebraica è Pasqua di liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Quest'ultimo significato si ricava leggendo uno dei più importanti pensatori ebraici: Filone d'Alessandria scrive che la Pasqua è il ricordo e il ringraziamento a Dio per il passaggio del Mar Rosso, ma che ha anche il significato allegorico di purificazione dell'anima. La Pasqua ebraica può essere intesa anche come attesa per il Messia, come ad esempio attesta il Targum Exodi, che descrive la notte di Pasqua come il ricordo delle quattro notti iscritte nel libro delle memorie: la Creazione, il Sacrificio di Isacco il Passaggio del Mar Rosso ed infine la venuta del Messia e la fine del mondo.
Quindi anche per noi cristiani la Pasqua è un passaggio, un passaggio dalla morte causata dal peccato alla nuova vita da risorti insieme con Cristo, una nuova simbologia ad immagine del passaggio dalla schiavitù alla libertà del popolo ebraico: loro attraverso le acque del mar Rosso, noi attraverso le acque del battesimo; loro vedendo morti i loro nemici alla chiusura delle acque, noi vedendo distrutti i nostri peccati sul legno della Croce di Cristo simboleggiato anche dalle acque del battesimo dove siamo stati immersi insieme con Lui; loro risalendo sani e salvi sulla sponda opposta del mar Rosso, noi risorgendo insieme con Cristo ad una vita nuova nella quale siamo stati liberati gratuitamente dalle nostre colpe grazie a Lui e nella quale possiamo finalmente amare il nostro prossimo.
La nostra Pasqua è quindi strettamente connessa alla Pasqua Ebraica senza della quale non si può comprenderla affondo

La data della Pasqua viene stabilita con un calcolo che deve tenere conto della luna piena del mese di marzo, perché la notte in cui gli ebrei fuggirono dall’egitto era una notte di luna piena.
La Pasqua cristiana viene celebrata la domenica seguente il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, giorno che coincide con l’inizio dei festeggiamenti della Pasqua ebraica che dura per 8 giorni. Quindi, se il 21 marzo è luna piena e cade di sabato, la Pasqua sarà celebrata il giorno seguente, ovvero il 22 di marzo. Se invece il primo plenilunio è di domenica la Pasqua sarà festeggiata la domenica successiva.
Ecco i criteri in base ai quali si calcola il giorno di celebrazione della Pasqua:
la Pasqua deve cadere la prima domenica seguente il primo plenilunio di primavera;
per determinare la data, in occasione del Concilio di Nicea, venne adottato il ciclo astronomico del greco Metone, vissuto nel V secolo avanti Cristo;
come base per il computo, si usa il meridiano di Gerusalemme, luogo della morte e della risurrezione di Gesù.

Nelle celebrazioni liturgiche di Pasqua, tre elementi sorgono a simbolo di questa festività: il fuoco, il cero e l'acqua. Ma facendo un piccolo passo indietro, nel periodo che precede le festività pasquali, la Quaresima, un elemento è fra tutti il protagonista, la cenere.
La cenere è l’elemento che contraddistingue il primo giorno di Quaresima, periodo di penitenza, digiuno e carità, in preparazione della Pasqua. La cenere che viene sparsa sul capo dei fedeli nelle celebrazioni del mercoledì dopo martedì grasso, vuole ricordare la transitorietà della vita terrena. È un monito che prepara alla penitenza per ricordare che "polvere tu sei e in polvere tornerai" come recita il libro della Genesi (3,19). Secondo la tradizione, la cenere usata nelle celebrazioni del primo mercoledì di Quaresima, è ricavata dalla combustione dei rami di ulivo benedetti nella Domenica delle Palme dell’anno precedente.

Simbolo fondamentale nella liturgia cristiana, il fuoco è la somma espressione del trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo e della vita sulla morte. Durante la ricorrenza pasquale, questo simbolo raggiunge la massima celebrazione attraverso il rito del fuoco nuovo e dell’accensione del cero. Nella notte di Pasqua, un fuoco viene acceso fuori dalla chiesa, intorno ad esso si raccolgono i fedeli e proprio da questo fuoco viene acceso il cero pasquale.
Il cero pasquale è il simbolo di Cristo, vera luce che illumina ogni uomo. La sua accensione rappresenta la resurrezione di Cristo, la nuova vita che ogni fedele riceve da Cristo e che, strappandolo alle tenebre, lo porta nel regno della luce assieme agli angeli. Dopo l'accensione del cero con il fuoco nuovo, una processione lo accompagna all’interno della Chiesa. Questa processione di fedeli simboleggia il nuovo popolo di Dio, che segue Cristo risorto, luce del mondo.
L'Acqua è l’elemento che purifica ed il mezzo attraverso il quale si compie il Battesimo. La notte di Pasqua è la notte battesimale per eccellenza, il momento in cui il fedele viene incorporato alla Pasqua di Cristo, che rappresenta il passaggio dalla morte alla vita. Nelle altre domeniche in cui si compie questo sacramento, è come se si prolungasse e rinnovasse settimanalmente la domenica per eccellenza, la Festa di Pasqua.

"Omne vivum ex ovo", cioè "tutti i viventi nascono da un uovo", è il motto che per secoli ha spiegato il principio che la vita non può avere origine dal nulla. Da esso capiamo quale importanza abbia sempre avuto l'uovo, con la sua forma perfetta nel nostro immaginario; la sua forma ovale è infatti una linea senza inizio e senza fine (infinita) che richiama l’eternità.
In tutto il mondo, l’uovo è il simbolo della Pasqua. Dipinto o intagliato, di cioccolato o di zucchero, di terracotta o di cartapesta, l’uovo è parte integrante della ricorrenza pasquale e nessuno vi rinuncerebbe.
Le uova di cioccolato o di cartapesta hanno un’origine recente, le uova vere colorate e decorate hanno una storia antichissima, che affonda le sue radici nella tradizione pagana. Simbolo della vita che nasce, l’uovo cosmico è all’origine del mondo: al suo interno avrebbe contenuto il germe degli esseri. Presso i greci, i cinesi e i persiani, l’uovo era anche il dono che veniva scambiato in occasione delle feste primaverili, quale simbolo della fertilità e dell’eterno ritorno della vita. Gli antichi romani usavano seppellire un uovo dipinto di rosso nei loro campi, per propiziarsi un buon raccolto.
Con l’avvento del Cristianesimo, molti riti pagani vengono recepiti dalla nuova religione. La stessa festività pasquale, d’altro canto, risente di lontani influssi: cade, infatti, tra il 25 marzo e il 25 aprile, ovvero nella prima domenica successiva al plenilunio che segue l’equinozio di primavera. La Pasqua, insomma, si festeggia proprio nel giorno in cui si compie il passaggio dalla stagione del riposo dei campi a quella della nuova semina e quindi della nuova vita per la natura.
Anche in occasione della Pasqua cristiana, dunque, è presente l’uovo, quale dono augurale, che ancora una volta è simbolo di rinascita, ma questa volta non della natura bensì dell’uomo stesso, della resurrezione di Cristo: il guscio è la tomba dalla quale Cristo uscì vivo.
Nella tradizione cristiana a Pasqua si mangia l’agnello, perché nella sua simbologia ci ricorda il sacrificio di Gesù in croce, la sua passione, perché fu “immolato come un’agnello”.
L’agnello è un animale mansueto e la sua immagine ci ricorda appunto l’innocenza e simboleggia perfettamente la pazienza, la mansuetudine e l’innocenza di Cristo che viene “condotto al macello” e immolato per noi sul legno della Croce, al posto nostro, in obbedienza al Padre per la salvezza di tutta l’umanità.

Ma la simbologia affonda le sue radici nella tradizione Ebraica perchè ci ricorda, nell’antico testamento, il sacrificio di Isacco, che per noi è immagine di Cristo, da parte di Abramo, sacrificio che grazie alla sua fede non fù consumato (al suo posto venne ucciso un ariete); inoltre ci ricorda anche l’esodo, perché nell’ultima piaga il Signore dà ordine a Mosè di spargere il sangue  di un agnello sugli spipiti delle porte della case degli ebrei, di modo che l’angelo della morte vedendolo non sarebbe entrato.
La Pastiera è un dolce di pastafrolla, ricotta, uova e grano, nato ufficialmente a Napoli  nell’antichissimo monastero di San Gregorio Armeno dove le monache vollero celebrare la Risurrezione creando un dolce che fosse carico di simboli. Un dolce che unisse il profumo dei fiori dell’arancio del giardino conventuale con la bianca ricotta ed il grano e le uova simbolo di nuova vita, l’acqua di mille fiori odorosa come la primavera, col cedro e con le spezie asiatiche.
Negli simbologia degli ingredienti quindi, compare oltre all’uovo, un altro elemento comune a tutti i preparati di questo periodo, il grano.  Il grano è simbolo di vita; dal grano si ricava la farina con la quale si prepara il pane che è il cibo per eccellenza e che ci richiama l’eucarestia. Ma c’è un’altra cosa da considerare; per ottenere la farina, il grano deve subire un processo di battitura e deve passare per una macina per essere ridotto quasi in polvere; questo ci ricorda in simbolo la passione di Cristo che è stato umiliato e battuto prima di andare in Croce (gli schiaffi, gli sputi, le frustate, ecc.). La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo per poi consumarla il lunedì in Albis.

Il tortano e il casatiello si fanno con la farina che, come abbiamo già detto, simboleggia qualsiasi forma di sostentamento e di alimento. Prima di diventare il Simbolo del Re dei Re, cioè di Cristo nell’ostia consacrata, il Pane era ed è il Re dei Cibi.
Poi ci sono le uova. L’Uovo come abbiamo giò detto è il simbolo del seme primordiale dal quale in seguito nasce il mondo. Come totalità racchiusa in un guscio, indica la Creazione già prefigurata fin dall’inizio.
Oltre alla sostanza, tortano e casatiello hanno in comune  la forma a ciambella, vuota al centro. Questa forma ha un significato ben preciso, la forma della corona di spine di Gesù Cristo. E’ così che, mangiandola, ci si ricorda, senza averne consapevolezza, ma a livello profondo, del calvario del Salvatore: e si lenisce la (sua e nostra) sofferenza  “distruggendo”, col mangiarla, una delle sue cause: la terribile corona di spine, appunto. Ma benché uguali per contenuto (l’impasto è sostanzialmente il medesimo), e per forma (ciambella),  tortano e casatiello non sono sinonimi.
ll casatiello ha qualcosa in più rispetto al tortano. Oltre ad avere le uova sode dentro l’impasto, ce le ha pure fuori: quattro o più, complete di guscio, incastonate nella ciambella. Ma non completamente affondate in essa, in modo che la loro parte superiore rimanga visibile.
Il tortano (in cui le uova sode, tagliate a spicchi, si trovano solo nell’impasto) è in realtà più antico del casatiello. Che ne rappresenta un’evoluzione.
Nel  casatiello, al di sopra di ciascun uovo inserito nella ciambella vengono sistemate due striscioline di pasta perpendicolari tra loro. Le due strisce ortogonali di pasta che non sono altro che la rappresentazione della Croce.
Sulla nostra tavola oltre a quanto citato sopra, compaiono anche dei piatti a base di erbe amare, perché fanno riferimento alla pasqua ebraica dove si ricorda l’amarezza della schiavitù d’egitto; mentre per noi ricordano l’amarezza del peccato, raffigurata anche dal fiele offerto a Gesù, da parte di un soldato, quando era in Croce ed aveva sete.



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venerdì 13 febbraio 2015

TATUAGGI ORIGINI E TRADIZIONI



Il tatuaggio (derivato dal francese tatouage, a sua volta dal verbo tatouer, in italiano "tatuare", e questo dal termine anglosassone tattoo, adattamento del samoano tatau) è sia una tecnica di decorazione pittorica corporale dell'uomo, sia la decorazione prodotta con tale tecnica. Tradizionalmente la decorazione è destinata a durare per molto tempo, ma in tempi recenti sono state inventate tecniche per realizzare tatuaggi temporanei.

Nella sua forma più diffusa, la tecnica di questa modificazione corporea consiste nell'incidere la pelle ritardandone la cicatrizzazione con sostanze particolari (più precisamente è chiamata scarificazione) o nell'eseguire punture con l'introduzione di sostanze coloranti nelle ferite.
Il tatuaggio è stato impiegato presso moltissime culture, sia antiche che contemporanee, accompagnando l'uomo per gran parte della sua esistenza; a seconda degli ambiti in cui esso è radicato, ha potuto rappresentare sia una sorta di carta d'identità dell'individuo, che un rito di passaggio, ad esempio, all'età adulta.

Tatuaggi terapeutici sono stati ritrovati sulla Mummia del Similaun (ca. 3300 a.C.) ritrovata nel 1991 sulle Alpi italiane, altro ritrovamento con tatuaggi anche piuttosto complessi è quello dell'"uomo di Pazyryk" nell'Asia centrale con complicati tatuaggi rappresentanti animali o quello della principessa di Ukok (Mummia dell'Altai) databile intorno al 500 a.C. che rappresenta un animale immaginario (cervo e grifone) di un alto livello artistico, arrivato quasi intatto a noi grazie alla permanenza nel permafrost. Tra le civiltà antiche in cui si sviluppò il tatuaggio fu l'Egitto ma anche l'antica Roma, dove venne vietato dall'imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al Cristianesimo. È peraltro da rilevare che, prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi per marcare la propria identità spirituale.

È inoltre attestata nel Medioevo l'usanza dei pellegrini di tatuarsi con simboli religiosi dei santuari visitati, particolarmente quello di Loreto. Fra i cristiani la pratica del tatuaggio è diffusa fra i copti monofisiti. Col tatuaggio i copti rimarcano la propria identità cristiana, i soggetti sono solitamente la croce copta, la natività ed il Santo Mar Corios, martirizzato sotto Diocleziano e rappresentato in sella ad un cavallo con un bambino. La religione ebraica vieta tutti i tatuaggi permanenti, come prescritto del Levitico (Vaikrà) (19, 28). In particolare, l'Ebraismo vieta ogni incisione accompagnata da una marca indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente. Anche per l'Islam tutti i tatuaggi permanenti sono vietati, come spiegato da diversi aḥadīth del profeta Maometto, sono consentiti solo i tatuaggi temporanei fatti per mezzo dell'henna, pigmento organico di color rosso-amaranto, ricavato dalla pianta della "Lawsonia inermis", "Henna" in arabo. Nella tradizione araba e anche in quella indiana sono le donne a tatuarsi con l'henna, sia le mani che i piedi; molte spose vengono completamente tatuate per la loro prima notte di nozze, infatti la sera prima delle nozze viene chiamata "Lelet al Henna" (la notte dell'henna). I tatuaggi d'henna sono estremamente decorativi, quasi sempre con motivi floreali stilizzati; quelli molto elaborati finiscono per sembrare delle opere d'arte che hanno la durata media di qualche settimana di vita. Gli uomini musulmani, specialmente i fervidi praticanti sunniti, usano l'henna per tingersi i capelli, la barba, il palmo delle mani e dei piedi; agli uomini non è consentito fare tatuaggi decorativi neanche con l'henna. Comunque c'è da dire che tra i contadini egiziani (usanza molto probabilmente derivante dall'Antico Egitto) ed i nomadi musulmani (per lo più quelli sciiti) sia le donne che i bimbi particolarmente belli, vengono tatuati in maniera permanente con piccoli cerchietti o sottili linee verticali, sia sul mento che tra le due sopracciglia. È un'usanza di tipo scaramantica, infatti il colore con cui si tatuano è l'azzurro, il colore scaramantico per eccellenza fin dal tempo dei faraoni.

Altri popoli che svilupparono propri stili e significati furono quelli legati alla sfera dell'Oceania, in cui ogni particolare zona, nonostante le similitudini, ha tratti caratteristici ben definiti. Famosi quelli Maori, quelli dei popoli del monte Hagen, giapponesi, cinesi e gli Inuit anche se praticamente ogni popolazione aveva suoi caratteristici simboli e significati.

Nella zona europea il tatuaggio venne reintrodotto successivamente alle esplorazioni oceaniche del XVIII secolo, che fecero conoscere gli usi degli abitanti dell'Oceania. Alla fine del XIX secolo l'uso di tatuarsi si diffuse anche fra le classi aristocratiche europee, tatuati celebri furono, ad esempio, lo Zar Nicola II e Sir Winston Churchill. È da segnalare che il criminologo Cesare Lombroso ritenne, in un'epoca di positivismo, essere il tatuaggio segno di personalità delinquente. La diffusione del tatuaggio in tutti gli strati sociali e fra le persone più diverse negli ultimi trent'anni relega tali considerazioni criminologiche a mera curiosità storica.
La pratica del tatuaggio era diffusa già nell'Italia preistorica come testimonia la mummia di Oetzi, i cui resti sono stati rinvenuti nel ghiacciaio del Similaun nel 1991. Ma le testimonianze sull'effettiva continuità della pratica del tatuaggio sono sporadiche. In genere le popolazioni protoceltiche e Liguri erano dedite a tali pratiche.

Plinio e Svetonio testimoniano che gli schiavi romani venivano marchiati con le iniziali del proprio padrone o, nel caso fossero stati sorpresi a rubare, erano marchiati a fuoco sulla fronte. Lo stesso supplizio venne inflitto ad alcuni martiri cristiani, come Teofane e Teodosio.

Lo praticavano i soldati romani che furono influenzati dalle usanze dei Britanni, con i loro corpi dipinti, e dai Traci, feroci gladiatori spesso tatuati come testimonia Erodoto, al punto che i legionari iniziarono tatuarsi il nome dell'Imperatore, sebbene la pratica fosse malvista dalle autorità.

Il fatto che Costantino nel 325 d.C. abbia proibito il tatuaggio sul viso ai cristiani di tutto l'Impero Romano perché ”deturpava ciò che era stato creato ad immagine di Dio” fa pensare che ci fosse l'abitudine da parte dei primi cristiani di marchiarsi per testimoniare la propria fede.

Il tatuaggio venne di fatto definitivamente proibito da Papa Adriano I nel 787 durante il Concilio di Nicea e tale veto venne ribadito da successive bolle papali, tanto che questa pratica scompare in ogni cronaca del tempo.

Nonostante il divieto ufficiale, l'abitudine a segnare indelebilmente il corpo sopravvisse, spesso in clandestinità, soprattutto nelle classi meno abbienti, fra i soldati e in alcuni luoghi di culto cristiani come il Santuario di Loreto. Qui, fino alla metà degli anni Cinquanta, esistevano i frati marcatori, ovvero frati che incidevano piccoli segni devozionali fra i pellegrini.

I segni tatuati nel Santuario di Loreto venivano effettuati sui polsi o sulle mani ed erano simboli cristiani o soggetti “amorosi”: i primi, inizialmente molto semplici come una croce o come la rappresentazione delle stigmate, si fecero via via sempre più complessi come la stilizzazione della stessa Madonna di Loreto, simboli del proprio ordine religioso, oppure segni marinareschi poiché i marinai erano i primi difensori della costa adriatica contro gli invasori turchi.

Gli attacchi dei pirati inducevano anche gli abitanti della costa a tatuarsi segni cristiani poiché, in caso di morte violenta, sarebbero stati riconosciuti come fedeli e dunque sepolti in terra consacrata.

I tatuaggi a carattere “amoroso” erano invece effettuati dalle spose come promessa a Dio e augurio e contemplavano soggetti come due cuori trafitti, frasi o il simbolo dello Spirito Santo. Anche le vedove si tatuavano, in ricordo del defunto, soggetti come il teschio con le tibie incrociate, il nome del morto o la frase “memento mori”.

L'inizio della tradizione dei marcatori di Loreto non ha date precise ma si hanno testimonianze di questa pratica già alla fine del XVI secolo. Spesso anche i Crociati o i pellegrini in visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme usavano tatuarsi simboli cristiani poiché, nel timore di essere assaliti e spogliati di ogni bene, anche oggetti sacri, potessero garantirsi una sepoltura in terra sacra.
Il tatuaggio riemerge dall'ombra nella seconda metà del XIX secolo, con la pubblicazione, nel 1876, del saggio L'uomo delinquente di Cesare Lombroso. Egli mette in stretta correlazione il tatuaggio e la degenerazione morale innata del delinquente: il segno tatuato è fra quelle anomalie anatomiche in grado di far riconoscere il tipo antropologico del delinquente. Il delinquente nato mostra specifiche caratteristiche antropologiche che lo avvicinano agli animali e agli uomini primitivi e l'atto di tatuarsi di criminali recidivi è sintomo di una regressione allo stato primitivo e selvatico. L'uomo delinquente però è anche un catalogo approfondito di tutte le tipologie di tatuaggio che potevano essere reperite all'epoca: il saggio è ricco di descrizioni di tatuaggi e delle storie degli uomini che li portano, soldati ma soprattutto detenuti, criminali e disertori, fornendo così un ampio squarcio sulle usanze del tempo.

Lombroso cataloga i tatuaggi in segno d'amore (iniziali, cuori, versi); simboli di guerra (date, armi, stemmi); segni legati al mestiere (strumenti di lavoro, strumenti musicali) animali (serpenti, cavalli, uccelli); tatuaggi di soggetto religioso (croci, Cristi, Madonne, Santi). In seguito alla diffusione delle teorie di Cesare Lombroso, il tatuaggio subisce un'ulteriore censura ed è per questo che, contrariamente ad altri paesi occidentali, non nascono studi e botteghe professionali fino alla fine degli anni '70.



Leggi :http://cipiri.blogspot.it/2014/09/la-teoria-di-lombroso.html

Tatuaggio all'henné, è un tatuaggio non permanente, caratterizzato dall'applicazione di un impasto sulla pelle
Tatuaggio solare, caratterizzato dall'applicazione di una sostanza foto-impermeabile, in modo che durante l'abbronzatura tale prodotto una volta rimosso lasci la pelle più chiara, formando un disegno chiaro
Ad ago, questa è la forma più conosciuta, dove tramite un ago si introduce dell'inchiostro nella pelle, come risultato si ha un disegno che a seconda della miscela può essere permanente o temporaneo.
Gli Inuit usano degli aghi d'osso per far passare attraverso la pelle un filo coperto di fuliggine (la china, che artigianalmente e impropriamente si adopera per lo scopo è in fin dei conti una sospensione acquosa di fuliggine).

Nelle zone oceaniche (Polinesia, Nuova Zelanda) il tatuaggio viene eseguito tramite i denti di un pettine di osso che, fermato all'estremità di una bacchetta (formando così uno strumento di forma simile a un rastrello), e battuto tramite un'altra bacchetta, forano la pelle introducendo il colore, ottenuto quest'ultimo dalla lavorazione della noce di cocco.

I giapponesi, con la tecnica detta tebori, usano sottili aghi metallici e pigmenti di molti colori, ed introducono nella pelle sostanze di natura chimica diversa e di colore diverso. La tecnica giapponese prevede che gli aghi, fissati all'estremità di una bacchetta che viene fatta scorrere avanti e indietro (di forma simile a un sottile pennello), siano fatti entrare nella pelle obliquamente, con minor violenza rispetto alla tecnica polinesiana, ma comunque in modo abbastanza doloroso.

In Thailandia e Cambogia è in uso una tecnica, simile a quella giapponese, nella quale vengono utilizzate una diversa posizione delle mani del tatuatore e una bacchetta di lunghezza maggiore. L'angolo di introduzione degli aghi nella pelle è meno obliquo rispetto alla tecnica giapponese, ma il movimento della bacchetta è meno vigoroso.

Il tatuaggio occidentale viene invece eseguito tramite una macchinetta elettrica, cui sono fissati degli aghi in numero vario a seconda dell'effetto desiderato; il movimento della macchinetta permette l'entrata degli aghi nella pelle, i quali depositano il pigmento nel derma.


Tra le sostanze più usate ci sono il cinabro (usato per il rosso), il cromossido (per il verde) e il cobalto (per il blu)
Il pigmento semi-solido dei tatuaggi viene incorporato dalle cellule del derma della pelle, che lo trattengono in modo permanente. Il trattamento più diffusamente usato per la rimozione dei tatuaggi è di tipo chirurgico, mentre quello coi migliori risultati è l'eliminazione totale tramite laser, che tuttavia presenta molto spesso dei costi esorbitanti. Il laser vaporizza solo le cellule cutanee annerite, non facendo sanguinare e non provocando dolore; con questo metodo non restano cicatrici, ma il nuovo strato di pelle potrebbe rimanere di colorazione diversa. Trattamenti alternativi possono essere:

la dermoabrasione (un metodo molto aggressivo perché raschia via la pelle da 1 mm a 2 mm di spessore se il colore è penetrato in profondità), che rischia di lasciare cicatrici visibili;
la crioterapia;
il peeling chimico profondo con acido tricloroacetico (TCA) a concentrazioni > 35%, a seconda della posizione e del tipo di pelle;
l'elettrodermografia, recente tecnica di rimozione del colore per sostituzione di vecchi tatuaggi per mezzo di un elettrodermografo, macchinario che utilizza la corrente ad alta frequenza per la disgregazione dei pigmenti contenuti nella pelle;
la sovrapposizione al vecchio tatuaggio indesiderato di un nuovo soggetto (solitamente leggermente più grande e più elaborato del vecchio), eseguito da un professionista riconosciuto.
A prescindere dalla dimensione i tatuaggi durano per sempre, ma con il passare degli anni si schiariscono e si alterano seguendo a seconda dell'esecuzione del tatuaggio, ma anche indipendentemente dallo stile di vita del tatuato (aumento di peso, alimentazione, problemi medici, etc. etc.).

Dunque i tatuaggi possono provocare effetti collaterali lievi o più gravi. Ecco alcuni esempi:

allergie alle sostanze coloranti usate.
infezioni batteriche e/o virali quali l'epatite B e C, il tetano, l'AIDS, e le infezioni cutanee da stafilococco. Essendo infatti il tatuaggio sostanzialmente una ferita da abrasione, esiste un concreto rischio di infezione durante la fase di guarigione, se non si presta la dovuta attenzione alla cura ed igiene della zona tatuata. Gli studi di tatuaggio vengono altresì controllati regolarmente anche per evitare l'utilizzo di inchiostri non autorizzati. Nel 2009 infatti ci fu un allarme negli USA per il possibile impiego di inchiostri contenenti O-Toluidina, ovvero 2-Nitroanilina, composti appartenenti alle ammine aromatiche, sostanze aventi proprietà carcinogene.

Ci sono diversi tipi di tatuaggio.
I tatuaggi "old school" sono caratterizzati dalle linee nette e squadrate, dall'uso massiccio del nero e dalla colorazione piatta e senza sfumature. I soggetti dei tatuaggi "old school" sono quelli della tradizione europea e americana: rose, pugnali, cuori sacri, pin up e simbologie marittime come sirene, ancore e navi.

I tatuaggi new school si rifanno alla "vecchia scuola" ma esasperandone le caratteristiche, quindi linee ancora più grosse e colori super luminosi. Caso particolare sono le pantere nere. Per anni uno dei classici della tradizione americana, sono state per un periodo considerate simbolo di maschilismo e machismo e pertanto boicottate da una parte del mondo del tatuaggio. Ultimamente in concomitanza della nascita del genere new school vi è stata una riabilitazione ed è facile vedere delle reinterpretazioni del genere.

I tatuaggi "realistici" sono copie della realtà; possono riprodurre ambienti, oggetti, animali e addirittura ritratti di persone e volti. Questo genere di tatuaggio è caratterizzato dall'assenza di linee di contorno e dalla lavorazione delle sfumature su più livelli di colore, questo per garantire all'immagine una verosimiltà.

Tribale è il nome che viene dato a quella categoria di tatuaggi che si è affermata a partire dai primi anni novanta e che si basa sui tatuaggi tradizionali degli indigeni delle varie isole del Pacifico (Samoa, Isole Marchesi, Hawaii), dei Dayak del Borneo, dei Maori della Nuova Zelanda e dai Nativi Americani.

Lo stile tribale è caratterizzato da disegni astratti, formati da linee dalla silhouette molto marcata, di solito riempiti totalmente di nero. Spesso i disegni vengono effettuati in maniera tale da enfatizzare le linee naturali del corpo e della muscolatura. È altrettanto diffusa l'utilizzo di linee molto intricate e con disegni geometrici ripetuti che rappresentano la reinterpretazione di flora e fauna o elementi naturali, specialmente fuoco, aria e acqua.

In giapponese i tatuaggi sono chiamati irezumi (ireru inserire, sumi inchiostro nero) o horimono (horu inscrivere, mono qualcosa); la tecnica tradizionale giapponese è detta "Tebori". L'irezumi, in origine, era praticato come mezzo punitivo (es. marchiatura per criminali, schiavi o prigionieri di guerra) ed era in contrapposizione con il tatuaggio a scopo decorativo chiamato gaman (che vuol dire pazienza). La nascita della cultura istruita e borghese, a partire dal XIX secolo, ha fatto evolvere il tatuaggio giapponese con disegni e stili unici che prendevano spesso spunto dalle decorazioni dei kimono, dagli abiti dei samurai, o da abiti da cerimonia. L'irezumi ha la caratteristica di coprire spesso gran parte della superficie del corpo, anche se in genere sono escluse mani, piedi e testa. Il tatuaggio horimono nella sua forma attuale si è sviluppato a fine Ottocento, ed ha subito fasi alterne di popolarità, essendo stato proibito e riammesso nella legalità più volte. Era una decorazione tipica di quella fascia della società giapponese chiamata "mondo fluttuante", che comprendeva prostitute, giocatori d'azzardo, malviventi, piccoli commercianti, ma soprattutto era diffuso tra i pompieri, i mafiosi e i lavoratori di fatica; presso la classe "alta" ed i samurai era molto raro trovarne esempi. I più classici disegni del tatuaggio tradizionale giapponese sono:

i dragoni;
i fiori di ciliegio, simbolo della trascendenza ed evanescenza della vita umana;
Fudomyo-O, versione giapponese della divinità buddista Acalanatha, versione furiosa del Budda;
shishi, raffigurazione stilizzata e mitologica del leone;
le carpe koi, simbolo di perseveranza e coraggio;
maschere hannya, ovvero maschere demoniche usate nel teatro nō giapponese, ritratte nei tatuaggi con valore apotropaico;
hebi, serpente simbolo di coraggio;
caratteri di scrittura bonji, che vengono utilizzati nel buddismo esoterico giapponese;
ideogrammi;
versetti, citazioni o intere parti di sutra buddisti;
uccello hou-ou, simile alla fenice occidentale;
Kilin o kirin, animale mitico con valore di portafortuna;
kiku, fiori di crisantemo;
botan, fiori di peonia;
fiori di loto;
raffigurazioni tratte dalle stampe ottocentesche ukiyo-e.
Questi temi vengono spesso abbinati secondo combinazioni classiche, ad esempio il dragone viene di solito raffigurato insieme al crisantemo; il leone viene tatuato, di preferenza, insieme alla peonia, creando così un abbinamento classico dal nome "kara-jishi"; le maschere hannya vengono preferibilmente abbinate a serpenti e a simboli buddisti, come il loto e il rotolo dei sutra, oppure a petali e fiori di ciliegio.

I tatuaggi biomeccanici di solito rappresentano creature composte da organi o membra umane fusi indissolubilmente con parti meccaniche.

Stile di tatuaggio in cui delle parole o frasi sostituiscono o integrano i disegni. Di solito vengono scritti il nome del proprio partner, dei genitori, frasi di canzoni, messaggi politici o motti di varia natura è il Lettering.

Anche se i tatuaggi, in generale, hanno avuto un aumento di popolarità soprattutto nella parte occidentale e tra i più giovani, i tatuaggi genitali sono ancora relativamente rari. Ci sono diverse ragioni probabili per questo: la zona genitale è sensibile, spesso non è visibile al pubblico e di solito è coperta da peli. Inoltre, alcuni tatuatori rifiutano di fare tatuaggi in queste zone per una serie di motivi. Ci sono molte ragioni per cui una persona potrebbe scegliere di avere i genitali tatuati e spesso la scelta è decorativa, per migliorare l'aspetto dei genitali o per completare altri disegni intorno alla zona genitale. Infatti, alcuni uomini incorporano il tatuaggio genitale nella creazione di un disegno del tatuaggio in modo tale che il pene diventa parte complessiva del disegno (ad esempio, come un "naso" di un volto tatuato o come la ''proboscide" di un elefante). Anche le donne creano si fanno tatuare le parti intime. Alcune persone, pesantemente tatuate, scelgono di avere i loro genitali e le regioni anali tatuate per completare il lavoro che hanno su gran parte dei loro corpi. Quasi l'intera regione genitale può essere tatuata come la regione pubica, il pene ed il glande, la pelle dello scroto, le labbra della vagina e l'ano.
Il tatuaggio evoca sicuramente un’ampia gamma di reazioni. Nessuno di noi può infatti evitare lo sguardo e i pensieri di tutte le persone con le quali quotidianamente convive. Sicuramente possiamo essere disinteressati dell’opinione altrui, ma non possiamo cancellare il fatto che facciamo parte di un gruppo, piccolo o grande che sia, siamo comunque parte di una società. Le motivazioni per cui oggi ci si tatua sono molto distanti da quelle che per mezzo del tatuaggio contrassegnavano l’individuo come membro o non membro di una determinata tribù. Tali forme artistiche erano non solo espressioni per celebrare l’io individuale o il proprio corpo ma avevano legami più intimi relativi a convinzioni religiose, spirituali e magiche. In questi casi però molto spesso l’individuo non era libero né di decidere di essere “marchiato” o meno, né tantomeno di scegliere i motivi decorativi. Pensiamo ad esempio alla tribù Dinka nel Sudan meridionale, in cui le giovani donne sono obbligate a sottoporsi ad alcuni riti che marcano ogni tappa della loro vita: dalla fertilità al matrimonio, dalla maternità alla menopausa.

Esse vengono segnate fin dalla loro giovinezza dalla terribile pratica della clitoridectomia e dalla scarificazione. Differente per tecnica ma non meno dolorosa è la forma estetica per rispecchiare il proprio status, a cui si sottopongono le donne di alcune tribù delle montagne della Birmania. Obbligatorio per le donne Kayan è infatti il rimodellamento di collo e di gambe attraverso l’uso di pesanti anelli metallici. Come per il tatuaggio anche per il piercing sembriamo dimenticarci che le varie tribù hanno in realtà dei motivi diversi che vanno ben oltre il semplice desiderio di decorarsi. Per esempio il piercing nella medicina ayurvedica, così anche come nell’agopuntura, si segue per ogni foro la mappa di alcuni punti ben precisi, per cui ogni perforazione è finalizzata espressamente a stimolare una determinata reazione. I fori nelle narici delle donne dell’India, (e di altri stati confinanti come il Bangladesh, il Pakistan), seppur ancora è diffusa la convinzione che essa abbia solo una funzione estetica, in realtà i sottili gioielli al naso sarebbero il simbolo di sottomissione. E se molte donne indiane rifiutano oggi questa perforazione simbolica, molte adolescenti occidentali fanno una scelta che forse non apprezzerebbero se conoscessero fino in fondo i veri significati. Se il tatuaggio ad ago e il piercing rientrano nella categoria delle pratiche invasive, il bodypainting può essere collocato nella categoria delle decorazioni temporanee. Fra gli aborigeni australiani il bodypainting è utilizzato per assolvere ad una funzione rituale. È proprio la scelta individuale che rende le pratiche tribali molto lontane dal mondo occidentale, la totale libertà di scelta su quando, dove e come applicare il marchio scinde le due culture. Ad esempio i tatuaggi sul viso e sul collo sono molto rari nel mondo urbanizzato, oltre ad essere zone particolarmente dolorose, vi sono motivi sicuramente più forti, come i motivi psicologici e sociali che spingono a lasciare pulite queste parti, in quanto sono continuamente esposti allo sguardo degli altri. Nuovamente ci troviamo però a ricorrere ad un’eccezione di tipo tribale. Infatti tra gli uomini Maori è molto diffuso il Moko Maori. Esso è un disegno personalizzato, creato individualmente e pensato nei minimi dettagli per adattarsi sia alla fisionomia, sia al carattere dell’uomo Maori che lo indosserà a vita. Per quanto riguarda le donne invece, esse sul mento portano un tatuaggio di tradizione familiare, è un po’ come aver scritto il proprio cognome, o aver il simbolo del proprio stemma di famiglia. Tra queste popolazioni i tatuaggi sul volto costituiscono un profondo linguaggio simbolico. Stessa cosa la possiamo individuare nelle gang metropolitane, in cui i marchi di riconoscimento rappresentano contemporaneamente sia un rito di iniziazione, sia un simbolo di chiara appartenenza, basta pensare alle più famose gang americane, il Barrio 18th e Mara Salvatrucha 13°. In Anthropologie structurale Claude Levi Strauss descrive come l’uomo fin dall’antichità abbia sentito l’impulso di abbellire non solo gli oggetti intorno a sé, ma soprattutto il proprio corpo. A conferma di tale tesi vi sarebbe il ritrovamento di alcuni utensili di epoca preistorica che si pensa fossero stati utilizzati per praticare un tatuaggio. Il Body painting, la scarificazione e il tatuaggio, sono da considerarsi arti antichissime, nate allo scopo non solo di soddisfare un impulso individuale, bensì un impulso con connotazioni e risvolti sociali, tanto da poter parlare di atto sociale primitivo. Nel ‘900 però nelle società occidentali il tatuaggio non viene più considerato espressione di arte e di libertà, ma viene associato ad un disordine morale. Il tatuaggio inizia a dilagare tra i ceti più bassi: malavitosi, carcerati e marinai, tanto da diventare un vero e proprio simbolo di appartenenza alla criminalità. È solo con gli anni ’60-80 con il dilagare della controcultura che il tatuaggio affascina chi sceglie di stupire e porsi in alternativa alla mentalità comune, ricordiamo i punk e i bikers per i quali era espressione di ribellione e rabbia. Tornando ai motivi per cui ci si tatua sembra ci sia un’apertura verso un’epoca più aperta ai cambiamenti, un’epoca molto più ricettiva. Oggi si sceglie come autentica celebrazione dei propri gusti e del proprio modo di essere, oltre che manifesto dei propri personali eventi di vita. Il tatuaggio può essere considerato come una cicatrice del proprio sentire. Oggi ci si tatua per tirare fuori quello che si ha dentro trasformando il proprio corpo come strumento di comunicazione, vi è una sorta di riappropriazione di esso. Il tatuaggio come è stato riportato sopra, è stato utilizzato con finalità diversissime, e ancor più vari sembrano essere i motivi che hanno contribuito allo sviluppo di questa antichissima pratica.


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