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sabato 25 aprile 2015

BOSTO E IL COLLE SAN PEDRINO

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Sorge sul colle san Pedrino prospiciente da un lato sul centro storico della città, e dall'altro sul bacino del lago. Nel nucleo è presente l'antica chiesa romanica di Sant'Imerio (XI secolo) e almeno due importanti dimore padronali: la "villa S. Pedrino", edificata a partire da fine Seicento per opera della nobile famiglia milanese De Cristoforis, e "villa Visconti-Poggi-Esengrini", nota anche come "villa Montalbano" dal nome del colle sul quale sorge, compreso tra la chiesa di S. Antonio abate alla Motta e piazza Buzzi.
Sant'Imerio di Bosto è venerato come santo e martire della Chiesa cattolica. Viene ricordato assieme a San Gemolo il 4 febbraio.

La leggenda vuole che attorno all'anno 1000, Imerio, assieme al compagno Gemolo, cui faceva da accompagnatore, e ad un vescovo, zio di quest'ultimo, si stesse recando in pellegrinaggio a Roma. Una notte, fermatisi a riposare in Valceresio, subirono un furto da parte di alcuni briganti di Uboldo; Gemolo e Imerio si lanciarono all'inseguimento dei ladri fino in Valganna, ma questi, nonostante i due avessero invocato loro pietà in nome di Dio, li trucidarono: Gemolo morì nei pressi di Ganna, dove poco dopo sorse un'abbazia a lui dedicata, mentre il compagno Imerio, ferito gravemente, riuscì a fuggire e arrivò fino a Varese, più precisamente nell'attuale castellanza di Bosto, dove il giorno seguente fu trovato morto. Il corpo del santo è oggi custodito nella chiesa di Sant'Imerio a Bosto. Un tempo il santo era patrono del comune di Imèr, in Trentino.

Fa parte delle vecchie castellanze di Varese, in quest’area sorgeva l’antico Nifontano, l’ospedale mediavale della città, oggi nel caseggiato che ospitava l’antico luogo di cura, troviamo un bar ed alcuni appartamenti.

Posizionato tra il centro storico della città ed il bacino del lago, è una zona molto antica, che con l’arrivo dell’università dell’Insubria è diventata sede di residenze private di pregio. Nella zona residenziale del quartiere sono presenti splendide ville, spesso nascoste da piacevoli parchi, e non è raro vedere scorci di stile liberty.

Come accadde in molti altri quartiere di Varese, agli inizi del 1900 gli abitanti della zona si riuniro per creare una società cooperativa, anche Bosto non fu da meno e nel 1905 nacque legalmente la “Società Cooperativa di Consumo di Bosto“. Inizialmente si occupò di gestire uno spaccio alimentare e la cantina dei vini, negli anni acquisto un terreno dove costruì la nuove sede, che negli anni venne più volte modificata ed ingrandita, realizzarono appartamenti per i soci, una sede amministrativa, una zona ristorante. Con l’era moderna, la società ebbe un momento di crisi, si ridimensionò e diede in gestione buona parte delle sue attività, ma in ogni caso il circolino di Bosto resta una cooperativa sociale importante. Fu anche la prima sede di vareseNews il noto giornale on-line che riporta tutte le informazioni del territorio varesino.
Nell’ottica di promuovere l’area, il Comune ha concesso in comodato d’uso alla parrocchia di Bosto ed al Gruppo Olivicultori Varesini, un terreno sul monte Bernasco, da trasformare in parco tematico fruttifero attraverso la piantumazione di ulivi. Viene così prodotto l’Olio d’Oliva di Sant’Imerio. Il ricavato delle vendite viene usato per opere di benificenza.

Sempre nella zona di Bosto, sorge la centrale del Latte Varese, storica azienda gestita dalla Cooperativa Agricola Latte Varese, che dal 1933 raccoglie il latte prodotto da oltre 30 soci allevatori della Provincia per pastorizzarlo, confezionarlo e distribuirlo nei diversi punti vendita.

Bosto è anche un quartiere dove lo sport è di casa. Le sue associazioni di Basket e Calcio, sono famose in tutto il territorio.
La famosa associazione Sportiva Dilettantistica Basket Bosto Varese, ha ormai più di 30 anni e vanta numerose vittorie.
La U.S. Bosto negli anni è diventata una vera e propria scuola calcistica per i ragazzi di età compresa dai 6 ai 16 anni, fondata nel 1960 è passata in pochi anni dal campo dell’oratorio ad acquistare il terreno a Capolago sede attuale della società.

San Pedrino è il nome del colle più alto della castellanza di Bosto e deriva dalla chiesetta di San Pietro che qui si trovava attorno all’anno 1000 e che apparteneva alla Chiesa Colleggiata di Varese.
Oggi la chiesetta è andata completamente perduta, inglobata nella costruzione seisettecentesca della splendida villa che oggi occupa la sommità del colle.
Non ci sono tracce documentali certe, tuttavia si ritiene che accanto alla chiesetta ci fosse un convento, abitato da frati che accudivano alla coltivazione di orti e giardini per rifornire il borgo.
Nello stesso luogo probabilmente sorgeva una torre romanica fortificata, appartenente alla linea difensiva del Seprio.
Il San Pedrino venne acquistato nel 1690 da Francesco Nicolao De Cristoforis, membro di una importante famiglia varesina che già compare nelle cronache cittadine nel 1145, che cominciò ad edificare nel luogo nuove costruzioni.
La villa, costruita ed ampliata in più riprese,conglobando progressivamente tutti i fabbricati pre-esistenti, assunse la configurazione attuale verso il 1770.

Nel 1798 venne successivamente sottoposta a decorazioni ed a restauri documentati da una lapide posta sulla facciata verso il lago.
Dal cortile del San Pedrino il 31 Maggio 1859 l’armata del generale austriaco Urban bombardò Varese con circa 300 cannonate, le cui tracce si vedono ancora nel campanile di San Vittore.
Alla fine del XIX secolo la villa venne venduta a due notabili varesini, il dott Giovanni Gabaglio e l’avv. Giuseppe Franzi, che nel 1888 vi aprirono il “Collegio San Pedrino”, convitto residenziale sede del primo Liceo Classico di Varese.

Il Liceo rimase attivo fino al 1908, anno in cui venne trasferito nella villa “La Quiete”, vicino alla sede attuale del Liceo Cairoli.
La villa venne venduta alla famiglia Colombo di Milano, che realizzò ulteriori costruzioni all'interno del parco.
Nel 1939 la villa e l’intero San Pedrino vennero acquistati da Silvio Mazzucchelli, che era stato allievo del Liceo Ginnasio.
All’interno della villa si trovano interessanti tele del Canella, dipinte nel 1846-47, rappresentanti rispettivamente il panorama verso il lago ed il borgo di Varese, il colle di Biumo ed il Sacro Monte.




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MASNAGO

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Masnago è un rione della città di Varese, situato nella parte settentrionale. Fu comune autonomo fino al 1927, poi accorpato a Varese.

Delle località varesine Masnago è quella che vanta la citazione più antica: il nome, infatti, compare nel Corpus Diplomaticus Langobardorum con una datazione dell’844..

Nel nome di luogo il suffisso -ago sta di norma a indicare un’attribuzione di possesso, com’era uso della colonizzazione gallica. È un indizio piuttosto diffuso in siti della zona del Milanese. In epoca tardoromana potrebbe trattarsi di proprietà agricole forse concesse a veterani di origine celtica. Al nome di battesimo del personaggio cui vengono assegnate terre si fa seguire il cosiddetto “suffisso prediale”. Il nome del proprietario, qui, è naturalmente sconosciuto. Sono consentite solo ipotesi di fantasia: Mausonio, Masenio, Masino, Maso… A giudizio di altri studiosi – per quanto tale indicazione non contrasti del tutto con la precedente - Masnago farebbe invece derivare la propria denominazione da una voce celtica che caratterizza un villaggio protetto da un primitivo recinto in pietra. La stessa origine, per esempio, avrebbe il borgo di Masciago, in Valcuvia. Sono, com’è evidente, tutte congetture suggestive, che per altro avvalorano l’ipotesi di un insediamento di tipo militare databile grosso modo attorno al quarto o al quinto secolo.

L’antichità “romana” del sito – si tratterebbe di insediamenti o di semplici consolidamenti di stazioni di galli celti forse già esistenti – è tuttora documentata ‘in loco’ da un’ara votiva dedicata a Giove infissa nella parete esterna orientale della chiesetta dell’Immacolata. L’iscrizione, oggi illeggibile, fu decrittata sul finire dell’Ottocento da Teodoro Mommsen in occasione di un suo giro nel Varesotto. Pare si dovesse leggere così: A DIO OTTIMO MASSIMO / TITO VALERIO / CON LA MOGLIE / CINGENDO QUEST’ARA / CON ANIMO LIBERO E COME DOVEVA / SCIOGLIE IL VOTO. Si dice, ancora, che reperti d’epoca romana (o tardoromana) esistessero a Calcinate degli Orrigoni: una lapide devozionale intitolata a Mercurio di cui però non v’è più traccia. Altri reperti – un’urna cineraria e una coppa in vetro decorata a gocce blu disposte su un’unica fila –, invece, furono trovati nel 1964 durante gli scavi per la costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale, e sono custoditi al Museo civico di Varese. Chi fosse il Tito Valerio promotore dell’ara votiva dedicata a Giove e pervenuta fino a noi non è dato sapere. Si è ipotizzato si potesse trattare di un magistrato romano di stanza a Como. Un’altra ipotesi fatta è quella secondo la quale nella piccola area in cui oggi si eleva la chiesetta dell’Immacolata, dove un tempo fu costruita la prima chiesa di Masnago, si trovasse in tempi più antichi un tempio dedicato a Giove, che insomma si trattasse di una ‘zona sacra’. Tutto è possibile, facendo riferimento a situazioni di più di millecinquecento anni fa e di cui non esistono altre tracce documentali; l’uso di murare reperti romani nelle pareti delle chiese cristiane è del resto piuttosto ricorrente, senza che ciò rappresenti un effettivo legame consequenziale.

Masnago – o meglio all’antico Masenacum – tutti gli indizi rilevati ci rimandano a un periodo inquadrabile, grosso modo, tra il terzo e il quarto secolo dopo Cristo, ovvero allo stesso periodo nel quale comincia a diffondersi la religione cristiana. Intanto, in quegli anni di trapasso, e tra genti sostanzialmente ancora pagane, erano molto diffuse le devozioni a Giove, a Mercurio, a Mitra, divinità, quest’ultima, che ebbe un grande seguito nell’impero romano tra l’esercito e fu concorrente del cristianesimo. Ciò corrisponderebbe, in parte, ai due reperti citati in precedenza. Si pensi in aggiunta ai rinvenimenti di Angera – località molto più legata alle nostre zone di quanto potesse esserlo il municipio comasco – famosi per i legami con il culto mitriaco. Erano, per altro, gli stessi anni in cui si diffondeva l’eresia di Ario, con un ampio consenso tra le popolazioni barbariche di origine celtica e, più tardi, longobarde. La tradizione, a Masnago, indica come “torre ariana” la torre capitozzata che si trova in piazza Ferrucci, davanti alla parrocchiale. Un altro antico sito masnaghese, all’inizio della strada della Carnaga e di via Giordani, dove fino a una trentina di anni fa si trovava il lavatoio pubblico, e dove con ogni probabilità nel Medioevo si insediò una comunità religiosa, è ancora detta dai vecchi masnaghesi “l’Ariana”, anche se altri riferiscono tale denominazione a una roggia che lì scorreva verso il lago, visibile fino a una quarantina di anni fa prima che venisse ricoperta: la Rianna. Ma è possibile che si tratti di un’indicazione equivoca, e che in fondo i due nomi si confondano o, addirittura, si integrino.

Nel racconto della storia di Masnago e della plaga che si estende dintorno si può certamente identificare una sorta di “questione ariana”. In realtà, il termine “ariano” è piuttosto ambiguo. Per decenni, per secoli, presso il popolo, tale denominazione ha rappresentato genericamente il significato di “pagano”, a volte di cristiano non ortodosso. Anche la confusione del vocabolo con la parola “arimanno” – e quindi barbaro, estraneo – è possibile, e di conseguenza è plausibile la definizione di “ariane” (cioè non inserite nel contesto comune) per le prime comunità di Umiliati nei secoli dodicesimo e tredicesimo. Più in generale, l’eresia ariana, specie tra le popolazioni contadine, che erano ovviamente la quasi totalità, ebbe largo seguito: dai primi anni in cui cominciò a diffondersi il cristianesimo, fino all’invasione e alla dominazione longobarda e alla dominazione franca.

Tracce tuttora ben visibili di quei lontani contrasti, e probabilmente non tutti riferibili al conflitto tra cristiani ortodossi e ariani, sono le torri che si ergono nella zona. A Masnago se ne possono contare almeno tre: il mastio del castello Mantegazza; la torre capitozzata che sorge davanti all’attuale chiesa parrocchiale, detta “degli Ariani”, e un torrione, anch’esso capitozzato e rimaneggiato, forse addirittura di epoca franco-longobarda, esistente nella località Cittadella, l’antico nucleo di case che si trova in via Piemonte, poco dopo l’asilo, la strada che attualmente si dirige verso il cimitero (verosimilmente la sede di uno dei due conventi di frati Umiliati che esistevano a Masnago).

La Masnago dell’epoca nelle contese che, attorno all’anno Mille, toccarono l’intera zona del Milanese ovvero all’anno di grazia 1045, quando una delegazione di milanesi si recò dall’imperatore Enrico III per presentare un elenco di quattro canonici della cattedrale tra i quali l’imperatore avrebbe dovuto scegliere il vescovo. Enrico III, invece, nominò un Guido dei valvassori di Velate. Si trattava di un discendente della famiglia Bianchi, maggiorente nel borgo, un uomo certamente fedele, ma – ricordano con un certo astio i suoi contemporanei – “vir illiteratus a rure venientem”. Inutile dire della sequela di vicende che si succedettero alla non prevista nomina. Divenuto presto inviso ai patarini Arialdo e Erembaldo, Guido rimase invischiato nella cosiddetta “guerra dei preti” e costretto a morire in esilio. I conflitti durarono per più di un quarto di secolo. Non si sa quanto il territorio masnaghese e i suoi pochi abitanti ne fossero direttamente chiamati in causa. Ma quelle torri e quei fortini potrebbero essere altrettante prove concrete di battaglie e di difese che forse in altro modo non troverebbero giustificazione.

Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 500 abitanti, nel 1786 Masnago entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 597 abitanti. Nel 1809 il comune si allargò per l'annessione di Lissago e Casciago, ma nel 1812 si registrò la prima esperienza di unione con Varese su risultanza di un regio decreto di Napoleone, ma il Comune di Masnago fu poi ripristinato con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi discretamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 896 anime, salite a 976 nel 1871. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 1575 residenti del 1921. Fu quindi il fascismo a riproporre nel 1927 l'antico modello napoleonico, stabilendo la definitiva annessione a Varese.

Il Palio di Masnago istituito nel 1979, venne creato per richiamare i masnaghesi alla tradizione paesana che, con l'espandersi della città di Varese, si stava perdendo. Infatti, nel rione, vi era l'usanza nella prima settimana di settembre, di portare in chiesa come offerta i prodotti della terra e della fatica dell'uomo, come ringraziamento a Dio. La prima idea del Palio fu presentata al consiglio pastorale nel febbraio del 1977. Solo due anni più tardi, con la creazione di comitato organizzatore, si disputò la prima edizione.

Il comitato organizzatore decise di dividere il rione in sei contrade, che rappresentavano in effetti sei agglomerati che già portavano da tradizione secolare un proprio nome.

È il quartiere della città di Varese in cui sorgono lo Stadio Franco Ossola, sede delle partite interne del Associazione Sportiva Varese 1910; e il PalaWhirlpool, che ospita le partite casalinghe della Pallacanestro Varese. All'oratorio di Masnago gioca l'Or.Ma. Masnago che milita nei campionati del CSI con numerose squadre di Calcio Pallavolo e Basket

A Masnago sono presenti inoltre tre tra le più importanti scuole della città giardino: la Scuola media Angelo Vidoletti, il Liceo scientifico Galileo Ferraris e il Liceo artistico Angelo Frattini.

Il Castello di Masnago è un complesso architettonico che ha subito interventi ed ampliamenti diversi nel corso dei secoli. Alcune sue parti risalgono ad epoche diverse: al Medioevo appartiene la torre; quattrocentesco è il corpo di fabbrica principale, famoso per i suoi splendidi interni affrescati; più recente, datata intorno al sei-settecento, è l'ala che, ha reso la fortezza medievale più simile ad una residenza signorile che ha un edificio difensivo. l Castello di Masnago è conosciuto soprattutto per i cicli di affreschi della Sala degli Svaghi e della Sala dei Vizi e delle Virtù, che furono scoperti nel 1938, vengono considerati esempi artistici di grande suggestione e raffinatezza e possono essere riferibili alla tradizione cortese del Gotico Internazionale, stile diffuso tra la fine del 300 e la metà del 400 nelle corti di tutta Europa ed in Italia.

La Sala degli Svaghi conta di mirabili affreschi raffiguranti i passatempi di corte che le hanno fatto guadagnare appunto la denominazione. Da menzionare tra i soggetti dipinti nella sala una dama intenta a suonare l'organo, immersa in un incantevole luogo naturale, sulla cui sommita è posta una bandiera con lo stemma della famiglia Castiglioni. In un'altra scena la stessa dama è rappresentata mentre, cavalcando in compagnia del consorte, si dedica alla caccia con il falcone.

La Sala dei Vizi e delle Virtù, presenta una grandiosa decorazione che ha per tema il “confronto” tra Vizi e Virtù, un argomento allegorico e didascalico, tipicamente medievale.

Il Castello di Masnago, aperto al pubblico nel 1990, è sede dal 1995 di alcune delle collezioni storico-artistiche permanenti dei Civici Musei di Varese nella parte medioevale dell'edificio; qui sono collezionate opere dei più importanti pittori lombardi moderni, dall' Hayez al Bertini, dal Cremona al Ranzoni,da Pellizza da Volpedo al primo Balla divisionista, fino alla importantissima raccolta dei disegni del Piccio già della collezione di Piero Chiara.

Si possono ammirare nel museo anche esempi di arte secentesca e settecentesca come la “Resurrezione” del Procaccini, la “Deposizione” e l'“Orazione nell'orto” del Morazzone, la “Maddalena penitente” del Cairo, alcune opere della cerchia del Nuvolone, così come per il Settecento “La vergine fa giungere il viatico ad una devota” del Magatti, o più di recente, l'“Annunciazione” di Federico Bianchi. Inoltre con l'apertura della sezione contemporanea il Museo d'arte moderna e contemporanea di Varese ha potuto aggiungere anche significativi lavori di alcuni tra i maggiori protagonisti della contemporaneità: da Legnaghi a Veronesi, da Fontana a Baj, da Peverelli a Valentini, da Guttuso a Bendini; e ancora Valentini, Bodini, Sangregorio, Cassani, Olivieri, Ghinzani, Varisco, Dadamaino, Morandini, Tadini, Benati, Vaccari. L'ala più recente è stata destinata a spazio espositivo per mostre temporanee.




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