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sabato 13 giugno 2015

LA CHIESA DI SAN FRANCESCO A BRESCIA



All'inizio del XV secolo la navata centrale venne innalzata, permettendo l'inserimento del rosone in facciata, e dotata di copertura a carena lignea. Le trasformazioni più radicali si ebbero però a partire dal 1463 quando, su commissione del padre generale Francesco de Seni detto Sanson, l'architetto Antonio Zurlengo ampliò il precedente vano presbiteriale, edificando il nuovo coro chiuso dall'abside poligonale ad ombrello costolonato. Nel nuovo tessuto murario ai primitivi conci in medolo si aggiunsero i mattoni, creando un motivo a corsi dall'armonioso effetto chiaroscurale. Al 1477 risale la costruzione della cappella dell'Immacolata Concezione (quarta a sinistra), caratterizzata dal grande tiburio ingentilito da una decorazione ad archetti lobati di gusto tardogotico. Alcuni anni dopo lo stesso Zurlengo, coadiuvato in alcuni casi dall'architetto Filippo da Caravaggio, edifica diverse cappelle lungo la navata sinistra (prima, seconda e settima), mentre è esclusivamente di sua mano l'ampliamento della sacrestia (1483), la costruzione del refettorio (1488) e di alcuni altari addossati alla parete occidentale. Alla fine del secolo, ormai con caratteristiche rinascimentali, vengono edificate le cappelle Calzaveglia e Brunelli (quinta e sesta navata a sinistra), coronate da cupolette ottagonali. Al periodo barocco risalgono affreschi, dorature e stucchi sia nelle cappelle che vennero anche modificate, che nella volta rifatta con copertura a botte. A partire dalla seconda metà del XVII secolo si intervenne anche all'esterno dell'edificio, abbattendo il protiro gotico che proteggeva le arche funebri di molte nobili famiglie bresciane. Questi cambiamenti strutturali proseguirono anche nel secolo successivo, con particolare riferimento alla cappella dell'Immacolata Concezione che assunse fattezze barocchette. In seguito all'invasione francese la chiesa venne chiusa al culto e i chiostri utilizzati come depositi e forneria (impiego che si protrarrà fino al 1926), finché nel 1838 si decise di intraprendere i restauri di tutto il complesso affidandoli all'architetto Vantini che aveva appena operato nella chiesa domenicana di S. Clemente. Anche per il S. Francesco attuò una trasformazione neoclassica che comportò il cambiamento delle volte nel coro, l'apertura di nuove finestre semicircolari nelle navate e la stesura di un chiaro intonaco su tutta la superficie muraria e sui piloni. Dopo la restituzione del complesso ai Francescani (1926), si procedette ad un accurato restauro teso a recuperare le originarie strutture architettoniche dell'abside e delle navate e quanto rimaneva delle testimonianze pittoriche. Durante la seconda guerra mondiale la chiesa venne bombardata, subendo gravi danni. Si procedette così a imponenti interventi di consolidamento che si protrassero fino al 1954 e le ridiedero il suo aspetto originario, essendo stato ripristinato l'antico piano di calpestio e la volta a carena.

La severa facciata dai regolari conci in medolo è a capanna, scandita in tre specchiature da sottili paraste e coronata dal fregio ad archetti pensili che prosegue anche lungo la navata principale. Particolarmente ricco è lo scomparto centrale caratterizzato dal portale strombato con capitello a crochet a fascia unica che continua anche ai lati, sormontato dal rosone policromo. Negli scomparti laterali si aprono due oculi a giorno, soluzione che verrà successivamente adottata in diverse chiese lodigiane e cremonesi, e due lunghe monofore trilobate. L'interno a tre navate, divise da slanciati piloni con capitelli fogliati che sostengono archi a sesto acuto, presenta nella centrale una copertura di gusto veneziano a carena trilobata, mentre le laterali sono a cassettoni. Al termine delle navate, in origine erano chiuse dal transetto di cui oggi non si scorge più traccia, si staglia il coro con volte a costoloni, fiancheggiato da una cappella sul lato sinistro e da due su quello destro. La più esterna costituisce la base del campanile, contemporaneo alla chiesa e arricchito da due ordini di bifore sovrapposte: a tutto sesto nell'inferiore, ogivali e lobate nel superiore. Le pareti della chiesa, affrescate a partire dall'ultimo decennio del Duecento, subirono diverse modifiche per l'apertura di cappelle e la costruzione di altari, e costituiscono oggi un variegato palinsesto. La testimonianza più antica risalente al 1280 è una Santa circondata da quattro bambini, generalmente identificata come Santa Elisabetta d'Ungheria, affrescata sulla parete presso il quinto altare. Nel registro superiore della navata destra tra il secondo e il terzo e tra il terzo e il quarto altare, è affrescata una Teoria di Angeli e Santi. Nel registro mediano è conservato un affresco comunemente indicato come Scuola francescana, anche se l'identificazione risulta difficile per la perdita di gran parte della superficie pittorica. Sulla scena, delimitata da alberelli fioriti, si accalcano un folto numero di frati appartenenti ad ordini diversi e giovani studenti. L'opera denota una rigorosa resa spaziale unita ad una ricerca di naturalismo nell'attenta resa degli abiti e dei volti. La gamma cromatica dai toni smorzati, unita all'allungamento delle figure, da ricondurre ad influssi della miniatura bolognese, concorrono ad una datazione attorno al 1320. Nel registro inferiore, di poco posteriore e di diversa mano è la Deposizione di Cristo, affresco staccato ma ricollocato nella posizione originale. Messo tradizionalmente in correlazione con lo stesso soggetto dipinto a Padova da Giotto, denota una minor complessità d'impaginazione e una resa più statica delle figure che suggerirebbero una paternità in ambito veronese. La volumetria delle figure e la levità del panneggio del sudario che avvolge Cristo costituiscono un importante termine di confronto con il prezioso Crocifisso ligneo conservato nella seconda cappella a sinistra. La rappresentazione del volto dolente e del corpo teso nello spasimo rivelano un naturalismo tipico dell'area lombarda, che ha suggerito una datazione entro il 1320 e strette affinità con il Maestro di S. Abondio e di S. Margherita a Como.
Addossato al fianco occidentale della chiesa si eleva il bel chiostro eretto nel 1394 da Guglielmo da Frisone da Campione, come riportato nell'iscrizione scolpita sulla colonna angolare di nord-ovest. La struttura è costituita da robuste colonne in marmo rosso di Verona, appoggiate su basi fogliate, che contrastano con i capitelli in marmo bianco dalla varia decorazione floreale o antropomorfa. Il cornicione in cotto è arricchito da una doppia fascia a dente di sega che riequilibra orizzontalmente lo slancio verticale degli archi ogivali. Un altro chiostro dalle dimensioni notevolmente ridotte, con copertura a volte sostenuta da possenti colonne, venne costruito nel XV sec. dietro il campanile.




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sabato 6 giugno 2015

LA CHIESA DI SAN FRANCESCO A LODI

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La rossa facciata della medievale chiesa di S. Francesco (sec.XIII), costruita dalla nobile famiglia guelfa dei Fissiraga, con protiro ogivale, grande rosone marmoreo e due emozionanti bifore a cielo aperto danno leggerezza all'insieme.

L'edificio venne innalzato tra il 1280 e i primi anni del Trecento laddove precedentemente sorgeva una piccola chiesa dell'Ordine dei Frati Minori dedicata a San Nicolò. Su iniziativa del vescovo di Lodi Bongiovanni Fissiraga, i religiosi intrapresero la costruzione dell'attuale corpo di fabbrica sostenuti dalle donazioni del nobile Antonio Fissiraga.

Nel 1527 la gestione del tempio venne affidata ai Francescani Riformati di San Bernardino, cui nel 1840 subentrarono i Padri Barnabiti, i quali avevano già occupato nel 1834 il convento adiacente trasformandolo in collegio; i primi anni della loro attività furono interamente dedicati ad un profondo lavoro di restauro del complesso, che ebbe termine nel 1842. Benché i Barnabiti abbiano ottenuto il ministero apostolico della chiesa di San Francesco "ad uso perpetuo", la proprietà dell'edificio è sempre rimasta appannaggio della parrocchia della Cattedrale di Lodi, da cui tuttora dipende.

Le notizie più antiche attestanti la presenza in città dei frati minori risalgono al 1224, anche se solo vent'anni dopo questi furono costretti ad allontanarsi in seguito agli scontri tra le autorità comunali, schierate con lo scomunicato imperatore Federico ii, e il clero. Soltanto nel 1252, quando papa Innocenzo iv ripristina la sede vescovile, possono rientrare in città e viene loro concessa dal vescovo Bongiovanni Fissiraga la chiesa di S. Nicolò con le annesse proprietà già della famiglia Pocalodi. Probabilmente a partire dagli anni Ottanta, grazie all'intervento del capo della lega guelfa Antonio Fissiraga (forse nipote del vescovo), si iniziano i lavori per la costruzione della nuova chiesa, essendo ormai il S. Nicolò troppo piccolo per l'elevato numero dei frati presenti. La costruzione doveva già essere a buon punto nel 1290 se vi fu sepolto il vescovo Bongiovanni e pressoché terminata agli inizi del Trecento, come suggerito dalla data 1304 presente in un'iscrizione scolpita sul rilievo raffigurante sant'Antonio collocato nel pilastro centrale del transetto di destra che, insieme al corrispettivo di sinistra con san Francesco, fu eseguito da fra' Delay de Brellanis da Lodi. Numerose nobili famiglie lodigiane posero le loro sepolture in S. Francesco, ottenendo il patronato delle varie cappelle aperte sul fianco sinistro a partire dal XIV fino al XVIII secolo, divenendo così i committenti dei numerosi affreschi e tele che ne ornano le pareti e gli altari. Costituisce un esempio particolare la seconda, o di san Bernardino, ricavata nel 1477 dalla demolizione del campanile già costituito dalla torre dei Pocalodi, precedentemente inglobata nell'edificio religioso. Gli interventi più sostanziali si ebbero però nel xvii secolo, quando si chiusero le bifore absidali e si rifece la decorazione di alcune cappelle, arricchite con stucchi e dorature. La trasformazione barocca della chiesa proseguì ancora per tutto il Settecento, in particolare con il rifacimento del coro con decorazioni architettoniche illusionistiche nel 1740. Con la soppressione del convento nel 1810, la chiesa divenne sussidiaria della parrocchia del Carmine, e così rimase fino al 1842, quando fu ceduta ai padri barnabiti che già dieci anni prima si erano stabiliti nel convento. Trovandosi l'edificio in precarie condizioni, fu necessario un imponente restauro affidato agli architetti milanesi Ambrogio Nava e Carlo Maciachini e ai pittori Martino Knoller e Giuseppe Bertini, che comportò il rifacimento del tetto, la chiusura di alcune cappelle e l'integrazione di brani pittorici tre-quattrocenteschi. Sugli affreschi si intervenne nuovamente a partire dal 1960 con una vasta campagna quasi ventennale, che prendendo il via dalla navata di destra ha successivamente interessato tutte le altre superfici dipinte.

La facciata in cotto rosato, rimasta incompiuta, è caratterizzata da un alto protiro ogivale con colonne in cotto su plinti di pietra, da due lesene semi-cilindriche e da un grande rosone in marmo bianco; ai lati, due singolari bifore a sesto acuto si aprono al cielo donando leggerezza alla struttura frontale.

La facciata, incompleta nella parte superiore, venne aggiunta al corpo dell'edificio forse dopo il 1312, data dell'ultima donazione effettuata da Antonio Fissiraga prima del suo arresto ad opera dei Visconti nel 1316. Costruita interamente in cotto, è scandita in tre campi da due possenti semicolonne addossate. In quello centrale, oltre al rosone marmoreo aperto quasi due secoli dopo, si staglia il portale archiacuto, con semicolonnine a fascio, cui si addossa il protiro, anch'esso frutto di aggiunta posteriore. Nei campi laterali, sopra gli ingressi, si apre una monofora a tutto sesto sormontata da una bifora archiacuta "a vento", che lascia cioè intravedere il cielo (la parete della facciata supera infatti il colmo delle navate).
L'interno, dalla pianta a croce latina, richiamo del pavese S. Francesco, è a tre navate, costituite da quattro campate (di cui la prima più stretta) ad andamento alternato, in maniera tale cioè che alla centrale ne corrispondono due laterali. Massicci piloni cilindrici in cotto (simili a quelli del duomo cittadino), terminanti con capitelli in pietra dalla decorazione vegetale o antropomorfa, sostengono le volte costolonate a sesto acuto. Il transetto è costituito da tre campate quadrate, ciascuna di misura identica a quelle della navata centrale. Lo stesso modulo si ripresenta nel coro, mentre ognuna delle quattro cappelle che lo fiancheggiano ha le medesime dimensioni di ciascuna campata nelle navate laterali.
La chiesa è giustamente celebrata anche per il suo ricco corredo pittorico che si snoda quasi ininterrottamente su pareti, volte e piloni. Le testimonianze più antiche, databili verosimilmente entro il secondo decennio del Trecento, si estendono sulle volte della terza campata nella navata centrale e sulla crociera mediana del transetto. Riecheggiano nei motivi decorativi la miniatura bolognese e la pittura veneta di fine XIII secolo mentre, nella volumetria delle figure e nell'attenta resa spaziale e prospettica, traspare la lezione giottesca che è interpretata secondo un realismo tipicamente lombardo.
Parallelamente al Maestro della tomba Fissiraga opera un altro pittore d'estrazione lodigiana, attivo soprattutto nel S. Bassiano di Lodi Vecchio (per cui ne deduce il nome di Maestro di S. Bassiano), a cui si devono numerosi affreschi votivi: il San Nicola sul quarto pilone di destra, il Battesimo di Cristo sul sesto della medesima navata, la Madonna in trono con Bambino sul settimo pilone sinistro. A queste testimonianze, dall'impianto compositivo maggiormente semplificato e dai modi più arcaicizzanti, è stato recentemente aggiunto il semplice affresco con i Funerali di Antonio Fissiraga in cui il protagonista indossa l'abito francescano. Da queste opere si svilupperà, per tutto il Trecento, una scuola locale che riproporrà le innovazioni dei due Maestri.
Alla fine del secolo si collocano invece alcune testimonianze di elevata qualità, che risentono fortemente dell'operato di Giovannino de' Grassi e del gusto proprio del Gotico Internazionale, diffusosi ampiamente nel ducato di Milano. Sull'arco d'ingresso della cappella di S. Bernardino (terza a destra) lo Sposalizio mistico di santa Caterina anche se mutilo, rivela un'estrema ricercatezza formale, che si attua in forme esili e allungate e in una stesura cromatica modulata e impreziosita da un copioso impiego di oro. Contemporaneo e culturalmente affine è il Maestro di Ada Negri, a cui si devono la Madonna col Bambino sul secondo pilone a destra, e la Visitazione sul terzo, sempre di destra. Nel primo esempio istanze miniaturistiche si esplicitano nell'incorniciatura e nel raffinato decorativismo degli abiti, mentre nel secondo si unisce anche una stesura cromatica piatta che riduce la volumetria dei singoli personaggi.





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