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giovedì 1 ottobre 2015

LE Donne Africane e l'ACQUA



Se per milioni di africani l’acqua pulita è ancora un miraggio, non possiamo lavarcene le mani. Senz’acqua non c’è salute né sviluppo: i danni all’agricoltura sono incalcolabili, il bestiame muore, le lezioni a scuola non si possono svolgere regolarmente e saltano anche gli equilibri familiari, perché le donne sono costrette ad assentarsi per ore alla ricerca di acqua, lasciando incustoditi i figli.

La mancanza di acqua pulita e di servizi igienici adeguati costa ogni anno all’Africa Subsahariana il 5% del suo Pil ed è legata, direttamente o indirettamente, all’80% delle malattie. Nella regione più della metà dei posti letto ospedalieri sono occupati da pazienti affetti da malattie diarroiche, causate dall’utilizzo di acqua contaminata e dall’assenza di servizi igienici, con conseguenze fatali soprattutto per i bambini. Quelli con meno di cinque anni nati in un periodo di siccità hanno tra il 36 e il 50% di probabilità di essere malnutriti, mentre l’accesso ad acqua pulita riduce i tassi di mortalità infantile di oltre il 20%.

Ogni giorno una donna raccoglie 20 litri d’acqua riempiendo la sua tanica che trasporta a mano, portandola sulla schiena. Ha sette bambini e un marito: poca la quantità a disposizione, e così fa affidamento sull’acqua piovana per l’igiene personale e della casa. La sua bambina ha una brutta infezione agli occhi, chiaramente dovuta alla scarsa igiene. Per lei e sua figlia è normale camminare due ore al giorno per avere solo 20 litri d’acqua: dal loro punto di vista, le persone che vivono nei villaggi colpiti dalla siccità soffrono molto di più.

Il Corno d’Africa (Etiopia, Kenya, Somalia) è tra le aree del mondo più toccate dal cambiamento climatico. Nel 2011-2012 le piogge sono mancate per un anno e mezzo e 11 milioni di persone ne hanno subito le conseguenze.

Nelle zone rurali della maggior parte dei paesi in via di sviluppo, le donne sono le amministratrici delle risorse idriche. Esse sono spesso costrette a camminare per miglia e miglia per andare a cercare l'acqua necessaria a svolgere i lavori domestici essenziali. Basti pensare che in alcune aree dell'Africa, donne e bambini trascorrono otto ore al giorno per raccogliere l'acqua. A tale proposito, si stima che la percentuale di donne che soffrono per la penuria di acqua sia del 55 per cento in Africa, del 32 per cento in Asia e del 45 per cento in America Latina.



La disponibilità di acqua potabile, tuttavia, rappresenta un motivo di crescente preoccupazione anche per le donne e le famiglie che vivono nelle aree urbane. Le Nazioni Unite hanno infatti stimato che tra il 1990 ed il 2000 il numero di abitanti delle città che non hanno disponibilità di acqua potabile potrebbe crescere di circa il 60 per cento, passando dagli attuali 244 milioni di persone a circa 384 milioni.

La scarsa qualità e la ridotta disponibilità di acqua potabile affligge non soltanto la produzione agricola ed il bestiame delle donne e la quantità di lavoro che esse debbono impiegare per raccogliere, conservare e distribuire l'acqua, ma anche la loro salute e quella delle loro famiglie. Malattie che vengono causate dall'acqua quali il colera, la dissenteria, il tifo, la malaria e la diarrea riscuotono ogni anno un pesante pedaggio di vite umane. Malattie generate da parassiti, quali l'oncocerciasi (la cecità fluviale), si diffondono a propria volta attraverso l'acqua contaminata.

Tuttavia, nonostante le loro responsabilità per la raccolta dell'acqua e l'amministrazione di quanto necessario al miglioramento delle condizioni igieniche, le donne vengono raramente coinvolte nel processo decisionale relativo alla pianificazione infrastrutturale.

Troppo spesso, infatti, esse non hanno la possibilità di esprimere il proprio parere circa, ad esempio, l'ubicazione di una pompa o la progettazione di latrine.

Attualmente, tuttavia, viene riconosciuto il fatto che l'esclusione delle donne dal processo di pianificazione delle condutture idriche e dagli schemi per il miglioramento delle condizioni igieniche costituisce una delle ragioni principali per l'elevata percentuale di malfunzionamenti che in esse si verificano. Allo scopo di migliorare la salute e la qualità della vita per le donne, i programmi idrici e per il miglioramento delle condizioni igieniche dovranno concentrarsi sulla riduzione del tempo e delle energie necessarie alle donne per raccogliere l'acqua, e favorire inoltre la partecipazione femminile al processo decisionale delle comunità per quanto riguarda le forniture idriche ed il miglioramento delle condizioni igieniche.



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venerdì 27 febbraio 2015

MILANO VIA MANCINELLI

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L'omicidio di Fausto e Iaio fu commesso a Milano il 18 marzo 1978. Le vittime furono Fausto Tinelli e Lorenzo "Iaio" Iannucci, all'epoca diciottenni, frequentanti il Centro Sociale Leoncavallo, uccisi da 8 colpi di pistola a opera di estremisti di destra.
Il 18 marzo 2012 i giardini di Piazza Durante a Milano sono stati dedicati e intitolati a Fausto e Iaio dalla giunta del Comune di Milano.

Dopo un pomeriggio con gli amici, Fausto al Parco Lambro, Iaio al parco prima e poi in centro con la sua ragazza, verso le 19.30 i due ragazzi si incontrano alla Crota Piemunteisa di via Leoncavallo, uno dei luoghi di ritrovo abituale dei giovani del centro sociale. Nella sala biliardo, lo diranno poi vari testimoni, ci sono quella sera tre giovani che nessuno aveva mai visto prima. Fausto e Iaio si avviano per andare a cenare a casa Tinelli, come ogni sabato sera. Sarebbero ritornati al centro alle 21 per assistere al concerto di blues. Fra le 19.30 e le 19.45 si incamminano e all'altezza di via Mancinelli, alle 19.55 circa, di fronte al cancello di ferro della Sir James Henderson School, sono ferme alcune persone. I due ragazzi raggiungono il gruppo in attesa nella penombra di via Mancinelli 8. C'è uno scambio di battute tra Fausto, Iaio e gli altri in attesa, poi i tre aprono il fuoco: 8 colpi calibro 32 e scappano, due di essi hanno in mano dei sacchetti, probabilmente di plastica, e indossano impermeabili chiari. Il terzo porta un giubbotto marroncino. Tutti e tre si allontanano lungo via Mancinelli.
Iaio è già morto mentre Fausto agonizzerà fino all'arrivo dell'autoambulanza e morirà durante il trasporto all'ospedale.

Il 23 marzo, il giorno dopo i funerali di Fausto e Iaio, giunge a Roma una nuova rivendicazione del duplice omicidio. In quei giorni ce ne sono state altre (una persino a Palermo) tutte con sigle fasciste. La rivendicazione, considerata più credibile dagli inquirenti, appartiene ai terroristi neri dei NAR - brigata combattente Franco Anselmi. Anselmi era un neofascista romano, morto dodici giorni prima dell'omicidio di Fausto e Iaio, mentre tentava di rapinare un'armeria della capitale.

Tra gli appartenenti al gruppo di Anselmi c'è Massimo Carminati, un criminale che svolge i "lavori sporchi" per conto della banda della Magliana, la più potente organizzazione criminale romana, e ha rapporti con i servizi segreti. Tra le molte cose, Carminati sarà accusato di aver ucciso Carmine Pecorelli e di aver lavorato con due ufficiali del Sismi a un tentativo di depistaggio dell'inchiesta sulla strage di Bologna; insieme a lui Claudio Bracci e Mario Corsi. Nei loro confronti ci sono alcuni indizi e le dichiarazioni dei pentiti.

Massimo Carminati associato alla Banda della Magliana, Claudio Bracci e Mario Corsi, indiziati del duplice omicidio (cfr. rispettivamente per i primi due il mandato di comparizione emesso in data 15.10.1991 e per il terzo il mandato di comparizione emesso in data 5.12.1990).
Valerio Fioravanti, Mario Corsi e Guido Zappavigna, indiziati dei reati connessi al progetto di attentato in danno di Andrea Bellini avvenuto a Milano nel 1979 e Zappavigna indiziato del reato di cui all’art. 306 c.p.

I due ragazzi stavano conducendo approfondite indagini (con interviste sul campo, registrate meticolosamente su nastri, poi trafugati misteriosamente dopo la loro morte) sul traffico di eroina e cocaina nel loro quartiere di Casoretto e nelle vicine zone di Lambrate e Città Studi, traffico gestito da potenti ambienti della malavita organizzata e dell'estrema destra milanese.

La controinformazione condotta da alcuni giornalisti indipendenti e militanti del Centro Sociale Leoncavallo porta ad individuare nel bar Pirata (centro di ritrovo dei neofascisti della zona) il luogo di ritrovo degli autori materiali dell'omicidio, ma le indagini ufficiali, condotte dal Sostituto Procuratore Armando Spataro e passato ad altri 4 sostituti procuratori, non hanno mai individuato né i mandanti né gli esecutori di questo delitto.

Per mesi il giornalista de l'Unità Mauro Brutto raccoglie elementi sul delitto di Via Mancinelli. In novembre qualcuno gli spara tre colpi di pistola senza colpirlo. Pochi giorni dopo il giornalista mostra una parte del suo lavoro ad un colonnello dei carabinieri. Il 25 novembre, dopo cena, Brutto ha appuntamento con una sua fonte. Lo vedono entrare in un bar di via Murat, comprare due pacchetti di sigarette, uscire, attraversare la strada. A metà della carreggiata si ferma per far passare una 127 rossa. In senso inverso arriva una Simca 1100 bianca che lo investe e scappa.

"La Simca sembrava puntare sul pedone", dirà nel corso della rapida inchiesta l'uomo a bordo dell'altra auto, la 127. Sparisce il borsello di Brutto, pieno di carte, forse trascinato dalle auto in corsa. Lo ritrovano qualche ora dopo in una via vicina, vuoto.

Furono svolte poche e veloci indagini per chiarire le circostanze che determinarono la morte del giornalista: dell'automobile che lo investe e del suo guidatore non si sa più nulla, molte cose della dinamica dell'incidente non convincono, il borsello del giornalista verrà ritrovato senza il suo contenuto: documenti importanti, un vero e proprio dossier.

Il 24 settembre 1999, il Pm di Milano Stefano Dambruoso chiede l'archiviazione per Fausto e Iaio. Oltre all'estremista di destra Massimo Carminati, riguarda anche i neofascisti Claudio Bracci e Mario Corsi, accusati di quell'omicidio. Chiedendo l'archiviazione, il Pm Stefano D'Ambruoso sostiene che non sono state trovate sufficienti prove a carico degli indagati.

Nel 2011, in un'intervista a Radio 24, la madre di Fausto ha accusato esplicitamente i servizi segreti di essere i mandanti dell'omicidio dei due giovani. "Negli anni ho riannodato i fili della memoria, i pezzi di un piccolo mosaico che mi ha permesso di raggiungere la vera verità che io conosco. Mio figlio è stato vittima di un commando di killer giunti da Roma a Milano, nel pieno del rapimento di Aldo Moro, in una città blindata da forze dell'ordine. Un omicidio su commissione di uomini dei servizi segreti."

Come detto Fausto e Iaio la sera dell'omicidio si stavano recando a casa della famiglia Tinelli in via Montenevoso 9. Ma a sette metri di distanza dalla camera di Fausto, al civico numero 8, c'è un covo delle Brigate Rosse. Verrà scoperto il 1º ottobre del 1978, gli inquirenti trovano le carte originali del memoriale di Aldo Moro, lettere scritte dallo statista, verbali del suo lungo interrogatorio prima di essere ucciso. All'ultimo piano della palazzina dove abita la famiglia Tinelli, c'è una mansarda trasformata in un mini appartamento, da lì gli agenti dei servizi segreti controllano il covo delle Brigate Rosse. Alla Commissione Moro sarà detto che l'appartamento era stato affittato solo nel luglio del 1978, ma secondo la madre di Fausto già dal gennaio del 1978 vedeva persone entrare in quella mansarda con scatoloni e strane parabole. Si delineerebbe quindi, nell'assassinio dei 2 giovani, un messaggio 'trasversale' fra servizi deviati italiani che già avevano modo di infiltrare o perlomeno condizionare l'operato delle BR, oltre che l'eliminazione di un potenziale 'investigatore' (il Tinelli) che già da tempo, con i suoi più stretti compagni, osservava con acuta attenzione la realtà politica del periodo non solo in ambito milanese. Come per l'assassinio di Valerio Verbano due anni dopo a Roma, è molto probabile che servizi segreti (più o meno 'deviati') e manovalanza fascista, abbiano concorso per salvare lo status-quo della politica nazionale, fatta di intrighi, depistaggi e crimini di ogni sorta. Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli saranno ricordati nel comunicato n. 2 delle Brigate Rosse, emesso durante il sequestro di Aldo Moro il 25 marzo 1978. A loro vien fatto riferimento come "compagni assassinati dai sicari di regime". Come per Valerio Verbano.


LEGGI ANCHE : asiamicky.blogspot.it/2015/02/milano-citta-dell-expo-conosciamola.html

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