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mercoledì 21 settembre 2016

LA PACE

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La pace è il bene più prezioso per l’umanità: purtroppo se ne comprende l’immenso valore solo quando questo bene viene perduto.

La pace senz'altro è il bene più grande a cui l’umanità possa aspirare, ma è stata anche tante volte negata da conflitti fra popoli e guerre civili, che hanno portato al genere umano sofferenze indicibili. Possiamo dire che la storia umana è caratterizzata solo da brevi periodi di pace e che le guerre siano sempre state, nel passato, il mezzo preferito per risolvere le controversie.
La pace è quella condizione che consente all'umanità di aspirare anche ad altri importanti valori, che hanno dato significato al lungo cammino umano, come la libertà, la giustizia, la democrazie. E’ infatti impossibile poter godere della libertà, senza che vi sia la concordia fra gli uomini, così come, ovviamente, non può esserci alcuna forma di giustizia in presenza della violenza e della sopraffazione che ogni guerra comporta. Allo stesso modo, la costruzione della vera democrazia si può avere solo in condizioni di pace duratura.
Scrittori, filosofi, profeti di religioni diverse, hanno sempre ammonito l’umanità a fare il possibile per non perdere il bene prezioso della pace, ma, troppo spesso l’uomo, nel passato, si è lasciato sopraffare dall'istinto ferino che la razionalità non è riuscita a controllare, dal fanatismo, dall'odio politico o religioso, dal gusto della violenza o più semplicemente dal bieco egoismo di difendere i propri interessi a danno di quelli degli altri.
Il valore della pace è assoluto, cioè non subordinato ad alcuna condizione, in quanto la perdita della pace comporta un danno sempre superiore a qualsiasi altro diritto violato o torto subito.
Ciò non significa che bisogna essere succubi di qualsiasi ricatto, ma semplicemente che non bisogna mai smarrire la via della ragione e della ricomposizione pacifica e negoziata di quei contrasti che sempre la dialettica dei rapporti sociali e internazionali fa emergere. Il valore immenso della pace viene compreso dagli uomini quasi sempre quando questi l’hanno irrimediabilmente perduta, ma allora diventa anche più difficile vincere l’odio che la spirale ella violenza ha generato.

Troppe risorse che potrebbero alleviare tanti disagi e tante sofferenze dell’umanità sono purtroppo destinate alle spese per armamenti.
Troppe risorse sono bruciate nelle spese per armamenti, risorse che potrebbero essere utilizzate per alleviare le immense sofferenze di tanta parte della popolazione umana che, soprattutto nelle aree depresse del Terzo Mondo, vive in condizioni caratterizzate da fame, miseria, analfabetismo, igiene terribilmente precaria, alto tasso di mortalità infantile. Eppure tutti i governi del mondo, nessuno escluso, preferiscono spendere per allestire ordigni di morte, anziché per favorire la vita.

Pace. Una parola dalle mille sfaccettature, che oggi più che mai sembra un'utopia, un traguardo globale molto lontano. Il Mahatma Gandhi, il cui appellativo significa “grande anima” ha declinato questa parola così semplice eppure così profonda in tanti modi.

Insegnamento 1: Il potere è di due tipi: uno si ottiene dalla paura della punizione e l'altro da atti d'amore. Il potere basato sull'amore è mille volte più efficace e permanente da quello derivato dalla paura della punizione.

Secondo il Mahatma la forza non vince mai contro il potere dell'amore. In questo momento di grande fermento e agitazione nel mondo, la più grande forza da non sottovalutare è quella che viene dall'amore.

Insegnamento 2: Che differenza c'è tra morti, orfani, e senzatetto, se la folle distruzione passa sotto il nome di totalitarismo o sotto quello di libertà e democrazia?

La storia ha visto innumerevoli esempi di dittatori che hanno portato distruzione. Un mondo di pace può essere raggiunto se impariamo il potere della non violenza, come dimostra la vita del Mahatma Gandhi.

Quest'ultimo ha dimostrato che possiamo raggiungere libertà, giustizia e democrazia per l'umanità senza uccidere nessuno, senza rendere alcun bambino orfano e senza privare nessuno della propria casa per colpa dei danni causati dalla guerra.



Insegnamento 3: Ci sono molti motivi per cui io sono pronto a morire, ma nessuna per cui io sia pronto a uccidere. Al centro della nostra esistenza, secondo Gandhi, c'è il nostro innato desiderio di vivere una vita tranquilla. La più grande e nobile causa deve essere solo quella di portare la pace in questo mondo anche offrendo il proprio sacrificio invece del dolore altrui.

Insegnamento 4: Occhio per occhio servirà solo a rendere cieco tutto il mondo diceva Gandhi. Non importa dove viviamo, quale religione professiamo o qual è la cultura che coltiviamo: al centro di tutto siamo tutti esseri umani.

Insegnamento 5: Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, predicava il Mahatma. Non si può portare la pace nel mondo a tutti a meno che un leader politico non dimostri di cambiare in prima persona. Ciò vale per tutti, non solo per i rappresentanti politici.

Kant prospettava l’idea di una società cosmopolita in cui sarebbe regnata una “pace perpetua”: un mondo dove gli umani, in virtù del dono che li distingue dagli animali, la ragione, fossero stati in grado di anteporre una coesistenza pacifica agli interessi, alle violenze, all’avidità dei pochi.
Un mondo dove la pace diventava condizione necessaria perché la stessa ragione potesse sussistere e sopravvivere e continuare a comprendere quello che lui definì “il sublime”, l’infinita piccolezza dell’uomo, la sua superiorità sulla materia non cosciente.
Il problema della pace come corrente di pensiero vero e proprio ha trovato in Gandhi un forte teorico e fautore; i suoi principi, grazie ai mezzi di comunicazione di massa e a personaggi dello spettacolo, si diffusero nel mondo occidentalizzato e numerosi movimenti nacquero. I moti dell’autunno caldo in fondo si muovevano anche su questo principio.
Discutere oggi sul significato della pace sembra apparire una discussione per molti sorpassata, soprattutto per molti pacifisti radicali, convinti che la pace è per forza di cose l’unica via. Eppure lo stesso Gandhi ammetteva il ricorso alla violenza in caso di legittima difesa.
Alla base del discorso della non violenza e di chi la sostiene, vi sta un problema di fondo che molto spesso noi non ci poniamo: la pace è davvero la migliore delle soluzioni?
Apparentemente si, tendiamo a rispondere. Ma se ci pensiamo un attimo, si può intendere come la nostra risposta in realtà sia falsa, priva di fondamenti concreti. Innanzitutto il termine guerra con la nostra vita non è mai entrato davvero in contatto. Sappiamo che è un momento in cui la gente muore, per lo più innocenti civili, che provoca dolore e morte. Da questa considerazione tendiamo, da buoni ipocriti cristiani che siamo, a scacciare il pensiero della guerra. In realtà il nostro comportamento non è quello del medico che cura il paziente malato, bensì quello del medico che preferisce lasciarlo ad un altro collega.
Il pacifismo è spesso dunque una posizione di comodo adottata da noi occidentali per non sentire il problema stesso della guerra e adattarsi alle convinzioni civili di una convivenza pacifica, senza in realtà capire il perché.
Ma qui non è una questione solo di adattamento pratico al mondo che ci circonda, ma addirittura mentale. Molta gente, magari inconsciamente, sceglie il pacifismo perché è ritenuto un principio assoluto e come tale difficilmente contestabile. La chiesa lo appoggia; la civiltà occidentale in linea di principio; la televisione lo accetta.


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sabato 11 luglio 2015

UMANI E UMANITA'


Vorrei aiutare tutti: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, fatto precipitare il mondo nell’odio, condotti a passo d’oca verso le cose più abiette. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco.



Tralasciando l'umanità come l'essere umano e l'insieme degli esseri umani, concentriamoci sull'umanità come atteggiamento, come sentimento.
Le parole negative sono un sacco, più di quelle positive. E tante volte dispiace vedere come una parola neutra, col tempo, possa volgersi verso significati scuri: ma non è questo il caso.
Di rado capita di imbattersi in parole così cruciali, dai cui sensi dipende il modo di concepire noi stessi. Dai significati che attribuiamo all'umanità, intesa come dote, come sentire, dipende l'immagine ideale che abbiamo dell'essere umano. Se questa parola indicasse meschinità, ingordigia, odio, dentro la nostra mente germinerebbe inevitabile un'idea di umano vile, senza speranza - e tale sarebbe l'idea di noi. Ma non è così. Gli umani, tanto divisi, quando sono chiamati a dire chi sono con la lingua che parlano, non hanno dubbi su che cosa l'umanità sia.
L'umanità è un poderoso combinato di solidarietà, compassione, comprensione, amore, perdono, cura, gentilezza. Tanto grande da avere contorni nebulosi, ma tanto chiaro da non recare in sé la più microscopica traccia di male. Sembra un po' esagerato, non è vero? Ma è un sintomo forte rispondere alla domanda "Chi vorresti essere?" quando ti domandano "Chi sei?". Chi, secoli fa, ha iniziato ad usare questa parola in un senso così positivo, come noi, ha riconosciuto in quei sentimenti, in quegli atteggiamenti la parte migliore di sé, quella da scrivere nel curriculum, nella presentazione - quella radice che se non ci fosse lo scuro dei giorni farebbe un fusto tutto fiori.

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Il nostro tempo ci fa constatare quotidianamente una forma di schizofrenia culturale, dove accanto a proclami di diverso tipo sulla difesa della dignità degli esseri umani e delle figure più deboli sul piano psico-sociale troviamo altrettanti proclami e battaglie in favore della libertà incondizionata e individuale di ogni scelta, spesso accompagnata da una assoluta indifferenza dinanzi alla vita debole e alla sua sacralità.
In un periodo storico della società italiana e della cultura pre-natale in genere, in cui il valore vita in tutte le sue espressioni viene fortemente colpito, proporre un linguaggio culturale basato sulle ragioni della ragione scientifica e sulle ragioni della ragione filosofica, giuridica, antropologica, significa proporre un linguaggio di riflessione sulla dignità della persona umana, accettabile da credenti e non credenti perché fondato sull'evidenza.
La grande emergenza educativa quindi, si pone come obiettivo il passaggio che porti le coscienze dal livello “informazione”, spesso superficiale, al livello “conoscenza” con metodologie rigorose e scientificamente corrette.
Ecco perché è la forza della verità sulla persona umana la grande sfida culturale da affrontare, non per agitare un vessillo di vittoria o di supremazia ideologica ma per
fare un servizio di chiarificazione del pensiero e di promozione del discernimento; non per alzare muri o steccati d'incomprensione ma per costruire ponti di condivisione
con la finalità di essere più consapevoli e più liberi e riappropriarci così del vero significato di “umanità”.








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giovedì 5 marzo 2015

IL GRANDE FIUME PO

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Il Po è un fiume dell'Italia settentrionale. La sua lunghezza, 652 km, lo rende il più lungo fiume interamente compreso nel territorio italiano, quello con il bacino più esteso (circa 71 000 km²) e anche quello con la massima portata alla foce, sia essa minima (assoluta 270 m³/s), media (1 540 m³/s) o massima (13 000 m³/s).

Ha origine in Piemonte, bagna tre capoluoghi di provincia (nell’ordine Torino, Piacenza, Cremona) e segna per lunghi tratti il confine tra Lombardia ed Emilia-Romagna, nonché tra quest’ultima e il Veneto, prima di sfociare nel mare Adriatico in un vasto delta con 6 rami. Per la maggior parte del suo percorso il Po scorre in territorio pianeggiante, che da esso prende il nome (pianura o valle padana).

In ragione della sua posizione geografica, della sua lunghezza, del suo bacino e degli eventi storici, sociali ed economici che intorno ad esso hanno avuto luogo dall'antichità fino ai giorni nostri, il Po è riconosciuto come il più importante corso fluviale italiano.

È un fiume caratterizzato dalla grande portata (basti pensare che buona parte dei fiumi oltre i 1.000 km hanno una portata media inferiore/uguale a quella del Po).

Il fiume Po era geograficamente conosciuto già ai tempi dell'antica Grecia col nome di Eridanós (in greco antico Ἠριδανός, in latino: Eridanus; nell'italiano letterario Eridano); in origine stava ad indicare un fiume mitico, indicato grossolanamente a sud della Scandinavia, che si formò dopo l'ultima glaciazione europea (Würm).

Le prime fonti storiche sono nella Teogonia greca di Esiodo (VI secolo a.C. circa), come nome di uno dei tanti figli del titano Oceano e la ninfa Teti, e dai quali derivano vari nomi di fiumi europei. Tale nome fu poi ripreso dallo storico Polibio nel II secolo a.C., dove Eridano era uno dei figli di Fetonte, caduto in un fiume durante una gara di bighe o carri, tanto da attribuirgli anche la porta dell'Ade, e cioè gli inferi, secondo la mitologia greca, ma anche il titolo di un principe dedito ai culti egizi, figura che compare spesso in antichissime leggende su Torino.

Tuttavia, il nome avrebbe radici ancor più antiche; sia in accadico che in sumerico, ma anche in altre radici semitiche, Eridu voleva dire genericamente un luogo o città di comando situata presso un fiume, citando, ad esempio, una omonima cittadina mesopotamica risalente al XX secolo a.C.; parimenti, altre fonti storiche ci narrano che vi fu una piccola "Eridu" costruita anche nei pressi del Delta del Po, sul Mare Adriatico; d'altra parte, il nome Eridano contiene l'antichissima radice semitica  che è comune ad alcuni altri nomi di fiumi quali Rodano, Reno, Danubio, Giordano. Sempre nell'antica Grecia esisteva un piccolo fiume chiamato Eridano (da molto tempo in secca), che sorgeva dalle alture dell'Attica orientale e si gettava nel Mar Egeo passando per la necropoli di Ceramico, nella parte sud della città di Atene.

Per i celto-liguri, che comparvero soltanto a partire dal IX secolo a.C. circa, il vecchio nome del Po era invece Bodinkòs o Bodenkùs, da una radice indoeuropea  che indica "scavare", o "render profondo", la stessa radice da cui derivano i termini italiani "fossa" o "fossato", indicando così tutta la depressione geografica della zona fluviale padana. Quindi, l'antico nome latino Padus - da cui l'aggettivo padano - deriverebbe, secondo l'opinione più diffusa, dalla stessa radice di bodinkòs; secondo altri però, deriverebbe da un'altra parola celto-ligure, pades, indicante una resina prodotta da una qualità di pini selvatici particolarmente abbondante presso le sue sorgenti.

Il nome italiano Po si ottiene quindi dalla contrazione del latino Padus > Pàus > Pàu > Pò. In diverse lingue slave (ceco, slovacco, polacco, sloveno, serbo, croato) ma anche nelle lingue romanze, quali il romeno, spesso si usa ancora chiamare questo fiume Pad o Padus. Parimenti, negli aggettivi di lingua italiana, che solitamente ereditano la vecchia radice latina, esistono ancor oggi le parole paduano, padano, pianura padana, fino a Padania, il cui utilizzo si è maggiormente diffuso a partire dagli anni novanta.

Il Po attraversa con il suo corso gran parte dell'Italia settentrionale, da ovest verso est percorrendo tutta la Pianura Padana.

Sulle sue rive abitano circa 16 milioni di persone e sono concentrate oltre un terzo delle industrie e della produzione agricola italiana, così come oltre la metà del patrimonio zootecnico. Ciò rende il Po e il suo bacino una zona nevralgica per l'intera economia italiana ed una delle aree europee con la più alta concentrazione di popolazione, industrie e attività commerciali.

La sua sorgente si trova in Piemonte in provincia di Cuneo sulle Alpi Cozie e precisamente in Località Pian del Re (comune di Crissolo) ai piedi del Monviso (3.841 m), sotto un grosso masso riportante la targa che ne indica l'origine. Arricchendosi notevolmente dell'apporto di altre innumerevoli sorgenti (non è errato affermare che "il Monviso stesso è la sorgente del Po"), prende a scorrere impetuoso nell'omonima valle.

Da qui sbocca in pianura dopo appena una ventina di km lambendo i territori della città di Saluzzo. In questo tratto vari affluenti arricchiscono la portata del fiume che entra in breve nella provincia di Torino attraversandone lo stesso capoluogo. A Torino il fiume, nonostante abbia percorso solo un centinaio di km dalle sorgenti, è già un corso d'acqua notevole con un letto ampio 200 m e una portata media già prossima ai 100 m³/s.

Con andamento verso est, costeggia poi le estreme propaggini del Monferrato giungendo nella piana Vercellese dove si arricchisce dell'apporto di importanti affluenti come la Dora Baltea e il Sesia. Piegando con corso verso sud, continua poi a lambire in sponda destra il Monferrato in provincia di Alessandria, bagnando le città di Casale Monferrato e Valenza (Italia). Qui funge anche da confine regionale tra Piemonte e Lombardia cominciando ad assumere dimensioni maestose.

Presso Bassignana, il fiume punta definitivamente verso est per merito anche della forte spinta del Tanaro, suo principale tributario di destra. Dopo questa confluenza il Po, ormai possente nella portata (oltre 500 m³/s), entra in territorio lombardo scorrendo in provincia di Pavia. Pochi km a sud del capoluogo pavese il fiume riceve il contributo essenziale del Ticino, suo principale tributario per volume d'acque, diventando così navigabile (grazie alla sua portata ora di oltre 900 m³/s) anche da grosse imbarcazioni sino alla foce.

Dopo questa confluenza il fiume prende a scorrere per parecchi km nella zona di confine tra Lombardia e Emilia-Romagna, bagnando città importanti come Piacenza e Cremona, scorrendo all'interno della provincia di Mantova, ricevendo contributi notevoli dagli affluenti alpini Adda, Oglio e Mincio e moltissimi altri fiumi minori provenienti dall'Appennino che ne accrescono la portata ad oltre 1.500 m³/s.

Giunto infine nella zona di Ferrara il fiume scorre "pensile" sul confine tra Veneto (provincia di Rovigo) ed Emilia-Romagna, nella regione storica del Polesine.

Qui il fiume inizia il suo ampio delta (380 km²), dividendosi in 5 rami principali (Po di Maestra, Po della Pila, Po delle Tolle, Po di Gnocca e Po di Goro) e 14 bocche; un ulteriore ramo secondario (il Po di Volano) che attraversa la città di Ferrara, è ora inattivo. Il grande fiume sfocia quindi nel Mare Adriatico, attraversando territori appartenenti ai Comuni di Ariano nel Polesine, Goro, Porto Tolle, Taglio di Po e Porto Viro.

Il delta del Po, per la sua grande valenza ambientale, è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.

Nel suo corso in pianura il Po si divide spesso in diversi rami formando diverse isole fluviali, la più grande delle quali (escludendo quelle presenti alla foce) è l'Isola Serafini, situata nei pressi della foce dell'Adda a Castelnuovo Bocca d'Adda, ma estesa circa 10 km² all'interno del comune di Monticelli d'Ongina.

Complessivamente il Po attraversa (dalla sorgente alla foce) 13 province: Cuneo, Torino, Vercelli e Alessandria (regione Piemonte), Pavia, Lodi, Cremona e Mantova (regione Lombardia), Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Ferrara (regione Emilia-Romagna) e Rovigo (regione Veneto). Sono 183 i comuni rivieraschi (che toccano le sponde del fiume) appartenenti alle 13 province rivierasche del Po.

Il bacino idrografico del Po (ampio circa 71.000 km²) copre gran parte del versante meridionale delle Alpi e quello settentrionale dell'Appennino ligure e tosco-emiliano cosicché il regime del fiume è misto di tipo alpino (piene tardo-primaverili ed estive e secche invernali) ed appenninico (piene primaverili ed autunnali e secche estive), pur prevalendo in ogni caso il regime appenninico poiché, a dispetto dell'alimentazione estiva da parte dei ghiacciai alpini, le minime portate si riscontrano comunque nel corso dell'estate (solitamente in agosto), fenomeno accentuato negli ultimi decenni dalla progressiva riduzione dei ghiacciai alpini.

Le piene del fiume, generalmente concentrate in autunno a causa delle piogge, sono abbastanza frequenti e possono essere anche imponenti e devastanti come avvenuto svariate volte nel secolo scorso.

Determinanti nella loro formazione sono soprattutto i tributari piemontesi del Po (Dora Baltea, Sesia e Tanaro in particolare) e lombardi (Ticino). Per fare alcuni esempi, durante la piena del novembre 1994 il fiume mostrò già in Piemonte, dopo la confluenza del Tanaro, una portata di colmo di oltre 11.000 m³/s, quasi paragonabile a quella poi transitata molto più a valle nel Polesine.

Lo stesso avvenne anche nell'ottobre 2000, sempre in Piemonte, dove il fiume superò già a partire dal comune di Valenza i 10.000 m³/s di portata massima di piena a causa soprattutto dei contributi pesantissimi di Dora Baltea e Sesia.

I valori massimi assoluti di portata del Po sono stati raggiunti durante gli eventi alluvionali del 1951 e del 2000 con picchi di oltre 13.000 m³/s nel medio-basso corso.

Il Po ed i suoi affluenti presentano una fauna ittica originaria del più alto interesse biogeografico ed ecologico, con un altissimo tasso di endemismo. Purtroppo a partire dalla seconda metà del XX secolo sono state introdotte molte specie ittiche alloctone che hanno inquinato questa straordinaria biodiversità conducendo a rarefazione molte specie endemiche e minacciandone alcune di estinzione.

Numerose specie ittiche autoctone ed endemiche sono minacciate da diversi fattori. Tra le più importanti vi è la presenza di specie alloctone: tra queste specie alcune (Siluro soprattutto ma anche Aspio, Lucioperca e pesci gatto) sono estremamente dannose in quanto predatori mentre altre (ad esempio Breme, Blicca, Gardon, Rodeo, ecc.) danneggiano la fauna autoctona in quanto competitori. A questi si aggiunge anche il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) anch'esso in grado di avere un impatto notevole sulle popolazioni ittiche, l'ambiente e le opere idrauliche. Altre minacce sono l'inquinamento e la costruzione di dighe prive d'impianti di risalita come quella di Casale Monferrato che impediscono alle specie migratrici come lo storione comune, lo storione cobice e la cheppia di poter risalire il fiume per riprodursi.


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