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martedì 1 dicembre 2015

CERVESINA

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Cervesina è un comune situato nella pianura dell'Oltrepò Pavese, sulla riva destra del Po, presso la confluenza del torrente Staffora.

Cervesina e San Gaudenzio costituirono a lungo due comuni a sé stanti; nel medioevo San Gaudenzio era più importante, specie dal punto di vista religioso, essendo sede di pieve da cui dipendevano diversi paesi della zona. Nell'ambito dei domini di Pavia, facevano capo alla podesteria di Voghera; tuttavia, al tempo della prevalenza dei Beccaria, si costituirono in feudo autonomo sotto un ramo della medesima famiglia, detto appunto "Beccaria di San Gaudenzio". Esso raggiunse il massimo potere nel XVI secolo, quando Matteo Beccaria divenne Marchese di Mortara; tuttavia, non avendo questi avuto che figlie femmine, il feudo di San Gaudenzio e Cervesina fu ereditato dai Taverna di Milano, conti di Landriano, cui rimase fino alla fine del feudalesimo (1797).

Nel XVIII secolo San Gaudenzio fu unito a Cervesina, e il comune ebbe per qualche tempo il nome "Cervesina con San Gaudenzio". In quell'epoca Cervesina era molto diversa da oggi: infatti si allungava sulla riva destra della Staffora giungendo molto più a nord. Lo spostamento del corso del Po verso sud determinò la distruzione di quasi tutto l'abitato, di cui non rimase che l'estremità meridionale, che da allora ha ripreso a estendersi, con pianta più compatta, verso sud ed est, in posizione più riparata. Il Po aveva distrutto anche un'importante frazione, la "Rampina", posta ancora più a nord, presso l'antica foce della Staffora.

I "porti" del Po fino in epoca abbastanza recente esistevano nelle vicinanze di Cervesina. Per "porto", secondo la denominazione in vigore fin dall'età romana si intendeva un traghetto sul fiume che consentiva il passaggio di uomini, animali e cariaggi da una sponda all'altra. Due erano i "porti" nei pressi di Cervesina, uno, il più importante si trovava a valle, tra Pancarana e Bastida e, dirimpetto Sommo, e l'altro a monte, nei pressi di Bastida di Dossi. Del primo si hanno notizie frammentarie fino al sec. XV che poi assumono un certo rilievo mostrandoci tutta l'importanza di questo valico del Po, uno dei quattro che collegavano l'Oltrepò Pavese con la restante parte del Ducato di Milano. Il porto di Sommo era, con quello della Stella o "de Lapole", nei pressi di Broni, di maggiore importanza rispetto agli altri. Esso era stato donato dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti a Giovanni Beccaria nel 1412, e ai Beccaria appartenne da allora, nonostante le travagliate vicende di questa famiglia che, proprio durante il governo di Filippo Maria ebbe molti beni confiscati. L'Archivio Comunale di Cervesina ha tramandato in copia parecchi documenti riguardanti il porto di Sommo, tra cui per primo, l'atto di donazione di Filippo Maria Visconti, dal quale si apprende che oltre al porto vero e proprio, esistevano e vennero donate ai Beccaria due osterie paste sulle rive del fiume.

Questa donazione doveva aver turbato interessi preesistenti tanto che fu una lunga lite tra i Beccaria e gli uomini di Castelletto di Branduzzo e Regalia che contestavano il possesso del porto ai nobili pavesi.

La controversia fu risolta a favore dei Beccaria nel 1473, e nel contesto della sentenza si definirono i confini del porto. Oggi la geografia delle sponde del Po, in zona non consente più di identificare i confini definiti nell'atto notarile, ed anzi, gli stessi centri di Cantalupo e Regalia, che si trovavano tra Bastida Pancarana e Rea, andarono distrutti e sommersi dalle piene del fiume.

Il secondo porto, a monte di Cervesina era quello che, nelle carte dell'Archivio Comunale e chiamato porto di "Zavaglione" e "dei Taverna", dal nome dei Feudatari di S. Gaudenzio. Risulta, da un documento del 1564 che il porto era presso la bocca vecchia della Staffora e congiungeva le sponde del Po tra il torrente vogherese e la bocca vecchia dell'Agogna. (Come già abbiamo rilevato,) Essa quindi era assai più vicino all'abitato di Cervesina (almeno fino al 1827) di quanto non lo fosse quello di Sommo, e pertanto assai più controllato dai Feudatari e dai loro agenti. Difatti un tentativo dei conti Taverna di spostare il traghetto più vicino ancora a Cervesina suscitò le rimostranze dei Beccaria, che come s'è vista erano i proprietari dei porti di Sommo.

I primi vennero condannati a riportare alla primitiva ubicazione il traghetto, ossia presso il dosso di Zavaglione dov'era sempre stato.

I Taverna possedevano pure il porto di "Corana" situato quindi più a monte e cedettero entrambi i parti al Comune di Cervesina nel 1861. Uno solo di essi, quello che corrispondeva pressa poco all'antico dello Zavaglione venne conservato e tenuto in efficienza anche dopo le mutate condizioni delle sponde del Po, e praticamente duro fino al termine della seconda guerra mondiale. Don Ugo Lugano, autore del volumetto "Mezzana Rabattone e la sua storia" riporta una gustosa descrizione dialettale del funzionamento del porto, nei ricordi di un anziano del suo paese. La "bocca vecchia della Staffora" si trovava a circa 1200 m. a monte di quella attuale. I terreni fino al 1855 erano proprietà della Mensa Arcivescovile di Milano e facevano parte della tenuta denominata "Il Bombardone".

Il Castello di San Gaudenzio, un oasi di storia lombarda, mantiene intatti nel tempo il fascino dei luoghi, la dolcezza di vivere. La sua storia è legata ai Visconti e ai destini di Pavia: un complesso originario del 1400 appartenuto a numerose famiglie nobili (i Beccaria, i Taverna, i Trotti) che se ne sono tramandati i fasti. Luogo d'ospitalità e riposo, sede di balli, pranzi e festeggiamenti etc., con estrema naturalezza conserva questa originaria vocazione in qualità di splendido hotel, ricco di suggestioni.

All'interno del Castello si ritrovano i bei camini di marmo rosso e nero, mobili, ritratti e decorazioni che si richiamano al periodo dal 1500 al 1700. Affianca il Castello l'antica pieve dedicata a San Gaudenzio. Quello che era un tempo luogo di delizie per pochi privilegiati è diventato oggi un ameno luogo di ritrovo per chiunque, a due passi dalle congestionate città industriali, voglia godere il sottile fascino della campagna dell'Oltrepò pavese. Ridare una funzione e una utilità sociale a quello che restava di un glorioso castello, è stata l'idea che ha fatto nascere, nell'antico maniero, il ristorante di San Gaudenzio. Nella linea della continuità con l’impostazione del ristorante, il Castello offre a tutti i suoi clienti una serie di camere e di appartamenti arredati con gusto sopraffino e funzionanti con i criteri più moderni, caratteristici della nostra epoca. La sobrietà, l'eleganza e l’armonia legano gli elementi strutturali del parco-giardino annesso al quattrocentesco Castello di S. Gaudenzio. Di fattura recente, quest'accorato spazio verde presenta significativi caratteri di moda seicentesca che ha un'epoca non solo di transizione ideologica, ma anche di mutamento di gusto stilistico.

Il giardino, da ancora rigoroso e geometrico cinquecentesco, tende a tramutarsi in parco, dando luogo ad un movimento di liberazione e di vita. Essenze d'alto fusto, cespugli da fiori, da foglia e da frutto, formano il quorum floristico di questo luogo. Conifere e latifoglie si alternano, gradevolmente, nel gioco scenico delle parti. Le statue, la pergola ed il tempio forniscono, invece, l'elemento plastico. Adiacente all'ingresso del Castello e lungo il ciglio del vecchio fossato, aiuole fantasiose a ricamo offrono un esempio di "Ars Topiaria"

.LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/09/lappennino-ligure.html





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martedì 12 maggio 2015

LA PIANURA PADANA IN LOMBARDIA



In Lombardia oltre ai fiumi e laghi, traffico. e grandi città c'è anche la Pianura Padana da scoprire.
Vediamo dove e come nascono le materie prime per il nostro cibo e per nutrire il pianeta.
Pianura padana lombarda è una delle quattro aree turistiche in cui è suddivisa la Lombardia.

È l'area della campagna pianeggiante ma soprattutto dell'inurbamento anche selvaggio con le grandi aree metropolitane e le conurbazioni di Milano e del suo vasto hinterland, di Monza e della Brianza, di Saronno, Busto Arsizio, Gallarate, e Legnano, che tuttavia vantano un'offerta turistica da città d'arte o di buon livello.

Spostando lo sguardo dall'immenso agglomerato milanese, che monopolizza tutta l'area orientale, rivestono un interesse turisticamente importante, in un contesto di vita sicuramente meno caotico, le città di Crema, che fu a lungo enclave veneziana nel Ducato di Milano, e che vanta una bella cattedrale, oltre a resti di mura venete; Treviglio; Pandino e Soncino, con i loro turriti castelli; Castel Goffredo e Castiglione delle Stiviere, capitali gonzaghesche; Asola, gonzaghesca ma con importanti atmosfere venete che le derivano dal suo passato legato alla Serenissima.

L'area occupa una porzione centrale della Lombardia.

L'Altomilanese è composto da: Busto Arsizio, Saronno, Legnano, Gallarate, Castellanza sono le città principali di questa zona che amministrativamente è suddivisa fra le province di Milano e Varese, ma costituisce di fatto un unicum interprovinciale di notevole peso economico e demografico; a sottolinearne ulteriormente l'omogeneità basti pensare che Busto Arsizio, Castellanza e Legnano formano una conurbazione che di fatto vanifica i confini amministrativi. I centri dell'Altomilanese non sono però solo industria e sviluppo edilizio, ma offrono interessanti monumenti.
Milano e tutta la sua conurbazione sono il motore politico, industriale, economico, amministrativo della Lombardia; la città costituisce inoltre centro di primaria importanza a livello nazionale e fra le metropoli europee, e si è ritagliata una sua collocazione anche nel panorama mondiale. Nella sua cintura, sicuramente schiacciate dal peso della metropoli, ci sono importanti e popolose città: Sesto San Giovanni, Peschiera Borromeo, Abbiategrasso, Magenta, Rho, Trezzano sul Naviglio, Rozzano. Nella campagna milanese importanti architetture religiose, esemplari per la storia dell'arte lombarda: Chiaravalle, Viboldone, Mirasole, Morimondo.
I confini mai esattamente stabiliti non impediscono alla Brianza, il cui centro principale è Monza, di avere una ben salda omogeneità sociale, economica, storica. Collinare a nord, pianeggiante a sud dove si stempera nell'infinita conurbazione milanese, la Brianza conserva viva nei monumenti e nella memoria l'incisiva presenza longobarda, popolo del quale custodisce la famosa Corona ferrea rivestita d'oro e ricoperta di gemme, che la tradizione vuole sia stata forgiata con un chiodo della croce di Cristo. In epoca medievale incoronò i re d'Italia, e fu cinta anche da Napoleone.
La Bassa Bergamasca si trova fra le Prealpi bergamasche, l'Adda, l'Oglio ed il Cremasco, la Bassa Bergamasca ha in Treviglio il suo centro più importante e in Caravaggio un centro di spiritualità; il richiamo del suo Santuario mariano oltrepassa di gran lunga i confini del territorio, attirando pellegrinaggi non solo dalla Regione, ma anche da località più lontane.
L'omogenea area cremasca, che circonda tutt'attorno la città di Crema, è zona di borghi fortificati sopravvissuti (Pandino e Soncino a nord, a difesa dei confini con il Milanese, Pizzighettone a sud, o che lo furono Castelleone; terra di torri e torrazzi (Crema, Pizzighettone, Castelleone), terra di monumentali templi sacri (Cattedrale di Crema, Santa Maria della Croce, Santa Maria della Pietà, Santa Maria di Bressanoro).
La Bassa Bresciana è il territorio pianeggiante che si estende fra Brescia con le sue Prealpi e il corso dell'Oglio a sud, fra Bassa Bergamasca ad occidente e Alto Mantovano a oriente. Orzinuovi, Verolanuova, Pontevico, Gambara, Leno, Carpenedolo sono i suoi centri maggiori, che uniscono ad una solida tradizione agricola uno sviluppo industriale di notevole importanza.
L'Alto Mantovano è terra gonzaghesca, che si protende dall'Oglio fino alle prime colline moreniche del Garda (quest'ultimo invece fu per i Gonzaga un sogno mai raggiunto) conserva importanti monumenti e impianti urbanistici dei duchi di Mantova che in queste terre diedero vita con i rami cadetti a raffinate corti e a Signorie autonome con le città di Castiglione delle Stiviere, Castel Goffredo, Medole (per breve periodo). Terra di santi, ove si formò San Luigi Gonzaga. Terra di battaglie (Solferino) ma anche di grandi slanci umanitari: a Castiglione nascerà durante la prima guerra mondiale la Croce Rossa.

In questo paesaggio i campi, nell'alternarsi delle stagioni, acquistano colorazioni diverse che fanno intuire la molteplicità delle colture presenti. In pianura le forme sono più ordinate e geometriche: i campi abbastanza stesi e a forma rettangolare, sono delimitati da filari di alberi, da siepi e da fossati. In collina invece, a causa del rilievo, i campi variano di forma e dimensione e presentano una divisione geometrica più irregolare. Dovunque si coltivano soprattutto cereali (grano e granoturco), legumi  (fagioli, piselli e fave) e foraggi  (trifoglio, erba medica e lupinella). A queste colture erbacee si associano la vite e numerosi alberi da frutta, distribuiti irregolarmente oppure riuniti in vigneti o frutteti.
In queste regioni prevale l'azienda di piccole o medie dimensioni, condotta da una sola famiglia che perciò abita preferibilmente nella casa colonica situata nel fondo. Di conseguenza la campagna è punteggiata da una molteplicità di case sparse, anche se non mancano piccoli villaggi o città.
Questo frazionamento agrario è dovuto innanzitutto a ragioni ambientali. Nelle zone collinari infatti, il terreno irregolare, asciutto e spesso poco fertile, richiede la presenza e la cura continua  dell' agricoltore il quale perciò ha preferito insediarsi nel suo fondo.
Il paesaggio delle colture promiscue negli ultimi anni ha subito notevoli trasformazioni per l' introduzione di colture specializzate come frutta ed ortaggi, richiesti dai mercati cittadini. Le tecniche, inoltre, si sono modernizzate e le macchine agricole si sono diffuse sempre più, sebbene il loro uso sia difficile nei terreni in pendenza e poco conveniente per le aziende di piccole dimensioni.

La bassa pianura è costituita prevalentemente da materiali fini e poco permeabili, sabbie ed argille, che favoriscono il ristagno delle acque. I terreni, situati spesso a quote molto basse rispetto al livello del mare, formano talvolta delle depressioni, e i numerosi corsi d'acqua che l'attraversano si snodano, a causa della pendenza assai debole, con andamento sinuoso (a meandri), straripando nei momenti di piena e formando paludi ed aree umide.
Qui il paesaggio agrario presenta ampie e regolari superfici coltivate a foraggi, riso, mais, soia e frutta, aree intersecate dal disegno geometrico delle canalizzazioni. È il paesaggio dei seminativi intensi.
L'uniformità del paesaggio è accentuata dall' assenza, o quasi, degli alberi da frutta e delle viti; frequenti invece, sono i boschi coltivati e i lunghi filari di pioppi, salici ed olmi che interrompono la monotonia della campagna. Questi alberi spesso sono il segnale della presenza dei fiumi e dei numerosi canali di scolo o d'irrigazione, sulle cui rive si allineano.
L' elevata produzione di foraggio è resa possibile anche dall' impiego delle acque delle numerose risorgive. Questo paesaggio è facilmente individuabile per le distese sempre verdi di erba medica e trifoglio, interrotte da stretti canali dove scorrono le tiepide acque.
Nelle zone di bonifica i foraggi ed i cereali sono affiancati da piante industriali, specialmente dalla barbabietola da zucchero e dal tabacco.
Caratteristiche di questo paesaggio sono anche le vaste aree coltivate a riso, che si trovano soprattutto nelle campagne di Vercelli, di Novara, di Pavia e di Ferrara.
Si tratta di un'agricoltura industrializzata, organizzata in grandi aziende e fortemente collegata all'industria di trasformazione ed al mercato.
Fiorenti sono gli allevamenti, principalmente quelli bovini, allevati specialmente per la produzione di latte, e suini, che hanno in queste zone una resa molto alta.
Nelle aziende della bassa pianura intenso è l'uso delle macchine agricole e si sperimentano sempre nuove tecniche per aumentare i raccolti; massiccio è anche l'impiego di sementi selezionate, concimi chimici ed antiparassitari, mentre la scelta dei prodotti è orientata secondo le richieste dei mercati cittadini ai quali queste aziende forniscono latte, carne, ortaggi e frutta.
Un insediamento rurale tipico del paesaggio agrario della bassa pianura padana è la cascina. Orientata verso sud per ricevere meglio i raggi del sole, è spesso, un vero e proprio villaggio, per dimensioni e funzioni. Un'ampia corte al centro è circondata da vari edifici: la casa padronale, le stalle, i fienili, le rimesse per gli attrezzi agricoli. Le abitazioni dei contadini e dei salariati occupano un lato del perimetro che circonda l'area centrale, dove si svolgono la vita delle famiglie contadine e i lavori agricoli. In passato le cascine avevano al loro interno anche una cappella e, talvolta, una scuola per i figli degli agricoltori.
I villaggi agricoli, anche se popolosi, sono rari, mentre numerose ed importanti sono le città industriali con le quali questo tipo di agricoltura ha sviluppato sempre stretti rapporti economici, fornendo materie prime per numerose attività industriali.
La pianura padana, o padano-veneta, più propriamente pianura padano-veneto-romagnola e meno propriamente valle padana (valle che si riferisce al bacino del fiume Po, dalla valle Po al suo delta), è una pianura alluvionale, una regione geografica, unitaria dal punto di vista morfologico e idrografico, situata in Europa meridionale che si estende lungo l'Italia settentrionale, compresa principalmente entro il bacino idrografico del fiume Po, comprendendo parti delle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto comprese orientativamente nell'isoipsa dei cento metri di quota.

A nord-est, oltre l'Adige per alcuni, oltre la catena dei Colli Euganei e la laguna di Venezia per altri, la pianura assume la denominazione di pianura veneto-friulana. Queste due aree pianeggianti contigue sono separate dall'Europa Centrale dalla catena alpina, spartiacque geografico e climatico, e sono quindi considerate parte dell'Europa Meridionale. Le Alpi, le Prealpi, i rilievi delle Langhe e del Monferrato delimitano quindi la pianura padana lungo i versanti nord, ovest e sud-ovest, il versante meridionale è invece chiuso dalla catena degli Appennini mentre ad est è bagnata dal Mediterraneo nel suo settore più settentrionale, l'Adriatico.

La pianura padana, la cui superficie è di circa 47 000 km², è bagnata, oltre che dal Po e dai suoi numerosi affluenti, anche da Adige, Brenta, Piave, Tagliamento, Reno e dai fiumi della Romagna nei loro bassi corsi dallo sbocco in pianura fino alla foce.

La pianura padana è una delle più grandi pianure europee e, contemporaneamente, la più grande tra quelle dell'Europa mediterranea, occupa buona parte dell'Italia settentrionale, dalle Alpi Occidentali al mare Adriatico, e ha all'incirca la forma di un triangolo. Quasi al centro scorre il fiume Po, che l'attraversa in direzione ovest-est.

Il fiume le dà il nome, che deriva da Padus, nome latino del Po. Il termine "Padania", benché più recente, compare già nel 1903 in un articolo della Società Geografica Italiana scritto da Gian Lodovico Bertolini ed intitolato Sulla permanenza del significato estensivo del nome di Lombardia mentre pochi anni dopo il prof. Angelo Mariani pubblica per i tipi Hoepli un manuale dal titolo Geografia economico sociale dell'Italia in cui Padania si riferisce al territorio a nord dell'Appennino, Appenninia e Corsica costituiscono le rimanenti aree italiane.

L'attività dei fiumi presenti è la principale causa della formazione dell'ambiente attuale di pianura alluvionale con significativi condizionamenti dovuti alle glaciazioni ed ai fenomeni di subsidenza differenziali in corrispondenza di sinclinali e anticlinali sepolte.

Il suo assetto contemporaneo è il risultato dell'azione di numerosi corsi d'acqua che hanno, in successivi tempi geologici e storici, asportato e apportato sedimenti fluviali al bacino marino costiero, soggetto a fenomeni di subsidenza, che occupava l'odierna pianura padana. In particolare la gran parte dei depositi superficiali affioranti è il prodotto dell'attività fluviale, successiva alla glaciazione Würm che si concluse circa 18000 anni fa. Lo scioglimento dei ghiacciai, liberando una gran quantità d'acqua in tempi geologicamente brevi ha comportato l'erosione dei grandi corpi morenici, edificati precedentemente dall'attività dei ghiacciai; i materiali erosi a monte o in prossimità dei depositi morenici deposti all'inizio delle vallate, furono deposti a valle.

Tuttavia, al di sotto dei depositi continentali fluviali e fluvio—glaciali (che presentano spessori di svariate centinaia di metri) si sviluppa un basamento di origine marina con assetto strutturale complesso e non priva di significato neotettonico.

Sin dal tardo Cretacico, infatti, la pianura padana ha rappresentato la parte frontale di due catene di opposta convergenza: l'Appennino settentrionale e le Alpi meridionali. Studi sulla base della sequenza plio-quaternaria nella porzione centrale e meridionale della pianura padana, mostrano lo sviluppo di una serie di bacini sedimentari di tipo sin-orogenetici formatisi a seguito di movimenti ricollegabili a varie fasi tettoniche; la porzione settentrionale della pianura, invece, presenta una struttura monoclinale immergente verso Sud.

L'aspetto finale della pianura padana si è raggiunto con il riempimento definitivo (cominciato nel Pliocene), con depositi dapprima marini e poi continentali, dei bacini ampiamente subsidenti delle avanfosse padane.

Sebbene la definitiva strutturazione del substrato sepolto venga tradizionalmente associata a una fase tettonica pliocenica media-inferiore (databile dalla discordanza esistente tra i sedimenti plio-pleistocenici marini ed il substrato più antico), è opinione sempre più diffusa che i depositi alluvionali quaternari siano stati coinvolti in fasi neotettoniche, condizionando così anche la morfogenesi più recente.

Il clima è caratterizzato da un'ampia escursione termica annuale con temperature medie basse in inverno (0º/4 °C) ed alte in estate (le medie massime estive oscillano dai 25 °C misurati a Cuneo ai 30 °C della stazione meteorologica di Milano). Nella stagione fredda, le temperature minime possono attestarsi anche diversi gradi al di sotto dello zero nelle ore notturne, e talvolta permanere negative o prossime allo zero anche nelle ore centrali del giorno (specialmente in caso di nebbia); nella stagione invernale, causa il ristagno dell'aria le temperature massime si attestano su valori decisamente bassi: in alcuni casi si possono registrare, anche se di poco, giornate di ghiaccio ossia con valori termici che restano negativi anche durante il giorno, con fenomeni come la galaverna. In estate invece le temperature massime possono toccare, in caso di anticiclone sub-tropicale, punte di 38 °C, talvolta, superiori.

La piovosità è concentrata principalmente nei mesi primaverili ed autunnali, ma nelle estati calde e umide sono frequenti i temporali, soprattutto a nord del Po. La caratteristica conformazione "a conca" della pianura padana fa sì che sia in inverno che in estate vi sia un notevole ristagno dell'aria (è una delle aree meno ventilate d'Italia), con effetti diversi nelle due stagioni.

In inverno, quando vi è un accumulo di freddo e scarsità di vento, si forma un cuscinetto freddo che può perdurare anche diversi giorni, specie nelle giornate umide e nebbiose, causando giornate molto rigide e gelo. Tuttavia in questa stagione vi sono anche diverse giornate più secche, ma comunque sempre rigide, poiché entra direttamente sulla pianura vento freddo dalla "porta della bora" (da nord-est) e dalla valle del Rodano (da nord-ovest) sotto forma di fohn; ed è proprio la bora ad essere foriera di perturbazioni fredde provenienti dalle zone polari, che possono portare forte maltempo con temperature molto basse e neve. In alcune occasioni soffia anche il buran, vento orientale di origine russa che in certe occasioni riesce a raggiungere la pianura padana sferzandola con intense raffiche gelide. Ed è proprio in questi casi che fa spesso la sua comparsa la neve, con copiose precipitazioni derivanti da perturbazioni provenienti dalle latitudini polari, rinforzate dal vento freddo già presente sulla pianura. Le zone più nevose sono quelle a ridosso dell'Appennino del piacentino, tra Modena e Bologna e tra Forlì e Faenza, oltre alle zone collinari del Piemonte.

Per contro, nelle zone ai piedi delle Alpi possono soffiare venti di caduta (occidentali e nord-occidentali in Piemonte e Valle d'Aosta, settentrionali in Lombardia), come il comune föhn, che, oltre a rendere il cielo limpidissimo, porta giornate più miti e secche (l'umidità relativa può scendere anche fino al 10%) anche in pieno inverno. Cessato questo vento però, se il cielo è sereno, le temperature calano sensibilmente nella notte (anche 10 °C in 3-5 ore). La catena alpina esplica un'azione di difesa verso le perturbazioni invernali, ma ostacola anche il passaggio di masse d'aria umide e temperate di origine atlantica, che in tal caso non riescono a mitigare il clima come nelle regione atlantiche europee. Il bacino della pianura padana, delimitato dalle Alpi a nord e a ovest e dagli Appennini a sud che la isolano dalla regioni limitrofe, ha quindi un clima a sé, diverso in particolare dal comune clima mediterraneo a cui di solito viene abbinata l'Italia. Il mare Adriatico peraltro si limita a mitigare solo le zone costiere della pianura romagnola, veneta e friulana, poiché troppo basso e lungo per incidere profondamente sul clima padano, mentre le masse d'aria calda provenienti dal mar Ligure vengono bloccate dall'Appennino ligure e dalle ultime propaggini delle Alpi.

In estate, invece, l'effetto cuscinetto della pianura padana produce effetti opposti, favorendo il ristagno di aria calda e molto umida che produce temperature alte, connesse a tassi di umidità altrettanto alti, che causano frequenti giornate molto calde ed afose (specialmente in presenza dell'anticiclone africano). Tale umidità, inoltre, tende spesso a scaricarsi sotto forma di violenti temporali e grandine, che portano temporaneo refrigerio e permettono di rimescolare le masse d'aria, causando un rapido ridimensionamento termico. Ma di solito questa situazione dura poco, con un veloce aumento delle temperature e degli indici di umidità. Tuttavia questa regione geografica è una zona di "transizione", nel continente europeo, tra il tipico clima mediterraneo (a sud) e quello oceanico o marittimo temperato (a nord, nord-ovest)..

Una delle caratteristiche del clima padano, comune a tutta la pianura, è la scarsità della ventilazione, che in estate rende le giornate ancora più calde e afose e in generale accresce i livelli d'inquinamento dell'aria, contribuendo a fare della pianura padana una delle zone più inquinate d'Europa.

La particolare posizione geografica, che la vede chiusa tra alte catene montuose e aperta solo sul lato orientale, ostacolando in parte i venti e favorendo l'accumulo di forte umidità nell'aria, è causa del noto fenomeno della nebbia. Le località con maggior numero di giorni di nebbia in Italia sono infatti quelle dell'area padana, soprattutto verso la zona del delta.

A causa della scarsa ventilazione della pianura padana, soprattutto occidentale, dell'industrializzazione e dell'alta densità di popolazione (particolarmente in Lombardia, ma distribuita su tutta l'area di pianura, che conta circa 20 milioni di abitanti), dagli anni sessanta è molto cresciuto il problema dello smog e dell'inquinamento dell'aria in genere, inquinamento che non colpisce solo le grandi città o le aree industriali ma che si distribuisce ad interessare l'intera macroregione. I telerilevamenti da satellite mostrano come l'inquinamento dell'aria nella pianura padana sia il più grave in Europa, quarto nel mondo. Inoltre, a differenza delle altre grandi pianure europee, la pianura padana è quasi totalmente coltivata, lasciando spazi irrisori a boschi ed altri ambienti naturali.

Alcune amministrazioni provinciali e regionali, ad esempio la provincia di Milano e quella di Lodi, stanno prodigandosi per migliorare i pochissimi ambienti naturali rimasti nella pianura e per crearne artificialmente altri, ad esempio col progetto "Dieci grandi foreste per la pianura" della Regione Lombardia. Altre province restano in transizione verso un'agricoltura meno intensiva e più estensiva, creando i cosiddetti corridoi ecologici, con l'obiettivo di proteggere la residua biodiversità di una macroregione geografica tra le più impoverite d'Europa.

La dinamica demografica (a partire dagli anni Settanta) è caratterizzata dal crollo della natalità a fronte di una mortalità non ulteriormente comprimibile, trattandosi di popolazione molto invecchiata. Con tassi di natalità quasi ovunque inferiori al 10ı e tassi di mortalità spesso più elevati, l'incremento della popolazione è di segno negativo e rende problematico il ricambio generazionale. Le zone piemontesi e lombarde di più antica industrializzazione hanno esercitato una forte attrazione demografica negli anni Cinquanta e Sessanta in funzione di sistemi industriali concentrati in termini sia territoriali che strutturali, e sono entrate poi in una fase stazionaria. Invece le pianure dell'Emilia e del Veneto, intaccate ma non depauperate dall'emigrazione, hanno beneficiato di apporti migratori modesti ma continui. Nell'insieme le correnti migratorie, in passato concentrate sui capoluoghi regionali, si sono ora ripartite in una miriade di centri provinciali ricchi di opportunità di lavoro.

Nell'alta pianura piemontese e lombarda la frammentazione fondiaria si accompagna alla ''corte pluriaziendale'' che risulta frazionata tra piccoli proprietari o mezzadri. Questa frammentazione ha comportato redditi insufficienti al fabbisogno della famiglia e ha favorito l'abbinamento delle attività artigiane con quelle agricole. L'industria ha poi scalzato l'agricoltura assorbendo la manodopera contadina, specialmente quella giovanile.

Nella Pianura Padana si concentra il nerbo delle attività industriali e terziarie del paese. Di grande rilievo è il settore del terziario avanzato, costituito da quelle attività direttive e insieme decisionali e di promozione culturale che hanno in Milano e Torino i loro massimi centri a livello regionale e nazionale.

Fin dal primo avvio, l'attività industriale ha manifestato uno sviluppo polarizzato attorno ai maggiori centri urbani della Padania occidentale, assecondando l'esigenza di concentrare capitale, lavoro, infrastrutture, per fruire delle economie di scala e di agglomerazione. L'enorme sviluppo delle industrie, dei commerci e dei servizi si è tradotto in una forte crescita della popolazione delle città. L'industria si è successivamente propagata all'esterno dei distretti originari, irradiandosi in tutte le zone dotate di condizioni favorevoli, quali un solido tessuto urbano, una tradizione manifatturiera, la disponibilità di manodopera e di capitali e un positivo spirito imprenditoriale.

Fino agli anni Sessanta, la conseguenza dello sviluppo industriale, concentrato in grandi poli, era l'esodo nello stesso tempo agricolo e rurale. Viceversa, lo sviluppo industriale degli anni Settanta, con più poli situati ai vari livelli della gerarchia urbana, ha creato in loco posti di lavoro, favorendo un esodo agricolo senza esodo rurale. Si può dire che i poli distribuiti nel territorio, generando aree gravitazionali piccole, permettono anche alle zone più lontane, ma sempre relativamente vicine, di dare un contributo di lavoratori pendolari senza perciò venire abbandonate. Il decentramento produttivo ha comportato un rinnovato diffondersi della piccola impresa, non come residuo di forme premoderne di organizzazione economica, ma come struttura funzionale all'ulteriore crescita del sistema.

La mappa dell'industria padana evidenzia in primo luogo le due direttrici che corrono lungo il piede delle Alpi e degli Appennini racchiudendo nel mezzo le basse pianure agricole aderenti alle sponde del grande fiume. La linea che collega le città industriali del pedemonte alpino − quasi tutte eredi di tradizioni artigiane − va da Torino a Ivrea, abbraccia l'area metropolitana milanese e l'alta pianura bergamasca e bresciana, proseguendo poi per Verona e Vicenza con un'appendice verso Venezia, che rappresenta l'estremità portuale della sezione lombardo-veneta, così come Genova lo è per la sezione lombardo-piemontese.

Sul fianco appenninico la direttrice del popolamento e della industrializzazione è rappresentata dalla via Emilia con il rosario di città collocate ciascuna in corrispondenza con lo sbocco di una valle appenninica, quindi con un asse di comunicazione trasversale: più tenue e meno vistosa di quella che si snoda lungo il pedemonte alpino, presenta tuttavia forti concentrazioni come la conurbazione lineare Bologna-Modena-Parma, cui fa da contraltare l'asse di popolamento e di attività turistiche della riviera adriatica. Il progresso di queste aree, realizzato con la proliferazione di aziende medie o piccole, facili ad adeguarsi alla congiuntura e ai cicli economici, non ha creato eccessive congestioni e non ha suscitato flussi d'immigrazione da altre regioni, assorbendo essenzialmente le forze di lavoro locali o di aree adiacenti.

La diffusione delle industrie ha proceduto di pari passo con l'urbanizzazione; anzi, talvolta è stata motivata proprio dall'esistenza di un tessuto urbano abbastanza solido. Normalmente i livelli più elevati si raggiungono intorno alle città, ma esistono anche zone industriali defilate rispetto alle grosse concentrazioni urbane: aree di vecchia industrializzazione legate al mondo prealpino (il Biellese, la Brianza, il Vicentino). Alcune microaree industriali sono nate per iniziative strettamente locali, che hanno fatto sorgere altre industrie per processo d'imitazione: per es., il distretto di Sassuolo per la ceramica, Carpi per la maglieria, la Bassa veronese per i mobili.

Negli anni Settanta è iniziato il calo dei lavoratori dell'industria parallelamente alla crescita degli addetti al terziario, come in tutti i paesi a economia avanzata. La terziarizzazione si è affermata sia nel settore pubblico (burocrazia) sia in quello privato, dove esiste ampio spazio per iniziative singole o a livello di famiglia o di gruppo con invenzioni di lavoro in proprio, anche nel quadro dell'economia sommersa attraverso il moltiplicarsi di spezzoni di lavoro non istituzionale. Sono cresciuti soprattutto i servizi per il sistema produttivo: all'interno di questo terziario si è messo in evidenza il settore delle attività che comportano una più elevata utilizzazione di lavoro intellettualmente qualificato e che maggiormente contribuiscono alla valorizzazione della produzione, attività che vanno sotto il nome di ''terziario avanzato''. Il terziario avanzato si è sviluppato all'interno di imprese di grandi dimensioni come risposta ai crescenti problemi di organizzazione, controllo e innovazione del processo produttivo, per sfociare nella formazione di imprese autonome, che offrono i loro servizi sul mercato, utilizzando solitamente un'alta quota di collaboratori esterni.

La distribuzione territoriale del terziario avanzato presenta sensibili differenze: mentre l'area urbana di Torino, sviluppatasi essenzialmente nell'intorno immediato della città, vede i centri dotati di funzioni di terziario avanzato strettamente connessi con la metropoli, Milano è circondata − entro un raggio di 50 km − da una corona di centri forniti di servizi terziari e di terziario avanzato tali da costituire − almeno fino a un certo livello − autonome unità funzionali. Nel Veneto i centri con elevata entità di funzioni di terziario avanzato sono limitati alle città principali, a segno della tradizionale tendenza a concentrare questo tipo di funzioni nel centro storico. In Emilia emergono le funzioni di terziario avanzato di Bologna, che vanta pure un ruolo di primo piano nell'organizzazione dei trasporti e nel commercio all'ingrosso.

I capisaldi dell'area forte sono i sistemi urbani di Torino e Milano. Mentre l'industria torinese è più giovane e notoriamente legata alla FIAT, quella milanese è d'impianto più vecchio, con iniziative più variate e flessibili. Nell'un caso e nell'altro i centri circostanti sono divenuti satelliti della metropoli come sedi dell'indotto o di industrie decentrate, oppure semplicemente come dormitori per la manodopera. Lungo il pedemonte alpino si sono organizzati reticoli urbani costituiti dalle basse valli, che sono storicamente aree di addensamento demografico e di sviluppo di città nodali. Si delinea così un grande asse di concentrazione lungo la linea pedemontana, da cui si dipartono ramificazioni a pettine nelle valli. Gli insediamenti di attività lungo i fondivalle corrispondono talvolta ad aree di antica industrializzazione, talvolta al decentramento di industrie o a strutture di specializzazioni produttive.

La rete urbana della bassa pianura orientale, bonificata e trasformata dall'intervento di imprese capitalistiche, presenta una struttura piuttosto rarefatta, a maglie larghe e a bassa densità demografica in un ambiente agricolo in cui non si è radicata la piccola proprietà coltivatrice. In buona parte della fascia costiera, la valorizzazione turistica ha unificato i centri preesistenti in un continuo urbanizzato.




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lunedì 16 marzo 2015

IL PETROLIO E IL LAMBRO



Il disastro ambientale del fiume Lambro è il termine coniato dai mass media e della stampa, per indicare un disastro ecologico ed ambientale, causato dall'immissione dolosa di una ingente quantità di petrolio nel fiume Lambro, già da anni vittima di pesanti forme di inquinamento che lo fanno annoverare tra i corsi d'acqua più inquinati d'Europa, nella notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010, provocando un disastro ambientale senza precedenti per questo fiume.
Oltre al Lambro, anche il Fiume Po venne "colpito" dal disastro, e una piccola quantità di idrocarburi si riversò nel Mare Adriatico, senza tuttavia creare pericoli.

Il disastro ebbe origine alle 3.30 della notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010, quando degli ignoti sabotatori (ancora oggi non identificati), entrarono nella "Lombarda Petroli" situata a Villasanta nella provincia di Monza e Brianza, una raffineria in disuso dagli anni ottanta, e svuotarono dolosamente, senza un motivo ben preciso, il contenuto di sette "silos" carichi di petrolio per abitazioni e vari tipi di idrocarburi, il tutto pari a circa 2,5 milioni di litri (pari a circa 170 autocisterne), secondo una stima del direttore centrale ambiente della provincia di Milano, Cinzia Secchi.

Il petrolio fuoriuscito dalle cisterne defluì nei terreni vicini alla raffineria e da lì si riversò nel condotto fognario.
Dalle fogne, il petrolio, raggiunse in breve tempo il depuratore di "Monza - San Rocco", posizionato nei pressi del fiume Lambro.
Il petrolio inizialmente defluì in una "vasca", ma dopo pochi minuti, a causa dell'enorme quantità riversata "esondò" dalla vasca, finendo nel Lambro e scendendo verso valle trasportato dalla forte corrente del fiume, gonfio dalle piogge invernali. L'allarme fu lanciato verso le 5 del mattino del 23 febbraio, da un operatore del Depuratore di Monza, che insospettito dal mal funzionamento del depuratore, scoprì il petrolio.
In pochi minuti fu istituito un piano d'emergenza, atto a fermare o a quantomeno "mitigare" gli effetti di un Disastro che si preannuncia di proporzioni mai registrate, per un fiume lombardo.
Una task force formata dai Vigili del Fuoco, dai volontari dalla Protezione Civile e dai tecnici dell'ARPA, con l'aiuto del corpo forestale dello stato subito cominciò ad installare lungo tutto il corso del fiume delle dighe galleggianti in grado di fermare il petrolio. Intanto presso il centro del WWF a Vanzago cominciarono ad essere portati tutti gli animali contaminati dal petrolio. Centinaia furono gli animali estratti morti dal Lambro e quelli ancora vivi in gravi condizioni.

Intanto il petrolio superò il primo sbarramento, giungendo intorno alle 16 a Melegnano. Qui è previsto uno sbarramento fisso, creato per verificare lo stato delle acque del fiume, e quindi la task force decise di creare il secondo sbarramento. Le "chiuse" dello sbarramento vennero fatte alzare per consentire all'acqua pulita di defluire, mentre il petrolio fermo in superficie fu aspirato in apposite "autocisterne".

La quantità di petrolio era però enorme, e anche lo sbarramento di Melegnano cedette, consentendo alla "marea nera" di proseguire il viaggio. Superato lo sbarramento di Melegnano, il petrolio, intorno alle 20, giunse a San Zenone al Lambro, dove la task force, aveva creato il terzo sbarramento, utilizzando una diga, usata da Enel Energia per produrre energia elettrica da fonti rinnovabili (il fiume). Alla Diga di San Zenone, i vigili del fuoco e i volontari della Protezione Civile, con l'aiuto del Corpo Forestale, lavorarono duramente tutta la notte per impedire che il petrolio potesse raggiungere il Po.

Ma gli sforzi risultarono vani e il petrolio proseguì la sua corsa.

In tarda serata, la "marea nera" giunse a Lodi, inquinando i condotti agricoli, con gravissimi danni ambientali e al raccolto.

Qui la task force creò un quarto sbarramento, utilizzando dei prodotti assorbenti per poter fermare il petrolio, ma anch'esso cedette e il petrolio proseguì la sua corsa.

Verso le 6 del mattino di mercoledì 24, la "marea nera" arrivò a Sant'Angelo Lodigiano, sede dell'ultimo sbarramento prima dello sbocco del Lambro nel Po.
Per quanto la task force lavorasse duramente, gli idrocarburi superarono anche quest'ultimo sbarramento all'alba di mercoledì mattina, raggiungendo il fiume Po al punto di confluenza, nel tratto piacentino del fiume.

Verso le 11 di mercoledì 24 febbraio, il petrolio raggiunse il tratto piacentino del Po, e da qui in poi le operazioni per fermare il petrolio, passarono alla regione Emilia-Romagna e alla protezione civile nazionale.
Il peggior timore fu che il petrolio potesse raggiungere il delta del Po e di conseguenza il Mare Adriatico. Essendo l'ecosistema del delta fragilissimo, il passaggio della "marea nera" avrebbe causato danni gravissimi all'ambiente e all'economia della zona.

A Piacenza, con l'aiuto dell'esercito italiano, venne organizzata una seconda task force per fermare la "marea nera" prima che raggiungesse Ferrara, dove normalmente i cittadini bevono acqua del Po depurata. Sul luogo giunsero anche il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo e il responsabile della protezione civile Guido Bertolaso, fiducioso che la "marea nera" sarebbe stata bloccata prima di Ferrara.

Gli sforzi della task force si concentrarono sulla centrale idroelettrica di Isola Serafini (PC), una diga dell'Enel atta a produrre energia elettrica. Le paratoie della diga furono abbassate per consentire all'acqua pulita sul fondo di defluire e contemporaneamente fermare il petrolio galleggiante in superficie. Il petrolio bloccato sarebbe stato poi aspirato con idrovore.

Purtroppo per quanto bloccata la maggior parte dalla "marea nera", una piccola parte di essa riuscì comunque a superare la diga, e continuare il suo viaggio verso il delta del Po. Il giorno venerdì 26 febbraio, la "marea nera" raggiunse le province di Cremona e di Reggio Emilia, per poi passare in provincia di Ferrara il 27 febbraio. Infine, il petrolio raggiunse ugualmente il Mare Adriatico ma fortunatamente, grazie ad altri interventi attuati velocemente lungo il restante corso del fiume, il petrolio arrivato in mare era così poco da non costituire un pericolo per l'ambiente.

La massa di petrolio restante si è vaporizzata nei giorni seguenti per l'azione della brezza del mare e del sole senza lasciare segni duraturi sull'ecosistema.

Nonostante si temessero gravi danni all'ecosistema del Delta del Po e al Mare Adriatico, queste zone sono state le meno interessate dal fenomeno, perché quando il petrolio vi è giunto, era ormai quasi completamente diluito. Moltissimi invece i danni all'ecosistema del Lambro, con la conseguente morìa delle specie animali e vegetali. Danneggiata moltissimo è l'Oasi del Bosco di Montorfano a Melegnano, sede di numerose specie di piante, alcune anche rare. Della fauna recuperata nelle prime ore dopo il disastro e ricoverata presso l'Oasi non è sopravvissuto un solo animale, le autopsie non hanno riscontrato presenza di idrocarburi ma danni al fegato e neurologici ed emorragie. Dichiarazioni più gravi, fatte a distanza di mesi, sono state fatte del responsabile volontariato LIPU, Massimo Soldarini:

« Nonostante la scrupolosa applicazione dei protocolli internazionali per il salvataggio di animali imbrattati da petrolio, nessuno dei cormorani e dei germani recuperati è sopravvissuto. Non solo, ma l’esame autoptico sui cadaveri non ha rilevato alcuna traccia di petrolio, mentre emergono segni di avvelenamento compatibili con solventi chimici »

Soldarini denuncia anche la confusione sulle cifre ufficiali date dalle autorità a proposito delle quantità di idrocarburi, e la mancanza di "colpevoli" a maggio 2011.

L'8 maggio, a emergenza terminata, il responsabile del programma acque del WWF Andrea Agabito ha evidenziato la necessità di ulteriori analisi sui sedimenti delle sponde del fiume per capire il reale livello di inquinanti e ha dichiarato che, anche se non è più presente la chiazza di petrolio «di fatto gli sversamenti di sostanze inquinanti sono durati fino a pochi giorni fa. Solo da poco infatti è rientrato in funzione il depuratore di Monza, messo fuori uso dal gasolio uscito dalle cisterne della Lombarda petroli. Questo significa che per due mesi i liquami della Brianza sono finiti nelle acque del Po e di qui nell'Adriatico». Seppure l'emergenza sembrasse terminata, le risorse messe a disposizione per il dopo-disastro, denuncia Agabito, sembrano insufficienti, nonostante il Ministero dell'Ambiente abbia già annunciato lo stanziamento di 700.000 euro per un piano di verifica del bioaccumulo sulla flora e la fauna.

Il recupero dell'ecosistema si prevede lungo anche perché il Fiume Lambro è stato colpito ancora, anche se con danni minori:

il 28 febbraio 2010, quando un'azienda sconosciuta ha approfittato della situazione in cui si trovava il fiume per scaricare i suoi effluenti tossici nelle acque, evitando i costi di smaltimento
ad agosto 2010, con un altro svasamento di inquinanti ad altezza di Briosco. Secondo il presidente della Provincia di Monza e Brianza, Dario Allevi, "la vera causa di questi episodi è fortemente correlata all'occupazione urbana ed industriale".
Un nuovo allarme è scattato a gennaio 2011 quando nuovi idrocarburi provenienti dalla zona industriale di Villasanta sono stati immessi nel fiume, nel tratto brianzolo.
I danni non sono relativi solo all'ambiente ma anche alle strutture; canali artificiali e terreni vicino alle rive sono stati contaminati dal petrolio.

Il 24 febbraio, la Procura della Repubblica di Monza ha aperto un fascicolo contro ignoti, per l'ipotesi di reato di "disastro ambientale" e "inquinamento delle acque". L'indagine è iniziata interrogando i dipendenti della "Lombarda Petroli", inclusi quelli licenziati, senza però inserire nessuno nel registro degli indagati. È proseguita per comprendere come accadde che "Lombarda Petroli", per non rientrare nella direttiva Seveso, avesse dichiarato allo stato italiano di avere nei propri serbatoi una limitata quantità di prodotti chimici. Le indagini hanno seguito anche la pista degli appalti, dato che sui terreni dell'ex raffineria dovrebbe sorgere un nuovo complesso urbanistico della società Addamiano Engineering, di Nova Milanese, detto "Ecocity".


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lunedì 9 marzo 2015

PARCO LOMBARDO DELLA VALLE DEL TICINO

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Il Parco naturale lombardo della Valle del Ticino, istituito il 9 gennaio 1974, è il più antico parco regionale d'Italia. È situato interamente in Lombardia ed interessa le province di Milano, formando una cintura verde intorno alla città, Pavia e Varese, in un'area di 91.410 ettari compresa tra il Lago Maggiore ed il Po.
Il parco confina con il Parco naturale della Valle del Ticino in Piemonte, creato nel 1978.

Tra i mammiferi si possono osservare volpi, donnole, tassi, puzzole e faine. Nello scorso decennio, è comparsa la martora, probabilmente in seguito a processi di dispersione dall'arco alpinio. A seguito di reintroduzioni effettuate dall'ente parco sono ricomparsi i caprioli; altri ungulati, i cinghiali sono invece presenti a causa di una fuga avvenuta anni fa da un allevamento. Nei boschi sono piuttosto diffusi anche lo scoiattolo ed il ghiro. Tra le specie non molto comuni vi sono anche il coniglio selvatico e la lepre, mentre è diffusa la specie esotica del silvilago o minilepre. Nel 2010 è stata localizzata a Bereguardo un'importante "nursery" di circa 2000 individui di Myotis emarginatus, un pipistrello il cui status di conservazione in Europa è problematico.A partire dai primi anni 90 è stato messo in atto un progetto di reintroduzione della lontra utilizzando esemplari provenienti dall'Inghilterra . Questi erano ritenuti lontre europee (luntra luntra ) ma si sono rivelate in realtà, all'analisi genetica; incroci eurocanadesi.Il progetto di ripopolamento è stato quindi sospeso ma le lontre continuano comunque a riprodursi nelle lanche del fiume.

Nel territorio del Parco vi sono 246 specie diverse di uccelli. Tra questi i più numerosi sono gli uccelli acquatici, come la garzetta, l'airone rosso e l'airone cenerino, la sgarza ciuffetto e la nitticora.

Altre specie che frequentano gli specchi d'acqua sono il martin pescatore, il gruccione, la gallinella d'acqua, lo svasso e la folaga. Nelle aree boschive numerose sono le cince, i picchi, compreso il picchio rosso minore, presente solo in pochi siti sul territorio lombardo. Abbondanti anche lo scricciolo, il merlo, il pettirosso, insieme a ghiandaia, cuculo, fringuello, usignolo, storno.

Vi sono anche numerosi predatori, diurni e notturni, come il lodolaio, la poiana, lo sparviero, il gheppio, il falco pellegrino ed il falco pescatore.

Il Ticino è popolato da circa quaranta specie ittiche. Nelle acque del fiume sono presenti le seguenti specie autoctone: alborella, anguilla, barbo canino, barbo comune, bottatrice, carpa, cavedano, cobite comune, cobite mascherato, ghiozzo padano, gobione, lampreda padana, lasca, luccio, panzarolo, persico reale, pigo, sanguinerola, savetta, scardola, scazzone, spinarello, storione cobice, temolo, tinca, triotto, trota marmorata, vairone.

Da qualche decennio sono aumentate anche le specie alloctone: abramide, aspio, barbo europeo, carassio, cobite di stagno orientale, gambusia, lucioperca, persico sole, persico trota, pseudorasbora, rodeo, rutilo, siluro, trota fario, trota iridea.

Tra le architetture presenti all'interno del parco vi sono numerosi esempi di castelli e torri di avvistamento, insieme agli edifici di origine monastica, che costituiscono l'ossatura della presenza religiosa nell'area del Ticino.

Fra i molti castelli presenti nel territorio del Parco, spiccano tra tutti quelli di Vigevano, Somma Lombardo, e Pavia; di alcuni si salvano solo pochi resti, è il caso di Vergiate, Besate e Ozzero; altri sono stati talmente rimaneggiati nel corso dei secoli da essere quasi irriconoscibili rispetto alla destinazione originale.

Le abbazie di Bernate Ticino e Morimondo sono senza dubbio le più prestigiose. Le origini della Canonica di Bernate Ticino risalgono al 1186, con la Bolla di Papa Urbano III che autorizzava l'insediamento degli Agostiniani milanesi al "Castrum Brinate", il cui territorio venne direttamente legato alla sede apostolica. La commenda rimase per circa tre secoli ai Canonici di Crescenzago, fino a che venne ceduta, da Papa Alessandro IV, ad Antonio Stanga i cui eredi la restituirono, nel 1511, alla Congregazione Lateranense. Dopo non importanti vicende la canonica venne soppressa nel 1722, tornando sotto la giurisdizione ordinaria.

L'abbazia di Morimondo invece, fu fondata dai monaci cistercensi, provenienti dalla cittadina francese di Morimond. Particolarmente importante l'opera di bonifica del territorio circostante, operata dai monaci, che insediarono nuove tecniche agricole in un'area bonificata dalle paludi. Attualmente il complesso comprende una chiesa a forma basilicale, a tre navate e con transetto ed abside rettangolare, il chiostro, la sala capitolare e una serie di costruzioni, tra le quali l'alloggio dell'abate. L'intero complesso, in gotico borgognone francese con elementi di romanico lombardo, è costruito con mattoni a vista.

Le principali chiese sono nei più popolosi centri del Parco: Abbiategrasso, Pavia, Gallarate e Vigevano. Ad Abbiategrasso citiamo la chiesa di Santa Maria Nuova (1365-1390) edificata per volere di Gian Galeazzo Visconti e dedicata a Maria Nascente per celebrare la nascita del figlio Gian Maria. Alla struttura originaria suddivisa in tre navate coperte da capriate, Bramante, secondo alcuni storici, intorno al 1497, aggiunse un pregevole pronao. Di Pavia, una delle città d'arte più importanti d'Italia, citiamo fra le numerose chiese e basiliche quelle del periodo longobardo, quando la città giunse all'apice della sua potenza: la chiesa di San Salvatore, per fare un solo esempio, che risale al 643. Ma soprattutto nel periodo carolingio, dopo il 774, quando il regno longobardo venne espugnato da Carlo Magno, vennero costruite basiliche stupende, prime fra tutte quella di San Pietro in ciel d'Oro, con il relativo monastero, e quella di San Michele. Per quanto riguarda Vigevano, non possiamo non citare il Duomo, la cui costruzione prese il via nel 1532 per volere del duca Francesco Sforza, su una chiesa anteriore al Mille, fu completato solo nel 1612. La originale facciata concava in stile barocco, fu fatta erigere nel 1680 dal Vescovo architetto Juan Caramuel a chiusura della rinascimentale piazza Ducale. Sempre a Vigevano ricordiamo le chiese di San Pietro Martire e di San Francesco. Infine a Gallarate, divenuta capoluogo amministrativo del Contado di Seprio Inferiore nel 1287, il suo unico importante monumento religioso è la chiesa di San Pietro, costruita a partire dal 1150 e molto rimaneggiata nei secoli successivi.

Due i santuari nel territorio: la Madonna delle Grazie alla frazione Bozzole di Garlasco e la Madonna della Ghianda di Somma Lombardo, entrambi costruiti su luoghi di apparizioni o per documentare eventi miracolosi.




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domenica 8 marzo 2015

IL FIUME SECCHIA

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La Secchia (ma spesso anche al maschile sottintendendo "il fiume", al Sècia in dialetto reggiano e dialetto modenese) è un importante fiume dell'Italia settentrionale che scorre per gran parte in Emilia-Romagna e, nel tratto finale, in Lombardia. È per lunghezza (172 km), bacino e portata media (42 m³/s), il principale affluente di destra del Po dopo il Tanaro. Il suo bacino (ampio 2.292 km²) è curiosamente identico come estensione, a quello del Panaro.

Nasce dall'Alpe di Succiso sull'Appennino tosco-emiliano nel comune di Collagna in provincia di Reggio Emilia.

La sua sorgente è situata in una conca fra montagne di altezza comprese fra i 1700 ed i 2100 m s.l.m. ad un'altitudine di 1450 m s.l.m. Un sentiero di media difficoltà la collega al passo del Cerreto. Il luogo si presenta come un anfiteatro naturale delimitato da aspre montagne arenariche fra le quali si trova una piccola piana ricoperta di un folto manto erboso ed è attraversato da numerosi ruscelli che formano il primo tratto del fiume. Ai bordi di questa piana circolare si trovano boschi di faggio popolati da cinghiali, lupi, caprioli, volpi e daini.

Poco più a valle riceve dal lato idrografico destro parte delle acque superficiali del Monte Cusna, tramite il torrente Ozola e Secchiello, la restante parte viene raccolta dal torrente Lama, affluente del Dolo.

A partire dalla confluenza dei torrenti Dolo e Dragone (che avviene nei pressi di Cerredolo), inizia a delimitare i confini tra le province di Reggio Emilia e Modena. In località La Volta di Saltino (comune di Prignano sulla secchia) raccoglie le acqua del torrente Rossenna. Nel comune di Castellarano passa per la stretta del Pescale, raggiunge la Pianura Padana nei pressi di Sassuolo, raccoglie il Tresinaro nei pressi di Rubiera, quindi entra in provincia di Modena, attraversa le casse di espansione e sfiora la zona ovest della città di Modena.

Il corso del fiume nel tratto appenninico ha un andamento da sud ovest a nord est, come la maggior parte degli affluenti di destra del Po.

Dopo Modena rallenta scorrendo sinuoso lungo un alveo incassato da stretti argini bagnando il comune di Concordia sulla Secchia ed entrando poi, nella parte terminale del suo corso, in Lombardia.

Qui bagna Quistello andando poi a confluire nel Po poco a sud di Mantova in località Mirasole di San Benedetto Po, nei pressi della foce del Mincio.

Da Quistello verso la foce gli argini sono più distanti ed i meandri vengono utilizzati come aree golenali.

Il corso a nord della via Emilia subì molte variazioni: si ritiene che in epoca romana scorresse più ad ovest di oggi fino a Cavezzo, poi deviava bruscamente ad est ed entrava nel Po a Bondeno. Con lavori protrattisi dal 1288 al 1360 fu costretto nell'attuale alveo, attraverso un accordo fra le città di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova e Ferrara che diedero, in virtù di questa alleanza, il nome al paese di Concordia situato appunto sul Secchia.

Probabilmente la deviazione del corso inferiore fino a Mirasole fu completata nel 1336 per consentire la bonifica della zona di San Benedetto Po.

Il Fiume anticamente piegava verso Est a San Possidonio scorrendo fra Quarantoli, Gavello e Burana dove si gettava nel Fiume Bondeno (ramo del Po oggi non più esistente) e da questo nel ramo principale del Po.

Nel periodo e nei territori del Ducato di Modena, seguendo la filosofia enunciata negli Statuti delle Acque della Comunità di Modena, vennero eseguiti molteplici lavori per modificare l'asta del corso inferiore del Secchia. Fondamentalmente erano interventi di tagli (drizzagni) dei meandri con lo scopo di limitare l'erosione degli stessi e preservare le terre golenali (saldini).

Come tutti i corsi d'acqua appenninici il Secchia alterna fortissime magre estive a imponenti piene primaverili e soprattutto autunnali.

La sorgente ed il tratto superiore del suo corso si trovano in un'area geografica con le più alte precipitazioni medie annuali italiane, dovute anche alle perturbazioni provenienti dal Golfo di Genova.

Rispetto agli altri affluenti appenninici del Po si distingue per la sua copiosità di portate in primavera (caratteristica comune anche al Panaro) grazie al notevole innevamento di cui gode il suo alto bacino per gran parte dell'anno.

Versa alla foce 42 m³/s di portata, la più alta (escluso il Tanaro) tra gli affluenti di destra del Po.

Le sue piene autunnali, particolarmente violente e limacciose (che in casi eccezionali possono raggiungere ampiezze superiori ai 2.000 m³/s.), vengono in parte controllate nel tratto a monte di Modena (Campogalliano) da un complesso sistema di casse di espansione coinvolgenti una superficie di 1.000 ha circa, con una capacità di invaso di circa 15 milioni di mc.

Le piene del Secchia solitamente anticipano di poco quelle del Po e vengono gestite nel corso inferiore aprendo selettivamente i canali del Consorzio della Bonifica Parmigiana Moglia-Secchia che si immettono nel fiume a Bondanello (frazione di Moglia) ed a San Siro (frazione di San Benedetto Po).

Nel bacino del fiume Secchia sono ubicati diversi sbarramenti per la produzione di energia elettrica e l'irrigazione:

Centrale idroelettrica di Ligonchio e Predare dipende dall'unità di Business Idroelettrica Bologna, Nucleo idroelettrico di Parma, realizzata dall'Edison nel 1922. Sfrutta le acque dei torrenti Rossendola e Ozola fatte confluire in tre bacini di raccolta acque a Presa Alta (1229 m), a Tarlanda (1207 m) ed a Ligonchio (1000 m). Da questi invasi (di 60.000 mc) partono le condotte forzate per la centrale di Ligonchio. Le acque di scarico della centrale, raccolte in un invaso (di 135.000 mc), alimentano la centrale di Predare posta pochi chilometri più in basso. La produzione di energia elettrica annuale è di circa 56.500 MWh. Tra il 10 ed il 14 aprile 1945 questa area fu teatro di una battaglia tra i tedeschi ed i partigiani.
Diga di Fontanaluccia (di 2.000.000 mc) sul torrente Dolo, inaugurata il 28 ottobre 1928, rifornisce di acqua la centrale idroelettrica di Farneta della potenza complessiva di 30 MW.
Diga di Riccovolto (invaso di Braglie, di 70.000 mc) sul torrente Dragone rifornisce di acque la centrale di Muschioso.
Sia la Diga di Fontanaluccia che quella di Riccovolto furono costruite dal Consorzio di Bonifica Parmigiana-Moglia per soddisfare le richieste di energia elettrica delle idrovore utilizzate per bonificare la Pianura Padana.

Centrale idroelettrica in località Borgo Venezia nel Comune di Sassuolo inaugurata il 12 maggio 2007 della potenza di 2,5 MW funzionante in autunno/inverno, sfrutta un salto d'acqua della Secchia.
È in costruzione in località Fornace del comune di Baiso un impianto idroelettrico che sfrutterà il dislivello di acqua creato da tre importanti traverse già esistenti.

Il corso appenninico del fiume avviene nella Val Secchia, suddivisibile in Alta, Media e Bassa, dopo Sassuolo scorre in Val Padana.

Nel bacino idrografico di sinistra dell'Alta Val Secchia c'è la sorgente termale di Santa Lucia, utilizzata nelle Terme di Cervarezza del comune di Busana. Più a valle, tra i Comuni di Castelnovo ne' Monti e Villa Minozzo, il fiume passa tra particolari formazioni geologiche chiamate Gessi Triassici, discendendo la valle del Secchia sul suo lato sinistro è presente la Pietra di Bismantova.

Sempre nel comune di Villa Minozzo il Secchia riceve da destra le acque delle Fonti di Poiano, principale risorgente carsica dell'Emilia-Romagna con una portata d'acqua di circa 600 l/s, caratteristiche per elevata salinità (cloruro di sodio e sature di solfato di calcio).

Nella bassa Val Secchia sul lato idrografico destro sono presenti in superficie molti fenomeni geologici: salse, manifestazioni di petrolio, manifestazioni di gas, sorgenti sulfuree. Nel comune di Polinago, bacino del torrente Rossenna, è presente un fenomeno geofisico di risalita di fango e gas chiamata Salsa della Canalina. Prima di giungere nella Pianura Padana vi sono diverse sorgenti di acqua salsa nelle colline che fanno da spartiacque tra la Secchia e la Fossa di Spezzano sfruttate per le Terme della Salvarola.

Nel settembre del 1920 un potente terremoto sconquassò l'Alta Valle del Secchia e tutta la Lunigiana, creando numerose frane.

Nella parte appenninica del bacino del fiume Secchia sono frequenti eventi franosi: una frana nell'alveo del fiume, il 23 aprile 1960 in località Cerredolo, creò un ampio e temporaneo lago (Lago del Cerredolo). Tra le numerose frane presenti nel bacino della Secchia v'è da citare la frana di Tolara, Lezza Nuova, Valoria e di Ca’ Lita.

Le frane appenniniche di Morsiano in Val Dolo e Cerrè-Sologno hanno esposto tronchi antichi interrati datati tra 4000 e 13.500 anni fa.

Da Sassuolo, proiettato verso la Pianura Padana, il sottosuolo presenta un ampio deposito di materiali alluvionali grossolani (conoide della Secchia) estesa dal comune di Campogalliano fin sotto alla Città di Modena. Da questa conoide iniziavano le risorgive fino all'altezza di Carpi-Cavezzo, un tempo chiamati padugli.

Come per le altre conoidi alluvionali dell'Emilia-Romagna ed in genere tutta l'area pedemontana prossima alla Via Emilia, anche questa zona è soggetta a notevole subsidenza.

All'altezza di Rubiera in una delle numerose cave di ghiaia delle zona sono stati rinvenuti i resti di un'importante tomba monumentale romana.

Sempre a Rubiera lungo il Tresinaro sono comparsi durante degli scavi in seguito all'alluvione del 2005 i segni del diluvium, narrato da Paolo Diacono nell'Historia Langobardorum che colpì l'Italia nel 589 d.C. e seppellì il piano romano sotto circa 2,5 metri di ghiaia e sabbia.

Tra Novi di Modena e Mirandola, trasversalmente alla Secchia, così come a Correggio, sono presenti diversi pozzi di petrolio ed un oleodotto attraversa la Secchia il località Le Caselle, presso il comune di San Possidonio, il sottosuolo di quest'area è caratterizzato dalla presenza di una faglia attiva.

In aperta pianura sul lato destro del Secchia nel territorio di Mirandola vi sono delle ampie valli salse (dette Valli Mirandolesi) estese da Cavezzo a San Martino Spino.

Sul lato sinistro, nei comuni di Reggiolo e Novellara, sono presenti delle zone vallive arginate le Valli di Novellara e Reggiolo, facenti parte della Consorzio della Bonifica Parmigiana Moglia-Secchia quali casse di espansione.

Come per il fiume Panaro il tratto in Pianura Padana è fortemente canalizzato ed è considerabile pensile rispetto al piano del terreno circostante.

Il tratto in Pianura Padana del fiume ha una stretta relazione con svariati canali di bonifica.

Esistevano diversi canali storici, utilizzati dalla Città di Reggio Emilia e di Modena, oggi solo parzialmente attivi.

All'altezza di Moglia riceve il Canale Lama, poco più a valle in località Bondanello riceve il Canale Bondanello. A monte della sua foce nel Po a San Siro riceve l'Emissario della Bonifica Parmigiana Moglia, tutti canali facenti parte della Consorzio della Bonifica Parmigiana Moglia-Secchia.

In località Bondanello per scopi irrigui parte delle acque della Consorzio della Bonifica Parmigiana Moglia-Secchia vengono fatte passare sotto alla Secchia tramite una botte e immesse nel Canale Gronda Sud. In località San Siro poco dopo aver ricevuto l'Emissario della Bonifica Parmigiana Moglia, il Canale Collettore Principale del Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po viene fatto passare al di sotto della Secchia tramite una botte, in periodi di secca della Secchia e del vicino fiume Po è visibile in questa sede un salto di acqua. Poco dopo l'attraversamento della SS 496 da San Benedetto Po a Quistello l'Emissario della Bonifica Parmigiana Moglia è collegabile tramite un canale trasversale al Canale Collettore Principale del Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po, unione utile per le sopracitate necessità di gestire le piene della Secchia.

Il Canale Sabbioncello (Consorzio della Bonifica Burana-Leo-Scoltenna-Panaro) dal suo punto di presa nel Po presso Quingentole a San Possidonio ha un corso grosso modo parallelo alla Secchia, ma andamento inverso nel periodo estivo: da nord a sud.

In alcune località ci si riferisce al fiume Secchia con l'articolo femminile la mentre in altre con l'articolo maschile il. A Concordia, nonostante il paese si chiami "Concordia sulla Secchia", gli abitanti si riferiscono al fiume al maschile, chiamandolo "il Secchia".

Modena ha dedicato una Fontana (del Graziosi) ai suoi fiumi, che la delimitano ad est (Panaro) e ad Ovest (Secchia). Il Secchia è rappresentato da una fanciulla e il Panaro da un giovane.

Un antico detto popolare delle zone bagnate dal fiume recita così: "Secchia per le piene e Panaro per le vene".

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venerdì 6 marzo 2015

ADDA

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L'Adda (Ada in lingua lombarda, genere femminile) è un fiume dell'Italia settentrionale, il cui corso è interamente compreso nella Regione Lombardia. Il suo nome deriva dal celtico, lingua delle antiche popolazioni locali, e significa "acqua corrente".

È il più lungo affluente del Po e con un percorso che si sviluppa per 313 km è il quarto fiume italiano per lunghezza dopo Po, Adige e Tevere e il sesto per ampiezza di bacino dopo Po, Tevere, Adige, Tanaro e Arno, limitatamente ai fiumi affluenti (cioè che non sfociano direttamente al mare, ma in un altro corso d'acqua) è quello che vanta la maggior lunghezza nella penisola.

Nella gerarchia degli affluenti del Po si distingue oltre che per la sua lunghezza anche per il suo apporto di acque, in quanto secondo per portata media alla foce (dopo il Ticino). Attraversa le Province di Sondrio, Como, Lecco, Bergamo, Milano, Monza e Brianza, Cremona e Lodi; le sue acque irrigano anche una piccola porzione della provincia di Pavia. Entra nel Po nella località Brevia del comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, in provincia di Lodi.

L'Adda nasce dal monte Alpisella nelle Alpi Retiche. Dopo aver disceso la Valle di Fraele giunge nel comune di Bormio, ove raccoglie le acque del torrente Frodolfo, prosegue lambendo anche la parte sud della città di Sondrio attraversando l'intera Valtellina, successivamente si immette presso Colico (Lecco) nel lago di Como. Il tratto di fiume che attraversa il Pian di Spagna per immettersi nel Lago di Como è stato rettificato su volere dell'Imperial Regio governo Austriaco nel 1838 ad opera dell'ingegnere e architetto Giuseppe Cusi.

Le sue acque, dopo aver alimentato questo bacino lacustre, escono come suo emissario dall'estremità meridionale del Lario, nei pressi di Lecco, dove formano i piccoli bacini naturali di Garlate e di Olginate, (da qui fino a dove riceve il Villoresi fa da confine est della Brianza), prima di questi si incontra una piccola isola fluviale denominata Viscontea. Dopo aver attraversato il territorio del Meratese si dirige quindi verso Sud ricevendo il fiume Brembo presso Canonica d'Adda (Bergamo).

Nei dintorni di Fara Gera d'Adda (Bergamo) sbocca nella Pianura Padana e versa la maggior parte delle proprie acque nel canale della Muzza, che riacquisterà a Castiglione d'Adda (Lodi). Da Cassano piega in direzione Sud-Est e perde altre acque in favore del canale Vacchelli a Merlino (Lodi), attraversa la città di Lodi, per poi accogliere le acque del fiume Serio presso Montodine (Cremona). Subito dopo attraversa Pizzighettone (CR) e confluisce nel fiume Po presso Castelnuovo Bocca d'Adda (Lodi) a circa 36 m s.l.m., tra Piacenza e Cremona.

Il regime dell'Adda è di tipo alpino e viene modulato naturalmente dal Lago di Como, di cui è contemporaneamente immissario ed emissario. Il modulo medio annuo presso la foce nel Po è notevole in quanto pari a circa 190 m³/s. La portata minima del fiume tuttavia nei periodi di forte siccità (come ad esempio nell'estate 2003) può scendere anche notevolmente toccando valori di 18 m³/s, mentre quella massima può anche superare i 1.000 m³/s. Tale regime tuttavia è ampiamente modificato da indigamenti costruiti a scopo di sfruttamento idroelettrico, presenti soprattutto nella zona montana, ma anche nel basso corso (Pizzighettone). Non mancano eventi di piena eccezionali: nel novembre 2002 ad esempio forti piogge hanno ingrossato pesantemente il fiume all'uscita dal lago di Como e soprattutto il suo affluente Brembo causando così una violenta piena di 2.500 m³/s che ha sommerso in parte la città di Lodi.

Dopo le Ere glaciali, i mutamenti climatici hanno consentito la formazione di foreste, che ricoprivano anche la zona planiziale, nella Pianura Padana. A partire dal Basso Medioevo questi grandi boschi sono stati via via ridotti, fino a scomparire quasi del tutto nella zona di pianura. Lungo il corso inferiore del fiume esistono due parchi naturali, istituiti il 16 settembre 1983:

Parco Adda Nord, che si estende in lunghezza per 54 km, da Lecco - punto in cui l'Adda lascia il Lago di Como - a Truccazzano (Milano);
Parco Adda Sud, che si estende per 60 km, da Rivolta d'Adda (CR) a Castelnuovo Bocca d'Adda (LO).
La flora presente in questi tratti del fiume è rappresentata da varie specie vegetali: coltivate, come il pioppo bianco (Populus alba) ed il trifoglio comune (Trifolium pratense); selvatiche, come l'acero campestre (Acer campestre), il campanellino estivo (Leucoium aestivum), l'equiseto (Equisetum arvense), l'olmo campestre (Ulmus minor), l'ontano nero (Alnus glutinosa), la quercia farnia (Quercus robur), il salice bianco e grigio (Salix alba e cinerea), il Salicone (Salix caprea), il sambuco nero (Sambucus nigra), il sanguinello (Cornus sanguinea), le tife (Typha latifolia).

Altrettanto diversificata la fauna selvatica: l'airone cinerino (Ardea cinerea), il biacco (Coluber viridiflavus), il colombaccio (Columba palumbus), il cuculo (Cuculus canorus), la donnola (Mustela nivalis), la garzetta (Egretta garzetta), il gruccione (Merops apiaster), la lepre (Lepus europaeus), la natrice dal collare e tassellata (Natrix natrix e tessellata), la nitticora (Nycticorax nycticorax), l'orbettino (Anguis fragilis), il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major), la poiana (Buteo buteo), la rana temporaria (Rana temporaria), il ramarro (Lacerta viridis), il tasso (Meles meles), il tritone comune (Triturus vulgaris). Nelle zone adiacenti Rivolta d'Adda e Camairago (Lodi) vi sono boschi protetti e circoscritti in cui vivono animali come il cinghiale (Sus scrofa) ed il daino (Dama dama).


Dei monumenti presenti lungo le sponde dell'Adda sono da ricordare il Forte di Fuentes (Colico), la fortezza di Trezzo sull'Adda e la città murata di Pizzighettone, imponenti esempi di architettura militare che rievocano i periodi in cui il fiume rappresentava una barriera anche militare. Il corso del fiume già sul nascere attraversa la zona montuosa dell'Alta Valtellina immersa nel Parco Nazionale dello Stelvio fino al raggiungimento dell'antico Contado di Bormio, vi sono poi altri parchi naturalistici, come quelli di Rivolta d'Adda, Zelo Buon Persico (Lodi) e Camairago. Interessante pure il cosiddetto «Traghetto di Leonardo», che collega Imbersago (Lecco) a Villa d'Adda (Bergamo), fedele ricostruzione di un progetto ideato da Leonardo da Vinci. Da ricordare anche il Ponte di Paderno, lungo 226 m ed alto 80 sopra il livello del fiume, formato da un'unica campata in ferro.

Già sotto il dominio longobardo, tale fiume era confine tra Neustria ed Austria. Dalla fine del Trecento alla fine del Settecento divise (a parte temporanee conquiste) il Ducato di Milano dalla Repubblica di Venezia, sino all'occupazione napoleonica. Interessante è il capitolo di intensa poeticità de "I promessi sposi" in cui il Manzoni descrive il tentativo di Renzo di raggiungere Bergamo per fuggire dal Ducato di Milano (nel quale era ricercato) alla Repubblica di Venezia.

Attualmente il corso dell'Adda segna approssimativamente il confine linguistico tra i dialetti lombardo-occidentali e lombardo-orientali.

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IL FIUME OGLIO

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L'Oglio (Òi in camuno, bergamasco, bresciano, cremasco e mantovano, Ùi in cremonese) è un importante fiume italiano, affluente del Po, che scorre in Lombardia, nelle province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. Nella gerarchia degli affluenti del Po occupa con i suoi 280 km di corso il 2º posto per lunghezza (dopo l'Adda), mentre risulta il 4° per superficie di bacino (dopo Tanaro, Adda e Ticino), ed il 3° per portata media alla foce (dopo Ticino e Adda)

Il fiume forma il Lago d'Iseo, fra Costa Volpino e Pisogne, dal quale esce presso Sarnico. Mentre attraversa il lago riceve le acque del Bagnadoree del Borlezza.

Dopo aver solcato i rilievi morenici a sud del lago, il fiume entra quindi in pianura, costituendo inizialmente il confine tra la Bassa Bergamasca e la Bassa Bresciana, e successivamente, più a valle, quello tra quest'ultima e la Provincia di Cremona. Presso Palosco riceve il Cherio, suo principale affluente da destra, mentre decisamente più a valle, vi confluisce da sinistra il Mella, tra Seniga e Ostiano.

A Soncino il secolare scorrere del fiume ha plasmato il paesaggio del Terrazzo Alluvionale creando un dislivello di oltre otto metri. Un paesaggio ancora integro vocato all'agricoltura. Sulla sponda bresciana il fiume tocca il paese di Orzinuovi, totalmente pianeggiante e parzialmente coinvolto dal processo di genesi morfologica che ha interessato il Terrazzo Alluvionale sulla sponda cremonese.

A valle della confluenza del Mella, il fiume scorre per un tratto sul confine tra la provincia di Cremona e quella di Mantova, ricevendo da sinistra il Chiese presso Canneto sull'Oglio per poi entrare definitivamente in territorio mantovano e confluire nel Po a Torre d'Oglio, presso Scorzarolo.

Presso Torre d'Oglio sopravvive uno degli ultimi ponti fatti con le chiatte in cemento, e risalente al 1926. Il ponte sta per essere sostituito con un altro tipo più tecnologico che dovrebbe limitarne i costi. Discordanti sono i pareri su questa opera che dovrebbe sopprimere definitivamente il vecchio ponte.

Lungo il corso del fiume, dopo il Lago d'Iseo sono stati istituiti i parchi regionali dell'Oglio Nord e Sud.

La città più popolosa bagnata dalle acque dell'Oglio è Palazzolo sull'Oglio, che è anche l'unico comune il cui centro storico è modellato urbanisticamente attorno al fiume stesso.

L'Oglio scarica nel Po una portata media elevata (137 m³/s.) paragonabile quasi a quella di un altro importante affluente del Po (il Tanaro 131,76 m³/s) ma con un regime assai più regolare rispetto a quest'ultimo, grazie all'alimentazione alpina del suo alto corso e soprattutto alla presenza del Lago di Iseo che funge da efficace regolatore dei flussi. In estate dunque le portate minime sono relativamente elevate e scendono difficilmente sotto i 36 m³/s, mentre in autunno e in primavera le massime sono abbastanza copiose (425 m³/s) pur non essendo comunque particolarmente imponenti. Non mancano in ogni caso, in presenza di precipitazioni insistenti, piene anche superiori ai 1.000 m³/s. Il bacino dell'Oglio è ampiamente sfruttato a scopo idroelettrico e per irrigazione.

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giovedì 5 marzo 2015

PONTI SUL TICINO : PONTE DELLA BECCA

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Il Ponte della Becca è un ponte della provincia di Pavia, costruito nel 1912 sulla confluenza tra i fiumi Ticino e Po. Parzialmente distrutto a seguito di bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale, fu ricostruito nel 1950.

Il ponte è costruito con un'armatura in ferro che lo avvolge completamente. La strada che lo percorre è la Strada statale 617 Bronese, che percorre la tratta Broni-Pavia. È lungo in totale 1,081 km.

Alla fine del lato pavese del ponte è sorto, a partire dagli anni 1990, un complesso turistico estivo la cui finalità è lo sviluppo della navigazione fluviale. A causa delle frequenti esondazioni da parte dei due fiumi, che spesso sommergono completamente la zona durante la stagione fredda, l'unica attività consentita alla base del fiume è proprio quella basata sulla navigazione. Peraltro, i due fiumi non sono balneabili, a causa dei gorghi che tendono a formarsi proprio in prossimità dei plinti del ponte e, ovviamente, dell'inquinamento delle acque.

Il 28 novembre 2010 viene rilevato un cedimento di 4 centimetri di un giunto della struttura: a seguito di questo il ponte fu dichiarato non carrabile e quindi chiuso al traffico. Tale è rimasto fino al 30 dicembre dello stesso anno, quando il transito è stato riaperto ai soli mezzi più leggeri di 35 quintali (trasporti pubblici esclusi), a seguito di una parziale ristrutturazione.

Il 17 marzo 2011 si ha un nuovo incidente: durante un periodo di piena del Po, crolla improvvisamente il pilone 9 del ponte, che viene perciò dichiarato nuovamente inagibile e quindi chiuso ancora al traffico veicolare. Dopo aver riparato il pilone e anche provveduto all'installazione di barriere limitatrici di larghezza in cemento con sbarre per impedire fisicamente il transito al traffico pesante, dato che i precedenti divieti erano stati continuamente infranti, il ponte viene nuovamente riaperto al solo traffico leggero a senso unico alternato.

Tra il 6 e 7 giugno 2011 vengono eseguiti dei rilievi sul letto del fiume, per determinare quanto fosse profonda la probabile buca che ha causato il cedimento e il conseguente crollo del pilone 9. I dati ottenuti affermano che la buca che ha provocato il crollo del pilone 9 si sta allargando ed è arrivata a minacciare anche la base del pilone 8. Infatti il pilone 8 è sporgente in modo anomalo: penetra nel fondo per soli 2 metri, mentre gli altri piloni sono a 11 metri.

Altri lavori sono stati effettuati nel corso del 2011.

A oggi il ponte è transitabile dai soli veicoli inferiori ai 35 quintali, è stato ripristinato il doppio senso di circolazione e sono state installate nuove barriere limitatrici in larghezza in cemento.


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