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martedì 1 dicembre 2015

BRALLO DI PREGOLA

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Brallo di Pregola è un comune situato nel punto più meridionale della regione Lombardia nell'Oltrepò Pavese, di cui comprende la cima più alta, il monte Lesima (1724 m s.l.m.). Comprende una parte del tratto iniziale della valle Staffora e la valletta del suo affluente Montagnola, e un tratto del lato sinistro della val Trebbia e la valle del suo affluente Avagnone che sfocia nel fiume Trebbia, fiume che segna il confine regionale fra la Lombardia e l'Emilia-Romagna. Le due valli sono collegate dal passo del Brallo su cui sorge l'omonimo capoluogo. All'interno del territorio comunale vi sono due enclavi, corrispondenti alle località Lama e Valle inferiore, facenti parte del comune di Corte Brugnatella in provincia di Piacenza. Queste due località costituiscono dei rari esempi di enclavi interregionali.

Il territorio fu abitato nella preistoria. Il toponimo di Brallo è di verosimile origine celtica con il significato di "pascolo", "alpeggio" . Il centro principale è Pregòla, citato per la prima volta come Predalia, nel diploma di Ottone I del 972. Nel contempo si riconferma il territorio nei possedimenti dell'abbazia di San Colombano di Bobbio. Gli abati del monastero bobiense, che ebbero il titolo di conti già nell’844 dall’imperatore Lotario, esercitarono la giurisdizione feudale per secoli. Successivamente dopo il mille il feudo di Pregola passò, come molti altri, al vescovo di Bobbio.

Appartenne al marchesato dei Malaspina dalla concessione imperiale di Federico Barbarossa del 1164, nel cui diploma è nominata Petra Groa, l'attuale Pregola; tali diritti vennero riconfermati nel 1220 da Federico II, da Carlo IV nel 1355 e Carlo V nel 1541. Al territorio venne annessa anche la località di Dezza un tempo dipendenza monastica e poi vescovile di Bobbio. Nelle divisioni del marchesato pervenne (1221) al ramo dello "Spino Secco", attestato in val Trebbia, e nelle ulteriori divisioni si definì la linea dei marchesi di Pregola, il cui territorio, oltre all'attuale comune del Brallo, comprendeva verso sud tutto il versante sinistro della val Trebbia fino nell'attuale provincia di Genova. Era diviso in quattro quartieri, uno dei quali corrispondeva a questo comune. Fin dal XVIII secolo il marchesato di Pregola fu oggetto di una violenta contesa diplomatica tra il Sacro Romano Impero, che pretendeva che si trattasse di un feudo imperiale, esente da ogni altra giurisdizione, e il ducato di Milano (sotto sovranità spagnola) che lo considerava come gli altri feudi malaspiniani che i Visconti e gli Sforza avevano costretto alla sottomissione.

La disputa esplose ancor più violenta quando l'Oltrepò passò ai Savoia: l'Impero inviò persino delle truppe di guarnigione per impedire che il marchesato fosse annesso al Piemonte, e i Savoia dal canto loro esercitarono ogni pressione sui marchesi (minacciando la confisca dei loro beni) se non si fossero sottomessi.

Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della provincia di Bobbio, il comune subì alcune modifiche territoriali e la frazione di Dezza passò al comune di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Con l'arrivo di Napoleone e la soppressione dei feudi imperiali il quartiere di Pregola divenne comune di Pregola. Nel 1848 come parte della provincia di Bobbio passò dalla Liguria al Piemonte, nel 1859 entrò a far parte nel circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia. Dopo la soppressione del circondario di Bobbio (1923) il Comune di Pregola rimase assegnato alla provincia di Pavia.

Successivamente si sviluppò il nuovo centro di Brallo, sul passo omonimo, e il comune nel 1958 prese il nome attuale di Brallo di Pregola.

Le parrocchie dipendono dal vicariato di Varzi della diocesi di Tortona.

Il territorio dell’attuale comune del Brallo di Pregola si trova in quel tratto di Appennino che si usa indicare "delle quattro province", luogo d’incontro dei dialetti e delle tradizioni liguri, lombarde, emiliane e piemontesi, ricco di suggestioni e di memorie storiche, alle quali fanno da sfondo scenari naturali di incomparabile, selvatica bellezza.
Anticamente questa zona era abitata da quelle fiere tribù di Liguri che gli storici romani chiamavano indomabili, le stesse che fornirono aiuti e guide ad Annibale, durante la seconda guerra Punica. C’è ancora un sentiero sui monti chiamato "La strada di Annibale" e la leggenda narra che gli eserciti cartaginesi erano accampati a Pian dell’Armà, prima della battaglia del Trebbia. In una cartina militare dell’esercito Romano relativa alla IX Regio ed al tracciato della via Aemilia Scaura, è segnalato l’abitato di Precele, l’attuale Pregola, che da sempre domina la Valle Staffora dall’alto dei "sassi neri" dai quali prende il nome; Prea Groa significa, infatti, pietra corba, pietra nera.
Sulla rupe di Pregola sorse, durante il Medioevo, il castello dei Marchesi Malaspina, che ressero il territorio in nome degli Imperatori del Sacro Romano Impero, dalla caduta dei Longobardi fino alla Rivoluzione Francese. L’antica fortezza, purtroppo non esiste più, andò distrutta a causa di un incendio, verso la fine del XVII secolo. Al suo posto fu eretta l’attuale casaforte, che sorge nei prati ai limiti del borgo.
Nel 1848 come parte della Provincia di Bobbio passa dalla Liguria al Piemonte, nel 1859 entra a far parte della Provincia di Pavia e quindi della Lombardia, nel 1923 passa alla Provincia di Piacenza e quindi all’Emilia Romagna e poi ritorna nel 1925 alla Provincia di Pavia e alla Lombardia.
Successivamente si sviluppò il nuovo centro di Brallo, sul passo omonimo, e il comune nel 1958 prese il nome di Brallo di Pregola che racchiude il nome dell’attuale e dell’antico capoluogo.

Il territorio è un susseguirsi di situazioni contrastanti: faggete e noccioli, pinete, castagneti, boschi di cerri, roveri, si alternano a vaste zone prative di un verde intenso che in primavera ed estate si arricchiscono dei colori delle innumerevoli varietà di fiori. Dalle vette più alte e dai crinali a volte rocciosi, da dove nelle giornate limpide il panorama spazia fino alle Alpi, scendiamo ai torrenti ed agli innumerevoli corsi d’acqua incontaminati.

Il Monte Lesima, 1.724 m, si trova al confine tra le province di Piacenza e Pavia (della quale costituisce il punto più elevato) tra le valli dei torrenti Avagnone e Boreca, entrambi tributari del fiume Trebbia. È una delle vette più alte dell’Appennino Ligure. I suoi imponenti fianchi erbosi si protendono in direzione nord-est dominando la valle del fiume Trebbia. Il Monte Lesima si riconosce facilmente a causa della presenza di una postazione radar per uso aeronautico poco sotto la sommità. Ai ripidi pendii orientali e settentrionali, contrasta il morbido pendio occidentale unito alla cresta che collega il Monte Lesima con lo spartiacque Staffora-Trebbia. Il Monte Lesima si può raggiungere dai sentieri che partono dalle località di Zerba in val Boreca, in provincia di Piacenza, o Rovaiolo Vecchio, provincia di Pavia, o più comodamente percorrendo a piedi la strada privata del radar che si collega alla carrozzabile passo del Giovà-passo del Brallo. Molto suggestivo è il percorso del sentiero 101 che segue tutti i crinali fino alla vetta dalla quale si ha uno splendido colpo d’occhio sulla sottostante val Trebbia, sulle vicine vette del gruppo del Monte Antola e dell’Aveto. Verso nord nelle giornate limpide sono visibili l’Oltrepò Pavese, la Pianura Padana e le Alpi dal Monte Rosa al Bernina. La leggenda fa risalire il toponimo Lesima ai tempi di Annibale: quando il generale cartaginese, accampato con i suoi uomini nella valle del Trebbia, salì la cima del monte, riportò una ferita alla mano da cui lesa manus - Lesima.

Someglio si trova a 768 metri di quota; la Chiesa, la parrocchia di Colleri risale ai secoli XII e XIII. Si ritiene sia stata la Chiesa che serviva al culto di tutta la zona dell’alto Appennino Pavese sita in comune di Pregola, una vera e propria "Pieve" per i fedeli sudditi dei Marchesi Malaspina che dominarono a lungo le valli dello Staffora e dell’Avagnone fino all’estinguersi del feudalismo. L’edificio posto in un punto strategico della strada su cui transitava il commercio del sale e delle spezie che da Genova, per la Val Trebbia, portavano a Milano, ebbe fin dall’inizio il proprio cimitero (un tempo attiguo alla Chiesa e diviso da essa dal portichetto di sinistra). I muretti di cinta sono stati restaurati nel 1979, mentre l’oratorio è stato risistemato nel 1985. Dal punto di vista artistico possiamo notare che la parte esterna dell’edificio ha conservato il suo aspetto originario e ora anche la facciata è stata riportata in pietra a vista come il campanile romanico, di rara bellezza, coperto di lastre di pietra locale, come anche tutto il resto dell’edificio che ci riporta al tipico stile Malaspiniano. L’interno è ad unica navata e la pavimentazione in sassi locali, mentre l’altare maggiore è in pietra. Vi si trovano anche due dipinti ad olio raffiguranti in uno S.Fermo, venerato il 9 agosto e nell’altro i Santi Gervasio e Protasio con S.Ambrogio.

Il fiume Trebbia nasce dal Monte Prelà nei pressi di Torriglia, in provincia di Genova e dal punto di vista paesaggistico e naturalistico l’alta Val Trebbia è certamente una delle vallate più belle di tutto l’Appennino settentrionale: le acque di questo fiume, cangianti dal verde all’azzurro più luminoso, hanno modellato il territorio creando un paesaggio assolutamente raro ed eccezionale. Per gli amanti dello sport si possono praticare la pesca sportiva, canoa e rafting. Nei pressi di Ponte Organasco un grazioso Lido è meta di turismo estivo per praticare nuoto e relax.

Barostro  caratteristica è una frazione che si incontra lungo la provinciale 131 che da Bralello scende verso Pianostano, nel territorio comunale di Santa Margherita Staffora.  A Barostro, posto a 1065 metri di altitudine, si trova la Chiesa di San Fermo che presenta una prospettiva neoclassica con una unica navata ristrutturata nel 1984 e al suo interno si trova un altare in pietra. Barostro comunque è sempre stato aggregato alla Chiesa di Cencerate.

La frazione di Bocco domina dall'alto il Passo del Brallo e da qualsiasi parte lo si guardi questo paese sembra stretto attorno alla sua montagna. Gli abitanti di questa località raccontano che non lontano dal borgo, si dovrebbe trovare una grotta che permette di entrare all'interno del monte su cui sorge l'abitato. Una grotta che sarebbe ricca di stalattiti e stalagmiti ma che anni fa venne fatta murare perchè pericolosa. Si tratta peraltro di una tradizione popolare che spesso e volentieri viene rievocata quassù, tanto da essere considerata una leggenda.

Casone è situato a 900 metri, si incontra il suo abitato salendo da Varzi verso il Passo del Brallo. Molte abitazioni di Casone sono rivestite in sasso e nel suo antico borgo si trova una piccola, ma molto caratteristica  chiesa dedicata a San Rocco. Sotto Casone si trovano i resti di quelle che erano le case di Sotto il Groppo che oggi però è un paese fantasma.

Cencerate , caratteristica frazione è adagiata sui contrafforti dell'Appennino e ormai semi abbandonata  ma che ha mantenuto intatte le proprie caratteristiche.  Cencerate è posizionato a 946 metri di quota. La frazione sorge su di uno sperone che è delimitato da profondi burroni. Qui, sui resti di un antico oratorio che esisteva già  nel XII secolo, fu edificata nell' ottocento l'attuale Chiesa che si presenta ad una navata unica. La Chiesa è stata decorata ed affrescata dal pittore tortonese Domenico Fossati. L' altare maggiore è stato realizzato in marmo.

Nel 1939 il Cai di Voghera realizzò a Cima Colletta un rifugio in legno, meta di escursionisti e di turisti che vi salivano a piedi la domenica. Scoppiò la guerra e questo bivacco venne praticamente distrutto. Così nel 1946, dopo la guerra, il Cai decise di ristrutturare una ex casermetta utilizzata proprio nel periodo bellico e lo trasformò in un rifugio. L'inaugurazione avvenne il 22 settembre 1946, dopo un'estate intera di opere e lavori per la sistemazione della caserma. Da allora ad oggi sono state diverse le opere di miglioria eseguite per il mantenimento ed il miglioramento della struttura stessa.

La frazione di Colleri si incontra dopo il Passo del Brallo, scendendo verso il fiume Trebbia. Colleri è la frazione più popolata del Comune del Brallo ed è posta ad una altitudine di 900 metri sul livello del mare. Colleri era feudo imperiale dei Malaspina, e nel 1798 era dei Malaspina di Santa Margherita. Nel 1657 la parrocchia contava 100 fuochi. La nuova Chiesa fu edificata nel 1951 e la costruzione non si discosta molto dai moduli tradizionali. Di notevole importanza è una tela che rappresenta la Fuga in Egitto. La Chiesa parrocchiale di Colleri ha una prospettiva romanica ed è stata dedicata a San Innocenzo.è stata realizzata in pietra a vista, è ad un'unica navata e l'altare è in marmo. A Colleri si trova anche un vecchio mulino.

Collistano dista 4.5 chilometri dal Passo del Brallo. Qui si trova una antica Chiesa che da anni è stata sconsacrata e praticamente abbandonata. La Chiesa, che sta andando a pezzi, mantiene comunque ancora intatto un bel campanile che svetta appena fuori dal centro del paese che conta ormai pochissimi abitanti. Il campanile è ben visibile da Someglio. Collistano, come altri centri del Brallo, ha conosciuto negli ultimi anni un forte abbandono. Per quanto riguarda la ex Chiesa il rischio è che le intemperie meteorologiche a lungo andare riducano questo in un ammasso di macerie. Parte della volta della Chiesa è già  caduta. Il nome di Collistano si riferisce chiaramente a quello di Colleri. Collistano indica molto probabilmente la posizione del paese in basso come a voler significare che questo centro sorge al di sotto di Colleri.

La Chiesa di Corbesassi è stata edificata nel 1690. La decorazione interna è del pittore Sebastiano Toselli, allievo del Gambini, realizzata nel 1939. Di notevole importanza una tela che vi si trova al suo interno, ma che purtroppo è ridotta in pessime condizioni, che rappresenta San Francesco e due angeli. Corbesassi era già  parrocchia nel 1595 quando, come si legge nel libro di Monsignor Clelio Goggi  "La Storia delle parrocchie della Diocesi di Tortona" era definita Chiesa di San Colombano di Crebesassi  annessa a quella di Colleri. Nel 1788 la frazione contava 30 famiglie. La Chiesa dopo aver perso la propria autonomia fu eretta nuovamente parrocchia, con decreto vescovile, il 16 ottobre del 1952. La parte più antica della Chiesa risale al 1690, mentre l'apside è del 1800. Corbesassi, posizionato alle spalle del Brallo, a 904 metri di altitudine, oggi conta pochi abitanti ma ha mantenuto le sue caratteristiche di quel piccolo centro arroccato sull'Appennino dai contenuti armoniosi.

Si incontra Feligara scendendo lungo la strada provinciale che porta verso il Trebbia; qui si trova un oratorio chiamato San Rocco che è stato edificato pochi anni fa.Questa chiesetta sorge sul versante sinistro idrogeografico del torrente Avagnone. Il centro principale del paese è posto sotto la strada provinciale ed è costituito da un buon numero di abitazioni, mentre un'altra parte del paese si riversa sulla strada provinciale.

Lama è una piccola frazione che si trova sulla sinistra idrografica del torrente Avagnone vero il Trebbia. Dista 10 km dal Brallo ed è posta a 540 metri di altitudine.Questa frazione è composta da diverse abitazioni con all'estremità una piccola cappelletta.

Pianellette è praticamente l'ultima frazione nel territorio comunale del Brallo prima del fiume Trebbia. In fondo all'abitato di Pianellette scorre il torrente Avagnone che nasce proprio sotto il Passo del Brallo e che dopo questa frazione si va a gettare tra le limpide acque del fiume Trebbia. L'abitato è composto da poche case poste su di un doppio tornante della provinciale 186 che proprio all'altezza del ponte sul fiume trebbia va a confinare con la provincia di Piacenza.

Superato l'abitato di Corbesassi la strada, con qualche tornante, guadagna rapidamente quota fino a giungere a Prodongo o quello che viene comunemente chiamato Piani o Prati di Lesima, proprio perchè in questa località sorge una distesa erbosa posta alle falde del Monte Lesima.

Il monte Lesima che con i suoi 1724 metri domina incontrastata tutto il territorio. Il luogo è davvero particolare ed incantevole. Da qui una strada piuttosto stretta  permette di sconfinare in provincia di Piacenza per raggiungere il comune di Zerba.
Pietranatale  è composta da sole poche case ad un altitudine di 500mt. e situate verso il fiume Trebbia. La strada qui prosegue sino ad altre abitazioni che compongono altre piccole frazioni come Pianezza, Tomba e Valle superiore.

Il Paese di Ponti si trova subito dopo Corbesassi, arroccato sotto le pendici del monte Lesima. Giunti in questa frazione, la strada praticamente non ha alcuno sbocco, anche se da qui partono una serie di importanti sentieri che permettono di scoprire posti incantevoli come quello che scende verso il torrente Avagnone.  Nel 1789 a Ponti (chiamato allora Ponte) si trovava l'oratorio di Sant'Anna ed era di modeste dimensioni e la campana era situata nell'arco del muricciolo. La piccola chiesetta è stata recuperata ed abbellita nel corso degli anni.

A Ponti sorge il "MUSEO DEI RICORDI" un importante ed ambizioso progetto dedicato al recupero della cultura rurale, affiancate al MULINO AD ACQUA DEL PRIMO NOVECENTO, ancora funzionante ed in perfetto stato di conservazione sono state costruite alcune opere di carattere culturali atte al recupero delle vecchie tradizioni contadine quali una CARBONAIA, LA GHIACCIAIA e U BALU.

Pratolungo è un borgo che sorge sulla strada che conduce alla Chiesa di Montarsolo, già in provincia di Piacenza. All'interno dei suo bosco di roveri si trova quella che viene definita la Rovere grossa, una rovere di oltre 950 anni. Famoso il Santuario dedicato alla Nostra Signora della Guardia risalente al 1400, dove ogni anno il 29 Agosto si celebra la messa e processione in onore della Madonna.

A Pregola si trovava un tempo il Capoluogo del Comune. Questa frazione è posizionata lungo la strada che dal Brallo porta al Penice. Chi arriva da Varzi può ammirare, pochi chilometri prima del Brallo, sulla sinistra questo agglomerato di case variopinte che si sporgono verso l'Appennino. A Pregola si trova la Chiesa parrocchiale di Santa Agata Vergine e Martire. Anche questo luogo di culto è stato realizzato in mattoni a vista: si tratta di una Chiesa davvero caratteristica con un bel campanile. Fu realizzata nel XVII secolo sui resti dell'antico oratorio dedicato a San Rocco. A Pregola un tempo si trovava anche un castello dei Malaspina: (che per molto tempo hanno governato il paese) fu distrutto nel 1571.

Rovaiolo ha una storia curiosa. Il paese infatti è diviso in due: Rovaiolo Nuovo e Rovaiolo Vecchio. Quest'ultimo oggi è un paese abbandonato costituito da un gruzzolo di case, realizzate in pietra e con i tipici tetti neri che venivano costruiti in epoca passata. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Rovaiolo Vecchio venne fatto evacquare in quanto si riteneva che l'erosione prodotta dal torrente Avagnone potesse far franare il paese. Gli abitanti furono fatti sfollare e costituirono il loro nuovo paese Rovaiolo nuovo. Da allora ad oggi il tempo ne è passato, ma Rovaiolo Vecchio seppur disabitato, non solo non è franato, ma continua a mantenere il fascino di un tempo con i suoi terreni coltivati a patate ma chiamato Paese Fantasma.

Selva è un minuscolo ma quanto mai caratteristico paesino di montagna dai vicoli in sasso come la maggior parte di queste abitazioni. Posto a 905 mt di altitudine il paesino ha saputo mantenere le sue caratteristiche originali. Attorno alle abitazioni si trovano numerosi terreni ancor oggi coltivati a patate ed alcune caratteristiche fontane realizzate in pietre a vista.

Si presume che anticamente la sede della parrocchia del Brallo fosse Someglio, che si trova a 768 metri di quota e la Chiesa, parrocchia di Colleri, secondo le recenti ricerche storione, risale ai secoli XII e XIII.  Si ritiene sia stata la Chiesa che serviva al culto di tutta la zona dell'alto Appennino pavese sita in comune di Pregola, una vera e propria "Pieve" per i fedeli sudditi dei marchesi Malaspina che dominarono a lungo le valli dello Staffora e dell 'Avagnone fino all'estinguersi dei feudalismo. A Someglio venivano celebrate quattro messe festive e quattro feriali e la parrocchia un tempo comprendeva Colleri, Cencerate e Pregola.

L'edifìcio posto in un punto strategico della strada su cui transitava il commercio del sale e delle spezie che da Genova, per la Val Trebbia, portava a Milano, ebbe fin dall'inizio il proprio cimitero (un tempo attiguo alla chiesa e diviso da essa dal portichetto di sinistra). Dal punto di vista artistico possiamo notare che la parte esterna dell'edifìcio ha conservato il suo aspetto originario e ora anche la facciata è stata riportata in pietra a vista come il campanile romanico, dì rara bellezza, coperto di lastre di pietra locale, come anche tutto il resto dell'edifìcio che ci riporta al tipico stile Malaspiniano.
Caratteristici sono i due portichetti che delimitano l'area della Chiesa e del vecchio cimitero, I muretti di cinta sono stati restaurati nel 1979, mentre
l'oratorio è stato risistemato nel 1985. L'interno è ad unica navata e la pavimentazione in sassi locali, mentre 'altare maggiore è in pietra. Vi si trovano anche due dipinti ad olio risalenti al XVIII secolo raffiguranti in uno S.Fermo (venerato il 9 Agosto) e nell'altro i Santi Gervaso e Protasio con S.Ambrogio. Il Crocefìsso sopra l'altare è di epoca indefinita in legno locale e rivestito di un leggero strato di gesso.Il fonte battesimale è in sasso locale corroso dal tempo passato sotto terra, dove venne scoperto negli scavi per il restauro.

Per raggiungere Someglio dal Passo del Brallo si volta per Cima Colletta, per la strada provinciale numero 88. Dopo un centinaio di metri si gira a sinistra per Someglio che si raggiunge dopo 2 chilometri

Alformosa è una frazione davvero caratteristica che nel periodo invernale è praticamente disabitata, ma che in estate torna a rivivere. Fino al XVII secolo questa frazione è stata parrocchia autonoma. La Chiesa di questo centro è dedicata a San Leonardo, ed era già  nota nel 1523, ma fu ampiamente rimaneggiata nel corso dei secoli: si narra che gli abitanti del posto, erano talmente poveri, da non potersi neppure permettere calice e pisside in metallo prezioso. Nel 1655 il paese contava solo sessanta anime. Oggi la Chiesa presenta un altare maggiore e suppellettili di una certa importanza. Dal Brallo, per giungere a questa frazione, occorre seguire la strada per Cima Colletta e, una volta giunti a Bralello, scendere verso destra per Barostro e Cencerate. Campanile e Chiesa di colore bordeaux spiccano fra le case del paese. Valformosa è uno degli ultimi centri di tutto il territorio che ha conservato un impianto medievale: strade strette a selciato, case piccole realizzate in sasso.

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MONTESEGALE



Montesegale è un comune situato nell'alta collina dell'Oltrepò Pavese, nella valle del torrente Ardivestra, affluente della Staffora. La grandissima parte della popolazione risiede nelle numerose frazioni.

Noto fin dall'XI secolo, Monteségale era sotto la signoria del Vescovo di Tortona, e fu sottoposto al dominio pavese nel 1219 da Federico II (pur continuando, sotto Pavia, la signoria vescovile). Montesegale fu infeudato ai Conti Palatini di Lomello, del ramo di Gambarana, ricevendo l'investitura congiuntamente da Pavia e dal Vescovo di Tortona, che manteneva quindi un'alta signoria (analogamente a quanto avveniva nelle vicine località Gravanago e Montepicco (fraz. di Fortunago) e a Rocca Susella). La signoria dei Gambarana durò, salvo qualche breve interruzione, fino alla fine del feudalesimo (1797).

Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. La fine del marchesato ebbe luogo con l'abolizione del feudalesimo nel 1797. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1818 passa alla provincia di Voghera e nel 1859 alla provincia di Pavia.

Il comune di Montesegale faceva direttamente parte dell'Oltrepò Pavese, non era una giurisdizione separata come i territori circostanti. Comprendeva anche la parte meridionale dell'attuale comune di Rocca Susella, con le frazioni Susella, San Paolo, Poggio Almanno. Esse furono staccate da Montesegale e unite al comune cui attualmente appartengono nel 1905. Nel XVIII secolo a Montesegale era stato unito il piccolo comune di Castignoli, già sede di un importante castello, parte del feudo di Montesegale.

L'economia è prevalentemente agricola e si basa sulla produzione di foraggi, frumento, granoturco, frutta, vini, salumi e miele.

Dal poggio su cui è posto, nonostante le diverse trasformazioni avvenute nel corso degli anni, il castello di Montesegale mostra sempre la sua forma possente e quell'invulnerabilità che lo ha contraddistinto nei secoli. Furono i Gambarana a dare al castello l’impianto attuale.
L’8 agosto 1164 Federico Barbarossa concedeva a Pavia molti luoghi e castelli della Valle Staffora tra cui Montesegale. Il feudo nel giro di pochi anni passò ai conti Palatini e tra essi poi toccò ai conti Gambarana nel 1311, che presero titolo di Signori di Montesegale. I conti Palatini furono istituiti da Carlo Magno ed ebbero molti privilegi ed onorificenze confermate più volte da diversi imperatori fino a Carlo V.
Nel 1412 Facino Cane assediò Pavia e confermò ai Gambarana il feudo di Montesegale. La guerra tra Facino Cane e Filippo Maria s’inasprì e tre anni più tardi Francesco Bussone detto il Carmagnola riuscì a recuperare tutte le città che si erano ribellate sotto il governo di Giovanni Maria. Nel mese di settembre del 1415 il castello di Montesegale era stato in gran parte distrutto dal Carmagnola ed i militari che lo presidiavano furono condotti prigionieri a Voghera e Pavia, perché i Signori di Montesegale non volevano essere sottoposti al Duca di Milano Filippo Maria Visconti.
Nel 1416 il Duca ritolse il castello di Montesegale confiscandone i beni e donandoli o vendendoli a diverse persone.
Il 4 luglio 1432 Paolo Serratico ebbe i feudi di Montesegale e Pizzocorno.
Il 22 aprile 1451 il conte Palatino Ottino Gambarana, figlio di Guido ed erede dei suoi congiunti, ottenne dal duca Sforza il ripristino degli antichi onori e il possesso dei beni di cui godevano gli altri Gambarana. Tra questi il feudo di Montesegale. Negli anni a seguire in più occasioni i vescovi di Tortona confermarono ai conti Gambarana il feudo di Montesegale che passò da Andrea a Ludovico e Angelo Marco Gambarana. Il 30 agosto 1646 fu investito del feudo il conte Gerolamo Gambarana. Oggi il castello è di proprietà della famiglia Jannuzzelli.

Dalla piazzetta dedicata ai caduti di Nassiriya, sede del Comune di Montesegale, sulla destra si stacca la strada che, costeggiando le antiche mura del castello, salgono sino a raggiungere l’ingresso principale del maniero. A destra si trova il bell'Oratorio dedicato a Sant'Andrea. Al castello si accede tramite un portone con fronticino a mensolette intonacato.
Entrati tra le mura si apre il cortile rustico, che mette ben in risalto gli edifici in mattone e pietra a vista dell’ala più antica, al cui interno si trova un arco acuto in pietra levigata di buona fattura. Tali edifici si trovano prospicienti ad un’altra salita che conduce alla spianata superiore, delimitata da un muro di cinta con merlatura che fu riedificata nel 1900 da Agostino Gambarotta. Sul lato destro si apre un portoncino che immette al cortile nobile o padronale, affiancato da un’epigrafe latina che reca scritto: “Fiat pax in virtute tua et habondantia in turribus tuis”.
L’interno si presenta con un bel porticato a colonne poligonali e pavimento in cotto sistemato a spina di pesce, dal quale si accede al grande salone a volta dove spicca la grande caminata in pietra arenaria che fu fatta costruire nel 1906 da Giacomo Cavanna in sostituzione di un più antico camino di minor pregio. Oltre a questo si trovano anche un caratteristico pozzo, locali più o meno antichi e scantinati con archivolti.
Rifacendoci al libro Il Pavese montano scritto da Filippo Mancinelli nel 1922, si evince che “all’interno del castello vi si entrava attraverso una porta del XVIII secolo” e che “in un locale interno, su di un camino, era scolpito lo stemma con l’arma dei Gambarana”.
All’esterno del castello si trova la ghiacciaia utilizzata per conservare gli alimenti: ancora oggi è in ottimo stato.
Il maniero fu eretto dai Gambarana in tempi diversi. La parte più antica è quella posta a mezzodì; fu ampliato dagli stessi feudatari nel XIV secolo. La fortezza è situata sulla sinistra orografica del torrente Ardivestra su di un cucuzzolo a piano inclinato da est a ovest, a 426 metri sul livello del mare. Il manufatto più antico fu restaurato dal conte senatore Andrea Gambarana di Langosco nel XVII secolo.

Oggi, all'interno del castello, oltre all'abitazione privata, in tre splendide sale, nel 1975 è stato allestito il Museo di Arte Contemporanea. Il museo fu inaugurato con una mostra di Orfeo Tamburi che venne presentata da Giovanni Testori, Raffaele Degrada e Alberico Sala. L’attività del museo prevede l’organizzazione di diversi eventi durante tutto il periodo dell’anno ed in particolare in estate. Qui vengono inoltre organizzate mostre di artisti contemporanei. Nel corso degli anni sono state esposte opere di importanti artisti tra cui: Ernesto Treccani, Maria Luisa Simone, Roberto Crippa, Paola Grott, Luisa Pagano, Dino Grassi, e poi Francesco Del Drago, Giovanni Frangi, Boris Mardesic, Julian Schnabel e altri ancora. Il museo guarda anche al futuro dell’arte e grazie alla ristrutturazione di immobili sono stati costruiti sei alloggi per giovani promesse: artisti che avranno la possibilità di creare qui le proprie opere.


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CERVESINA

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Cervesina è un comune situato nella pianura dell'Oltrepò Pavese, sulla riva destra del Po, presso la confluenza del torrente Staffora.

Cervesina e San Gaudenzio costituirono a lungo due comuni a sé stanti; nel medioevo San Gaudenzio era più importante, specie dal punto di vista religioso, essendo sede di pieve da cui dipendevano diversi paesi della zona. Nell'ambito dei domini di Pavia, facevano capo alla podesteria di Voghera; tuttavia, al tempo della prevalenza dei Beccaria, si costituirono in feudo autonomo sotto un ramo della medesima famiglia, detto appunto "Beccaria di San Gaudenzio". Esso raggiunse il massimo potere nel XVI secolo, quando Matteo Beccaria divenne Marchese di Mortara; tuttavia, non avendo questi avuto che figlie femmine, il feudo di San Gaudenzio e Cervesina fu ereditato dai Taverna di Milano, conti di Landriano, cui rimase fino alla fine del feudalesimo (1797).

Nel XVIII secolo San Gaudenzio fu unito a Cervesina, e il comune ebbe per qualche tempo il nome "Cervesina con San Gaudenzio". In quell'epoca Cervesina era molto diversa da oggi: infatti si allungava sulla riva destra della Staffora giungendo molto più a nord. Lo spostamento del corso del Po verso sud determinò la distruzione di quasi tutto l'abitato, di cui non rimase che l'estremità meridionale, che da allora ha ripreso a estendersi, con pianta più compatta, verso sud ed est, in posizione più riparata. Il Po aveva distrutto anche un'importante frazione, la "Rampina", posta ancora più a nord, presso l'antica foce della Staffora.

I "porti" del Po fino in epoca abbastanza recente esistevano nelle vicinanze di Cervesina. Per "porto", secondo la denominazione in vigore fin dall'età romana si intendeva un traghetto sul fiume che consentiva il passaggio di uomini, animali e cariaggi da una sponda all'altra. Due erano i "porti" nei pressi di Cervesina, uno, il più importante si trovava a valle, tra Pancarana e Bastida e, dirimpetto Sommo, e l'altro a monte, nei pressi di Bastida di Dossi. Del primo si hanno notizie frammentarie fino al sec. XV che poi assumono un certo rilievo mostrandoci tutta l'importanza di questo valico del Po, uno dei quattro che collegavano l'Oltrepò Pavese con la restante parte del Ducato di Milano. Il porto di Sommo era, con quello della Stella o "de Lapole", nei pressi di Broni, di maggiore importanza rispetto agli altri. Esso era stato donato dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti a Giovanni Beccaria nel 1412, e ai Beccaria appartenne da allora, nonostante le travagliate vicende di questa famiglia che, proprio durante il governo di Filippo Maria ebbe molti beni confiscati. L'Archivio Comunale di Cervesina ha tramandato in copia parecchi documenti riguardanti il porto di Sommo, tra cui per primo, l'atto di donazione di Filippo Maria Visconti, dal quale si apprende che oltre al porto vero e proprio, esistevano e vennero donate ai Beccaria due osterie paste sulle rive del fiume.

Questa donazione doveva aver turbato interessi preesistenti tanto che fu una lunga lite tra i Beccaria e gli uomini di Castelletto di Branduzzo e Regalia che contestavano il possesso del porto ai nobili pavesi.

La controversia fu risolta a favore dei Beccaria nel 1473, e nel contesto della sentenza si definirono i confini del porto. Oggi la geografia delle sponde del Po, in zona non consente più di identificare i confini definiti nell'atto notarile, ed anzi, gli stessi centri di Cantalupo e Regalia, che si trovavano tra Bastida Pancarana e Rea, andarono distrutti e sommersi dalle piene del fiume.

Il secondo porto, a monte di Cervesina era quello che, nelle carte dell'Archivio Comunale e chiamato porto di "Zavaglione" e "dei Taverna", dal nome dei Feudatari di S. Gaudenzio. Risulta, da un documento del 1564 che il porto era presso la bocca vecchia della Staffora e congiungeva le sponde del Po tra il torrente vogherese e la bocca vecchia dell'Agogna. (Come già abbiamo rilevato,) Essa quindi era assai più vicino all'abitato di Cervesina (almeno fino al 1827) di quanto non lo fosse quello di Sommo, e pertanto assai più controllato dai Feudatari e dai loro agenti. Difatti un tentativo dei conti Taverna di spostare il traghetto più vicino ancora a Cervesina suscitò le rimostranze dei Beccaria, che come s'è vista erano i proprietari dei porti di Sommo.

I primi vennero condannati a riportare alla primitiva ubicazione il traghetto, ossia presso il dosso di Zavaglione dov'era sempre stato.

I Taverna possedevano pure il porto di "Corana" situato quindi più a monte e cedettero entrambi i parti al Comune di Cervesina nel 1861. Uno solo di essi, quello che corrispondeva pressa poco all'antico dello Zavaglione venne conservato e tenuto in efficienza anche dopo le mutate condizioni delle sponde del Po, e praticamente duro fino al termine della seconda guerra mondiale. Don Ugo Lugano, autore del volumetto "Mezzana Rabattone e la sua storia" riporta una gustosa descrizione dialettale del funzionamento del porto, nei ricordi di un anziano del suo paese. La "bocca vecchia della Staffora" si trovava a circa 1200 m. a monte di quella attuale. I terreni fino al 1855 erano proprietà della Mensa Arcivescovile di Milano e facevano parte della tenuta denominata "Il Bombardone".

Il Castello di San Gaudenzio, un oasi di storia lombarda, mantiene intatti nel tempo il fascino dei luoghi, la dolcezza di vivere. La sua storia è legata ai Visconti e ai destini di Pavia: un complesso originario del 1400 appartenuto a numerose famiglie nobili (i Beccaria, i Taverna, i Trotti) che se ne sono tramandati i fasti. Luogo d'ospitalità e riposo, sede di balli, pranzi e festeggiamenti etc., con estrema naturalezza conserva questa originaria vocazione in qualità di splendido hotel, ricco di suggestioni.

All'interno del Castello si ritrovano i bei camini di marmo rosso e nero, mobili, ritratti e decorazioni che si richiamano al periodo dal 1500 al 1700. Affianca il Castello l'antica pieve dedicata a San Gaudenzio. Quello che era un tempo luogo di delizie per pochi privilegiati è diventato oggi un ameno luogo di ritrovo per chiunque, a due passi dalle congestionate città industriali, voglia godere il sottile fascino della campagna dell'Oltrepò pavese. Ridare una funzione e una utilità sociale a quello che restava di un glorioso castello, è stata l'idea che ha fatto nascere, nell'antico maniero, il ristorante di San Gaudenzio. Nella linea della continuità con l’impostazione del ristorante, il Castello offre a tutti i suoi clienti una serie di camere e di appartamenti arredati con gusto sopraffino e funzionanti con i criteri più moderni, caratteristici della nostra epoca. La sobrietà, l'eleganza e l’armonia legano gli elementi strutturali del parco-giardino annesso al quattrocentesco Castello di S. Gaudenzio. Di fattura recente, quest'accorato spazio verde presenta significativi caratteri di moda seicentesca che ha un'epoca non solo di transizione ideologica, ma anche di mutamento di gusto stilistico.

Il giardino, da ancora rigoroso e geometrico cinquecentesco, tende a tramutarsi in parco, dando luogo ad un movimento di liberazione e di vita. Essenze d'alto fusto, cespugli da fiori, da foglia e da frutto, formano il quorum floristico di questo luogo. Conifere e latifoglie si alternano, gradevolmente, nel gioco scenico delle parti. Le statue, la pergola ed il tempio forniscono, invece, l'elemento plastico. Adiacente all'ingresso del Castello e lungo il ciglio del vecchio fossato, aiuole fantasiose a ricamo offrono un esempio di "Ars Topiaria"

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SANTA MARGHERITA DI STAFFORA

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Santa Margherita di Staffora è un comune situato nella zona montana dell'Oltrepò Pavese, nell'alta valle Staffora. La sede comunale è Casanova di Destra, sito a fondo valle, mentre il vecchio centro di Santa Margherita si trova in posizione dominante, sul versante destro della valle. Al di sopra della rocca di Santa Margherita è ben visibile la chiesa dalla quale è possibile ammirare gran parte della valle, mentre sul lato seminascosto alla strada provinciale rimangono ancora visibili i resti della casaforte/castello un tempo di proprietà dei marchesi Malaspina.

L'intero territorio di Santa Margherita fu abitato sin dalla preistoria; La presenza di insediamenti romani è verificata dalla presenza di resti databili intorno al 30 d.C nella zona boschiva retrostante al paese e dalla presenza della fornace visitabile in località Massinigo. Nell'Alto Medioevo era parte dei possedimenti dell'abbazia di San Colombano di Bobbio, fondata da San Colombano nel 614.

Dopo la caduta dei Longobardi ad opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi Imperiali, all'interno della Marca Obertenga, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, e assegnò Santa Margherita, con molti dei territori limitrofi, alla famiglia dei Malaspina.

Fu quindi incluso nel vasto Marchesato dei Malaspina; nel diploma ufficiale di infeudazione del 1164 è nominato il luogo di Santa Margherita. Nelle successive suddivisioni della famiglia, questa zona toccò (1221) al ramo dello Spino Fiorito, e nell'ulteriore suddivisione di esso (1275) fu spartito tra i Malaspina di Varzi e quelli di Oramala-Godiasco, ai quali ultimi toccarono quasi tutte le terre situate a ovest della Staffora, con centri quali Cegni, Negruzzo e Casale. Santa Margherita, con Sala, Vendemiassi, Fego, Casanova, apparteneva ai marchesi di Varzi, che nelle loro ulteriori suddivisioni generarono un ramo di Santa Margherita, che fu tra i pochi rami dei Malaspina di Varzi a mantenersi sempre in discrete condizioni economiche e a conservare il feudo fino all'estinzione del feudalesimo (1797). Con tale feudo coincise il comune di Santa Margherita, detto Santa Margherita di Bobbio (CC I227) dal 1863.

La parte del territorio che era passata ai marchesi di Godiasco, nelle loro suddivisioni pervenne al ramo di Cella (fraz. di Varzi). Nel 1514 il marchesato di Cella fu dagli Sforza confiscato al ribelle Barnabò Malaspina, e dato agli Sforza di Santa Fiora, feudatari di Varzi.

Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, si definirono nell'ambito del marchesato di Cella diversi piccoli comuni (Cegni, Casale, Negruzzo, Cignolo), che all'inizio del secolo successivo furono uniti al comune di Cella. Entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1848 come parte della Provincia di Bobbio passa dalla Liguria al Piemonte, nel 1859 entrò a far parte nel circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia.

Nel 1923 venne smembrato il Circondario di Bobbio e suddiviso fra più province.

Nel 1929 il comune di Cella (CC C434) fu abolito: in parte fu unito a Varzi, mentre la zona che ci interessa fu aggregata al vecchio comune di Santa Margherita di Bobbio, e, insieme alla località Bersanino staccata da Menconico, andò a formare il nuovo comune di Santa Margherita di Staffora, il cui capoluogo fu posto nella recente località di Casanova di Destra.

Nel fondo valle transitava la via del sale lombarda, percorsa da colonne di muli che raggiungevano Genova attraverso il passo del Giovà e il monte Antola.


Il territorio di Santa Margherita di Staffora comprende le frazioni di Bersanino, Casanova Destra, Casanova Sinistra, Cignolo, Fego, Pianostano, Casale, Pian del Poggio, Cegni, Negruzzo, Vendemiassi, Sala,Massinigo, S.Margherita. Si innalza, in media, a circa 450 m s.l.m. e presenta ambienti svariati, anche a causa della particolare conformazione geologica del terreno. Quest’area è conosciuta ai più per la caratteristica chiesetta di Santa Margherita, per il Molino Pellegro e per la fornace di Massinigo; certamente peculiarità uniche per la zona, ma anche l’aspetto naturalistico è egualmente degno di nota. La presenza di ambienti diversi è una testimonianza della particolare conformazione del terreno e quindi della travagliata origine dei suoi monti; oltre che della presenza di numerose specie di animali che si adattano alle molteplici condizioni presenti, per esempio il torrente o la cima dei monti. Sin dall’antichità i popoli che vissero in queste terre apprezzarono queste caratteristiche e ne furono attratti; forse non ne comprendevano le origini o le cause, ma sicuramente le rispettavano. Ancor oggi la gente di queste zone è molto legata alle tradizioni locali, alla sua terra e quindi alle sue origini ed è importante che questo continui nel tempo.

Bersanino si trova all’imbocco dell’Alta Valle Staffora dove inizia il Comune di Santa Margherita, è presente una piccola chiesetta dedicata alla Madonna Assunta.

Casale Staffora è caratterizzato dalle vie e le case costruite in pietra. La chiesa è dedicata a San Lorenzo Martire e custodisce un trittico risalente al 1585. Al 10 di agosto ha luogo la festa patronale con i tipici ravioli e la musica del piffero e della fisarmonica.
Casanova è la sede Municipale perché è il paese più accessibile della valle, si trova ad una quota di 584 metri s.l.m., altezza altimetrica che segna il confine tra la collina e la montagna. Casanova è divisa in due dal letto del torrente Staffora, si formano così due frazioni: Casanova Destra e Casanova Sinistra. Casanova Sinistra è la parte più storica, è presente la chiesa dedicata a S. Michele e il piccolo borgo, Casanova Destra è molto più recente, gli edifici risalgono agli anni ’60 – ’70, è presente il municipio, la posta e alcune attività commerciali.
Cegni è il classico paesino di montagna che inizia con la chiesa dedicata alla Madonna Assunta e termina nella parte meridionale con la fontana. E’ caratterizzato dalla presenza della pavimentazione delle strade con il selciato e dalle case in pietravista. Percorrendo le vie si possono ammirare molti angoli medioevali. Il paese si rianima in agosto quando vengono organizzate le tante feste compreso il Carnevale Bianco, che è la manifestazione più importante, ha luogo il 16 di agosto e consiste nella storica rappresentazione del Ballo della Povera Donna, tipico ballo delle montagne dell’Oltrepò.


Cignolo si trova a 662 metri s.l.m., è presente l’oratorio dedicato a San Giacomo.

Fego è collocato tra due torrenti, lo Staffora che nasce a Pian del Poggio e la Montagnola che sorge alle pendici del monte Colletta. A Fego vi è il piccolo oratorio dedicato a San Colombano.

Massingo è un piccolo centro che custodisce la più antica memoria storica della zona: la fornace romana risalente al III secolo a.C. che indica l’esistenza di una remota attività economica diversa dall’agricoltura.

Negruzzo è un piccolo paese rurale arroccato sul monte caratterizzato dall’uso della pietra per costruire case e strade. Nella parte alta del paese è presente la chiesa dedicata a San Bartolomeo. Nell’ultimo fine settimana di agosto ha luogo la festa del paese dove si possono assaggiare i tipici ravioli di brasato.
Pian dell'Armà è una località turistica perché offre ai visitatori un confortevole soggiorno sia dal punto di vista della ricezione alberghiera sia dal punto di vista dell’ambiente infatti vi è un clima asciutto e ventilato da lievi brezze marine e la possibilità di effettuare gite panoramiche molto interessanti su itinerari ad alta quota.
Pian del Poggio è una frazioneimmersa nel verde dei monti ed è stata costruita recentemente per far fronte alle richieste turistiche sia estive, per effettuare delle camminate per visitare le bellezze naturalistiche presenti nel territorio, sia invernali perché grazie alla presenza di una seggiovia che porta in vetta al Monte Chiappo (1700 m) è possibile praticare lo sci alpino. In questa località si trova anche una pista per lo sci di fondo che si snoda nei boschi circostanti.

Sala e Vendemmiassi sono due piccole frazioni poste sulla sponda destra dello Staffora dove nei pressi, avvolto nel verde si trova un campeggio che può contenere fino a 200 roulottes.

Santa Margherita si trova sulla riva destra del Torrente Staffora a un’altitudine di 800 metri s.l.m. tra prati e ampie distese boschive. È un luogo pittoresco che si affaccia, quasi a picco, sulla Valle Staffora e dal quale si gode di una bellissima vista. In questa frazione che da il nome la Comune, si può trovare il rudere del castello dei Marchesi Malaspina e la chiesa dedicata alla Santa.

L’Ecomuseo Il grano in erba comprende i comuni di Santa Margherita Staffora, Brallo di Pregola, Menconico e Romagnese (PV).
Un angolo di Lombardia, che si insinua tra Piemonte, Emilia e Liguria e da queste regioni prende storia e tradizioni. Un tempo ponte verso il mare per nobili, commercianti e pellegrini, ritrova nel silenzio delle montagne la sua identità, con le strade in sasso, i cortili, le musiche della festa, il silenzio degli alpeggi.

Qui la Comunità locale ha saputo fare della sua storia non un ricordo, ma spunto per costruire e rilanciare il territorio; ecco il senso de Il Grano in erba, ogni chicco ha in sé il futuro, il senso del territorio che genera la vita. In queste aree si possono perciò riscoprire antichi mulini ancora in funzione, la Fornace romana e il Museo contadino.
Si possono percorrere sentieri storici come la Via del sale o il misterioso Sentiero del Brigante, visitare il Santuario della Madonna del Bocco, degustare produzioni tipiche come il Salame di Varzi, le formaggette di Casale e di Brallo, la carne degli alpeggi, funghi e tartufi e le tipiche torte di mandorle.
La Fornace Romana di Massinigo risalente al III secolo a.c. e rinvenuta nel 1957, in occasione dei lavori di costruzione della scuola elementare, la fornace romana di Massinigo è una delle meglio conservate in Lombardia e l’unica per ora attestata nell’Oltrepò Pavese. La struttura ha pianta circolare, con fondazioni in pietra locale e alzato in laterizi. Dell’impianto rimane il piano di cottura in argilla, del diametro di 4,10 metri, forato e di notevole spessore, sostenuto da un corridoio a volte che collegava i muretti di sostegno della camera di combustione. Parzialmente conservato ilpraefurnium,l’imboccatura attraverso la quale veniva immesso il legname. La fornace è di un tipo ben noto nel mondo romano: a pianta circolare e a tiraggio verticale. Il calore usciva attraverso i fori del piano di cottura, riscaldava la camera nella quale si trovavano gli oggetti da cuocere e usciva dal camino. La struttura doveva servire principalmente alla cottura di mattoni e tegole, come è dimostrato dal notevole spessore del piano di cottura e dal rinvenimento di un gran numero di laterizi tra l’argilla che occludeva l’interno del forno. Analisi di tipo archeomagnetico, condotte sui resti dell’impianto, hanno permesso di collocare l’ultimo momento di utilizzo entro la prima metà del I secolo dopo Cristo.

Una recente risistemazione della recinzione e dell’edificio ex scuola da parte del comune di Santa Margherita di Staffora ha posto le basi per fare della fornace di Massinigo un punto di attrazione per il turismo scolastico (e non) nella valle. La collaborazione tra Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia e il Sistema Bibliotecario Integrato dell’Oltrepò Pavese, grazie a un finanziamento della Regione Lombardia, ha permesso di realizzare un nuovo apparato didattico all’interno dell’area attrezzata per fornire al visitatore le indispensabili informazioni.

Il Sentiero dei Briganti è un itinerario escursionistico, lungo circa 5 km, collega i paesi di Brallo (m.950 slm) al paese di Fego (550 m s.l.m.).
Da Brallo si raggiunge su strada asfaltata la frazione di Bralello in circa 15 minuti, il percorso attraversa la piccola frazione e scende su mulattiera verso il Bosco dei Giganti, uno stupendo bosco di castagni secolari. Il castagno forma estesi boschi nelle località montuose tra i 300 metri e i 1000 metri di altitudine. E’ un albero con un bel tronco e con una chioma quasi rotonda.
E’ una pianta che può vivere diversi secoli e raggiungere grandi dimensioni, in alcuni casi arriva ad avere una circonferenza di parecchi metri e un’età che supera i 700 anni.
Superato il castagneto, la discesa si fa più ripida e prosegue fino ad arrivare ai ruderi del Mulino dei Cognassi. Il Molino dei Cognassi era una struttura in pietra a vista con una cascina e una stalla, con davanti un grande prato.
La caratteristica di questo molino era la ruota molto stretta e alta quasi dieci metri, ancora oggi ben visibile; questa ruota girava grazie alla spinta dell’acqua del Fosso del Freddo che nasce a Cima Colletta, per poi confluire nel Rio Montagnola e quindi sfociare nel Torrente Staffora vicino a Fego.
Proseguendo, si guada più volte il Montagnola e in circa 30 minuti, si giunge alla Grotta dei Briganti, formata da enormi massi di granito. I massi sorgono sopra una piccola radura poco distanti al paese di Fego, sono poggiati uno contro l’altro e formano un anfratto che può contenere alcune persone.
Nei tempi passati è stata il rifugio segreto di gruppi di briganti che, una volta assalita la carovana o il povero viandante, si rifugiavano nella grotta, sicuri che nessuno osasse salire fin quassù per cercarli.
Dalla grotta, si prosegue ancora per circa 15 minuti, si guada per l’ultima volta il Rio Montagnola e si giunge al paese di Fego.



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VAL DI NIZZA



Val di Nizza è un comune situato nell'alta collina dell'Oltrepò Pavese, nella valle del torrente Nizza, affluente della Staffora.

La storia del territorio di Val di Nizza si incentra sull'antico castello di Oramala, una delle più importanti fortezze dei Malaspina. La località, al confine tra le sfere di influenza dei vescovati di Tortona e Bobbio, fu acquistata nel 1029 dal marchese Ugo, della stirpe degli Obertenghi, e da lui giunse in eredità al nipote Alberto da cui discesero i Malaspina. Nelle successive suddivisioni ereditarie della famiglia si definì un ramo di Oramala, detto poi di Godiasco, che a sua volta si suddivise in cinque rami: uno ebbe il dominio su Oramala, un altro quello su Valverde, cui faceva capo Sant'Albano. Mentre Valdinizza rimase nel bobbiese fin dalla donazione da parte di Carlo Magno nel 794.

Nel XVII secolo tutto l'attuale comune, con altre terre adiacenti, era compreso nel Marchesato di Godiasco, che era una delle principali giurisdizioni separate, dotate di larga autonomia, aggregate all'Oltrepò Pavese. Era gestito in regime consortile dalle innumerevoli ramificazioni della casata malaspiniana. Nel territorio attuale di Val di Nizza si distinguevano tre comuni: Valdinizza, Oramala e Sant'Albano, che sopravvissero all'abolizione del feudalesimo nel 1797.

Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1817 il comune di Oramala, un tempo il centro principale della zona ma ormai decaduto dopo la fine della signoria malaspiniana, fu aggregato a Val di Nizza. Nel 1859 entrò a far parte nel Circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia.

Nel 1923 venne smembrato il Circondario di Bobbio e suddiviso fra più province. Sant'Albano, che dopo l'unità d'Italia aveva preso il nome di Sant'Albano di Bobbio (CC I211), fu soppresso e unito a Val di Nizza nel 1929.

La Chiesa parrocchiale di San Paolo in Val di Nizza (Niza), la chiesa il territorio di Val di Nizza ed il castello di Casalasco erano un possedimento del monastero di Bobbio fin dal 794. Dalla pieve dipendevano le chiese di S. Eusebio e della Natività di S. Maria di Oramala e di S. Colombano di Monteforte (Varzi). Nel 1014 passa nella Diocesi di Bobbio, fino al 1817 quando passa alla Diocesi di Tortona.
La Chiesa parrocchiale di Sant'Albano in Candubrio è posta nella frazione di Sant'Albano. Il primo documento che cita la chiesa e la corte di Candubrio come dipendenza del monastero di Bobbio, è dell'862; nel 972 compare assieme agli altri possedimenti limitrofi del castello di Monfalcone (oggi scomparso), di Val Verde (Virdim), Val di Nizza (Niza) e metà della corte di Oramala con altri borghi, territori e castelli. Nel 1014, con la creazione della Diocesi di Bobbio i possedimenti e la chiesa passano alle dipendenze del vescovo di Bobbio. Ricostruita verso la metà del 1400, venne eretta a parrocchia nel 1470, attualmente con il titolo di arcipretura dipende dal vicariato di Bobbio, Alta Val Trebbia, Aveto e Oltre Penice della Diocesi di Piacenza-Bobbio.

Questo paese fa parte del territorio culturalmente omogeneo delle Quattro province (Alessandria, Genova, Pavia, Piacenza), caratterizzato da usi e costumi comuni e da un importante repertorio di musiche e balli molto antichi. Strumento principe di questa zona è il piffero appenninico che accompagnato dalla fisarmonica, e un tempo dalla müsa (cornamusa appenninica), guida le danze e anima le feste.

La frazione di Oramala fa parte del club i borghi più belli d'Italia.

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ZAVATTARELLO

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Zavattarello è un comune situato nell'alta val Tidone, fa parte del circuito dei i borghi più belli d'Italia ed è dominato dalla mole del castello di Zavattarello. Vive soprattutto di agricoltura (grano, foraggio), allevamento bovino e di turismo (residenze estive, agriturismo e turismo panoramico motorizzato).

Antichissimo feudo dell'Abbazia di San Colombano di Bobbio, dopo la formazione della Contea vescovile di Bobbio, Zavatterello diviene un feudo personale del Vescovo che vi costruisce il castello. Nel 1390 il vescovo di Bobbio cede a Jacopo Dal Verme il castello ed il feudo. Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1848 come parte della provincia di Bobbio passò dalla Liguria al Piemonte, nel 1859 entrò a far parte nel circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia, nel 1923, dopo lo smembramento del circondario di Bobbio, passò alla provincia di Piacenza e quindi all'Emilia-Romagna e poi ritornò nel 1926 alla provincia di Pavia e alla Lombardia.

Nel 1929 il comune di Valverde venne unito a Zavattarello, che prese il nome di Zavattarello Valverde (CC M151); fu quindi ricostituito nel 1956.

La zona collinare dell'Oltrepò pavese, che corrisponde grosso modo al comune di Zavattarello, fu luogo di rifugio dei disertori dell'esercito romano, dopo che questo subì la disfatta nella battaglia della Trebbia ad opera di Annibale..
Zavattarello è storicamente documentato nelle carte bobiensi del IX secolo come Pieve di San Paolo in Sartoriano (Giacomo Coperchini "quadro ecologico e interpretazione storica del territorio Piacentino-Bobiense, 1988).Alla fine X secolo d.C. il Castello di Zavattarello viene fatto costruire dal vicino monastero di Bobbio (Pc).
Quando il Vescovo di Bobbio diventa conte, Zavattarello diviene un bene feudale dello stesso Vescovo.

1169: Il castello di Zavattarello cade nelle mani della città di Piacenza.Nel 1230 il Vescovo di Bobbio dà in locazione al comune di Piacenza tutta la sua giurisdizione temporale tra cui Zavattarello (dal "Registrum Magnum" del Comune di Piacenza).
Iniziano le lotte per il possesso del maniero tra i ghibellini Landi e i guelfi Scotti.

1264: Il vescovo di Bobbio infeuda Zavattarello a Ubertino Landi, signore della guerra pluriscomunicato, che fortifica la rocca rendendola inespugnabile. Grande razziatore, negli anni successivi egli diventa il terrore della regione, ma grazie alla sua potente influenza inizia lo sviluppo del borgo.

1327: Manfredo Landi è signore del castello, grazie a Lodovico il Bavaro.
1390: Il vescovo di Bobbio Roberto Lanfranchi cede il castello al capitano di ventura Jacopo Dal Verme, donazione ratificata da papa Bonifacio IX. Inizia il pressoché ininterrotto dominio dei Dal Verme, che durerà fino al 1975, anno della donazione al comune del castello e dei terreni circostanti.
1978: L'amministrazione comunale inizia il restauro della rocca, gravemente danneggiata da un incendio nel 1944. Il castello è ora stato interamente restituito al pubblico.

Zavattarello deve il suo nome all'attività che fu prevalente nel borgo per secoli, quella dei ciabattini: il volgare “savattarellum” indica proprio letteralmente “il luogo dove si confezionano le ciabatte (savatte)”. Ancora oggi, nel dialetto locale, il paese è chiamato “Savataré”.

Le austere e antiche case rustiche di Tovazza sembrano fiere del loro essere millenarie: esistono citazioni già nell'anno 862 tra i beni del non lontano monastero di Bobbio (Pc). Lì vicino si può raggiungere Pradelle, ideale per gli amanti della natura e della quiete.
Lungo una cresta battuta dal sole sono site due tra le frazioni più caratteristiche: Ossenisio e Perduco. Ossenisio si trova su un poggio a strapiombo sul fiume Tidone; Perduco, appena a due chilometri a occidente, viene ricordata nei documenti di Bobbio dell'862, dove si cita un'antica rocca e una plebs dedicata al martire S. Antonio. Le vecchie case con i loro forni accanto in cui si cuoce ancora il pane, le viuzze, le profonde grotte del Groppo non ancora completamente esplorate che si aprono proprio a picco sotto le prime case del paese fanno di Perduco un luogo estraneo allo scorrere del tempo.
La vicina San Silverio è l'antica "Sancti Severi" menzionata in un estimo vescovile di Bobbio del XIV secolo, in cui si ricorda l'esistenza di un "hospitale".
Tra Zavattarello e Pietragavina, andando verso Varzi, si incontra Rossone, su un poggio assolato a circa 750 m d'altitudine, luogo apprezzato per una residenza di villeggiatura.
Le Moline, a un paio di chilometri da Zavattarello in direzione della Diga Valtidone, è la frazione in cui si respira più storia, con la torre degli Scolopi, il vecchio monastero ancora in piedi e i caratteristici mulini che danno il nome alla frazione.
Quasi ogni frazione possiede la sua chiesa, alcune delle quali sono dei piccoli capolavori.
L'oratorio di S. Silverio è tra i più antichi: da uno strumento datato 17 febbraio 1486 del notaio Bertola Gazzotti di Zavattarello risulta che un tale Bartolomeo Ramella, procuratore dell'arciprete del paese don Antonio Bozzola, dichiarò di "ricevere da Francesco e fratelli Cavaleri la somma di lire 36,18 imperiali per il fitto d'anni uno sopra la possessione e beni di San Severo, territorio di Zavattarello".
Verso la fine del XVI secolo, l'oratorio di Perduco era dedicato a S. Antonino: è ricordato nella relazione della visita del vicario generale del vescovo di Bobbio del 1597, in cui si legge "Chiesa di S. Antonino di Perducho, nella quale non si celebra ma se gli potria celebrare restaurandola alquanto".
L'oratorio di Pradelle è stato costruito nel 1870, con l'annesso locale adibito successivamente a scuola elementare ed abitazione dell'insegnante.
L'oratorio di Crociglia è dedicato a S. Domenico. Non se ne conosce la data di edificazione: la prima notizia sicura si ha in un inventario delle suppellettili effettuato a cura dell'arciprete di Zavattarello l'8 marzo 1788, su istanza di Gerolamo Fiori.
Neppure dell'oratorio di S. Michele di Tovazza si conosce la data di costruzione. Possiede alcuni beni immobili provengono da un certo Carlo Marchisola fu Bernardo a rogito notarile del 23 maggio 1848, enumerati in un inventario del 12 novembre 1925 dell'arciprete Domenico Franzosi.
L'oratorio di S. Martino alle Moline consta di una piccola navata con altare in sasso. Nel 1927 fu edificato un piccolo campanile per collocarvi la campana che fino ad allora si trovava sui tetti di un'attigua casa privata.
Fu edificato nel 1858 l'oratorio di S. Stefano a Cascine su autorizzazione della corte d'appello di Genova, su conforme parere del vescovo di Tortona, a cui era stata rivolta formale istanza da tutti gli abitanti di Cascine per erigere un oratorio "per somministrazione dei Sacramenti agli infermi e impotenti e per la celebrazione della Messa nei giorni 26 maggio, 17 gennaio e 8 dicembre di ciascun anno onde adempiere al voto fatto per la grazia ricevuta mentre il colera desolava tutti gli altri vicini villaggi".

Situato a 529 m s.l.m., Zavattarello è costituito da un nucleo centrale dominato dal Castello Dal Verme, ove le case hanno mantenuto la patina dei secoli: è il borgo antico duecentesco che i paesani chiamano "Su di dentro" perché in passato era cinto da robuste mura difensive. Più sotto si sviluppa il paese nuovo, tagliato dalla strada provinciale che congiunge la SS412 della Valtidone alla SS461 del Penice.
Al caratteristico paese vecchio acchiocciolato attorno al castello si accede da Piazza Luchino Dal Verme, passando sotto una torre sovrastante un arco acuto in blocchi di arenaria magistralmente lavorati: l'edificio era ben più alto, ma nel 1926 la parte superiore venne purtroppo abbattuta.
Sulla sinistra, oltrepassato il "voltone", si vede ancora oggi inalterato il "corpo di guardia", un angusto vano destinato ad accogliere gli armigeri di guardia all'accesso della rocca. La stretta viuzza era un tempo la strada principale del paese, che conduceva fino al maniero in cima alla collina. La prima via che si inerpica a destra, dopo un edificio rimodernato che fu sede delle carceri mandamentali, è il vicolo dell'Abate, uno degli scorci più caratteristici del "Su di Dentro".
La visita al paese vecchio può costituire un impensabile motivo di piacevoli scoperte: all'osservatore attento non mancherà di notare sopra il portale profilato di arenaria di un'antica casa una formella in terracotta raffigurante una Madonna con Bambino, pregevole opera di un ignoto artista seicentesco. Sotto questa formella, al centro dell'architrave del portale, è scolpita una caratteristica croce, che si ritrova anche sulle architravi delle porte e delle finestre di una costruzione del XIII secolo, la più antica del borgo.
Anche la parte più moderna del paese presenta attrattive, pur se non cariche dell'emozione storica data da "Su di Dentro". Zavattarello è piccolo, ma possiede tutti i servizi indispensabili per il cittadino e per il turista: negozi di ogni genere, luoghi ricreativi, monumenti, scuole materna, elementare e media, farmacia, posta, ambulatorio medico, comando dei Carabinieri e Guardia Forestale, banche, casa di riposo per gli anziani. Il tutto immerso in una natura incontaminata, in cui dominano pace e serenità, in un clima in cui il tempo pare una categoria diversa dal resto del mondo: tradizione e modernità qui si mescolano, convivono e si fondono in un equilibrio armonioso.

Completamente costruito in pietra, con uno spessore murario fino a 4 metri, il Castello di Zavattarello è un edificio titanico che costituisce un formidabile complesso architettonico medievale, una fortezza inespugnabile che ha resistito a numerosi assedi.
Dalla terrazza e dalla torre si gode un panorama mozzafiato del territorio circostante: le verdi campagne, i freschi boschi, le colline con gli altri castelli della zona - Montalto Pavese, Valverde, Torre degli Alberi, Pietragavina. Ben si capisce, da qui, la scelta strategica del luogo dove edificare questo maniero.
L'imponente rocca sovrasta il borgo antico abbarbicato sulla collina, che una volta era completamente priva di vegetazione per consentire ai difensori del maniero di avvistare ogni malintenzionato. Oggi invece il verde che attornia il castello è un'area protetta, un Parco Locale di Interesse Sovracomunale di circa 79 ettari, di grande rilevanza paesaggistica, geografica, orografica, oltre che storica e ambientale.

Ogni anno il 15 e 16 agosto il Castello Dal Verme ritorna al suo storico passato: tra dame e cavalieri, artigiani e cortigiani, il giardino e le sale si animano di rievocazioni di battaglie, danze e giochi medievali, con numerosi intrattenimenti per i visitatori.
Due giorni di grande festa per rivivere le magiche atmosfere del Medioevo, immergendosi nella vita di una roccaforte nel XV secolo.
Le Giornate Medievali di Zavattarello rievocano un avvenimento legato al personaggio più celebre del Castello: Pietro dal Verme. Infatti questi due giorni celebrano il fidanzamento fra Pietro e Chiara Sforza.

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SANTA MARIA DELLA VERSA

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Santa Maria della Versa è un comune situato nella collina dell'Oltrepò Pavese, nella media vallata del torrente Versa.
Soriasco, il centro più antico e precedente capoluogo comunale, è noto fin dal IX secolo, quando, in base a donazioni imperiali, apparteneva all'abbazia di San Colombano di Bobbio. Nel 1164 l'imperatore Federico I lo sottopose al dominio della città di Pavia.

Dal XIV secolo (se non prima) era feudo della famiglia Giorgi, che nel secolo successivo, ereditando dall'ultima discendente dei Beccaria del ramo di Messer Fiorello, estese i propri domini anche su Pietra de' Giorgi e Rocca de' Giorgi. Estinti i Giorgi-Beccaria nel XVII secolo, il feudo fu incamerato e venduto a Gerolamo dal Pozzo, che nello stesso periodo acquistava il feudo di Montecalvo Versiggia (comprendente anche Golferenzo e Volpara), divenendo signore di gran parte della valle. Fu una breve illusione: pressato da problemi economici, il figlio Gaetano già nel 1690 dovette vendere Soriasco ai conti Gambarana (ramo dei Conti Palatini di Lomello e feudatari di Montesegale), che erano già grandi proprietari nel feudo, e risiedevano al Casale di Donelasco. La frazione Pizzofreddo, che apparteneva al feudo di Montecalvo, dopo questi passaggi rimase unita a Soriasco.

Nel feudo di Soriasco esisteva, oltre al comune del capoluogo, anche quello di Donelasco, dove risiedeva il feudatario. La signoria dei Gambarana durò fino all'abolizione del feudalesimo (1797).

All'inizio del XIX secolo venne unito a Soriasco il comune di Montarco, detto anche Sannazzaro dal nome della chiesa parrocchiale. Era un luogo molto importante, essendo citato nel diploma di Federico I del 1164. Nel 1216 fu bruciato dai confederati lombardi, in lotta con Pavia. Appartenne probabilmente ai Sannazzaro, e c'è chi sospetta che il cognome derivi da questo luogo. Fu incluso nel feudo di Broni, cui restò fino alla sua fine, e di esso (dopo che ne furono staccati Canneto e Castana) rimase, isolato, il territorio più meridionale.

Sempre nel XIX secolo andò sviluppandosi, ai piedi del colle di Soriasco, a fondo valle, il nuovo centro detto Borgata Versa, e anche Madonna della Versa da una chiesetta ivi esistente, costruita per ricordare una antica apparizione delle Vergine a una fanciulla. In questo centro venne posta la sede comunale, e nel 1893 il nome del comune, da Soriasco, fu mutato in Santa Maria della Versa.

Nel 1929 fu unito a Santa Maria anche il comune di Donelasco (CC D340).

Dal 1929 al 1956 fu unita a Stradella da una linea tranviaria.
Nel 1300 il luogo era incolto; tra spini e querce sorge solo una cappelletta: "Madonna Val Versa", cosi' era chiamata dalla gente dei dintorni che la indicava come miracolosa dispensatrice di grazie, una Madonnina dipinta su tavola, ancor oggi conservata sull'altare della parrocchiale.

L'attuale chiesa sorse sulla piccola edicola campestre ed attorno si sviluppo' un borgo dove si teneva mercato. Nel' 800 "la Madonna", cosi' chiamata dai locali, era "il principale quartiere" dell'antico capoluogo Soriasco, un borgo incastellato depositario di ben piu' vetuste origini, che oggi, di fatto, domina Santa Maria dall'alto della sua torre. Santa Maria, disponendo di piu' spazi e di maggiori prerogative di sviluppo economico, con i suoi mercati, le botteghe, gli alberghi e trattorie, strappava a Soriasco l'antico primato.

Nella seconda meta' dell'800 assorbiva tutti i servizi pubblici ed amministrativi e infine nel 1893 acquistava il titolo di comune.

Oggi Santa Maria e' un delizioso paese di fondovalle, ordinato e tranquillo; ma basta aprire un poco di piu' gli occhi per scorgere dietro tanta apparente pacatezza quanto ferva il lavoro sulle colline che l'abbracciano e da cui si riversano nella vendemmia mille varieta' di grappoli che viticoltori di qua, in gran parte contadini da generazioni, ricavano dalla terra con sapiente fatica non per nulla Santa Maria, terra di vini, e' denominata "capitale del pinot" o "dello spumante"; un paese ricco di risorse, la cui gente e' rigorosa nella fatica e cordiale nella festa.

L'economia di Santa Maria della Versa è a carattere prevalentemente agricolo e tra le produzioni principali ricordiamo i Doc Oltrepò Pavese.
Il 25 marzo di ogni anno si tiene la festa patronale del Santissimo Nome di Maria.


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lunedì 30 novembre 2015

BAGNARIA

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Bagnaria è un comune situato nell'Oltrepò Pavese, in valle Staffora, in una zona di bassa montagna.

Bagnaria fece parte del marchesato dei Malaspina fin dall'investitura imperiale del 1164; passò al ramo dello Spino Fiorito e, nell'ulteriore divisione della famiglia nei tre rami di Varzi, Godiasco e Pizzocorno, toccò a quest'ultimo. Esso fu bruscamente troncato nel 1413 con l'assassinio di tutti i membri nel castello di Olivola in Lunigiana: nella dispersione dei loro beni, Bagnaria fu acquistata dai nobili Busseti di Tortona, e quando i feudi di valle Staffora, ormai sottomessi dai duchi di Milano, furono aggregati alle province del ducato, Bagnaria non toccò a Pavia ma a Tortona. E del Tortonese fece sempre parte fino all'inizio del XIX secolo.

Nel 1485 il feudo di Bagnaria passò ai Fieschi di Genova, e dopo la loro ribellione fu confiscato e dato ai principi Doria. Questi riuscirono a far riconoscere questo feudo come imperiale o esente: questo significa che si trovava in una condizione ancor più privilegiata rispetto alle giurisdizioni separate dell'Oltrepò, godendo della totale autonomia giudiziaria e fiscale, in pratica era uno staterello indipendente. Tra l'altro, mentre negli altri feudi c'era il diritto d'appello alla magistratura di Stato contro i giudizi dei giudici feudali, qui il diritto di appello era al tribunale del Principe Doria.

Il feudo imperiale fu abolito con l'arrivo di Napoleone; nel 1801 Bagnaria fu staccata dal Tortonese e unita al Bobbiese nella provincia di Bobbio, con cui entrò poi (1859) nella provincia di Pavia. Il vecchio nome era Bagnara, solo nel 1863 prese il nome attuale. Nel 1929 venne aggregato al comune di Varzi, ma nel 1946 riacquistò l'autonomia comunale.

La scoperta del Castelliere del Guardamonte o Monte Vallassa che poggia su una zona fossilifera di notevole interesse, risale al 1951. Furono alcuni cacciatori che nello scavare attorno ad una tana dove aveva trovato rifugio una volpe, rinvennero frammenti di vasellame in argilla. Da scavi sistematici, anche se ad oggi ancora limitati, condotti dal Prof. F. Lo Porto della Sovraintendenza alle Antichità del Piemonte, si arrivò alla scoperta di abbondante materiale archeologico. I ritrovamenti più antichi si fanno risalire alla prima età del ferro. L'importanza archeologica del Monte Vallassa era stata per così dire preannunciata nel 1915 quando casualmente fu rinvenuta una dramma padana databile nel primo quarto del II Sec. a. C. Per conio e peso la moneta era molto simile ad un altro pezzo appartenente al tesoretto di Biandrate. Si ritiene che moltissimo materiale, che potrebbe rivelarci interessanti notizie sulla vita di quelle antiche popolazioni, sia ancora da riportare alla luce, ma di norma li troviamo su alture di non facile accesso. A questi luoghi già difficilmente raggiungibili per le caratteristiche geografiche del terreno, venivano aggiunte dalla Comunità che li abitava, opere di difesa con la costruzione di muri a secco e fossati intelligentemente disposti. Ritrovamenti di questo tipo si sono riscontrati in Puglia e Venezia Giulia. La scelta della posizione e la tecnica costruttiva, hanno indotto a riconoscere in questo tipo di insediamenti una civiltà detta “Civiltà dei Castricoli” dove per Castricoli si intende gli abitanti dei Castellieri. Di questo tipo di civiltà ben poco si conosce. Possiamo comunque distinguere due fasi successive, sia dai ritrovamenti di utensili e ceramiche che dai riti funebri all'epoca in uso. Nella fase più antica veniva infatti praticata l'inumazione con il corpo del defunto rannichiato in tombe a cassetta, mentre nella fase a noi più vicina prevalse la cremazione, pratica questa che ci induce a pensare ad una influenza culturale di origine centro-europea. Seppure in presenza di indagini limitate, possiamo tranquillamente affermare che Guardamonte sia stato abitato per un lungo periodo di tempo, dal neolitico sino al tardo impero, ipotesi questa che lo stesso Prof. Lo Porto non esclude sebbene non comprovata. La lunga permanenza dell'uomo in questo luogo è testimoniata dai ritrovamenti di fittili e altro materiale la cui origini si fa risalire ad epoche assai diverse e con altrettante datazioni. Tra i reperti più interessanti si citano: frecce in diverse fasi di lavorazione, un'ascia in pietra verde, una punta di freccia, la punta di uno stiletto di selce chiara, un brunitoio litico, un bordo di vaso, una piccola terracotta zoomorfa frammentata, frammenti di argille in pasta vitrea blu e rubino di tipo gallico. Tra i ritrovamenti, va citato pure un frammento di parietale sinistro di giovane donna che attualmente si trova presso l'istituto di antropologia dell'Università di Pisa. Sul luogo sono state rinvenute inoltre notevoli quantità di ossa di animali e ciò rappresenta un'altra testimonianza della lunga permanenza dell'uomo in questo luogo, tra le ossa rinvenute, pare certo che un frammento di dente di notevole dimensione sia da attribuirsi all'Uro e ciò non deve stupire considerato che questo antico progenitore dei bovini domestici si è estinto solo in epoca relativamente recente. In epoche a noi più vicine sono comunque certe le influenze romaniche testimoniate dal ritrovamento di una statuetta in bronzo del sec. V a.C. e da altre importanti tracce lasciate su tutta la zona. Si suppone che la comunità locale sia stata influenzata anche dalla cultura Etrusca, considerazione che fa seguito alla scoperta di frammenti di ceramiche che si presumono Etrusche per il caratteristico colore scuro, dovuto ad un processo di fumigazione in uso presso quelle popolazioni. L'individuazione dell'insediamento all'epoca operato dall'uomo ed il suo lungo permanere, in un luogo oggi considerato “scomodo”, non deve comunque stupire, ciò rientrava nella logica dei tempi. Guardamonte rappresentò per i suoi abitanti un luogo ove ci si poteva facilmente difendere dai pericoli; sia questi, rappresentati da altri uomini o da animali e nello stesso tempo, per la sua collocazione geografica, un ideale punto strategico di osservazione. Dall'alto delle sue rocce, si poteva avere il controllo di quei fondo valle che dovevano poi nel tempo prendere il nome di Valle Staffora e Val Curone. Il problema della difesa da pericoli esterni è stato senza dubbio una della maggiori preoccupazioni della Comunità che viveva a Guardamonte. L'impianto urbanistico dell'insediamento ne è la più evidente testimonianza. L'abitato sorgeva nel versante che degrada verso le frazioni di S. Ponzo e Mutti ed a difesa dell'abitato furono sapientemente costruite una lunga serie di muri a secco, di cui rimangono ancora oggi tracce nei boschi. Dal lato sud-est le rocce a picco sui sottostanti boschi alle spalle della frazione di Coriola, rappresentavano una ideale difesa naturale. Nella roccia che proteggeva il lato sud-est risulta essere stato scavato dall'uomo un camminamento che non doveva essere solo a scopo difensivo e che conduce ad una caverna il cui accesso è ora ostruito. La caverna di cui non si conosce l'utilizzo, si può ipotizzare che fosse adibita a magazzeno viveri o a rifugio estremo in caso di gravi pericoli o per entrambe le cose. Con il mutare dei tempi, nel corso di un processo lento ma continuo, vennero meno i motivi per i quali vivere sul Monte Vallassa rappresentava una condizione necessaria per la sopravvivenza della popolazione. “L'uomo di Guardamonte” con il passare dei secoli mutò le sue abitudini e con esse la stessa organizzazione sociale; da cacciatore divenne prima pastore e poi per ultimo agricoltore e quindi si resero necessarie terre fertili pianeggianti e facilmente accessibili. Gradualmente, la popolazione di Guardamonte, abbandonò probabilmente quell'insediamento per trasferirsi nel fondo valle, dove ora sorge la frazione di Torretta, che offriva migliori condizioni di vita.

Notevole è il centro storico di Bagnaria, e le altre attrattive artistiche sono : il Santuario, il medievale borgo caratterizzato da case in pietra; da non perdere la romanica chiesa parrocchiale dedicata a San Bartolomeo, dove è possibile ammirare una pregevole balaustra e l' altare maggiore decorato con marmi di vario colore; notevoli sono anche gli affreschi originali che si trovano all'interno di questa chiesa.

Un lungo e stretto ponte sul Torrente Staffora collega la frazione Cà de Galeotti con la SS 461 Voghera-Varzi. L'abitato si distende sul lato sinistro del torrente Staffora e si articola in diverse località: Casa Berletta (mt. 371), Casa Meitina o Possione (mt. 346), la Corte (mt. 339), Casa Galeotti Inferiore (mt 363), il Bosco (mt. 375), le Cascine (mt 370), Casa Galeotti Superiore (mt.406). Il nucleo abitativo originario e più antico è senza dubbio costituito da Casa Galeotti Superiore, un gruppo di case ora disabitate, la maggior parte ormai in rovina e dove la tradizione collocava una piccola Cappella campestre (Gesiora), travolta da un movimento franoso nel profondo Rio Scabiassa i cui resti sono ancora visibili. In ordine all'origine del nome, due sono le possibili ipotesi. La prima appartiene alla tradizione; è vox populi che, il nome alla frazione sia stato attribuito a seguito della presenza in questa località di un galeotto fuggito dalle prigioni di Gremiasco e le rovine, ormai quasi totalmente scomparse di una costruzione in muratura nei boschi, costituirebbero la prova di quanto rimane della sua abitazione. Non è da escludere però anche l'ipotesi di una derivazione dal nome proprio Galeotius o Galeatius che si ritrova con una certa frequenza in diversi documenti alla fine del medioevo. Secondo il censimento del 1616, a Cà de Galeotti (superiore) risiedevano 2 famiglie, quella di Cristofino de Galeotti e di suo nipote Francesco, per complessive 8 anime, alla Possione una sola famiglia di 7 anime, quella di Agostino Tamborino, a Cà di Berletta 2 famiglie e 6 anime, quelle di Catherina e Agnesina, entrambe vedove, è citata pure Cà di Ruffino dove viveva una famiglia composta da 4 anime. I residenti sono stati sempre particolarmente legati alla piccola chiesa dedicata a S. Antonio da Padova. Non esistono documenti da cui si possa definire esattamente il periodo in cui è stata costruita la chiesa. Presso l'archivio parrocchiale è conservato un antico registro che risale ai primi anni del 1700 (anno 1720) su cui veniva annotata la contabilità dell'Oratorio. Ne consegue pertanto che la costruzione della chiesa deve farsi risalire ad un'epoca precedente a tale data. L'interno dell'Oratorio non presenta decorazioni di particolare pregio, sulle due pareti laterali sono raffigurati, sul lato destro la Madonna della Guardia, mentre sul lato sinistro S. Antonio Abate. All'interno della chiesa è conservata la statua di S. Antonio da Padova che in occasione della festa patronale viene portata in processione in località Casa Duca. Il primo progetto di un ponte sul torrente risale al 2.5.1949 allorché viene affidata al geom. Luigi Tevini la progettazione di una "ponticella" dalla portata di 60 q.li "... tenuto conto che la frazione conta circa 200 anime e che la popolazione è disponibile ad autotassarsi sino alla concorrenza di L. 1.000.000." Il ponte sarà però costruito successivamente. Nel 1954 la ditta Mazza di S. Giuletta ne costruisce una prima parte che si interrompe a metà del torrente perché con il ponte era stata prevista la realizzazione di una vasta opera di bonifica e recupero del greto del torrente per uso agricolo. Successivamente abbandonata l'idea della bonifica, si procedette al prolungamento del manufatto, così come oggi appare.

La frazione Casa Massone sorge in prossimità della strada Statale Voghera-Varzi e prende il nome dal Rio Massone o dei Massoni che scorre accanto all'abitato. La frazione non è citata nel censimento del 1616. A valle del ponte sul Rio Massone dal lato del Torrente Staffora sino a pochi decenni addietro erano ancora ben visibili le rovine dell'osteria di Ca' de Bullo una costruzione erosa da successive esondazioni del torrente Staffora. Nella parte più alta dell'abitato è collocata una piccola Cappelletta dedicata alla Madonna delle Grazie, oggetto di festeggiamenti il giorno 14 agosto.
L'osteria di proprietà di Alvi Giovanni ha cessato l'attività nel 1885, anno in cui una rovinosa piena del torrente Staffora travolse gran parte del fabbricato.

Frazione Coriola è una frazione dalle origini antichissime il cui nome deriverebbe dal romano Corius e i primi insediamenti risalirebbero all'epoca romana. Sorge sulla strada intervalliva che collega Bagnaria a S. Sebastiano, per gran parte dell'anno totalmente disabitata, rivive solo nel periodo estivo grazie all'afflusso di alcune famiglie che nell'ultimo decennio hanno acquistato le antiche case e i rustici adiacenti, ristrutturandoli talvolta con attenzione nel rispetto dell'ambiente circostante. Nel 1616 a Coriola risiedeva una sola famiglia, quella di Giovanni de Franza con la moglie e 11 figli. Poco sopra Coriola, dove ora finiscono i campi coltivati e inizia il bosco, abitava Antonino da Montariollo con la moglie Caterina e i loro 6 figli. Della casa di Montariollo non vi è più nessuna traccia anche se sino all'inizio del secolo si dice che esistevano ancora evidenti segni dell'abitazione. Di particolare interesse è l'Oratorio dedicato alla Madonna di Caravaggio citato per la prima volta nel corso della visita pastorale di Mons. Giulio Resta Vescovo di Tortona il 15 ottobre 1709. "Oratorio al titolo della Madonna di Caravaggio posto nella Villa di Corniola soggetto alla Parrocchiale, ove si celebra per divozione, stè ha gli suoi necessari ornamenti, lodando la pietà del Popolo, e della Priora". L'Oratorio nel tempo ha subìto vari interventi peraltro ben visibili che ne hanno modificato l'originaria struttura, sulla base delle testimonianze raccolte dagli abitanti più anziani, già all'inizio di questo secolo però l'edificio era così come oggi appare. Recentemente sono stati effettuati lavori di restauro e consolidamento ultimati nel 1995. Il 26 maggio ricorre la festa patronale, che vede anche la partecipazione degli abitanti della frazione Moglia.

Frazione Livelli è un centro abitato dalle origini medioevali, già sottoposto al dominio della famiglia Malaspina di Oramala, successivamente come Bagnaria divenne feudo affrancato dei Principi Doria di Genova. Il nome Livelli deriva da "livello", contratto agrario medioevale che consisteva nella concessione gratuita o semigratuita di un fondo rustico per un determinato periodo di tempo, normalmente 19 0 29 anni. Il luogo anticamente soggetto a "livello" ne ha preso poi il nome. La ridente frazione sorge ai piedi del monte Sgarala e protetta da un alto dirupo, gode di un clima particolarmente favorevole, tanto che è possibile vedere nella parte alta del paese anche alcune piante di ulivo. In passato (anno 1952) la località, grazie alle sue particolari e favorevoli condizioni climatiche, era stata individuata da una società privata quale sede per la costruzione di una Casa di cura per il trattamento di malattie dell'apparato respiratorio. L'iniziativa successivamente fu abbandonata a causa della graduale diminuzione delle malattie polmonari caratterizzatesi proprio negli anni cinquanta. Le prime notizie scritte risalgono all'anno 1595, anno in cui viene istituita la Parrocchia, separandola da quella di Bagnaria (Sinodo Gambara). Solo di recente con D.P.R. n. 81 dell'11 giugno 1980 sono stati riconosciuti gli effetti civili del Decreto dell'Ordinario Diocesano di Tortona (Vescovo) dell'1 settembre 1978 con cui è stata disposta l'unione "aeque principaliter" delle Parrocchie dei SS Pietro e Paolo di Livelli con quella si S. Bartolomeo di Bagnaria. In passato era il paese che registrava il maggior numero di abitanti, e non senza stupore apprendiamo che nel 1665 contava 27 fuochi (famiglie) e 130 anime (persone) e ancor più nel 1782 contava 138 anime. Negli ultimi decenni, il paese, per la sua collocazione geografica decentrata rispetto all'asse stradale Voghera-Varzi ha fatto registrare un forte flusso migratorio a favore di altre località (Ponte Crenna, Varzi, Voghera ecc.). La chiesa, intitolata ai SS Pietro e Paolo è stata in tempi successivi modificata e ampliata e non conserva particolari pregi artistici. All'interno, posto sul lato sinistro, si conserva una pala d'altare di notevoli dimensioni (270x150) e pregevole fattura datato 1759 ad opera di G. Paolo Muratore, pittore minore vogherese, vissuto nel XVII secolo. La tela ad olio, nonostante il tempo risulta ancora in buono stato di conservazione e raffigura S. Carlo Borromeo e S. Francesco in adorazione della Madonna. Il campanile poggia sul basamento di una antica torre campanaria ancora visibile. Un tempo, sottoposti alla giurisdizione della Parrocchia di Livelli gli oratori, campestri di S. Rocco, Madonna della Neve e della Beata Vergine del Soccorso. S. Rocco - Il piccolo oratorio, all'interno del quale è collocata una piccola statua del Santo, si trova a quota 489 mt. lontano dal paese, a metà strada tra Livelli e Casa Massone. Nel tempo, l'edificio ha subito evidenti trasformazioni, da ultimo un piccolo porticato antistante l'oratorio stesso. Non si conoscono notizie in ordine alla sua origine, di certo molto antiche. Il piccolo Oratorio è citato già nel 1569 in occasione della visita Pastorale alla chiesa di Bagnaria, allora sottoposta alla Pieve di S. Ponzo, di Mons. Gambara, Vescovo di Tortona. San Rocco dalla Francia sarebbe venuto in Italia dove morì di peste, curando gli appestati nel 1327 all'età di 32 anni. Dal XV secolo è invocato come protettore contro la peste ed è uno dei Santi più presenti nella cultura popolare. Per tornare ad una possibile ipotesi in ordine all'erezione dell'Oratorio, ricordiamo che attorno all'anno 1420 (molto più che non nel 1629/30 di Manzoniana memoria) la peste colpì con particolare virulenza la Valle Staffora. Nei territori montani aveva raggiunto una tale diffusione che Voghera, nel 1421 pose alle porte della città, ufficiali di sanità con il compito di impedire anche con la forza l'ingresso alla gente proveniente dalla Valle Staffora. Dall'insieme delle notizie sopra richiamate è possibile ipotizzare quindi che il piccolo Oratorio campestre, sia stato costruito in onore del Santo in un periodo non lontano da quella terribile pestilenza che aveva dimezzato la popolazione della Valle Staffora. Madonna della Neve - l'oratorio sorge a quota 495 mt. all'inizio del paese ed è citato per la prima volta in occasione della visita pastorale di Mons. Peyretti del 1787. L'edificio in origine era di dimensioni molto più ridotte, successivamente ha subito varie trasformazioni i cui segni sono ancora evidenti. Presso l'oratorio, un tempo si festeggiava, in aprile, la ricorrenza di S. Giorgio e il 5 agosto la festa della Madonna a cui la chiesetta è intitolata. L'Oratorio dedicato alla Madonna delle Nevi, allude alla posizione particolarmente soleggiata dove poggia la costruzione e dove la neve si scioglie molto prima che in ogni altro luogo circostante. Il Goggi cita l'esistenza nella Parrocchia di Livelli, di un Oratorio campestre dedicato alla Beata Vergine del Soccorso (anno 1645). Dell'antico Oratorio oggi purtroppo, non esistano più tracce e nessuno tra gli abitanti ricorda di averne mai sentito parlare.

Moglia sorge sulla strada intervalliva Bagnaria-S. Sebastiano, è citato già nel censimento del 1616 e all'epoca cinque erano i fuochi (famiglie) per complessive 38 anime. Il toponimo è particolarmente interessante in quanto Moglia nella generalità dei casi deriva dalla voce lombarda "moia" che sta per maceratoio di lino, canepa o giunchi. Al riguardo va anche detto che il cognome Moglia nel 1616, all'epoca del primo censimento, non era attribuito a nessuno dei residenti, fatto peraltro frequente ma bensì alla frazione. Questo è uno dei tipici casi in cui gli abitanti hanno preso il cognome della località in cui risiedevano. Solo all'inizio del 1700 Moglia (talvolta con alcune storpiature) è diventato cognome. Tornando all' origine toponomastica del nome, ipotizzare la presenza di un maceratoio in località Moglia, sembrerebbe oggi alquanto improbabile, considerata la difficoltà di reperire la necessaria quantità di acqua, ciò non toglie però che poteva trattarsi di una struttura di modestissime dimensioni con annesso locale per la lavorazione della materia prima. Al riguardo il Bertacchi nella "Monografia di Bobbio" del 1859 cita l'esistenza nel comune di Bagnaria di un filatoio senza precisarne l'esatta ubicazione. Della presenza del filatoio, neppure le persone più anziane di Bagnaria ricordano di averne mai sentito parlare. Ora seppur con qualche legittima riserva appare molto più probabile ipotizzare la presenza del filatoio citato dal Bertacchi in località Canavò, (etimologicamente luogo dove si lavora o vende la canepa) che si trova alle spalle del capoluogo.

Frazione Mutti sorge sul lato sinistro del torrente Staffora a circa 1.500 mt. dal capoluogo. Storicamente le prime notizie della frazione risalgono ai primi anni del 1600. Un documento conservato presso l'archivio parrocchiale datato 1616 diligentemente riporta il censimento della popolazione ivi abitante che risulta costituita da n. 6 fuochi (famiglie) e da n. 29 abitanti. Quello del 1616 risulta essere il primo censimento effettuato e la frazione all'epoca è quella con il maggior numero di abitanti, dopo Livelli ed è chiamata Motti da cui Mutti a seguito di successive trascrizioni. Il documento più antico di cui si ha notizia che fa riferimento alla frazione, risale però a qualche anno prima e precisamente al 1605. Si tratta di un decesso: "alli 27 dil mese di marzo fu sepulto: Jacomino figliolo di Giovanni e Barbara da Motti quale era di essa di anni in circa 3". Particolare curioso che caratterizza la frazione è rappresentato dalla linea di confine con il Comune di Ponte Nizza che "taglia" l'abitato in due parti creando situazioni di evidente disagio ai residenti che in taluni casi, devono fare riferimento alle due amministrazioni comunali per il disbrigo di pratiche burocratiche.

Ponte Crenna è la frazione che ha registrato lo sviluppo edilizio più intenso e articolato del territorio comunale. Costituita da pochissime case all'inizio del secolo, negli ultimi decenni, numerosi sono stati gli insediamenti di famiglie provenienti da Sagliano e Livelli, ed ora è la frazione che conta il maggior numero di abitanti. Non mancano insediamenti commerciali e artigianali così come importanti servizi essenziali come bar, trattorie, supermercato, chiesa e sino a pochi anni addietro la scuola elementare. Già dagli anni sessanta è presente la "Varzi Frutta" una industria che opera nel settore della surgelazione. La Chiesa sorge ai piedi della strada che sale a Livelli. Progettata nel 1946, l'opera è stata realizzata, su un terreno donato da Giuseppe Celasco di Casanova Staffora, a spese della popolazione e un contributo Governativo di L. 300.000. Il 20 maggio 1951, con una solenne cerimonia è stata aperta al pubblico. Dall'aspetto semplice ed essenziale, all'interno è conservata la statua della Madonna Pellegrina donata alla popolazione da mons. Francesco Gugliada. La statua, prima di essere definitivamente collocata nella chiesa, nel 1946 fu esposta in numerose Parrocchie della montagna pavese. Di fronte alla Chiesa sorge l'edificio scolastico, costruito per volontà e con le forze degli stessi frazionisti, i cui lavori ebbero inizio nel 1951. Nel 1991 l'Ispettorato Provinciale all'Istruzione ha disposto la chiusura della scuola (pluriclasse) a causa dell'esiguo numero di scolari.

Frazione Spizzirò collocata al confine con il Comune di Ponte Nizza la frazione è costituita da un gruppo di case sparse che sorgono a lato del Rio Spizzirò da cui prende il nome. Comunemente la località è conosciuta anche con il nome di "Cascina Rossa" per la presenza di una tenuta agricola da sempre tinteggiata di rosso di proprietà della famiglia Corsi.

Frazione Torretta sorge in prossimità del capoluogo, a poche centinaia di metri dal torrente Staffora, su un vasto piano attraversato dall'omonimo Rio Torretta. Il toponimo richiama la presenza di resti di presunti fortilizi, dei quali però non se ne conosce l'esistenza. Nella frazione, sorgeva una Cappella privata di proprietà della Casa Balbi Beleni successivamente sconsacrata, ora adibita a casa di abitazione. In mancanza di precisi riferimenti è possibile ipotizzare che accanto alla cappella, di cui si è fatto cenno, esistesse un campanile o comunque una seppur modesta torre campanaria (torretta) che ha dato il nome alla frazione. Il Goggi fa risalire l'origine della frazione ad epoca romana, ma è un'ipotesi che non sembra condivisibile. Dal censimento della popolazione del 1616 la Torretta contava due fuochi (famiglie) e 4 anime. Già negli anni trenta, come risulta dalla documentazione in possesso della Sovrantendenza archeologica della Lombardia, risultano essere state rinvenute nei pressi dell'abitato alcune tombe di epoca romana e ancora di recente il 18.7.1987 una tomba apparentemente attribuibile al periodo medioevale.



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